74- EDEN
«Non perderla di vista, Jar» mi raccomandai per l'ultima volta.
Il viso di Aureen era colpito da un sottile raggio di sole, il quale filtrava tra i rami della rosa rampicante che aveva quasi del tutto ostruito l'arcata che portava al balcone.
Lui annuì, serio. Ce l'aveva con me, e non potevo fargliene una colpa.
«È necessario. Se si potesse evirare, io...»
«Non la trovo una missione di vitale importanza, francamente» m'interruppe. «Possiamo infastidire Zelveen senza l'aiuto delle tribù. O potremmo parlamentare con loro senza costringere Alec ad alzarsi dal suo letto di morte.»
«Neran ha ragione: senza qualcuno a garantire per noi, non ci faranno neanche avvicinare al loro capo. E lui ha qualcosa che potremo usare come scambio.»
«Non servirà a nulla. Se Alec varcherà le loro terre, quella gente si preoccuperà di finire ciò che ha iniziato anni fa.»
Sfiorai con l'indice il pomolo della spada che mi pendeva dal fianco. Non avrei mai permesso si avvicinassero troppo a lui.
Al di là della finestra, Ghoranat sbatteva le ali impaziente.
Mandai un'ultima occhiata ad Aureen. Io e Jared, che evitava di guardarmi, non avremmo trovato un punto d'incontro, e il tempo stringeva.
«L'affido a te» mormorai, posando una mano sulla sua spalla. Lui mi mandò un cenno, troppo ferito per concedermi altro.
Strinsi le labbra in una linea sottile ma non per la rabbia. Poi sospirai e mi avviai alla porta. Passai sotto lo stipite e mi ritrovai faccia a faccia col viso smunto e macilento di Alec.
Le profonde occhiaie viola gli incorniciavano quegli occhi familiari che avevano perso ogni traccia di malizia, e la bocca era così bianca e screpolata che piccole ferite gli si aprivano sulla pelle a ogni suo movimento. Era l'ombra di se stesso... era sparito il fisico snello ma robusto ed era sparito il colorito sano della carnagione.
Che si reggesse in piedi era un miracolo, viste le gambe traballanti e parte degli arti mangiati dal morbo. Se non fosse stato per Rob, che lo sorreggeva concedendogli di appoggiarsi alla sua spalla, forse sarebbe già finito a terra.
Indossava la sua divisa da soldato, ma era così larga che in quelle vesti sarebbe riuscita a entrarci un'altra persona. Però la portava con fierezza, deciso a fare la sua parte.
«Non sei costretto a partire» la voce di Jared arrivò cupa dall'interno della stanza. «Non dovresti partire.»
Alec mosse qualche passo incerto, superandomi e attraversando la porta. «Sono un soldato di Delthar» ribatté con un filo di voce, «e sono votato a questa causa tanto quanto voi.» Con l'aiuto di Rob arrivò al letto nel quale riposava Aureen e le strinse una mano con la sua ormai ossuta e ingrigita dalla malattia. Sussultò, poi andò avanti.
«Ti uccideranno» insistette Jared.
Alec, però, non mostrò ripensamenti neanche a quelle parole. Tenne il mento alto e una mano posata sulla spalla di Rob. La sua schiena sembrò raddrizzarsi, persino. «Voglio servire la mia regina. Al mio posto, non ti comporteresti allo stesso modo?»
«Senza dubbio» rispose subito Jared.
«E allora non chiedere a me di essere un codardo.»
Jar schiuse un poco le labbra, poi scosse la testa esausto. «Cerca di tornare tutto intero.»
Alec azzardò un sogghigno, poi sollevò la mano con cui aveva stretto quella di Aureen. «Credo che sia tardi per fare raccomandazioni del gener...» si bloccò.
Lo facemmo tutti.
«Non è possibile» mormorò poi, studiandosi le dita ora non più grige e rigide ma... sane.
La mano stava guarendo. Come l'Aureenyria Santaminas il quale profumo invadeva la stanza.
Tornai svelto accanto al letto. «È lei la cura.»
Le labbra di Aureen ora erano vagamente piegate verso l'alto, come se mi avesse sentito.
