54. Dietro la siepe (rev.02)

Nascosta dietro la siepe, al riparo dal mondo esterno, Adriel si lasciò irradiare dalla luce del sole che si rifletteva a pelo d'acqua sul piccolo laghetto. Seduta sulla riva, chiuse gli occhi e lasciò che tutto svanisse; nelle sue orecchie solo il cinguettio degli uccelli e il ronzio degli insetti.

Il calore dei raggi era sufficientemente intenso da scaldarle la pelle, dandole la sensazione di un abbraccio intriso d'affetto.

Prima ancora di avvertire il rumore dei rami che venivano spostati, percepì il suo calore, che si sposava perfettamente con quello del sole del primo pomeriggio.

"Come sapevi che ero qui?" gli domandò quando lo avvertì fisicamente alle spalle, "radar da vedente?"

"Non ho una capacità così estesa, ma immaginavo che volessi evadere dalla realtà e se non ricordo male, dietro la siepe di questo parco, c'è sempre un portale per il mondo magico..." le rispose Ben sedendole accanto.

Adriel colse una smorfia di dolore mentre si piegava per prendere posto al suo fianco.

"Ti fa male?" chiese preoccupata.

"Sopportabile" rispose lui minimizzando, lo sguardo perso verso il centro dello specchio d'acqua.

Adriel si sorprese che lui si ricordasse ancora di quel vecchio gioco che avevano iniziato quando lei aveva solo sei anni, quando attraversando quel parco sulla Main avevano scoperto un passaggio in quella siepe, ora alle loro spalle. Si erano ritrovati su quella piccola riva, dove l'erba era verde e profumata ed era possibile vedere l'acqua protetti sotto le fronde di un salice.

All'epoca lui le aveva detto che la siepe era un passaggio magico che portava in un luogo da favola dove il tempo si fermava. Erano tornati spesso in quel punto, il più delle volte al tramonto e insieme avevano chiuso gli occhi e ascoltato la natura che li circondava perché lì la città si fermava. Ogni volta lei aveva avuto la sensazione che anche il tempo facesse lo stesso, che non ci fosse più il resto del mondo, che gli unici rimasti fossero loro due e la cosa non la spaventava perché in quei momenti, si sentiva sempre calma e in pace con se stessa. Adesso sapeva che quella sensazione di quiete non veniva solo dal luogo ma anche dalla persona che ora le sedeva accanto.

"Non posso farcela" disse poi lei scuotendo il capo. "Non posso essere come te. Ti prego, non tentare di convincermi!"

Ben allungò le gambe e appoggiò i palmi dietro la schiena di modo da poterla guardare.

"Prima cosa: non devi assolutamente essere come me, nessuno te lo chiederà mai, io per primo. Secondo: è normale che tu ti senta così in questo momento. Tutti noi abbiamo fatto fatica all'inizio, come chiunque davanti a una prova difficile. Imparerai, tutti ci riescono."

"Quello che tu hai fatto giù alla metro è... impossibile! Ti muovevi come se conoscessi le loro mosse ancora prima che provassero a colpirti e il modo in cui lanciavi le onde e la freddezza che avevi anche quando tutti erano contro di te! Non potrò mai fare lo stesso!"

"Adriel, ora ti sembra impossibile ma credimi, con la pratica imparerai a controllare la tua energia. Poi, ti verrà naturale."

"Non c'è niente di naturale nel fare quelle cose!" esclamò lei voltandosi di scatto e piantando gli occhi verdi nei suoi. "Non vedo come possa venirmi spontaneo! Non ero convinta, lo sai, ma poi a scuola stamattina gli altri ragazzi mi hanno quasi fatto cambiare idea. Che stupida! Loro sembravano tutti così entusiasti di essere un vedente... la facevano sembrare quasi una cosa fica. Ma non avevo ancora idea che ogni giorno sarebbe stato come la scorsa notte e che dovrò affrontare un esercito di istigatori a ogni segnalazione!"

"Non sarà sempre così, non capita tutti i giorni. Quello che hai visto poco fa è un episodio eccezionale" tentò di spiegare lui.

