31. Il meritato riposo del vincitore

In infermiera regnava sovrana la quiete, spezzata di tanto in tanto dai rumori della festa che si stava svolgendo fuori. I membri della casa Nove avevano cercato di portare in trionfo il loro fratello ma Theresa si era dimostrata contraria: Robert doveva essere curato subito. 

Scarlett si era lasciata avvicinare solo da Miss Peak e si era rifiutata di tornare umana. In fondo si poteva anche intuire il perché: Le sue ferite sarebbero state troppo per gli occhi dei ragazzi. Avevano parlato a bassa voce per qualche minuto poi la direttrice aveva pregato di spostare la festa altrove. Le congratulazioni con Robert, abbracciato a due dei suoi fratelli, erano state rapide. Subito dopo era stato portato in infermeria.

Lì in quel momento c'erano solo due persone: l'eroe appena proclamato e la sua buona, fedele sorella minore. Theresa se n'era già andata.

"Mi hai spaventato, quando non hai voluto riprendere gli occhiali." stava dicendo Sia, disinfettando tutte quelle piccole ferite su braccia e viso che la figlia di Apollo le aveva consigliato di pulire, anche se poco importanti. 

"Anche io. Avevo paura."

Lo disse piano, come se nessuno dovesse venire a sapere di quel sussurro, di quella confessione non adatta all'eroe. Sua sorella gli alzò delicatamente la mano del braccio sano, la voltò e tamponò un piccolo taglio, valutando l'ennesimo danno.

"Però ci sei riuscito. Rob. Ci sei riuscito."

C'era una commozione profonda nella sua voce. Posò una mano nel palmo di Robert e strinse piano. Sia non riusciva ad esprimere l'orgoglio e il rispetto che provava per suo fratello. "Anche se hai avuto paura e ha fatto male."

"Ora vai a goderti anche tu la festa. - disse lui dopo qualche secondo di silenzio - io... Theresa ha detto che farei meglio a riposare un po'."

Non era un mandarla via in male modo, affatto. Non voleva solo privarla della festa a cui tutti stavano partecipando e a cui avrebbe dovuto essere presente anche lei. 

"Festeggia anche per me."

"La festa è per il vincitore." tuonò la voce arrocchita di Scarlett, all'ingresso dell'infermeria. I due fratelli alzarono la testa e si videro venire incontro la volpe tornata umana, zoppicante ma integra. Miss Cadmy aveva una sorta di ferita rossastra attorno alla bocca, come se si fosse scottata bevendo una zuppa bollente e attorno ai fianchi qualcuno le aveva stretto una fascia blu elastica per il mal di schiena.

"È ripiena di Voltaren." spiegò pratica appena notò gli occhi interrogativi di Sia "Come stai, Robbie?"

"Male. Tu? Vedo che riesci già a camminare."

"I mostri hanno la ripresa facile." rispose Scarlett. Sia notò che aveva caricato la parola mostri con amara ironia. Si sedette sul bordo del letto di Rob - che emise un infelice cigolio di protesta - e tese una mano ad accarezzargli i capelli.

"Mi dispiace." disse, con un tono che pochissime persone avevano sentito usarle in millenni di vita. 

"Anche a me." Rispose lui, secco come sempre, tuttavia Sia poté notare che si vedeva un sorriso aleggiare leggero sulle labbra. Si sentì improvvisamente a disagio in un momento particolarmente intimo come quello, fece un passo indietro pronta ad uscire e... inciampò su Shoshanah.

"Oh, perdonami." Si scusò subito Sia, sperando di non averle fatto male. Shoshanah, tornata impassibile come era sempre stata, si strinse nelle spalle e rispose: "Tranquilla."

Dopodiché tornò a guardare Scarlett e Robert. C'era qualcosa di strano nel suo sguardo. La sorella del grande Heartless non riuscì a capire cosa, però. Era sempre così imperscrutabile.

Fortunatamente Miss Cadmy non era venuta per restare. Dopo aver scambiato poche altre parole con Rob, lo salutò con un sorriso e si alzò con una smorfia.

"La signorina Peak vuole che la signorina Cadmy riposi in questa dannata forma e in un letto vero." disse a Sia, appoggiando una sua grande mano tra i ricci scuri di Sho. "Purtroppo la signorina Volpe è costretta ad ubbidire per evitare i pipponi paternalisticamente assurdi della signorina Cheerleader."

"Ascoltarla più spesso non ti farebbe male, sai?" disse sforzandosi il ragazzo prima di accomodarsi meglio tra i cuscini dell'infermeria.