Il gran sacerdote Neran era stato informato delle doti curative di Aureen, così che potesse fare le dovute ricerche, seppure dubitassi che avrebbe trovato risposte. ciò che aveva fatto la regina di Delthar non era mai stato registrato prima di allora.
Quando montammo in groppa ai draghi, io su Ghoranat e Alec su un esemplare azzurro più mansueto, non ci fu nemmeno bisogno di legarlo alla bestia perché non scivolasse via; non era solo la mano a essere guarita, ma aveva recuperato gran parte della forza.
Miracolo. Aureen aveva fatto un miracolo, e magari avrebbe potuto vincere la minaccia di Zelveen, se si fosse svegliata. Per questo, quando volammo sopra le distese infinite di alberi decomposti, incitai il drago a battere quelle sue enormi ali con ancor più vigore.
Avrei stretto un'alleanza con le tribù, e avrei anche ordinato che Ser Adam spedisse gli studenti dell'Accademia tra le fila dell'esercito. Nemmeno un Inverso del nostro mondo sarebbe stato escluso da quella lotta. E, una volta tutti uniti, avremmo attirato la belva fuori dalla tana.
Il cielo era uno specchio di ghiaccio e l'aria così pungente che mi lacrimarono gli occhi, ma il vento freddo li asciugò in un attimo.
Mandai un fischio ad Alec affinché notasse le capanne della tribù nascoste dalle fronde degli alberi che ancora resistevano al morbo, ma lui aveva già gli occhi puntati verso il basso. Nelle sue iridi si riflettevano le fronde ancora rigogliose e i ricordi di quei luoghi che lo avevano cresciuto. C'era speranza, rabbia e dolore. Ma non paura.
«Scendi, Ghor!» urlai per sovrastare l'ululato del vento.
«Quanta confidenza» ruggì lui di rimando. «E dimentichi sempre di chiederlo gentilmente.»
Scese in picchiata forse per farmi dispetto, e atterrò su una poltiglia grigiastra a pochi minuti di cammino dall'accampamento. Il drago azzurrò ci raggiunse un istante dopo, e il boato delle sue grosse zampe che toccavano il suolo vibrò a terra mandando il primo avvertimento del nostro arrivo alla tribù che, senz'altro, ci aveva già notati.
«Come ti senti?» domandai ad Alec, intanto che Ghoranat alle mie spalle spiccava di nuovo il volo dandosi una vigorosa spinta con le grosse zampe. Venne subito seguito dal drago azzurro.
«Sono a posto.» Portò una mano dietro alla testa, assicurandosi che dopo il volo avesse ancora l'arco e le frecce nella faretra. «Andiamo.»
Non aggiunsi altro. Lasciai che facesse strada tra gli arbusti mezzo mangiati dal marciume di Zelveen, i quali ci pendevano molli sulle teste. Era difficile camminare su quello schifo di terreno melmoso, soprattutto a causa della puzza. Ma in poco ci ritrovammo al confine del villaggio.
Decine e decine di casupole di fango, grandi fuochi intorno ai quali si radunavano uomini e donne, bambini vestiti di pelli e pellicce che ci guardavano con timore e curiosità. Davanti a noi, due uomini dal capo rasato e lo sguardo duro. Ci puntavano le lance contro, pronti a usarle.
«Siamo qui per conto della regina» annunciai.
I loro occhi scuri mi passarono come al microscopio, soffermandosi sulle lame che avevo assicurate al corpo. Poi guardarono il cielo, forse in cerca dei draghi che avevano avvistato.
«È un ordine.»
«Prendiamo ordini solo da Raha. E Raha non prende ordini da nessuno, se non dagli dèi» ribatté uno di loro, mostrando i denti bianchi come perle. La punta delle loro lance brillò minacciosa alla lieve luce del giorno. Dietro di loro si era formato un piccolo gruppo.
Alec fece un passo avanti, avvicinandosi di più. «Di' a Raha che sono qui.»
A quel punto entrambi aggrottarono la fronte e lo studiarono meglio. I capelli non più rasati ma pettinati secondo le mode di Delthar, la pelle liscia per via di quei cosmetici che amava spalmarsi in faccia prima di andare a dormire, e poi gli occhi non più contornati dal khol. Anche il fisico deperito a causa della malattia, lo avevano reso una persona diversa da quella che io avevo trovato nei boschi. E da quella che loro conoscevano.
