59- EDEN

Zèzè diede prova di grandi abilità in quanto ladra.

Rubò la mappa ma il rischio che il re, accorgendosene, facesse sorvegliare il mare era troppo alto. Perciò Jean, con pazienza, copiò la rotta e rispedì la ragazzina nello studio del sovrano. La mappa tornò al suo posto senza che nessuno ci facesse caso, e Jean si preoccupò di fare avere la copia a chi mi avrebbe condotto alla dimora dei draghi.

Sei giorni dopo, come promesso, aprì la mia cella. Ebbi un tuffo al cuore al suono della serratura che scattava. Tra me e Aureen c'erano delle sbarre in meno. Feci un passo fuori, inebriato dalla sensazione di libertà. Zèzè quel giorno non si fece vedere. Me ne dispiacqui, mi sarebbe piaciuto salutarla. Ma a giudicare dalla cella abitata da sole ossa che continuava a visitare, immaginavo che non fosse tanto brava con gli addii.

«Sii prudente» si raccomandò Sonan, posando la fronte alle sbarre.

«Tornerò a liberarti, amico.»

Era notte fonda. Lo intuii dal raggio di luna che penetrava da una fessura alta nel muro.

«Non c'è tempo per i saluti» ci interruppe Jean bruscamente, buttandomi addosso un pastrano. «Dobbiamo andare.»

Scambiai un ultimo sguardo con il mio compagno di prigionia, il quale annuì incoraggiante, e presi un respiro profondo. «Sono pronto.»

Quei giorni di riposo mi avevano fatto bene. Non ero guarito del tutto, ma riuscii a seguire la guardia fuori dalle prigioni senza grugnire di dolore o zoppicare. C'era silenzio nel castello, tanto che dovetti fare attenzione al volume dei miei passi.

Jean si girò a controllare che ci fossi. «Stammi dietro».

Dopodiché partì spedito. Superammo diversi corridoi e riuscimmo a eludere le guardie senza dare inizio a una zuffa. Mi parve incredibile, ma dopo lunghi minuti di paura e adrenalina che pompava nelle vene, fummo fuori. Ma non ancora fuori pericolo. Eravamo all'esterno della fortezza, all'altezza di uno degli ingressi di servizio che usava la servitù durante il giorno. Il cielo era nero e coperto di tanti, minuscoli puntini luminosi. Rabbrividii per il freddo del deserto, ma l'aria sulla pelle mi fece quasi commuovere.

«Dobbiamo raggiungere i cammelli» mormorò Jean.

Lo seguii cercando di fare meno rumore possibile sul brecciolino sotto i miei piedi. Svoltammo l'angolo che portava alle stalle e...

Ci ritrovammo faccia a faccia con una guardia di pattuglia.

«Jean, cosa stai...» Poi però si accorse di me e sollevò la lancia. «Questo è tradimento!»

«No, non è affatto così» tentò lui di distrarlo, mentre gli si avvicinava. «Ho portato il prigioniero a...» prima che finisse la frase, gli si buttò addosso.

Afferrò l'asta della lunga lancia della guardia e lo strattonò. Iniziò una colluttazione che avrebbe potuto benissimo attirare l'attenzione delle altre guardie di ronda. Perciò mi feci avanti e lo colpii alla mascella con il massimo della forza. Con mia grande sorpresa, cadde a terra privo di sensi.

«Merda» imprecò Jean, portandosi le mani nei capelli. «Qui ci penso io, prendi un cammello e raggiungi il porto. Lì troverai un uomo che ti porterà alla sua barca. Non tentare di fare conversazione, è muto. Ho lasciato a lui la copia della mappa, è una persona fidata. Da lì, il destino è nelle tue mani.»

«Tu come...»

«Ho accettato il rischio quando ho infilato la chiave nella serratura» m'interruppe. «Vai.»

«Jean, grazie.»

Lui mi rivolse un accenno di sorriso. «Ho provato a convincere Icarius a non sposare tua madre, a restare fedele al suo re. Sono contento che non mi abbia dato ascolto, anche se il suo amore lo ha ucciso. Non ho mai raccontato a re Noah della famiglia che si era costruito. Non sono stato io a tradirlo e non tradirò te.»

«Tu sapevi? Eri lì al matrimonio di re Aramis?»

«Ci sarà tempo per i racconti. Ora devi andare» insistette, afferrando la guardia per le ascelle e iniziando a trascinarla via.

«Spero di rivederti.»

I nostri sguardi s'incontrarono. Una strana forma di sollievo gli accese il volto quando annuì, anche se non era tanto certo che sarebbe accaduto.

