Capitolo 17: Ritorno a casa

Mi sveglio con un peso allo stomaco. Non voglio andarmene, tuttavia non posso continuare a stare in questa casa piena di persone che continuano a ripetermi di ricordare tutto, di uccidere quello che dovrebbe essere mio figlio e tornare quella di una volta.

Tutto d'un tratto, però, qualcuno inizia ad urlare: stanno litigando e quando vado a vedere l'origine di tutte quelle urla, mi rendo conto che si tratta di due gruppi. Tutti si lanciano delle occhiatacce, mentre si urlano a vicenda. L'unico che cerca di calmare il tutto è Louis, molto probabilmente perché sono tutti ragazzi che conosce molto bene. Jeremy, una ragazza dai capelli biondi e un ragazzo più basso di Jeremy di qualche centimetro sono quelli che hanno più attenzione.

– Eccola! È colpa sua! – urla la ragazza indicandomi. Faccio immediatamente un passo indietro, non capendo la situazione, quando il ragazzo accanto a lei si gira e mi trafigge con lo sguardo. Quest'ultimo avanza verso di me, eppure Jeremy gli afferra il braccio e lo sbatte al muro con tale forza che mi fa sussultare.

– Prova a toccarla e ti giuro che sarà l'ultima persona che vedrai – ringhia Jeremy.

– Vieni qua, tu – esclama la ragazza afferrandomi per il braccio e portandomi di peso in mezzo a tutta la gente. – È colpa sua se Harry è morto! È tutta colpa sua, deve essere punita per questo!

Trattengo il respiro. Harry... è veramente morto. Hanno ragione: è solo colpa mia. So che Jeremy ci sta molto male, perché ieri sera prima di andarmene me l'ha confessato, a bassa voce e con gli occhi rivolti verso il basso, eppure non posso provare lo stesso. Non mi ricordo niente. Per quanto mi riguarda, conoscevo quel ragazzo da poche ore. In cuor mio, però, so che non è così.

– Sei fortunata ad essere una ragazza, sennò adesso saresti completamente senza denti – tuona Jeremy stringendo le mani in pugni.

– Mi dispiace, stupido ragazzo innamorato di una ragazza che è incinta di suo fratello – risponde la ragazza facendogli un sorriso malizioso. – Sai, eri più simpatico quando facevi sesso con me.

Mi sembra tutto troppo irreale, forse è per questo che non riesco a replicare niente. Per fortuna, però, Ivy si avvicina a noi ed esclama: – Lui non è fare niente - è vero - ma io sì. – La ragazza non fa nemmeno in tempo a girarsi, che Ivy le tira un pugno così forte da farla indietreggiare verso di me. Senza nemmeno pensarci, la spingo e così cade a terra.

– Sai, signorina, dovrebbero insegnarti un po' di buone maniere – ribatto io guardandola, mentre si lamenta con una mano insanguinata. Louis la aiuta ad alzarsi e ci guarda malissimo, per poi andarsene. Nonostante questo, la lite continua anche senza di lei.

– Quello sì che era un bel pugno! – esclama il ragazzo dai capelli ricci. Ivy diventa immediatamente del colore dei suoi capelli e abbassa lo sguardo; Jeremy invece continua a guardarmi, mentre faccio di tutto per non restituirgli lo sguardo. La sera precedente, senza dirgli niente, me ne sono andata e lui mi ha lasciato fare, senza nemmeno provare a fermarmi. Non c'è niente di negativo in tutto questo, perché significa che accetta tutto quello che ritengo giusto fare; è per questo che adesso mi sento così in imbarazzo.

– Voi sapete benissimo che non è colpa di Cassie. La colpa è di tutti noi. Abbiamo preso la faccenda con troppa foga e siamo voluti andare là con fretta e furia, senza pensare che non saremmo stati gli unici dentro quella casa – urla Jeremy per farsi sentire da tutti.

– È comunque colpa sua se adesso Harry non c'è più – ringhia il ragazzo che mi ha fulminato con gli occhi quando sono entrata in salone.

– Le cose sono due: o sei stupido, oppure non sei stato informato di tutta la faccenda – inizia Jeremy guardando il ragazzo con aria di sfida. – Non siamo andati là per fare un favore alla Whitesun, siamo andati là perché ci servivano le informazioni per distruggere Cole e tutti quelli che ci vogliono morti.

Il mio respiro si spezza, di nuovo. Jeremy mi guarda con la coda dell'occhio e Ivy si gira completamente verso di me. – Jeremy... – inizia lei con una voce stridula. – Cassie, per favore, facci spiegare...