La guardia sulla destra, che aveva l'aria di essere più giovane, si fece tradire dallo stupore. Non sussultò, ma sbatté più volte le palpebre e fu quasi sul punto di inchinarsi.
Aveva perso lo scontro con Raha, ma Alec restava uno dei pretendenti al comando. A maggior ragione ora che era sopravvissuto.
La guardia più anziana sollevò il labbro, ma non per sorridere. Arricciò poi il naso e, senza distogliere lo sguardo da noi, mandò un cenno al suo compagno, il quale sgattaiolò svelto facendosi largo tra la folla.
«Ti sei dato una ripulita» commentò poi.
«Sì, ho fatto dei cambiamenti Jatan. Non si può dire lo stesso di te, eh? Ancora al fedele servizio di Raha?»
«Dovrei insorgere contro di lui come hai fatto tu?»
Alec si mise le mani in tasca in una posa rilassata. «Io non sono insorto, ho lottato per il mio diritto.»
Jatan sogghignò. «E hai perso. Sei venuto qui per lasciarci finire il lavoro?»
M'irrigidii a quelle parole, ma Alec sorrise. Non un sorriso mortificato. Un sorriso letale.
Il gruppo di donne e uomini e bambini davanti a noi si allargò per fare spazio al giovane capo col viso dipinto di rosso e una cresta di piume del medesimo colore sulla testa. Gli mancava un occhio, le palpebre si aprivano su una fossa nera e segnata in verticale da una cicatrice bianca e spessa. Molto simile al sorriso ferino che ci rivolse.
«Quale magnifica sorpresa» esordì, portando le braccia dietro alla schiena.
Indossava dei pantaloni di cuoio chiaro e un gilet abbinato, sul quale erano state dipinte in bianco e rosso delle parole in una lingua che non conoscevo, ma sospettai che si trattasse di una storia. Magari la sua, quella che narrava di come aveva quasi ucciso Alec e di come si era posato sulla testa quella corona di piume.
Alec piegò lieve il mento in cenno di rispetto, ma dalla smorfia di divertita rabbia intuii che quel gesto voleva essere canzonatorio. Poi indicò il copricapo che, a Delthar, sarebbe stato considerato singolare. «Ti dona. E anche quello.» Ora si riferiva all'occhio mancante.
Raha sghignazzò, studiando il corpo ancora macilento di Alec. «Ti danno da mangiare nel castello per femmine nel quale vivi?»
«Credo che ti piacerebbero le stanze in cui dormo. Forse quasi quanto la mia tenda che eri solito a frequentare, prima di tradire il nostro patto.»
Il capo tribù si adombrò e si lanciò intorno una veloce occhiata imbarazzata. «Non ho tradito nessun patto.»
«Ma le mia tenda l'hai frequentata, non è vero?»
La folla prese a bisbigliare. Jatan raddrizzò la schiena in imbarazzo. Imbarazzo che disse molto.
Nelle comunità che vivevano separate dal regno, non era solito che due uomini o due donne condividessero il letto. Non era né concepito né accettato. Alec non mi aveva mai riferito quel dettaglio tra loro, quel tipo di legame che avevano condiviso. Forse perché si trattava di una ferita non ancora rimarginata.
«Ho vinto la mia posizione con lealtà. Se desideri combattermi per rubarmi il comando, non devi far altro che provarci.» Sembrava deciso, ma ormai era stato smascherato e quel tentativo di superiorità si rivelò debole.
«Ti sei preso qualcosa di mio.» Dal modo in cui Alec lo disse, capii che si riferiva a qualcosa di molto più profondo di una corona di piume. «E io mi sono preso il tuo occhio. Non ho bisogno del comando della tua tribù. Non più.»
«Non c'è posto per quelli come te, qui. Vattene.»
«Per quelli come noi.»
«Non c'è mai stato nessun noi, Alec.» Raha pronunciò il suo nome, e io intuii che lo aveva fatto spesso e in centinaia di contesti e situazioni diverse. Era un nome che le sue labbra conoscevano bene.