"Ma se io sono così simile a te, quello che tocca a te oggi toccherà anche a me dopo che avrò compiuto sedici anni!"

"Io sono un caso particolare, intervengo da solo, ma normalmente, per le forti concentrazioni di istigatori, vengono inviati più vedenti. Non dovrai mai affrontare tutti quegli istigatori da sola, fidati!"

Adriel tornò a guardare l'acqua che lenta muoveva verso la riva e senza pensarci strappò con la mano un ciuffo d'erba.

"È per via di quello che hai fatto quando siamo arrivati qui in città che gli altri non ti aiutano?" gli chiese poi.

Ben fece un mezzo sorriso spostando in avanti il busto, cercando probabilmente di mascherare l'espressione infastidita sul suo volto.

"Prima o poi avrei dovuto parlarti anche di questo, ma vedo che qualcuno mi ha preceduto."

"Stamattina a scuola, ho chiesto agli altri ragazzi, dopo che in Azienda ho sentito l'odio degli altri vedenti per te. Mi hanno detto che hai ucci..."

"Sì" rispose secco lui, levandola dal peso di formulare completamente la domanda.

Seppure sapesse già la risposta, sentirla da lui, in modo così diretto e privo di esitazione, fu qualcosa che la colpì duramente.

"Ho fatto una cosa che non dovrai mai fare, Adriel, nemmeno dopo che ti avrò insegnato come assorbire le energie" le disse dopo essersi voltato di modo da poterla guardare chiaramente negli occhi. "Ho assorbito l'energia di un istigatore, credendo di poter diventare più forte, invece non ho fatto altro che perdere il controllo."

Nella mente della ragazzina riaffiorò l'idea che l'aveva accarezzata poco prima giù alla metro: anche lei, come lui, era stata tentata di assorbire un istigatore ma tenne quel particolare per sé.

"Sei dispiaciuta ma non spaventata, perché?" chiese lui sentendola.

"Quando me lo hanno raccontato, questa mattina, non volevo crederci. Mi sembrava così assurdo. So che lo hai fatto per me ma... ora che sei stato tu a dirmelo mi rendo conto che... credo di non sapere chi sei veramente."

Quell'ultima frase non lasciò Ben indifferente.

"Quello che so dipende dalla versione di te che volevi che io vedessi" proseguì Adriel stropicciandosi le mani, "non so se sei solo diverso dal Ben che ricordavo oppure se non ho mai davvero conosciuto il vero Ben e allora sto parlando con uno sconosciuto."

Un paio di pesci presero la briga di fare un guizzo a pochi metri da loro. Ben, tranquillo, sorrise. Adriel di rimando percepì la sua calma ormai inconfondibile.

"Vedi, anche adesso? Non ti capisco! Dovrei averti ferito e tu invece sei tranquillo, non provi rabbia o frustrazione ma sei calmo come ti sento dalla notte scorsa!"

"Quella sensazione, la calma, non me la potrai mai togliere" spiegò lui rivolgendole uno sguardo sereno, "ogni volta che sarai accanto a me la sentirai: è quello che la tua energia provoca alla mia."

"Credevo fosse la tua energia a emanare la calma per tranquillizzare la mia."

"Beh, in un certo senso, ci supportiamo a vicenda... Comunque, non mi hai ferito, perché avevo messo in conto che non mi avresti conosciuto davvero se avessi scelto di nasconderti la verità e così è stato. Si può sempre recuperare però e dato che d'ora in avanti sarò la tua ombra, avrai modo di conoscermi per forza."

"Ma in questi anni, ti ho giudicato in modo sbagliato e tu di certo hai sentito quello che provavo e..."

"Non mi sento offeso, se è questo che ti preoccupa. E poi, alcuni tuoi sbalzi di livello, mi hanno fatto solo piacere" spiegò lui gongolando.

Adriel parve non capire.

"Non sai quante volte sei stata gelosa, presumo perché eri convinta che rincasassi tardi perché preferivo passare la serata con qualche ragazza piuttosto che stare con te."

Adriel arrossì di colpo.

