Prologo (parte 3)
Era così facile perdersi nei ricordi che aveva collezionato e mentre la sua mente pensava a tutto ciò, tutt'ad un tratto si ritrovò nel negozio. Aveva sceso qualche piano di scale ed eccolo lì, appena dopo l'uscio del suo luogo preferito, dopo casa sua naturalmente, a fissare una signora sull'ottantina, che portava intorno al collo un monile di perle bianche e si vestiva quasi come due secoli prima e aveva il passo e il portamento di una nobildonna dei tempi andati con i capelli ingrigiti dal tempo.
Sene stava così, ferma, quasi immobile e in silenzio. Nemmeno un'espressione le attraversava il volto solenne, ancora rotondo, nonostante l'età e nonostante non fosse in carne, anzi.
Fabio, il proprietario, un uomo mingherlino sulla cinquantina con la testa completamente rasata e due sopracciglia spesse che gli facevano uno sguardo da gufo, gli venne incontro, mimando uno scusa con le labbra per averlo disturbo nel suo unico giorno di riposo.
«Charles...ricordi la signora...».
«Nora, mi chiami soltanto Nora» l'interruppe la signora restando lì impalata, quasi fosse stata una statua di cera appartenente al negozio stesso.
Charles stava per fare segno di no con la testa al suo capo, anche se un portamento simile sicuramente si distingueva dai soliti comportamenti.
Vedendo che non gli rispondeva, il proprietario continuò «La signora ti cercava».
Quelle poche parole spiazzarono Charles. Aveva imparato a sue spese a diventare come un'ombra nel tempo e da molto nessuno lo "cercava". All'inizio non ci aveva quasi dato peso, pensando si trattasse di qualcuno con cui aveva stretto amicizia.
Gli occhi chiari, quasi grigi, dell'anziana si spostarono in quelli di lui. Poi le sue gambe ebbero un guizzo e gli si avvicinò.
«Sono la nonna di Luce» gli sussurrò. L'odore di menta e rosmarino dei suoi capelli lo investì. Era forte ed ebbe quasi l'istinto di starnutire. Ma si concentrò.
Luce... Quel nome lo colpì, quasi come se la signora lo avesse appena schiaffeggiato.
Si ricordò allora di avere già visto quella donna e forse indossava per l'occasione lo stesso vestito color prugna che indossava ora. Lui non aveva fatto molto caso a lei, si era limitato a portare a spasso per il negozio la bambina che l'accompagnava e che possedeva quel nome tanto particolare.
Lo aveva riempito di domande, con gli occhi vispi e pieni di curiosità, dicendo che quel posto odorava di polvere e mistero. Alla fine la signora Nora aveva comprato un sacco di lampade e altre cianfrusaglie, tutta contenta di aver scovato un piccolo "tesoro fuori dalle mappe" come aveva definito il negozio.
Come mai però questa volta la signora aveva uno sguardo triste? Solo le preoccupazioni e gli acciacchi legati all'età? O c'era qualcosa di più? Luce? Le era successo qualcosa?
Come mai adesso si preoccupava di una bambina che conosceva a malapena?
La donna si voltò a ringraziare il proprietario del "tesoro" per avergli portato Charles e poi si risolve di nuovo a lui con fare piuttosto cospiratorio.
«Dobbiamo andare, non c'è più tempo» gli disse, afferrandolo per la manica e costringendolo ad uscire nel negozio, mentre tirava fuori dalla borsa un cellulare che stonava così tanto con la sua figura elegante e i capelli cotonati. In un battibaleno stava già chiamando un taxi.
«Non fare troppe domande. Non c'è abbastanza tempo e ti devi fidare di me» gli concesse di sapere, mentre il telefono squillava.
Charles si portò la mano al fianco, dove un tempo, sapeva trovarsi la sua fidata compagna. Peccato che l'elsa della sciabola era ormai soltanto un lontano ricordo. Uno spettro, proprio come il suo sguardo, che mentre la signora dava le informazioni al tassista che sarebbe venuto a prenderli per condurli dove? Non lo sapeva, si era fissato dall'altro lato della strada, dove una giovane coppietta di ragazzi si stava baciando seduti ad una panchina piena di scritte, sotto una cupola gialla e rossiccia di foglie autunnali.