– No! – urlo io spingendola. Cerco lo sguardo di Jeremy, il quale continua a rimanere immobile, senza dire niente o senza degnarmi di uno sguardo. – Mi avete ingannato. Tutti voi – mormoro io. Sono indignata, provo disgusto verso di me, perché oltre ad aver tradito il mio fidanzato, l'ho tradito con un ragazzo che mi ha usata per ucciderlo. Mi sento profondamente tradita da questo ragazzo, che nonostante tutto ha degli occhi che avrebbero fatto ingelosire anche gli angeli più belli. Ci sono cascata, sono cascata in pieno nella sua ragnatela. Non posso credere a quello che ho fatto. Jeremy... il mio Jeremy mi ha solo usato per arrivare al mio fidanzato. Tutto d'un tratto non è più "il mio Jeremy", ma un ragazzo meschino che non si è fatto problemi ad approfittarsi di una ragazza incinta... una ragazza messa incinta da suo fratello.

– Per favore, Cassie... – mormora Ivy.

– Non mi toccare! – urlo io allontanandomi da lei. Sento di nuovo la morsa alla pancia e subito dopo il corpo in fiamme. – Non.. – La mia voce si ferma di scatto.

– Cassie, cos'hai? – chiede Ivy posando lo sguardo prima sul mio viso e poi sulla mia pancia. Cerca di afferrarmi il braccio, ma la spingo un'altra volta facendola cadere.

– Non mi devi toccare! – urlo io. Guardo un'ultima volta Jeremy, che è ancora immobile, nella stessa posizione di prima, e poi corro via. Mi chiudo in camera, prendo un fazzoletto e, dopo essermelo messo in bocca, inizio ad urlare. Il dolore alla pancia è insopportabile, così insopportabile che cado a terra. Il mio respiro si fa immediatamente irregolare ed inizia ad uscirmi il sangue. Chiudo gli occhi e penso "smettila". "Non adesso. Smettila, piccolo, smettila!".

Con mio grande stupore il dolore si placa, e così anche il sangue. Sono madida di sudore, ma non m'importa: me ne devo andare. Apro la finestra e mi giro un'ultima volta verso la porta. Delle immagini di me e Jeremy continuano a girarmi intorno facendomi impazzire. Jeremy vuole uccidere il mio fidanzato, il padre di mio figlio, e ho osato anche baciarlo più volte. Non so se riuscirò ancora a guardarmi allo specchio, molto probabilmente no. Li odio tutti, ma non abbastanza da ucciderli.

– Fermati – mi ordina Jeremy, prendendomi in braccio e spostandomi dalla finestra.

– Non mi toccare! Lasciami andare! – urlo io scalciando. Mi posa a terra, quindi mi giro verso di lui e gli lancio un'occhiataccia. – Non puoi obbligarmi a restare qui.

– Non ti voglio obbligare a fare niente – ringhia Jeremy. – Però non voglio che te ne vada pensando che io...

– Non mi devi più parlare, Jeremy Ruterful – lo interrompo io. – Mi hai usato. È stato tutto uno schifoso gioco ed hai vinto. Complimenti. Ma hai vinto solo la battaglia, non la guerra.

– Che vorresti dire con questo? – chiede Jeremy con fermezza. Non trapassa più nessuna emozione.

– Voi non ucciderete Cole. Lo salverò a costo della mia vita, se ce ne sarà bisogno.

– Non lo pensi veramente – ride Jeremy. – Sacrificheresti la vita per un mostro?

– Cole Ruterful è il mio fidanzato, il padre di mio figlio. È tutto tranne che un mostro – ringhio io spingendolo. – Non lo conosci nemmeno! Non puoi permetterti di dire code del genere quando...

– Conosco mio fratello, stupida ragazzina – tuona Jeremy prendendomi di scatto i polsi, eppure la sua stretta è salda ma non fa male. Abbassa lo sguardo e dice: – Cos'è successo? Perché hai del sangue addosso?

– Questi non sono affari tuoi, cane! – urlo io strattonandolo. – Lasciami andare. Non hai il diritto di tenermi, non hai nemmeno il diritto di toccarmi. L'unico mostro sei tu.

– Bla, bla, bla. Riesci a dire una cosa sensata? – chiede Jeremy, annoiato.

– Lasciami andare, stupido uomo senza ritegno! – grido io continuando a strattonarlo.