"E a giudicare dal tuo colorito e dal tuo sbalzo, avevo ragione!" disse lui ridendo poi tornado serio aggiunse: "Per tanto tempo ho percepito un sentimento che credevo fosse delusione: tu eri delusa da me, un padre che apparentemente era un semplice fattorino, senza troppe pretese, che viveva la giornata, senza sogni né progetti per il futuro. Una persona vuota e priva di aspettative insomma, che preferiva occupare il suo tempo libero a rimorchiare piuttosto che avere un dialogo con la propria figlia. Meritavo quel sentimento e l'ho accettato. Ma poi è cambiato: non era più delusione quella che provavi ma commiserazione. Ti sentivi in colpa perché eri convinta di essere la causa della mia condizione. Avrei voluto affrontare il discorso un sacco di volte ma l'unico modo che avevo per potertene parlare implicava doverti dire la verità: che avevo sentito quello che provavi e perché ero in grado di farlo."

Inaspettatamente le si avvicinò fino a prenderle la mano. Indugiò in quel contatto come se lo stesso avesse risvegliato in lui ricordi sopiti. Adriel non ebbe pensieri, assorta solo nel sentire quel momento.

"Sono in ritardo, lo so, ma ti chiedo scusa se non te ne ho mai parlato prima in modo chiaro e diretto" dopo di che, con la mano libera, le prese delicatamente il viso portandola a guardarlo dritto negli occhi, "voglio che tu senta quello che sto per dire, al di là delle parole: ho avuto una vita incasinata ma tu non ne sei mai stata la causa. E se un giorno qualcuno dovesse dirti il contrario, ricordati di quello che sto provando ora nel dirtelo e non avere dubbi."

Adriel era senza parole. Lui l'aveva sempre sentita così chiaramente e in modo sincero, più di quanto avrebbe potuto fare parlando con lei per ore o giornate intere. Credeva fossero due estranei ma forse l'unica a non conoscere la persona che aveva di fronte era solo lei.

"Cos'altro sai di me?" chiese timorosa con occhi lucidi.

"So che il tuo colore preferito è il rosa e non il blu come dici a tutti. Lo so perché quando ti trovi a scegliere tra il rosa e un altro colore, ti imponi di scegliere l'altro colore e lo fai a malincuore. Adori il rosa, ma pensi che sia troppo banale ammettere che a una ragazza piaccia quel colore, perché ti piace fare la differenza, essere anticonformista il più possibile, ma quando rinunci al tuo colore preferito, ti dispiace. Odi le ingiustizie e chi non le odia penserai... vero, ma tu cambi completamente quando qualcuno che ti sta accanto, persino se lo conosci a malapena, subisce un torto o viene discriminato. Ti si accende un fuoco interiore che manda in tilt la tua energia: fuori sei controllata, ma dentro sei sull'orlo dell'esplosione. Hai paura del buio. Da piccola ti aggrappavi con le unghie alla mia gamba fino a quando non tornava la luce; adesso ti spaventa forse anche di più, ma sei brava a non darlo a vedere. Tendi però a parlare a macchinetta per alleggerirti la tensione mentre dentro tremi come una foglia. Non sopporti chi si atteggia anzi, lo trovi ridicolo: la tua energia vibra, quando qualcosa ti fa sorridere, perfino se il tuo volto resta impassibile."

Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma niente sarebbe stato sufficiente o adatto a spiegare come quelle parole, specchio del vero, unite alle sue emozioni, riuscivano a riempirla di calore in quel momento. Lasciò che il tocco delicato della sua mano le accarezzasse amorevolmente la testa e non le importò quando un paio di lacrime copiose le scivolarono lungo le guance; lui le raccolse con il pollice proseguendo quel discorso così toccante.

"Ti dispiace non avere una madre, ma non invidi gli altri che ce l'hanno. Ti sono mancato per tanto tempo. Ti ho fatto soffrire, arrabbiare. Mi hai odiato spesso e sinceramente. L'ho meritato. Mi ha ferito ma l'ho tollerato. Sei così tante sfaccettature di me che non potrei non conoscerti. Anche se a volte sei troppo razionale per i miei gusti!"