Avrebbe voluto chiedere alla nonna di quella bambina dove stavano andando e che cosa voleva da lui. Un brivido gli percorse la schiena come se fosse avesse potuto percepire il suo segreto. Ma era stato bravo. Lo aveva sempre tenuto nascosto.
La sua lingua era incollata al palato e quando la signora lo guardò di nuovo, si staccò con un leggero schiocco.
«Mi permetta solo una domanda. Per cosa non c'è più tempo?».
«Speravo non accadesse mai. Non a lei, non alla mia adorata nipotina» gli rispose invece, coprendosi il volto con le mani.
Charles tentennò. «Non mi dica che è...». La voce gli tremava. Quella possibilità gli aggrovigliò lo stomaco come se fosse un nido di serpenti che si stringevano l'uno sull'altro.
Nora sollevò le mani come se stesse pregando. «Per carità... cosa vai a pensare? Ha solo dieci anni e tutta la vita davanti». Chiuse la bocca con un'espressione secca e contrariata.
«Mi...mi scusi» si affrettò a dirle, mentre la faccenda si faceva sempre più strana.
Mala donna fece finta di non sentirlo. «Tu sei il mio piano B» mormorò poi per poi sbracciarsi e farsi notare dal taxi che aveva appena superato l'incrocio.
Charles si passò una mano nei capelli, scompigliandoseli, sempre più a disagio. Forse avrebbe potuto inventarsi una scusa per scappare. Magari che aveva lasciato il gas acceso o che non poteva lasciare Fabio da solo al negozio.
Ma la verità era che lui non voleva scappare. Anzi, qualcosa gli impediva di farlo e nonostante le parole di quella signora gli mettessero un po' d'ansia, il pensiero di poter rivedere quella bambina riempiva tutta la sua anima di un calore particolare quanto il suo nome. Nora si infilò nel taxi con la stessa agilità scattante di un furetto e batté il palmo sul sedile accanto a sé per invitarlo a seguirla.
«Stammi a sentire» cominciò, vedendo che Charles non si azzardava a muoversi. «Io so chi sei e adesso ho bisogno che tu mi segua. Per Luce».
Bastarono quelle poche parole per mettere in movimento i suoi piedi, che come animati da una forza lo condussero nell'abitacolo della vettura.
Il conducente mormorò qualcosa seccato, ma lo disse a voce così bassa che né Nora né Charles riuscirono a capire se li aveva insultati.
«Chi sono?» decise di sfidarla indossando la sua aria spavalda e sicura di sé, certo che quella donna nascondesse qualcosa ma non sapesse davvero il suo segreto.
«Guascone» rispose soltanto la signora facendo spallucce e rispondendo subito dopo al conducente sulla direzione in cui sarebbe dovuto andare.
Charles sbatté le palpebre. Non riusciva a crederci. Come faceva la nonna di una bambina dall'aria simpatica a conoscere il suo segreto?
Sembrava una parola in codice, un sussurro che si era perso ben presto nell'abitacolo di quello stupido taxi.
«Dove stiamo andando?» chiese dopo un po', mentre ancora si fissava la punta delle scarpe con mille domande in testa.
«Avevo detto che dovevi fidarti di me. Beh... dovrai farlo, a partire da ora» gli rispose Nora con la sua solita aria austera.
Charles invece non riusciva a crederci. Forse si era soltanto appisolato sul divano mentre giocava, perché quel gioco in realtà si era rivelato noioso e tutto quello che stava vivendo era soltanto frutto di un sogno.
Doveva esserlo, perché altrimenti non riusciva a spiegarsi come mai quella donna sapesse chi era. Un'ipotesi malsana gli viaggiò per la mente.
O forse lo sapeva perché era proprio come lui. Ma lui finora non aveva mai incontrato nessuno con il suo stesso dono.
Gli venne da ridere, ma si trattenne. Se ci fosse stato il suo vecchio amico Athos sicuramente gli avrebbe suggerito di mantenere la calma e forse di allacciarsi la cintura di sicurezza.
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