"Sono un animale selvatico. Gli animali selvatici non hanno bisogno del veterinario."

Scarlett diede un colpetto alla sua pupilla, alzò una mano a salutare i due figli di Efesto e aggiunse, rivolta a Shoshanah: "Rimani qui o vieni con me?"

La piccola semidea rivolse un'occhiata a Robert. Un'occhiata che Sia trovò interessante. C'era un briciolo di emozione. Quale, non era chiaro. Tuttavia le venne inspiegabilmente da sorridere quando lei, con una vocetta stonata, domandò: "Vuoi qualcosa da bere?"

Sì, si era proprio rivolta al capocasa della Nove, il quale spalancò per quanto possibile gli occhi.

"C-cosa scusa?"

Scarlett ebbe più o meno la sua stessa reazione. Abbassò gli occhi su Shoshanah e la fissò, palesemente sorpresa. La ragazzina deglutì a fatica e ripeté: "Vuoi bere qualcosa?" girandola nel tentativo di renderla più comprensibile.

Il ragazzo sembrò pensare seriamente, come se di nuovo non avesse compreso la frase, per poi aprire la bocca a vuoto, un paio di volte. Poi a mezza voce si espresse.

"Un tè. Caldo."

"Un tè." disse Sho, confusamente "Un tè caldo."

Poi, come un trucco di monete che compaiono e ricompaiono mentre lo spettatore è distratto, tra le mani della figlia di Dioniso comparve una tazza di vetro trasparente piena di un liquido profumato, di un limpido color ocra. Fece per allungarla a Robert, accennando un passo avanti... poi si bloccò e aggiunse: "Zucchero?"

Lui scosse la testa. Non ci metteva mai lo zucchero a casa. Ci metteva lo sciroppo d'acero, cosa molto canadese e poco Australiana. Ma cosa ci poteva fare se lo trovava delizioso?

Sia, in un impeto di assurdo divertimento, lo precisò per lui: "Solo sciroppo d'acero."

"Sciroppo d'acero." ripeté di nuovo Shoshanah, novella Eco. Con due distinti plic due cucchiaini di sciroppo scivolarono nella tazza trasparente, comparsi da chissà dove. A quel punto parve soddisfatta e Rob si ritrovò il proprio inaspettato tè caldo a pochi centimetri di distanza. Profumava intensamente di calma e tranquillità, di coperte asciutte e sole caldo. E di sciroppo.

Rob lo prese con attenzione e delicatezza, ma prima di poter anche solo dire "Grazie", Shoshanah si ritrasse e arretrò di qualche passo, quasi inciampando nei propri piedi.

"Devo andare. Ciao." disse, Dopodiché si voltò e se ne andò ad una velocità che Sia non pensava avrebbe mai potuto attribuirle. Il silenzio tornò a regnare sovrano nell'infermieria, nemmeno interrotto dal tranquillo sorseggiare del figlio di Efesto, imperturbabile, dolorante ma felice di avere il suo tè caldo.

"Beh..." mormorò Scarlett, ancora stranita "Ci vediamo dopo."

"Dormi un po', Rob. Ti prego." disse piano Sia al fratello, prima di alzarsi, sistemarsi la larga maglietta arancione e seguire l'insegnante. Dove non poté la preghiera, riuscì la fatica: Robert fece appena in tempo ad appoggiare la tazza in cui era rimasto solo un goccio di tè ormai tiepido, prima di perdere conoscenza di sé stesso.

Shoshanah Beverly non si era mai sentita tanto confusa. In quindici anni di esistenza aveva quasi sempre capito come funzionavano le cose nel suo cervello, ma questa volta si era ritrovata a dubitare delle proprie sicure convinzioni.

La sfida decisa tra Scarlett e Robert non le era piaciuta per nulla.

Quando l'aveva saputo, la cortina di neutralità che impediva a chiunque di vedere ciò che c'era sotto la superficie della sua anima era stata scossa in un preciso epicentro e su una precisa frequenza di angoscia, tale per cui la silenziosa figlia di Dioniso non era più riuscita a contenere il suo ribollente mondo interiore. Avete presente quei bracci di mare calmo, protetti da un porto, in cui la linea dell'acqua sembra disegnata con un righello? Pensate forse che sotto quel sottile confine non ci sia un gran brulicare di decine di migliaia di creature?