Mi girai e non mi guardai indietro nemmeno una volta.

Scelsi un cammello e salii in groppa. Spronai la bestia e partimmo, con il buio della notte come mio alleato. Vagando tra le dune che costeggiavano la città, mi lasciai il castello alle spalle. Avrei potuto percorrere le vie di Arhanat per raggiungere il porto, ma non potevo rischiare di incontrare qualche guardia. Perciò restai sempre rasente, anche se questo significava impiegare più tempo di quello che avevo a disposizione.

Quando sentii il gorgogliare dell'acqua del mare, ebbi la tentazione di tirare un sospiro di sollievo, ma non volevo cantare vittoria troppo presto. Scesi dal cammello e gli diedi una pacca sul sedere. Per natura, erano bestie capaci di ricordare anche lunghi tragitti. Sarebbe tornato a casa.

Mi strinsi nel mantello, sperando che bastasse a celare le tracce delle ferite che mi segnavano il corpo, e m'incamminai costeggiando le grandi navi che dondolavano al movimento delle onde. In fondo, prima della curvatura della caletta, c'era un uomo che mi fissava in attesa. Era tondo e calvo, e aveva lo sguardo un po' da pesce, come se i pensieri avessero l'abitudine di transitargli nella testa solo di passaggio.

«Siete voi l'amico di...» Non sapevo quanto fosse saggio fare nomi, perciò mi bloccai.

Comunque, non ce ne fu bisogno, perché lui indicò una scialuppa in acqua senza proferire parola. Prima che potessi fare domande, salì a bordo e iniziò a slegare la corda che la teneva ancorata alla riva. Balzai dentro per paura che decidesse di lasciarmi lì, e mi afferrai al bordo quando si spinse con un piede contro il muretto.

In breve fummo in mare aperto. La città era ormai solo un puntino di luce in lontananza, e cielo e mare si confondevano in un unico insieme di oscurità. La superficie dell'acqua era nera, increspata qua e là del guizzare fuori dei pesci.

Quando vidi lo spuntare della pinna di uno squalo, la cui coda colpì la chiglia, rischiai di morire d'infarto. Non un'ottima premessa, dato che stavo andando a incontrare bestie ben peggiori.

L'uomo che remava a ritmo del mio respiro agitato fischiò per attirare la mia attenzione. Lasciò un attimo il remo e indicò un punto in lontananza. Vidi le onde abbattersi contro un qualcosa di grosso che sbucava dall'acqua. Un enorme faraglione prese forma pian piano che ci avvicinavamo. La pietra nera era umida e incrostata di sale.

Era quella la dimora dei draghi.

Il vento e la paura mi avevano ovattato le orecchie. La schiuma bianca del mare scivolava sotto la chiglia della barca e ci spingeva un po' più a largo. Il mare, fino a un istante prima tranquillo e pacifico, si stava gonfiando e diventando irrequieto. L'uomo dovette aumentare la forza nelle braccia per riuscire ad avvicinarsi alla roccia.

Si appigliò a uno spuntone e vi legò intorno la corda. Dopodiché mi face un cenno con la testa, invitandomi a scendere. Non sarebbe venuto con me. Mi augurai quantomeno che mi aspettasse fuori. E che fuggisse, se le cose si fossero messe male.

«Sì, certo...» Mi asciugai i palmi sudati delle mani sui pantaloni a brandelli, e feci come mi ordinava.

Quando accese un lume e me lo porse, lo afferrai senza fare domande.

Ero scalzo, e lo scoglio affilato mi ferì le piante dei piedi. Quando mi avvicinai alla grossa apertura che portava all'interno del faraglione, sperai che i draghi non fossero interessati all'odore del sangue.

Un passo dopo l'altro, fui dentro. Grazie agli dèi avevo quella candela, senza la quale non mi sarei accorto del burrone a pochi passi dall'entrata. Barcollai un poco all'indietro e qualche sasso cadde nel vuoto. Il suono di qualcosa che finiva in acqua mi arrivò dopo molto tempo. Se fossi inciampato, la caduta sarebbe stata lunga.

«D'accordo.» Mi guardai intorno alla ricerca di una strategia, e decisi che avrei costeggiato le pareti.

Dall'altra parte c'era un corridoio naturale. Camminai con calma, attento a dove mettevo i piedi. Evitato il burrone e oltrepassato il tunnel basso che portava a una grossa caverna, una folata di vento fece spegnere la mia candela. Vento, oppure... il refolo d'aria dovuto al battito di un paio di grosse ali. Non vedevo assolutamente nulla, ma il suono che mi arrivò alle orecchie ricordava proprio quello. Sentii il cuore schizzarmi in gola.