– Stupido uomo senza ritegno? Pensavo di essere un cane – mi prende in giro lui, aggrottando la fronte. Presa da un attacco di rabbia, gli tiro un calcio in mezzo alle gambe, quindi lascia subito la presa gemendo dal dolore. Corro verso la finestra e la scavalco senza troppi problemi, inizio a correre verso un furgoncino affiancato alla strada deserta. Jeremy continua ad urlare il mio nome, ma né io né le guardie sembrano ascoltarlo. Quando Jeremy chiede a quest'ultime di prendermi, rispondono semplicemente che ormai posso andarmene. Jeremy inizia ad imprecare ad alta voce, iniziando però a guadagnare terreno.

Faccio un unico, enorme sbaglio: mi giro per controllare la sua lontananza, quando sento di nuovo una morsa alla pancia ed inciampo. Il sangue ricomincia di nuovo ad uscire, il corpo di nuovo in fiamme. Dentro. Mi sento andare a fuoco dentro. Delle immagini di Cole che usa il suo potere invadono immediatamente la mia mente. Il bambino ha lo stesso potere del padre, come da tradizione, il potere più forte prevale sull'altro. Eppure è ancora un feto, non può avere già il potere del padre.

Qualcuno urla il mio nome, ma ho la testa in panne e non riesco più a capire più niente. Tutto d'un tratto, mi è difficile riconoscere la realtà. Cole mi guarda con un sorriso soddisfatto, mentre mi metto una vestaglia per coprire quella che sembra una camicia da notte. Il suo sorriso è freddo e calmo, non riesco a capire la sua felicità nel vedermi in questo stato.

Penso all'amore che dovrebbe provare nei miei confronti, quello che Jeremy dice di provare e capisco che non corrisponde allo stesso amore. Forse i due fratelli mi amano in modo diverso. Mi hanno sempre insegnato a vedere le cose o solo bianche o solo nere, ma come possono essere – sia Jeremy sia Cole – solo bianchi o neri? Sono completamente grigi; uno con delle sfumature più chiare e l'altro più scure. Perché sì, Cole ha fatto tutto questo senza nemmeno rendermi partecipe, senza chiedermi il permesso; ma come può Cole non provare niente per me? Ha rinunciato a molte cose per me, ha rinunciato a molti suoi collaboratori per proteggermi. Questo non può passare inosservato. Cole prova qualcosa, e chiunque provi qualcosa è abbastanza umano; chiunque sia in grado di provare qualcosa non è mai completamente nero.

Jeremy, quando l'ho visto nella sua camera, sembrava bianco. Senza rendermene conto, ho capito che la sua era una maschera: ha sempre fatto finta di essere nero, quindi di essere malvagio e incapace di provare sentimenti. La realtà però è sempre stata diversa, ha sempre provato tante emozioni, forse più di tutti noi.

O almeno questo è quello che pensavo prima di questa mattina.

– Cassie! Cassie, mi senti? – urla una voce. Forse sono in preda alle convulsioni, perché so di non stare ferma, e sento delle mani forti che mi tengono ferma a terra, ma poi le tenebre iniziano ad invadere la mia mente.

Una donna dai capelli biondi mi tiene in braccio. È una cosa stupida, non ho mai visto questa donna in tutta la mia vita, eppure mi sembra di conoscerla. Sono tra le sue braccia, ho circa sei anni e sto piangendo. I suoi occhi guardano un uomo, che sta proprio accanto a noi, dai capelli corti e con la faccia tirata. Questa faccia me la ricordo, so di conoscere quest'uomo, ma non so chi sia.

– Va tutto bene – mormora la donna stringendomi ancora di più, eppure so che non è vero: non va bene. Abbasso lo sguardo verso il mio braccio e noto immediatamente due puntini rossi su di esso. È un morso di un vampiro, questo.

Il mio respiro si ferma di scatto – o ricomincio a respirare? – e apro gli occhi. Il viso di Jeremy è la prima cosa che vedo, gli occhi spalancati, il viso pallido e tirato. Continua a guardarmi come per essere sicuro della mia esistenza. Sento le mani di Jeremy lasciarmi le braccia ed altre allontanarsi dalle mie gambe.

– Cos'è successo? – chiedo col fiatone.

– Hai mai avuto degli attacchi epilettici, Cassie? – chiede Jeremy, in uno stato confusionale.

– No... non credo – mormoro io.

Accanto a me c'è Louis, anche lui è pallido come un cencio. Deve essere stata proprio un'immagine brutta. – Deve essere l'incantesimo che le hanno fatto o la gravidanza – dice dopo un po' lui. – Il bambino, vero, Cassie?