Ecco, così era Sho. Un porto dall'aspetto piatto dentro cui, solo in rare occasioni - come questa - si poteva notare il guizzo argentato di un pesce o i volteggi di una medusa. Era una cosa rara, ma puntualmente prendeva tutti di sorpresa. Compresa la diretta interessata che in quel momento, mentre camminava al fianco di Scarlett, si sentiva innaturalmente nervosa. Probabilmente colpa di tutta la tensione accumulata durante la sfida e culminata nel momento in cui Rob aveva piantato il martello nella schiena della volpe.

"Ti senti bene, Shoshi?"

La ragazzina trasalì bruscamente quando Scarlett le si rivolse all'improvviso. Alzò gli occhi violetti su di lei e si strinse nelle spalle.

"Non so."

"So che l'idea di farmi massacrare da Robert non ti è andata a genio, ma come vedi è andato tutto bene."

"Non tutto."

"Mi riprenderò così velocemente che nemmeno te ne accorgerai."

Shoshanah lo sapeva. Ma la cosa continuava a non piacerle. Anche perché l'altra persona coinvolta non avrebbe subito un processo di guarigione così rapido.

"Shoshi."

La caratteristica carezza della grande mano di Scarlett sui suoi capelli le schiarì la mente. Era la panacea che la aiutava a tornare lucida fin da quando aveva nove anni. Il segnale che tutto era tranquillo e stava andando bene. Allungò la sua paffuta manina bordeaux a causa dell'angioma e afferrò tre dita della donna.

"Non farlo più." mormorò con durezza. Scarlett la guardò negli occhi e per un momento ebbe quasi la convinzione di vederci baluginare la fiamma purpurea che aveva sempre intravisto nello sguardo del suo Padrone.

In effetti Shoshanah non era solo l'unica figlia femmina di Dioniso da cinquecento anni a questa parte, ma anche la discendente più simile a lui che si fosse mai vista. Ricci capelli neri, occhi color ametista, un po' di pancetta e amore per i vestiti tamarri... per non parlare del carattere! Non per nulla suo padre, che aveva manifestato generalmente un limitato interesse nei confronti della sua prole, si era prodigato più del dovuto per lei, arrivando addirittura a farle dono di una copia incredibilmente ben fatta - non per nulla commissionata al fratellastro Efesto - del suo sirto. In modalità demo Only-Rodents, ma non c'era di che lamentarsi, diamine. Dioniso era anche il genitore divino che più spesso veniva a far visita a sua figlia, a volte con la propria olimpica sposa. Arianna aveva un debole per Shoshanah.

Scarlett sospirò e scosse la testa. "Non penso proprio. Direi che una lezione mi è bastata."

Sho non le lasciò la mano fino a quando non giunsero davanti al portico della Casa Grande, ma a nessuno parve strano vederle passeggiare assieme per il Campo: quando Scarlett non aveva da fare, passava svariato tempo con lei.

Lì Shoshanah la salutò e Scarlett la guardò allontanarsi con le sopracciglia aggrottate, confusa dal suo comportamento.

La signorina Beverly non aveva alcuna voglia di festeggiare. Solitamente le feste le piacevano e, nonostante sembrasse sempre annoiata, si divertiva. Ma in quel momento non sentiva affatto la necessità di unirsi al gruppo di smandrappati che correva per il Campo ululando come coyote portando alta la bandiera guadagnata dalla casa Nove. Affatto.

L'unica cosa che voleva fare era trovare un luogo calmo in cui sedersi - aveva la sensazione di essersi mossa troppo per i propri gusti - e sorbire un po' di alcol. Ecco quello che voleva fare e che avrebbe fatto. Nessuno avrebbe capito il suo malumore. E lei non era una persona interessata a farsi comprendere.

Però.

Però.

Quando si ritrovò a passare dinnanzi all'edificio dell'infermeria, Shoshanah rallentò il passo. Voltò la testa ad osservarne l'ingresso. All'inizio la stanza dedicata ai feriti del Campo si trovava nella casa Grande, ma nei quarant'anni che erano seguiti la partenza di Chirone era stata costruita una piccola casetta apposita vicino alla selva, protetta da un sentiero di rune magiche di Ecate, per permettere il massimo riposo ai suoi occupanti. Era uscita da quel luogo nemmeno mezz'ora prima e all'improvviso una strana vocina nella sua testa le consigliò di tornarci. Perché? Non ne aveva idea. L'unico attuale occupante non era suo amico - era la prima volta che gli rivolgeva la parola, quando gli aveva chiesto se voleva bere qualcosa - però lo conosceva da sempre. Robert Hart era una sorta di costante di sottofondo nella vita al campo, proprio come lo era lei.

