IL SENSO GRAVITAZIONALE CHE NON C'È (parte terza)

La stanza è mansardata e tinteggiata di una calda tonalità crema, sul lato destro è posato un divano in pelle dalle dimensioni ridotte sopra il quale si apre una minuscola finestra da tetto. La luce proveniente dal rettangolo di vetro convoglia tutta sulla superficie di un tavolino da caffè. Il letto invoglia a distendere il corpo sopra le lenzuola pulite, e il mare, che domina il panorama oltre la ringhiera del terrazzino, sembra voler spiare nell'intimità della stanza. Mi sento fuori luogo, mi sento complice di un misfatto volgare e sbagliato; io e Gabriel ci siamo rintanati come due criminali in una camera d'albergo per sentirci liberi di esprimere il desiderio che nutriamo l'uno nei confronti dell'altra.

Resto in piedi accanto alla porta a scrutare il viso disteso di Gabriel, i suoi occhi mi studiano per capire quale sarà la prossima mossa da fare pur di non apparire precipitoso nelle intenzioni.

Mi dirigo verso il divano, occupandone un angolo, avverto un leggero senso di debolezza alle gambe e d'improvviso vengo sopraffatta dall'ansia e dalla confusione.

Gabriel tira giù la zip della sua felpa e la sfila, adagiandola ordinatamente sullo schienale di una poltroncina. L'osservo in ogni angolazione, in ogni singolo movimento cercando di comprendere quale caratteristica di lui annulli il mio raziocinio rendendomi incauta e precipitosa. C'è una forza gravitazionale che mi spinge verso di lui, un istinto oscuro, sconosciuto e pericoloso che mi trasforma in un essere irragionevole e sconsiderato. Non sarò mai in grado di domare la cocciutaggine e la perseveranza di Gabriel.

Mi alzo di nuovo in preda all'angoscia e ai sensi di colpa che iniziano a stratificarsi uno sopra all'altro sulla mia coscienza, gironzolo per la stanza provando a concentrare i pensieri sui motivi che mi hanno condotta fin qui. I ragionamenti non fanno che rimandarmi a Flavio, alla sua assenza, alla sua mancanza, al timore di una sua nuova vita che escluda me, al pensiero che il giorno in cui tornerà a Milano potrebbe trovare una donna che non desidera più, che non ama come prima. Queste riflessioni non fanno altro che rendermi tormentata e maledettamente fragile. Sento addosso gli occhi di Gabriel come fossero un vestito impossibile da sfilare via, mi sta concedendo del tempo, il nostro è un silenzioso armistizio che terminerà di qui a poco.

Poso la fronte contro il muro, esausta dalle tante congetture. Ciò che desidero è svegliarmi da questo sogno tanto bello quanto pericoloso, ma non vengo accontentata. Le mani di Gabriel, all'improvviso, iniziano il lento processo di alterazione dei miei processi mentali.

Mi obbliga a voltarmi incastrandomi contro il muro, non riesco a capire quale sia l'espressione disegnata sul mio viso, ma non ha alcuna importanza, qualunque faccia io stia facendo non convincerà Gabriel a desistere. Apre il palmo della mano all'altezza delle mie clavicole, con l'indice e il medio posati sul collo a disegnare una v, il suo pollice preme leggermente alla base del collo e so per certo che Gabriel riesce a percepire da questo punto i battiti accelerati del mio cuore. Nella posizione in cui mi trovo, con le spalle al muro, non posso sottrarmi al suo sguardo saturo di ogni genere di desiderio.

«Non guardarmi così, Giù...» dice avvicinandosi alle mie labbra.

Non riesco a rispondere, forse non posso rispondere, probabilmente non voglio rispondere. Con il dito scende lungo il centro del mio petto, si aggrappa a un lembo della maglietta e mi tira vero di sé. Ho paura che la stoffa si laceri sotto le sue dita. Quella mano forte ed esperta scende ancora più giù, solleva il morbido cotone della t-shirt e mi obbliga ad alzare le braccia per disfarmi del tessuto che rende l'accesso alla mia pelle ancora limitato.