Quel riferimento alla sua mente scientifica le strappò un sorriso. Adriel si asciugò il viso senza smettere di guardarlo, gli occhi ora carichi di devozione.

"Come hai fatto, tu?" chiese poi, "quando ti sei rivelato, come hai fatto ad accettare che quello sarebbe stato ciò che avresti fatto per il resto della tua vita?"

"Nemmeno per me è stato facile. Sapevo che mio padre era un vedente e che anche io presto lo sarei diventato, ma lui non mi aveva mai portato con sé durante uno scontro e prima di rivelarmi non avevo mai incontrato un istigatore; sapevo di loro solo quello che lui mi aveva raccontato. Ero elettrizzato all'idea di avere dei poteri, ogni bambino lo sarebbe, credo. Nella mia mente, mio padre era un supereroe e anche io potevo esserlo. Non vedevo l'ora di rivelarmi per poter iniziare ad allenarmi. Ma la mia rivelazione non è andata come mi ero immaginato e dopo, è stato difficile accettare la cosa. A dirla tutta dopo, non volevo più essere un vedente. Era impossibile per me credere che sarei riuscito a battere anche solo uno di quegli istigatori. Ero terrorizzato all'idea di doverli incontrare ancora, figuriamoci di doverlo fare ogni giorno della mia vita!"

"E allora, come hai fatto? Come hai cambiato idea? Come hai accettato una cosa che non avresti mai voluto accettare?"

"È stato mio padre."

"Ti ha costretto?"

"No, ed è stato proprio perché non mi ha costretto che mi ha convinto. Il nonno è sempre stato un tipo alla spicciola, diretto: se diceva una cosa, quella andava eseguita, era un ordine."

"Era così severo?" chiese Adriel usando volutamente il tempo al passato; non era quello il momento giusto per chiedergli se Maddox avesse detto il vero.

"Severo sì, ma aveva un suo modo particolare di volerti bene. Solo io e la nonna riuscivamo a vederlo. Se lo si guardava dall'esterno sembrava una persona fredda e terribile, di quelle con le quali si spera sempre di non aver mai a che fare."

"Un antipatico di prima categoria..." commentò lei spalancando gli occhi davanti all'evidenza.

"Già, ma era solo la versione di sé che voleva che vedessero tutti gli altri. Se eri in grado di sentirlo, vedevi il vero Robert Wigan. Dopo che mi sono rivelato non ha mai smesso di farmi sentire la sua sicurezza: era certo che sarei diventato un vedente, non ha mai avuto dubbi. È di quella certezza che mi sono alimentato, trasformandola nella mia certezza. Io sono certo che ce la farai e dato che puoi sentirmi, sai che credo davvero che tu possa farcela. Ovviamente se non farai troppo la testona e darai sufficientemente retta al tuo vecchio!"

Risero entrambi, lasciando che la leggerezza si unisse al momento. Si presero qualche istante per assaporare la natura intorno a loro. Nonostante il parco fosse gremito, misero da parte le energie che sentivano al di là della siepe, lasciando che fossero solo i suoni e i profumi ad avere la loro attenzione.

"Un po' mi piace questa cosa di sentire gli altri..." commentò Adriel tenendo gli occhi chiusi, "rende più... vicini."

"Rende anche più fragili" ribatté Ben, occhi chiusi come la figlia, a crogiolarsi nel sole.

"Secondo me la fragilità rende più veri e chi può sentirti può solo apprezzarti di più" concluse lei.

Ben aprì gli occhi e contemplò il profilo della ragazzina che standogli lì accanto, occhi chiusi nel trasporto con la natura, aveva appena pronunciato, forse senza saperlo, parole così cariche di verità e maturità.

"Ho sempre pensato a questa cosa" riprese poi lei fissando il cielo "per fare un figlio bisogna essere in due e se uno dei due, per primo, ammette di non volere quel figlio dopo che è nato? L'altro, che magari non lo voleva nemmeno lui, è costretto a volerlo..."

"Percepisco un vago riferimento a noi... ma non mi sembra il momento per questo discorso, non roviniamo tutto."

"Verità, niente mezze verità o bugie" gli ricordò Adriel, "se non ti va o non vuoi, non rispondere."

