𝟏𝟔. 𝐄𝐬𝐭𝐫𝐚𝐧𝐞𝐢
Adam.
Quel nome mette radici spontaneamente tra le mura del cervello. Si arrampica come edera tra i neuroni, avviluppando completamente le sinapsi, mentre l'aria che mi striscia nei polmoni – e che tento di inspirare con voracità - si fa via via sempre più elettrica, pregna di un'energia a carica negativa.
Il mio sguardo scatta verso di lui all'istante: gli occhi cerulei, ridotti a due minuscoli spiragli d'argento, montati sotto un paio di sopracciglia inclinate a formare un'espressione sinistra, mi puniscono più di un pugno sullo zigomo. Riescono immediatamente a instillarmi una dose di acido senso di colpa, un'iniezione che mi coglie estremamente impreparata. Tant'è che mi ritrovo a sbattere più volte le palpebre, forse nel vano tentativo di depennare dalle iridi l'immagine della versione peggiore del mio fidanzato; una figura che ha il potere di assorbire, smembrare, disperdere sull'asfalto ogni altra cosa, come un ciclone.
Difatti, non mi accorgo nemmeno dell'assenza di Isaac al mio fianco, finché la voce di Adam non si contrae in un brontolio minaccioso, che non promette altro se non tempesta: <<Dove credi di andare?>> Sta fissando me, ma so che si sta rivolgendo a lui, perché i miei passi sono ancora saldamente abbarbicati all'asfalto del cortile – ormeggiati oltre le scale d'entrata della Westwood.
Il suo volto si muove con teatrale lentezza verso sinistra, virando in direzione della nuca corvina di Isaac; laddove, pochi istanti dopo, cadono anche i miei occhi.
<<Perché non affronti me, una cazzo di buona volta, invece di rivolgerti a lei con quel tono da stronzetto?>> Soffia l'ennesimo ringhio, al quale segue un mio richiamo piccato, che viene tuttavia immediatamente liquidato da un gesto della sua mano. <<O forse non hai le palle, Isaac Miller?>>
<<Adesso basta, Adam!>> Lo riprendo di nuovo, ma senza successo: non mi sta nemmeno guardando, tanto è impegnato a mordere l'espressione stoica di Isaac fino ad avvelenarla, come un ofide dagli occhi azzurri.
Il corvino ripercorre i pochi passi a ritroso, tornando a occupare il proprio posto al mio fianco, ma premurandosi di frapporre la giusta porzione di distanza. <<Invece penso proprio che Westwood abbia ragione, Jones>> si pronuncia, poi, freddamente, la maschera di apatia a foderare ogni tratto del suo profilo perfetto. <<È giusto che sappia, non credi?>>
I suoi occhi non si soffermano a guardarmi, ma quel tono polare è sufficiente perché un refolo di terrore mi investa, schizzando nelle vene alla velocità di un meteorite. Collide e si spezza contro il muscolo cardiaco, che incomincia quasi a dolermi per lo sforzo a cui è stato inaspettatamente sottoposto.
Le parole restano appese alla lingua, incapaci di spingersi oltre la cavità orale. Di darsi in pasto all'indifferenza di Isaac o alla rabbia di Adam.
Persino i pensieri rimangono accavallati l'uno all'altro come nodi nautici. Ingabbiati tra le sbarre del cervello, condannati all'ergastolo: non riuscirei a plasmare un giudizio lucido nemmeno sforzandomi.
Mentre i contorni del cortile della Westwood sembrano sfumare, mi estraneo al punto che mi pare di stare assistendo alla mia vita da spettatrice, anziché da attrice coprotagonista.
E quando Isaac si avvicina al mio fidanzato per affrontarlo a brutto muso, appropriandosi del suo volto con una calma raccapricciante, mi aspetto qualsiasi colpo di scena, senza nemmeno temerne gli effetti, praticamente certa che non potranno cadere su nessuno di noi.
