Cap. 1- Spensierata povertà
(La musica che inserirò all'inizio del capitolo serve a creare l'atmosfera giusta. Buona lettura♡)
Luogo: Regno di Palven.
Lja
Ricordo che quel giorno guardavo le stelle.
Non ho idea del perché, avevo tanto di quel da fare laggiù che non ero solita fermarmi un istante, neppure per sognare.
Ma non quel giorno.
Non era tardi, ma il cielo era già scuro, lo ricordo così, come se fosse ieri.
Gli stormi di uccelli erano in migrazione, ricoprivano la sera, poi sparivano, seguendo le correnti come onde del mare. Poche, lievi nuvole coronavano la volta stellata, che illuminava a piccole luci ogni ramo, ogni roccia, ne tracciava il contorno, tiepidamente, come fa una carezza.
Poi il vento, proveniente da nord, si abbattè brutale, facendo librare in aria i miei ondulati e lunghi capelli, più neri del buio cielo, che andavano in contrasto con la pallida carnagione del mio viso, bianco come il monte innevato. Caratteristiche comuni a quasi tutti gli elfi oscuri di Hadm.
Con la stessa violenza, l'impetuoso soffio spogliò gli sterpi delle loro ultime foglie. Soffiava incessante, gelava le ossa.
La seconda luna dell'Irem guardava a noi mortali dall'alto, splendente, estranea ai fatti del mondo quasi come una spietata dea. Non era mai piena, mai lo era stata. Essa sorgeva tra i fitti alberi privi di chioma alle pendici del monte di Palven, il più alto del mondo, sulla cui superficie giaceva tranquilla l'omonima città-stato.
Me ne stavo lì, tremante, raggomitolata nel mio nero mantello di pelle fuori dalla spessa porta della mia casa di pietra.
L'apertura era larga ma non molto alta, al punto che un'elfa di media statura come me, doveva chinar giù il capo per passare.
Vivevo a Toqajv con la mia famiglia, poveri come bestie. Mio padre e mia madre avevano insegnato a me e ai miei fratelli il valore delle cose più semplici. Entrambi ringraziavano il cielo per ogni piccola cosa che possedevamo, ringraziavano di essere insieme, vivi, spensierati.
Li ammiravo molto, tuttavia pensando in cuor mio che la loro felicità non fosse che una finzione, il falso sorriso di chi in realtà vorrebbe piangere.
Con tale pensiero speravo sempre che un giorno qualcosa sarebbe potuto cambiare, di poter regalare loro vera felicità e un futuro più roseo.
"Lja!"
Piccola e tenera quanto squillante, la voce di Nagii interruppe improvvisamente i miei pensieri.
Mi voltai verso di lei, sorrisi dolcemente.
"Cosa c'è, piccola peste? Devi aiutare mamma a cucinare, ricordi?"
Rise, tra le sue guancie paffute e il piccolo nasino all'insù. Le stelle facevano brillare i suoi limpidi e vispi occhi blu ancor più del solito. Mi abbracciò un fianco stringendo le sue manine alla stoffa del mantello.
"Ma non è divertente se non ci sei tu! E poi qui fa freddo, devi rientrar subito!"
Spiegò, mugugnando con la testa appoggiata al mio costato.
Le accarezzai i morbidi e lisci capelli, neri come i miei, tagliati a caschetto.
"E se volessi restare qui?" Chiesi.
"Non puoi!" Rispose quasi adirata.
"Perché no?" Domandai ancora, divertita dalla sua espressione corrucciata.
"Non puoi perché è il tuo compleanno, Dobbiamo festeggiare tutti insieme!" Concluse, senza ammettere obiezioni.
Le diedi un bacio sulla fronte e rientrai, chiudendo la porta.
"Tu hai un grande cuore, Nagii, proprio come mamma e papà."
Le sussurrai accendendo una torcia e accingendomi a farmi strada lungo la buia caverna.
Lei mi guardò, ne parve compiaciuta e mi sorrise, addolcendo il mio animo.
Credo che tutti i bambini siano belli, ma la mia sorellina, lei aveva il sorriso più bello del mondo.
Stavamo per raggiungere gli altri quando, mentre camminavo, mi accorsi a poco a poco che la modesta tavola di pietra sulla quale usavamo mangiare sembrava imbandita, e molto più bella del solito.
Mio padre e mio fratello erano stati a caccia tutto il giorno e stasera avevamo per cena un grosso cinghiale.
Non appena mi vide, mia madre donò un sorriso alle sue rosee labbra carnose. Ella era una donna che mostrava eleganza in ogni sua azione, a prescindere dai semplici stracci con cui era vestita. Quella sera lo evidenziarono ancor più del solito, i lisci capelli semiraccolti da un morbido tuppo.
"Buon diciassettesimo compleanno, tesoro!"
Mi disse.
Dopo poco vidi uscire da un secondo passaggio della caverna, la coppia di ritardatari. Si mostrò dapprima il corpo robusto e muscoloso di mio padre, il quale appariva sempre allegro nella sua folta barbetta e la sua coda di cavallo.
Infine giunse mio fratello, la cui corporatura mingherlina sembrava discordare totalmente da quella del padre, nonostante fosse piuttosto alto per la sua età. Egli teneva invece i capelli sempre davanti, ed anche nei momenti di maggior euforia sembrava infunciato per natura. I due presero posto a tavola porgendomi a loro volta dei sinceri auguri.
Ringraziai ciascuno con un abbraccio e quella sera festeggiammo allegramente. Dopo cantammo insieme la dolce melodia che un tempo era inno imperiale dei Kohah, lo facevamo in ogni giorno che ci sembrasse importante, quasi come una tradizione.
Calò così la notte.
Ognuno di noi dormiva nel proprio sacco di pelliccia.
Giacevamo vicini, in cerchio, disposti intorno ad Akhraz, il nostro dio, scolpito meticolosamente sulla lucida pietra da mio padre, al culmine della caverna.
Egli era un principe moondomiano dalle lunghe ali d'argento, eroe cantato in molte leggende, protettore della luna di Hadm e soprattutto di noi tendryan.
Veniva rappresentato spesso con un cappuccio a mezzo viso, simbolo dell'assassinio e della morte e le mani giunte sul manico di una spada, per sottolineare il valore che dava alla guerra.
Secondo la leggenda, Akhraz aveva benedetto la nostra famiglia perchè governasse sugli altri tendryan nel bene e nel male.
La divinità usava perciò scegliere ogni due generazioni un elfo della nostra stirpe perchè fosse in grado di interpretare il suo volere.
Quest'elfo era ora mio fratello.
L'unico che poteva udire la sua voce e comunicare a noi le sue parole. Gli altri tendryan lo chiamavano Intercessore.
Per tale motivo è sempre stato benvoluto e quasi venerato, paragonato ad un profeta.
Non lo avrei mai ammesso, ma lo avevo sempre invidiato per questo.
Non sapevo, però, che l'invidia avrebbe presto lasciato il posto a qualcos'altro.
(Un disegno di Lja♡)
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