"Ok..." rispose lui seppur controvoglia.

"Avevi sedici anni, avevi tutto il diritto a non volermi. Lei non si è fatta problemi a scaricarmi, perché tu mi hai tenuto? Sei stato costretto dal nonno?"

"No... me ne sono andato di casa per tenerti con me ma..." la precedette aggiungendo "non è colpa tua se me ne sono andato. Diciamo che ho dovuto fare una scelta e la scelta che ho fatto non mi permetteva di tenermi la mia vecchia vita."

"Non è stata una vera scelta... hai scelto me perché sei stato costretto dal senso di responsabilità."

La maturità della figlia continuava a sorprenderlo.

"Non credo... o almeno, non è stato il mio primo pensiero. Quando ti ho vista, la prima volta, l'ho subito sentita, la stessa mia energia che proveniva dal tuo corpicino minuscolo. È così strano sentire una parte di sé dentro qualcun altro. Da quel momento non ho più smesso di sentirla, non volevo smettere di sentirla, ne avevo bisogno per sentirmi completamente me stesso. Lo so, sembra una cosa assurda, ma è esattamente quello che ho provato e che sento anche adesso."

"Quindi, analizzando i fatti, se tu non fossi stato un vedente, non avresti sentito questo legame e forse, tenendo a freno il senso di responsabilità, avresti potuto essere più libero di scegliere, come ha fatto lei... Essere un vedente è stato uno svantaggio" concluse Adriel.

"Tutt'altro! Se non fossi stato un vedente avrei potuto commettere lo sbaglio più grande della mia vita" ribatté lui fermo nella propria convinzione.

"Andiamo!" lo schernì lei. "Puoi essere sincero, non sono più una bambina! Non usare frasi fatte strappalacrime, non ne ho bisogno. La tua vita sarebbe stata diversa senza di me!"

"Sicuramente, ma chi ti dice che lo sarebbe stata in meglio? Poteva essere molto peggio."

"Non credo... Un figlio a sedici anni è una bella rottura."

"A volte sono le cose che non ti aspetti a rivelarsi le migliori" replicò lui sdraiandosi sulla schiena per osservare a sua volta l'azzurro del cielo.

"Sei una testa dura ma non sei così male... sei sopportabile" la sbeffeggiò amorevolmente "e tornando al discorso di essere sincero, sei una vedente, so che mi stai leggendo e quello che senti è la pura verità."

"Dai racconti degli altri so che sei bravo a mascherare ciò che provi, a far sentire quello che vuoi agli altri" si giustificò lei gettando nel laghetto un piccolo sasso trovato lì vicino.

"Con te non potrei mai farlo" proseguì lui mettendo le mani dietro la nuca.

Adriel si girò a osservarlo.

"Allora perché non mi fai sentire tutto?"

"Ci sono ricordi che mi fanno male e se mi lasciassi andare, sentiresti anche tu quel dolore e... non voglio farti male."

"Sempre il discorso che i genitori devono proteggere i figli a ogni costo!" sbuffò lei lanciando un nuovo sasso ma con più slancio. "Siamo o non siamo una famiglia? Dovremmo condividere tutto, cose belle e cose brutte."

"Condividiamo già un segreto di non poco conto" ribatté lui sollevando la testa per guardarla.

"Lo sai che tutto diventa più sopportabile se condiviso? Tu hai fatto tanto per me, anche se lo sto capendo solo adesso... voglio ricambiare il favore."

"Non ce n'è bisogno, ma grazie" poi sentendo ancora il suo sguardo addosso alzò di scatto la testa "basta pensieri e domande, prenditi una pausa!"

L'afferrò rapido per la manica della felpa tirandola a terra, di modo che gli si sdraiasse accanto.

"Devi fare tesoro della pause tra uno scontro e l'altro. Serviranno a darti il tempo di riprendere energia."

"Ma io mi sento benissimo" commentò lei divertita.

"Ci credo! Ho fatto tutto io!" scherzò lui facendola sorridere.

