DICEMBRE 1944 - PARTE PRIMA

Tra Austria e Cecoslovacchia 


Fuori nevica. Il cielo è scuro e minaccioso e il vento sferza con violenza le cime degli alberi. È difficile procedere e stiamo andando a rilento. Le strade sono per la maggior parte ghiacciate e i cumuli di neve lungo i bordi restringono la carreggiata rendendo la nostra marcia lenta e faticosa. Siamo partiti dalle miniere di Altaussee solo da un giorno, eppure stiamo giungendo a Linz solo adesso che è tarda sera. Non so se riusciremo a mantenere la tabella di marcia che ho imposto. Sembra che il tempo si sia messo contro e purtroppo il viaggio è ancora molto lungo. Sono preoccupato e non solo per noi ma anche e soprattutto per l'equipaggio degli altri camion.

Noi stiamo viaggiando lungo la via a nord attraverso l'Austria e la Cecoslovacchia passando per Praga, un territorio relativamente semplice, ma gli altri dovranno puntare su Vienna, e la Slovacchia e temo rappresaglie nemiche. Quando siamo partiti da Altaussee ho ritenuto che fosse più prudente separare la colonna di camion in modo da confonderci tra gli automezzi tedeschi in ritirata, ma adesso sto dubitando della mia scelta.

L'atmosfera è tesa e anche se nessuno dei soldati che mi accompagna conosce l'esatto contenuto della casse che trasportiamo, credo che lo sospettino. In ogni caso sono sicuro che non parleranno neppure se dovessero essere catturati. Sono tutti fedeli uomini del Reich, da me selezionati. Otto Bauer, Fritz Goring, Hans Felber ed Hermann Cramer.

Osservo il panorama di fronte a me mentre proseguiamo arrancando lunga una strada fangosa e dissestata. Da quando siamo partiti ho notato diversi camion in fuga verso nord e anche se nessuno di noi ha detto una parola, so per certo che questo ha creato ulteriore malumore.

La sconfitta del Reich è sempre più vicina e ormai sono in molti a pensare che la ritirata sia la sola opzione disponibile.

E pensare che l'Austria era destinata a diventare parte della Germania!

Ricordo molto bene quando il 12 marzo del 1938 il plebiscito per l'annessione del territorio al Reich fu accolto con la stragrande maggioranza dei SI. L'entusiasmo che animava le strade di quei paesi lo si poteva quasi toccare con mano e quando Hitler fece il suo ingresso a Vienna venne accolto in un tripudio di applausi. Io ero là e non posso dimenticarlo, ma adesso la situazione è ben diversa. Le strade sono deserte, gli edifici distrutti, le città semi abbandonate. Il malcontento serpeggia come un veleno e la popolazione non vede l'ora che la guerra finisca. Dopo l'attacco all'Unione Sovietica di tre anni fa e la disfatta tedesca a Stalingrado del febbraio dello scorso anno, lo scetticismo regna sovrano. Ma come dar loro torto? Io però continuo a nutrire una forte speranza nel Führer ed è per questo che ho accettato senza riserve la missione, ma devo dire che è molto difficile rimanere saldo nei propri principi quando tutto intorno il mondo sta crollando, pezzo dopo pezzo.

Un sobbalzò delle ruote sul selciato mi riporta alla cruda realtà. Mi sto rendendo sempre più conto che siamo quasi stranieri in un territorio un tempo alleato. Ogni minuto che passa è un minuto guadagnato verso il nostro obiettivo, ma il pericolo è in agguato come una belva feroce. La contraerea nemica sorvola incessantemente i cieli e il rumore sordo dei loro motori ci accompagna notte e giorno, intervallato dal frastuono delle bombe sganciate sui centri abitati.

Tutto ciò che ci circonda è stato trasformato in una landa desolata e triste. Il popolo è ridotto in miseria, i generi alimentari razionati e anche noi abbiamo faticato a trovare cibo.

Stiamo entrando a Linz.

***

Anche stasera dovremo dormire a bordo del camion. Non ci sono molte alternative e non posso permettere che qualcuno salga a bordo durante la notte approfittando del buio. È troppo rischioso fermarsi in città, per cui ho preferito trovare un luogo appartato, vicino a un bosco, accanto a diverse vie di fuga, stabilendo dei turni di guardia, ogni due ore.

Adesso sono le tre di notte.

Otto Bauer sta facendo il primo turno, mentre gli altri cercano di riposare. Anche io dovrei farlo, ma il sonno tarda ad arrivare. Ho le dita intirizzite dal freddo così come tutto il corpo, per cui afferro una coperta sudicia e me la avvolgo intorno alla vita nella speranza di ottenere un po' di calore.

Fuori non c'è nessuno. Il silenzio è rotto soltanto dal sibilo acuto del vento, dai rumori degli aerei e dalle esplosioni che ogni tanto infiammano la notte scura. Ho paura che la missione finisca prima del previsto, ma devo tenere duro. Hitler conta su di me e non voglio deluderlo. Scaccio quindi quei funesti pensieri dirottandoli su qualcosa di più sereno e mi ritrovo ancora una volta a ragionare sul fatto che ciò che si trova dentro al camion rappresenta una parte cospicua dell'eredità del Reich: ci sono quadri famosi, scritti di autori e storici tedeschi cari a Hitler, una parte della sua biblioteca privata, opere d'arte e perfino sculture. Poi rifletto al sito di accoglienza, immaginandomi non solo come dovrà essere enorme per riuscire a contenere tutto ciò che stiamo trasportando, ma anche a come lo avrà organizzato il Corvo. Sono ansioso di conoscerlo così come di mettere la parola fine al progetto Isola dei Morti.