– Credo che possa... – La mia voce si affievolisce ricordandomi tutto quello che è successo. Stavo scappando. Mi hanno tradito. Mi hanno usato.

– Eccola – avverte subito Jeremy, annoiato.

– Lasciatemi subito andare – ringhio io mettendomi seduta. – Voi... uomini meschini, mi avete usato per arrivare a Cole! Ma – indovinate? – non ci riuscirete mai!

– Non ti abbiamo usato, Cassie, quelle informazioni servivano anche a te – risponde freddamente Louis.

– Non è vero!

– Sì, che è vero, e lo sai anche tu – ribatte Jeremy alzando gli occhi al cielo.

– Devo tornare da Cole – urlo cercando di alzarmi. – Lasciatemi tornare dal mio fidanzato! È passato troppo tempo... io... io... io devo... – E scoppio a piangere, in preda alla rabbia, la confusione e la tristezza più totale. – Devo tornare dalla mia anima gemella – piagnucolo io tenendomi la pancia. – C'è qualcosa che non va in questo bambino. Mi fa male, mi sta facendo male.

Sento lo sguardo di Jeremy addosso, è triste, in qualche modo riesco a sentire tutte le sue emozioni. Lo guardo e mi accorgo che il suo sguardo è tutto tranne che triste: è freddo e privo di qualsiasi sentimento. Una stretta al cuore mi fa capire che m'interessa ancora cosa prova per me e come sono ai suoi occhi. Questo non fa per niente bene. Io sono di Cole Ruterful, suo fratello gemello; non sono sua, non lo sono mai stata veramente e lui non è mai stato veramente mio.

– Jeremy, aiutami ad alzarla. La dobbiamo portare da Cole – gli ordina Louis cercando di alzarmi. – Jeremy!

Jeremy Ruterful continua a stare seduto a terra ed a guardare l'erba macchiata dal mio sangue, scuro... è oscuro, da l'idea di demone. Alza lo sguardo su di me, mi fissa per quella che mi sembra l'eternità ed afferma: – Non vedo perché dovrei. Non è più Cassie Moonic, ora questo è un demone dentro il corpo della mia anima gemella. – Si alza e se ne va senza pensarci due volte.

È vero? Sono diventata un demone? Sono un demone dentro il corpo di una povera umana? Forse è per questo che non mi ricordo niente. Forse non mi ricordo niente perché non ho ricordi. Forse non ricordo niente perché quei ricordi non sono i miei. Io non sono ho ricordi... sono solo un demone.

Il furgone si ferma davanti alla casa di Cole. La guardo, ma non la vedo veramente, sono dispera in un angolo della mia mente e non voglio uscirne. Voglio tornare da Jeremy ed abbracciarlo, voglio dirgli che, anche se sono un demone, riesco a sentire quello che provo per lui e chiunque provi qualcosa non è veramente un demone. Io lo amo, come posso essere un demone?

Esco e sbatto lo sportello del furgone con troppa forza. Senza nemmeno avere il tempo di pentirmi di quello che ho appena fatto, qualcuno mi afferra da dietro e mi strattona. Cerco di urlare e ribellarmi, ma sono in troppi. Louis spalanca gli occhi e fa per venire verso di me, quando qualcuno lo ferisce, trapassando il corpo con un artiglio. Come con Harry. Harry. Urlo il nome del preside di quella che prima era una scuola per Cacciatori, mentre il mio cuore ed il mio respiro si fermano. Continuo a guardarlo senza rendendomi conto che sta morendo lentamente. Sta soffrendo. Stranamente, questo fa soffrire anche me.

– Pronta ad andare, signorina? – chiede qualcuno dietro di me.

– Curatelo! – urlo io. – Curatelo, ora! – Nessuno sembra ascoltarmi. – Ho detto... curatelo! – un urlo esce più forte del dovuto e delle fiamme divampano verso il mostro con l'artiglio che ha appena trafitto il signor Dempson. Polvere alla polvere; il mostro è morto prima che mi rendi conto di cosa ho appena fatto. Louis mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite, bianco in faccia e la bocca spalancata.

Corrono subito da Louis e lo guariscono, dicendo delle strane frasi in greco e muovendo le mani verso la sua ferita. Lo aiutano ad alzarsi e mi guardano: sono spaventati a morte. Hanno paura di me.