Il tempo dietro la siepe si era fermato come una volta. La sensazione era bellissima, esattamente come la ricordava, fino a quando il cicalino dell'orologio di Ben si fece sentire spezzando brutalmente quell'intimità.

Il ragazzo fissò le coordinate sullo schermo e si mise a sedere.

"Devo andare, mi spiace."

"Vengo con te!" esclamò lei mettendosi a sedere a sua volta.

"No, tranquilla. Per oggi hai già dato abbastanza" disse alzandosi e aiutandola a fare lo stesso. "Prenditi il pomeriggio per divertirti, al diavolo i compiti! Senti Sarah e fai qualcosa con lei."

Adriel era sbalordita.

"Wow! Davvero?! Dovrei diventare un vedente più spesso."

"Come se non sapessi che esci con la tua amica tutti i pomeriggi riducendoti all'ultimo a studiare" la soprese lui accendendosi una sigaretta al volo. "Te l'ho detto che ti conosco" sottolineò notando la sua aria basita "ma non fare tardi. Ci vediamo da Max e Billie stasera. Puntuale alle 18:00, ok?"

"OK!"

"Ah... inutile dirti di non parlare con Sarah di tutta questa faccenda."

"Anche se lo facessi, dubito mi crederebbe" commentò la ragazzina scrollandosi il retro dei pantaloni.

"Ok, andiamo, ti chiamo un taxi" le disse facendole poi strada attraverso il passaggio nella siepe.

Il parco era davvero pieno di gente che si godeva beatamente i raggi di sole, gli ultimi prima dell'arrivo della rigida stagione invernale. Mentre camminava accanto a Ben, Adriel prese il cellulare per controllare i messaggi. Lesse dapprima quello di Sarah: era parecchio risentita per il fatto che quella mattina lei l'avesse poco calcolata e che fosse poi sparita, senza dirle nulla, saltando le due ore del pomeriggio. Le aveva scritto una ventina di minuti prima chiedendole se le andava di vedersi al loro solito posto, la panchina di quello stesso parco in cui si trovava adesso con Ben.

Lesse poi i messaggi di un nuovo gruppo whatsapp in cui era stata inserita, dal nome rivelatore "Wi's Team". Visualizzò le informazioni: aveva due di quei numeri in memoria, quello di Maddox e quello di Jona e riconobbe gli altri dalla foto del profilo, un ragazzino dai tratti orientali che si era immortalato nell'atto di gridare, senza dubbio era Tana e una ragazza dai capelli corti che si era fotografata di spalle mentre ammirava il mare seduta su uno scoglio, che immaginò essere Sophie. La invitavano a incontrarsi, esattamente tra una ventina di minuti, al parco che si trova a nord di South Street, lo stesso che lei aveva sognato quella mattina.

Era combattuta: da un lato avrebbe voluto vedere Sarah, anche se la frustrazione di non poterle parlare di quanto accaduto dalla notte scorsa a quel momento la fece propendere per accettare l'invito degli altri ragazzi, con i quali avrebbe potuto parlare liberamente e carpire altri dettagli sulla vita da vedente; anzi, dopo la sua prima esperienza sul campo, avrebbe avuto lei parecchio da raccontare loro.

Ringraziò Sarah per l'invito, dicendo che non si sentiva troppo in forma, giustificando così anche l'uscita anticipata da scuola, con Ben che era venuto a prenderla per portala a casa dove sarebbe dovuta tassativamente restare. Sarah, da buona amica, si propose di venirla a trovare ma lei le sconsigliò di farlo, dicendole che Ben era in casa e che era più incazzoso del solito.

Confermò l'invito del suo team, con ben più di una punta di entusiasmo.

"Dove ti aspetta Sarah?" le chiese Ben aprendole la portiera del taxi.

"Al parco a nord di South Street" rispose lei prendendo posto sul sedile posteriore.

Ben pagò il tassista non prima di essersi raccomandato con lei di comportarsi bene e di essere puntuale per la cena.

Adriel confermò le buone intenzioni con un ok marcato all'estremo. Quando il taxi partì, con la coda dell'occhio vide Sarah seduta alla loro panchina ma stranamente non si sentì in colpa. La sua curiosità aveva avuto la meglio.

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