Un boato vicino mi fa sobbalzare.

Esco di corsa dal camion e osservo in lontananza l'ennesimo bagliore rossastro che s'innalza verso il cielo mentre volute di fumo sembrano pennellate grige su una tela nera. Il ronzio degli arei non se ne va via. Nuvole di vapore escono dal mio naso a ogni respiro, mentre batto i piedi per terra per riattivare la circolazione.

«Comandante!» Bauer mi si avvicina. «C'è stata un'incursione a pochi chilometri da qui. Ho mandato Goring a controllare, ma temo che la strada sia diventata inagibile. Forse faremmo meglio a cambiare rotta.»

Annuisco. «Raduna gli altri. Partiamo subito. Qui non è più sicuro.»

Mezz'ora più tardi il camion riprende la sua lenta marcia verso nord. Altre esplosioni squarciano la notte, illuminando quasi a giorno i dintorni di Linz. Giungiamo fra strade dissestate nei pressi del Danubio, ma ci troviamo di fronte uno spettacolo devastante. Il ponte è stato colpito in più punti ed è crollato lasciando solo una piccola porzione a ridosso della riva opposta. I campi intorno stanno bruciando, così come alcuni alberi trasformati in enormi torce. Nell'aria si sente un forte odore di carbone.

Da sinistra arrivano dei colpi di mitraglia.

«Goring, Bauer, coprite la ritirata» ordino gridando. «Ci vediamo all'imbocco della strada un chilometro più a nord» poi mi rivolgo a Cramer. «Torniamo indietro, aggireremo la città da ovest.»

Mentre il camion riprende la marcia, Hans Felber si apposta fra le casse nel retro, pronto a far fuoco a chiunque si avvicini. Non so chi ci stia sparando, ma non mi pare un'offensiva degli alleati, forse più uno spaurito gruppo di soldati della resistenza. In ogni caso da lì sarebbe impossibile procedere, quindi non ci sono alternative.

Abbiamo appena percorso trecento metri che un sibilo sordo e un tonfo sul terreno mi fanno capire che un proiettile deve aver colpito una gomma. Il camion affonda nel terreno fangoso e il motore gira a vuoto.

Ci siamo impantanati.

Fuori gli spari s'intensificano.

***

«Felber!» grido scendendo dal camion. «Occupati della ruota, svelto. Ti copro io.»

Mi muovo verso il retro tenendomi al riparo del telone e salgo a bordo. Apro una della casse più piccole dove ho fatto nascondere diverse granate. Ne afferro tre, poi ridiscendo e mi porto rapido a ridosso del muso del camion.

Sento ancora gli spari, ma con minore intensità. Forse Otto e Fritz hanno fatto fuori alcuni nemici. Mi azzardo a sbirciare e fra i bagliori dei bombardamenti, scorgo un paio di figure che, schiena bassa e fucili in avanti, stanno correndo lungo il margine del fiume, puntando nella nostra direzione. Sono a circa cento metri in rapido avvicinamento. Attendo ancora qualche istante, poi tolgo la spoletta e lancio la prima granata, nascondendomi veloce sotto al pianale.

Un boato mi arriva alle orecchie mentre terra e fango schizzano in aria mischiandosi ai fiocchi di neve. Osservo, ma dei due uomini non c'è più traccia. «A che punto siamo?» grido a Felber.

«Ho bisogno di più tempo!»

Esco allora da sotto e mi avvicino un po' di più al piccolo boschetto che sorge sulle rive del Danubio, strisciando sul terreno fangoso. È da là che ho sentito provenire i primi spari. Adesso stanno bruciando più alberi e la luce è quasi accecante. Il vento porta il fumo e l'odore acre verso di noi. Tossisco e mi alzo il bavero della giacca per evitare di respirare quell'aria mefitica.

Punto lo sguardo in avanti.

C'è del movimento, ma Goring e Bauer stanno gestendo bene la situazione. Senza alzarmi grido nella loro direzione di battere in ritirata al mio segnale, poi striscio indietro portandomi di nuovo accanto al camion.

Fa freddo e quella dannata neve non accenna a diminuire. Sto per rimontare a bordo quando scivolo su un sasso bagnato e cado a terra. In quel momento uno sparo echeggia sopra la mia testa e il proiettile si conficca nella lamiera del camion. Mi getto d'istinto sotto mentre altri spari schizzano sulla neve a pochi passi da me. Poi sento Cramer aprire il finestrino e sparare una raffica di mitra verso nord. Un urlo mi rassicura sul fatto che il cecchino è stato ucciso.

Sto tremando, ma non mi azzardo ancora a uscire. Stringo al petto le altre due granate, pronto a usarle.

«Comandante» urla Hermann. «Salga a bordo, svelto!»

Attendo ancora qualche istante, poi sgattaiolo fuori e monto sul camion.

Nella notte cala il silenzio. Rimaniamo in guardia per un'altra mezz'ora, ma non si sentono più spari. Solo un paio di esplosioni a nord segnalano che il raid aereo si sta spostando. Quando poi la voce di Felber ci informa che la ruota è stata sostituita, lancio il segnale a Otto e Fritz mentre sento Hermann mettere in moto.

Dieci minuti più tardi siamo tutti sani e salvi a bordo e ci dirigiamo verso ovest nel tentativo di arginare la città e le sue rovine.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top