«Sono Eden di Delthar, figlio di Icarius delle Terre Libere. E sono venuto a parlamentare con i draghi» mi annunciai, attento a non far tremare la voce.

Un basso ringhio fece vibrare l'ambiente.

«Sono venuto in pace.»

Altri battiti d'ali sopra di me. Rimasi fermo, sperando che questo mi avrebbe salvato dalle loro fauci. La paura, però, aveva stuzzicato il nucleo della mia magia, facendomi sfrigolare le mani.

Una voce profondissima e roca rimbalzò contro le pareti. «Credi tu di sembrare una minaccia?»

Dèi...

«No, io... voglio offrirvi la mia spada. La mia alleanza.» Girai su me stesso in quel buio denso cercando di capire da dove provenisse la voce.

Il drago rise. «E cosa ce ne facciamo noi della tua alleanza, Eden di Delthar figlio di Icarius?»

Mi morsi il labbro, conscio di trovarmi davanti a delle creature per nulla bendisposte.

Era passato parecchio tempo da quando avevo attinto ai miei poteri da Inverso l'ultima volta, perciò mi servì tutta la concentrazione per placare i piccoli fulmini che mi scoppiettarono nei palmi.

Un boato rischiò di mandarmi col culo per terra, quando la bestia atterrò in qualche punto davanti a me. «Vuoi forse spaventarci? Il tuo potere non è nulla in confronto al nostro fuoco.» A quelle parole, una palla di luce rossa illuminò l'ambiente, riempendo la gola del gigantesco drago nero che vidi davanti a me.

Era alto quanto dieci uomini, con grossi artigli affilati che spuntavano dalle zampe le quali, da sole, avrebbero potuto schiacciarmi e ridurmi al nulla. Le ali erano ripiegate lungo in corpo e terminavano in un aculeo dall'aria velenosa. Pupille verticali spaccavano a metà occhi gialli che mi fissavano con odio. E le zanne... be', la più piccola era comunque più lunga di una spada.

Guardai intensamente la palla di fuoco che stava per sputarmi addosso e mi costrinsi a pensare alla svelta a una soluzione. Fuggire via non era un'ipotesi: con quelle sue enormi ali dalle scaglie ruvide avrebbe potuto raggiungermi in capo al mondo. Anzi, non sarei nemmeno riuscito a uscire di lì.

«Aiutami a sconfiggere mio nonno, il re che siede sul trono delle Terre Libere. E io ti giuro che nessuno della mia stirpe verrà mai più a reclamare il tuo esercito.» Sapevo bene che era una promessa debole, ma non avevo molto da offrire.

Il drago ruggì, ma alzò la testa e scagliò la palla di fuoco verso l'altro. Fu allora che notai decine e decine di draghi appollaiati sulle sporgenze che portavano a un'apertura nella cima del faraglione, dalla quale vidi le stelle splendere nel cielo. Le bestie erano di varie dimensioni e colori, ma avevano tutte l'aria di essere pronte a farmi a brandelli. Il più grosso, quello che avevo davanti, si stava avvicinando artigliando il suolo sotto di lui.

Ingoiai saliva e terrore. Tornammo nel buio, ma giusto per poco, perché la luna si allineò all'apertura in cima alla roccia, illuminando l'ambiente di una luce chiara.

«Non temo la tua stirpe. Sono secoli che divoro i vostri primogeniti» ringhiò.

Ero da solo contro una creatura millenaria. Non avevo nemmeno un'arma con me, anche se non sarebbe comunque servita a molto. Avevo solo il mio coraggio. E forse, nemmeno tanto quello.

«Sono cresciuto a Delthar. Non conoscevo le mie origini, re Noah mi ha fatto catturare e...»

«Conosco la tua storia» tuonò lui. «Tuo nonno mi ha promesso la tua carne. Sei il primogenito che mi è stato negato. Ha detto che saresti venuto di tua spontanea volontà, e ora sei qui.» Fece schioccare la sua lingua serpentina contro l'ampio palato.

«Non sono venuto a sacrificarmi» Dei piccoli fulmini mi fecero formicolare le mani, e un tuono esplose in lontananza. «Come ti chiami?»

Il drago mi guardò sorpreso. «Tu osi fare questa domanda?»

Non potevo tirarmi più indietro, perciò feci un passo avanti. «Devo conoscere il nome di colui a cui giurerò la mia lealtà.»