– Lasciatelo andare – ordino io con voce ferma ed autoritaria. Mi danno subito ascolto, e fanno come dico. – Vattene prima che ti facciano un'altra volta del male – dico io guardando Louis dritto negli occhi, questa volta la mia voce è delicata. Louis fa per ribattere, ma poi cambia idea, quindi entra nel furgone e se ne va. Non è codardo, semplicemente ha un po' di buon senso.

– Dobbiamo andare a casa, signorina – dichiara un mostro guardandomi. Sono così abituata alla presenza di demoni che il mio corpo non s'irrigidisce più. È una cosa completamente normale per il mio corpo avere davanti ad un demone, ormai lo collega ad un semplice umano.

– Bene. Andiamo a casa – dico io con voce distaccate. Mi rendo conto che sì, sono veramente un demone. Sono oscura, sento l'oscurità scorrere nelle mie vene. Jeremy ha ragione: non sono più Cassie Moonic.

Uno stregone – lo stregone del giorno precedente – mi prende la mano e chiude gli occhi. È piombato il buio e non riesco più a capire niente, eppure non ho paura.

Atterro su un pavimento di marmo, gelido. Sono nella nuova casa di Cole Ruterful, la mia futura casa e la futura casa del nostro bambino demoniaco. È una casa d'epoca, non è difficile notarlo. I mobili son antichi e di un colore scuro, le poltrone dai colori spenti ed eleganti, la televisione piccola e vecchia, le pareti con la carta da parati. È una casa bellissima.

– Bentornata, mia cara! – esclama Cole scendendo le scale, anch'essere di marmo. – Spero ti piaccia la nostra nuova casetta. A parar mio, è la casa più bella che abbia mai avuto; ma, ti prego, dimmi cosa ne pensi.

Lo guardo con le lacrime agli occhi. Ho cercato di scappare da Jeremy e gli altri per tornare da lui, più volte, pensando di trovare la sicurezza che avevo prima che arrivasse Jeremy al ballo, settimane fa, eppure il buco è ancora dentro di me. Non c'è proprio nulla di sicuro in Cole. – Che cosa mi hai fatto? – chiedo io in un sussurro.

Il sorriso di Cole si spegne immediatamente. – Tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per il tuo bene, Cassie.

– Sono incinta. E mi continua ad uscire sangue. Come fa questo ad essere il mio bene, Cole – chiedo io. Il mio sguardo lo fulmina, tuttavia la voce continua a tremare.

Fa un lungo sospiro. – Oh, bé, mi fa piacere vederti viva. Immagino che ti sia anche divertita alle mie spalle. Immagino un sacco di cose, Cassie; perché non mi dici cos'è successo, così ci lasciamo alle spalle tutto e continuiamo la nostra vita?

– Ho delle domande migliori – annuncio io. – Perché sono incinta? Perché non mi ricordo niente del come sia potuto succedere? Perché mi hai fatto dimenticare tutte le persone che hanno fatto parte della mia vita? Cosa c'è, hai paura che scappi un'altra volta? Bé, fossi in te non mi sorprenderei più di tanto.

Cole mi prendono di scatto il viso, facendomi sussultare. – Ti è bastata una settimana per riportare in superficie il tuo lato peggiore, eh, piccola? – mormora lui, arrabbiato. Sento dei passi echeggiare dietro di me, eppure non gli do tanto peso e continuo a guardarlo dritto negli occhi, con la speranza che non riesca a percepire la mia paura. – Tieni – dice porgendomi un bicchiere con dentro un liquido rosso. Conosco bene il contenuto di questa bevanda: è la pozione. La pozione che mi farà dimenticare di Jeremy, di Ivy, di Harry, del signor Dempson, di Isaac, di tutti tranne che di lui, ed a volte anche di lui. La pozione che mi fa diventare sempre più oscura. – Bevi-la-pozione-Cassie – ringhia Cole.

Rimango ferma per tutto il tempo e continuo a fissarlo. – No – rispondo. Mi chiedo perché non riesca a capire che sono così. Come fa a volermi in quel modo? Perché volermi se non mi accetta in questo modo? Non capisco.

Cole inspira ed espira rumorosamente, e sembra calmarsi, ma non è così perché mi prende di scatto il viso e mi obbliga ad aprire la bocca. Mi divincolo, fino a quando qualcuno mi afferra da dietro. Sento l'odore della pozione ed un attimo dopo mi scalda la gola, infiammandola. Urlo e continuo a cercare una via d'uscita, ma la pozione è più forte delle ultime volte e così le tenebre prendono il sopravvento.

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