Shoshanah era una figlia di Dioniso e, proprio come Nietzsche aveva scritto un paio di secoli prima, era guidata da qualcosa che aveva ben poco a che fare con la ragione. Per questo abbandonò il suo iniziale piano di rintanamento tattico e decise di far una veloce visitina al semidio che aveva rischiato la vita della sua amata volpe.

Robert occupava il letto più vicino alla finestra sul retro tanto che qualcuno, probabilmente Sia, aveva chiuso le tendine di pizzo decorate a pegasi volanti per evitare che la luce disturbasse il suo riposo.

In effetti, il grande Robert Hart stava dormendo. Shoshanah se ne accorse subito, udendo il suo respiro pesante e notando come il petto del ragazzo si alzasse e si abbassasse con regolarità. Si avvicinò di soppiatto, percorsa da una strana sensazione. Si sentiva strana, sempre più strana. Non riusciva a distogliere gli occhi da Rob e non capiva perché. Si sedette lentamente sulla sedia su cui poco prima sua sorella aveva pulito le ferite del vincitore e quel semplice movimento fu la causa di un leggerissimo scricchiolio che in qualche modo disturbò il sonno di Rob. Shoshanah osservò trattenendo il fiato il fremito delle sue sopracciglia e si spaventò anche un poco quando una leggera smorfia di fastidio si disegnò sul suo volto. Possibile che fosse stata lei...? Poi si rese conto che il braccio ferito e fasciato aveva una strana posizione rispetto al corpo: invece disegno trovarsi rilassato sulla pancia del suo proprietario, si trovava incassato tra il suo fianco e il bordo del letto. Ci stava praticamente dormendo sopra.

Sho notò tutto questo nel giro di un paio di secondi e nello stesso tempo ideò un piano geniale.

Fremette pervasa dalla sua strana emozione, si alzò ed estrasse dalla tasca del suo vestito a fiori fluorescenti Il sirto. Una leggera elettricità pervase il suo corpo nel momento in cui la bacchetta calava, lentamente e con precisione, sulla fronte di Robert.

Fu un attimo.

Ed ecco una grossa arvicola ingessata e occhialuta al posto del capocasa della casa Nove.

In quell'istante Robert trovò che fosse opportuno svegliarsi.

Una sproporzionata morbida montagna bianca sembrava stagliarsi di fronte a lui con pigrizia. Sotto il corpo gli sembrava di avere sabbie mobili. Si, doveva essersi svegliato nel mezzo di un sogno parecchio strano. Forse uno di quegli strani sogni premonitori che di solito fanno I semidei. Cercando di mettere a fuoco meglio il mondo che lo circondava, provò anche a muovere il braccio fasciato per metterlo in una posizione più comoda, sentiva infatti come se ci stessee posando tutto il peso sopra, cosa teoricamente impossibile dato che stava dormendo. Ma al posto di trovate il proprio corpo addormentato nella visuale, tutto ciò che vide fu una minuscola zampina pelosa avvolta da una fasciatura.

Il suo corpo, fino a pochi istanti prima di addormentarsi assolutamente certo sotto le lenzuola, era sparito. 

In compenso ogni cosa pareva essere diventata semplicemente enorme.

Sho osservò impietrita e con orrore crescente la realizzazione di un inqualificabile disastro. Non ci volle molto prima che gli occhi, seppure deboli, del neo-arvicola Robert Hart si rendessero conto che qualcosa di inaspettato gli era appena accaduto. Le zampette che stava fissando erano infatti le sue. La montagna bianca che si stagliava in lontananza non era altro che il cuscino, e il suo corpo non era più visibile per il semplice fatto che era diventato improvvisamente più piccolo. E quella strana sensazione di instabilità...non era dovuta da nient'altro che dal materasso su cui stava in piedi (o in zampe). La coscienza venne da sé, seguita da immenso orrore. Provò per a parlare ma tutto ciò che uscì dalla sua piccola bocca di roditore fu uno squittio terrorizzato.