«Non sempre sei stato di questa idea, Raha. Lo sanno gli dèi, e lo sappiamo sia tu che io.»
«Un capo vince anche di strategia. E la mia era incastrarti e dimostrare che ero io quello giusto per guidare il nostro popolo.»
Non gli credetti. E da come il gruppo alle sue spalle lo fissava, avrei potuto giurare che anche molti di loro erano del mio stesso avviso.
Alec non rispose. Ma non perché non avesse nulla da dire, tutto il contrario. Quel suo silenzio fu più rumoroso di una frana, e l'avevamo percepito tutti.
Raha assottigliò gli occhi. «Cos'è che vuoi?»
«Se sei l'uomo d'onore che giuri di essere, se davvero vuoi proteggere il tuo popolo, allora ascolta le parole dell'emissario di Delthar.» Mi lanciò un'occhiata.
Mi schiarii la voce e tirai fuori il petto. «Sono re Eden delle Terre Libere e gran generale della regina di Aureen.»
«Un re nel nostro villaggio?» mormorò una bambina, che venne subito ripresa dalla madre con uno scappellotto dietro alla testa.
«Sono qui per chiedere alleanza. Avrete senz'altro notato che il morbo di Zelveen la Traditrice...
«La Traditrice?» m'interruppe Raha. «Quella è leggenda, lei non c'entra. Questa» e raccolse una zolla d'erba ormai marcita, «è opera delle streghe.»
Mi trattenni dall'alzare gli occhi al cielo. Era risaputa l'antica faida tra le tribù interne e le megere, a causa del torto che fecero alla madre di Khalite.
«Le streghe non hanno nulla a che fare con il declino del nostro mondo. Zelveen si è liberata dalla sua prigione e minaccia di conquistarci. Tutti, anche voi.»
I bambini, a quelle parole, cominciarono a piangere.
«A che gioco state giocando?» ringhiò il capo, movendo un passo verso di noi.
«Nessun gioco. Ma la guerra è arrivata, e abbiamo bisogno di ogni aiuto possibile.»
«Noi non aiutiamo i damerini di Delthar. Non vogliamo alleanze con voi.»
«Perché?»
«Perché siamo diversi.»
Un giorno, Eden, se sarai abbastanza forte, forse riuscirai a cambiare le loro menti. Le loro, e quelle di molti altri.
Mio padre mi aveva lasciato quelle parole e tante altre in eredità. Lui credeva che un giorno avrei potuto combattere affinché le diversità non avrebbero più rappresentato un ostacolo tra le persone e i popoli.
«Siamo diversi» confermai, annuendo. «Vestiamo diversamente, crediamo in dèi diversi, mangiamo cibo diverso, abbiamo culture diverse. Ma in una cosa siamo uguali: siamo vivi. Respiriamo la stessa aria e amiamo con la stessa forza e lo stesso ardore. E crediamo nella libertà.»
«Non basta» affermò Raha, ma non sembrava tanto deciso. E nemmeno gli occhi grandi e colmi di paura delle madri che cullavano al seno i propri figli.
«È tutto ciò che abbiamo, invece. Il colore più scuro della mia pelle non ha diviso due regni, li ha uniti. Diversità non equivale necessariamente a qualcosa di sbagliato al quale dobbiamo mostrare ostilità. Può diventare un punto di forza.»
«Lotta al nostro fianco, Raha» chiese Alec. «Salva la tua gente, al palazzo c'è posto per tutti. E aiutaci a fare lo stesso con la nostra. Io, in cambio, rinuncio al mio diritto a comandare.»
A nessuno sfuggì come il mio amico non si sentisse più parte di quella tribù alla quale aveva rinunciato, e nemmeno il lampo di dolore e rimorso che si accese per un istante sul volto duro del capo.
Quando, poco più tardi, montammo in groppa ai draghi, Raha ci aveva promesso la sua forza e noi la nostra protezione all'interno delle mura di Delthar. Avrebbe chiamato a raccolta il resto delle tribù minori sparse per il territorio e le avrebbe spedite alla capitale.
Io avevo ottenuto la mia vittoria, quella che aveva predetto mio padre.
E Alec aveva conquistato la sua rivalsa. E di ciò che c'era stato tra lui e Raha non se ne parlò più.
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