Lui sembrò rifletterci, forse colpito. «Sono Ghoranat. E non ho bisogno della tua lealtà.» Da come fece scattare le fauci, fui certo che fosse sul punto di mangiarmi in un sol boccone. «Per secoli la tua specie ci ha sottomessi come fossimo cavalli. Avete sterminato i miei fratelli che abitavano le terre al di là del mare da molto prima di voi. Askarden, il guardiano che sorvegliava la prigione di Zelveen la Traditrice, è stato l'ultimo. Eravamo un popolo numeroso, ora di noi non è rimasta che qualche manciata. Ci avete resi schiavi. Ma noi draghi siamo creature millenarie, e non dimentichiamo gli sgarbi subiti.»

Tutti i draghi sopra di noi stridettero e ringhiarono. Si udì il fruscio delle ali che si spiegavano. Mi ricoprii di pelle d'oca. Ma non permisi alla paura di dominarmi.

«La Traditrice ha lasciato la sua prigione. Minaccia i cinque regni e, quando li avrà fatti marcire con i suoi poteri immondi, arriverà anche qui.»

Ghoranat soffiò come un serpente. «Tu menti.»

«Sai bene che dico la verità. Ti nascondi in questa roccia, privando te stesso e la tua razza della libertà. Ti sei rinchiuso in una prigione.»

«Come osi?» la sua voce, ora, suonò talmente forte che piccoli sassolini si staccarono dalle pareti.

«Hai divorato i miei antenati promettendo la tua alleanza, ma erano tutte menzogne, tutti stratagemmi per prenderti gioco degli umani e vendicarti degli antichi dissapori.» Erano parole pericolose, le mie. Ma non avevo più nulla da perdere.

«Ho promesso di legarmi al più coraggioso della tua dinastia, Eden figlio di Icarius. Finora mi sono stati dati in pasto solo neonati, che di eroismo ne avevano ben poco. Re Noah ha giurato che avresti donato la tua carne, dimostrando l'intrepidezza del tuo sangue.»

A quelle parole tremai di rabbia. Allargai il pastrano e lasciai che vedesse le ferite sul mio corpo. Ero una mappa di lividi e tagli. Il drago allargò le narici e annusò il sangue secco che mi ricopriva la pelle. «Sei stato ingannato, grande Ghoranat. Mio nonno mi ha torturato per settimane, in attesa che supplicassi di morire. Se avessi ceduto, non mi sarei consegnato a te per coraggio. Ma per sfinimento.»

Il drago socchiuse gli occhi ed emise un verso spaventoso. «Questa è la prova che non ci si può fidare della tua specie.» Allargò la grossa bocca e dalla gola vidi salire di nuovo una luce rossa e incandescente.

«È coraggio che pretendi? Ebbene, io sono qui davanti a te, pronto a rischiare la mia vita per ottenere la tua alleanza!»

Lui sembrò rifletterci, osservandomi con occhi in grado di vedere ogni cosa. «Tu ti offri a me?»

Fu a quel punto che capii dove mi avrebbe portato il mio destino. Con un respiro che mi svuotò i polmoni, accettai quella sorte.

«Offro a te la mia carne. Ma a patto che tu metta il tuo esercito di draghi a disposizione della mia regina, Aureen di Delthar, nella guerra che arriverà.»

Ghoranat allargò le ali, mostrandomi tutta la loro ampiezza. Erano ricoperte di buchi qua e là, insieme a cicatrici di vecchie battaglie. «Tu... ti sacrifichi per un regno straniero? Per la discendente di Bernilde, che mille anni fa liberò i draghi dell'est?»

«Delthar, ma più di tutti la sua sovrana, è la mia casa. E lascerò a loro l'eredità delle Terre Libere. Questo popolo ha bisogno di un regnante che governi con amore e fierezza.»

«Non dimentichiamo gli sgarbi, ma nemmeno gli amici» decise. «E Bernilde di Delthar è stata amica della mia specie. Accetto di aiutare la sua erede, ultimo cavaliere di draghi. Ma i patti si suggellano col sangue. Ne sei consapevole, figlio di Icarius? Io voglio il sangue della tua stirpe.»

Accarezzai il bracciale d'acciaio. Chiusi gli occhi. Ero il braccio di destro di Reen, e lei era il mio cuore. Sarei stato disposto a sacrificare qualsiasi cosa per lei. Perciò chiusi gli occhi, pronto a morire.

Per lei avrei fatto anche questo.

«Accetto.»

Il calore del fuoco fu atteso ma inaspettato.

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