Ad occhio esterno la scena avrebbe potuto anche assumere connotazione comica, tuttavia al suono di quello squittio il terrore calò sui due presenti nell'infermeria. Shoshanah appariva come un gigante abbastanza sfocato, imponente e sormontato da una massa di capelli neri, armato di un lungo bastone dorato. Mai gli era parsa così minacciosa da quando la conosceva. Mai si era sentito così impotente di fronte alla sua stessa paura: i roditori. Doveva fare specie essere un semidio potente, grande e grosso e burbero, ed avere paura dei roditori. Ma come gli elefanti hanno timore delle cose più piccole, così Robert aveva sempre provato un certo disagio in presenza (reale o presunta) di quelle creaturine. Non le uccideva, non voleva estinguerle, nossignore. Voleva solo che gli stessero il più lontano possibile. I roditori erano i peggiori nemici di ogni ingegnere - inventore che si rispetti: i loro dentini capaci di rosicchiare i cavi, di rompere gli ingranaggi, le loro tane ovunque... nella mente del ragazzo avevano sempre avuto questa caratteristica di esseri apparentemente assenti ma comunque presenti, capaci di nascondersi in ogni anfratto e rosicchiare qualsiasi cosa. I topi rovinavano quello che l'uomo costruiva. Soprattutto le parti più nascoste e fragili erano in pericolo, ma erano proprio quelle componenti che se intaccate potevano causare gravi incidenti. Per questo, rendendosi conto di essere improvvisamente uno di loro, Rob non potè fare a meno di cadere nel panico. Iniziò a girare su se stesso, nonostante il dolore lancinante che sentiva alla zampetta, conscio del fatto che non poteva fare paura a se stesso, ma completamente preda del timore più irrazionale. Da parte sua, Shoshanah osservò con terreo stupore come l'ex campione della casa Nove impazzire sotto i suoi occhi. Sapeva cosa sarebbe successo da lì a qualche secondo. Vide le zampette posteriori dell'arvicola piegarsi e contrarsi.

Per un fulgido, indimenticabile istante, Robert Hart si trasformò nell'incredibile Arvicola Volante.

Dal letto. Verso il pavimento.

Non si sa bene a quale velocità Sho mise in atto la manovra per tentare di salvargli le altre tre zampette - e forse forse anche la vita - ma fu utile, perché si gettò un attimo prima dell'atterraggio di Rob, prendendolo per metà al volo. Solo per metà perché era davvero un topone e la coda le sfuggì dalle dita, venne utilizzata come frusta e la ragazzina emise un singhiozzo, lasciandolo andare quando con un colpo secco Robert le fece aprire le dita e si liberò, atterrando morbidamente sul suo grembo. Purtroppo in quel momento la zampina ingessata lo tradì e Rob rotolò di lato come una pallina di pelo. Sho lo riacchiappò subito, trattenendolo delicatamente ma decisa a non farselo scappare di nuovo, nemmeno quando lui le mostrò i denti. Si fissarono per un lungo istante, respirando velocemente entrambi, Dopodiché lo sguardo di Rob riprese una consapevolezza umana e lo sguardo che scoccò alla sua rapitrice fu di puro sdegno.

"È stato un incidente." mormorò Shoshanah, avvampando di imbarazzo "Ora ti rimetto sul letto e ti ritrasformo. Non scappare, ti prego."

L'arvicola annuì con un cenno secco della testolina e non smise di guardarla male nel tragitto dalle sue mani al letto. Sho si alzò in piedi, si voltò per prendere il sirto e nel frattempo tirò un lungo respiro di vergogna. Ma cosa le era preso? Perché le era venuta quella malsana idea? Sentendosi intontita, con la sensazione di star vivendo un sogno, afferrò la sua bacchetta e con un delicato tocco sulla testa del grosso topo, trasformò l'arrabbiata arvicola in un arrabbiato capocasa. Nella colluttazione che aveva avuto con lei si era spettinato e gli occhiali ora cadevano storti sul suo naso. L'aspetto vagamente buffo rendeva solo più spaventosa la linea retta disegnata al posto della bocca e gli occhi severi con cui vedeva - beh, sempre per modo di dire - Shoshanah.

"Io..." mormorò Sho, mentre il suo viso e la parte della pelle ancora bianca andavano inesorabilmente arrossandosi.

"Penso che lei ora debba andare, signorina." tagliò corto Robert, con il suo tono più formale. Shoshanah lo fissò. In silenzio. Bollendo d'imbarazzo. Poi, semplicemente, fece tornare il sirto una bacchetta per selfie, se la infilò in tasca e senza aggiungere le scuse che avrebbe voluto sinceramente rivolgere al signor Hart, si voltò e imboccò l'uscita. Quando la porta dell'infermeria si chiuse alle sue spalle - e con lei anche lo sguardo inquisitorio di Rob si allontanò - Shoshanah si portò entrambe le mani al volto e, cosa più unica che rara, si incamminò rapidamente verso la foresta.

Aveva bisogno di pensare.  

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