<<È giusto che sappia che non me ne frega niente>> sibila il corvino con naturalezza, senza scomporsi minimamente, gli occhi neri gettati in maniera sfrontata in quelli cerulei di Adam. <<Come potrebbe, dal momento che non siete altro che estranei?>>
<<Risparmiati i giochetti, Miller>> controbatte Adam prontamente. <<Potrai anche riuscire a manipolare lei, ma di certo non riuscirai a fregare me.>>
Isaac sembra riflettere per un istante, prima di ribattere: <<Sai, Westwood, tutto avrei detto di te, tranne che fossi un tipo così... insicuro. Eppure, adesso, è così evidente.>>
<<Insicuro?>> Il mio fidanzato si lascia andare in una risata finta, di plastica. <<Forse è giunto il momento che ti mostri quanto riesco ad essere insicuro.>> Si avvicina ad Isaac di qualche passo, facendo mostra di tutta la sua arrogante boriosità.
<<È così evidente>> continua il corvino, senza lasciarsi intimidire, <<che se c'è qualcuno, qui, che potrebbe essere un problema per la vostra relazione, non sono io.>>
<<La nostra relazione andava a gonfie vele prima che tu, maledetta canaglia, risorgessi da chissà quale buco dell'inferno!>> Il ringhio di Adam si fa ancora più gutturale dinanzi all'espressione divertita di Isaac. <<Lo trovi divertente? Sul serio?>>
<<In effetti, c'è qualcosa di estremamente ironico in tutto questo.>>
La voce ridotta ad un sibilo minaccioso, Adam muove un passo nella sua direzione: <<Mi domando quanta ironia riusciresti ancora a trovare, se decidessi di stamparti un pugno su quel sorrisetto da cafone.>>
<<Adam, no!>> Paradossalmente, il gelo sembra essersi improvvisamente fatto di fuoco. Le dita scattano sull'avambraccio del mio fidanzato, nel tentativo di dissuaderlo da qualsiasi folle tentativo di guerriglia. Un movimento meccanico, fulmineo, immediatamente intercettato dagli occhi di Isaac: attratti dal gesto, sembrano farsi ancora più scuri mentre osservano le unghie conficcarsi nella pelle di Adam. La pupilla pare inghiottirne completamente l'iride, come un unico buco nero. E il ragazzo dallo sguardo di pietra vulcanica sembra fluttuare in un limbo, a metà strada tra la realtà e l'infinito, misterioso cosmo della mente umana.
Ma dura soltanto un istante. E non lascia alcuna traccia visibile sulle rughe distese delle sue espressioni enigmatiche.
<<Mi tratterrei volentieri alla ricerca di altri momenti paradossalmente ironici>> si pronuncia all'improvviso, la perenne calma nuovamente collocata al proprio posto. <<Ma per oggi ne ho avuto abbastanza.>> Poi se ne va, senza aggiungere altro.
<<La conversazione non è ancora finita, Miller>> abbaia di nuovo Adam, ma questa volta invano: il corvino è già troppo lontano per sentirlo.
Sono certa che stia aggiungendo altro, ma io ho smesso di ascoltarlo: fisso i passi di Isaac che consumano a grandi falcate l'asfalto del cortile, calpestando brutalmente le foglie umide, che continuano a volteggiare nell'etere ad ogni refolo e a stramazzare al suolo, mentre il buio sta già incominciando ad impossessarsi a poco a poco del firmamento.
Ad ogni istante, il vuoto del silenzio si espande nel mio torace come una macchia di oro nero. Petrolio che inquina, contamina, sporca ogni cosa al suo passaggio. Finché, interamente seppellita viva da quella sostanza vischiosa, mi accorgo di non sentire più niente.
E quando finalmente riesco a dotare i pensieri di corde vocali, quasi non riconosco il mio stesso tono di voce, tanto è basso e incolore.
<<Perché sei qui, Adam?>>
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