Si fionda con la sua bocca sulla mia in maniera diversa da prima, non è più necessario ostentare tenerezza, quello che c'è tra noi è un fiammifero che sta prendendo fuoco, incendiando ogni cosa.

Sposta con frenesia la mia gonna e insinua le mani oltre il limite in grado di consentire al mio raziocinio di continuare una qualsiasi attività di resistenza. Mugolo qualcosa di incomprensibile, ma Gabriel non dà peso a quel suono sfiatato e continua, slacciando le maniche del giubbino di jeans che ho legato sopra i fianchi. Sento il tintinnio metallico della cerniera che tocca il pavimento.

Il mare cristallino ci spia oltre la finestra della stanza, per un istante mi perdo nel suo immenso blu, ma non appena la bocca voluttuosa di Gabriel avvolge la mia, torno a reagire mossa da una pulsione ancestrale e ingovernabile. Aiuto Gabriel a togliere via la polo e, il contatto diretto con la sua pelle mi fa girare la testa, vengo invasa dal profumo del suo corpo, un profumo immutato nel tempo, un odore che riporta a galla ricordi lontani.

Incoraggiato dai miei movimenti, si avventa sui seni come un avvoltoio, afferrandoli e racchiudendoli nei palmi delle mani.

Sono alla sua mercé.

Le mie dita scivolano dietro la sua nuca, intrecciandosi ai suoi capelli, mi aggrappo a essi con forza causando in Gabriel l'emissione soffocata di un lamento. Per un istante provo un'inebriante sensazione di riscatto, come se mi stessi rimpadronendo di qualcosa che mi è stato tolto ingiustamente.

Sotto il tocco deciso delle sue mani la gonna si abbassa e scivola a terra. Sento il fiato caldo di Gabriel tra le cosce mentre le sue labbra mi sfiorano l'inguine. In questa manciata di secondi, in bilico tra l'oblio del piacere e la cocente consapevolezza di aver oltrepassato il limite che dovrebbe impormi fedeltà e lealtà verso Flavio, sento vibrare ogni atomo del mio corpo. Un bruciore intenso che dal petto si propaga come un incendio fino al ventre.

Oh, se solo potessi fermarmi, se solo possedessi un briciolo di volontà in più, potrei tentare di scappare dalle sue braccia che mi tengono prigioniera.

La sua pelle calda, liscia e invitante.

I suoi capelli folti nei quali adoro affondare le dita.

Il suo addome disegnato con minuzia.

I suoi respiri corti e veloci, li sento sopra la mia pancia mentre risale implacabile a conquistare ogni angolo di me.

Mi aggrappo con le gambe alla sua vita mentre le mani di Gabriel si posano sotto i glutei per impedirmi di scivolare. Cammina svelto fino al letto e mi abbandona sulle candide lenzuola. Con frenesia sbottona il pantalone e se ne disfa. Disegno qualcosa con le mie dita sopra le sue cosce, lui mi apre le gambe e si posiziona in mezzo. In questo preciso istante mi rendo conto di non appartenere più a me stessa, Gabriel mi ha trascinata nel suo mondo paradisiaco, lo stesso mondo che anni fa mi ha sedotto e poi abbandonato. L'universo in cui si può provare amore sconfinato e dolore, perdono e rabbia, ordine e caos. Gabriel è il caos, Gabriel è un buco nero nel quale, una volta entrata, sarà difficile uscirne.

«Sei di nuovo mia, Giù» pronuncia guardandomi estasiato.

Sono di nuovo sua, ma credo che una parte di me lo sia sempre stata, sia sempre appartenuta a lui, nonostante tutto.

Gli lecco le labbra, poi le mordo per non permettergli più di parlare, lui sorride, convinto che nulla possa impedirgli di entrare dentro di me. Cammina con i polpastrelli intorno al profilo delle mie labbra insinuando l'indice nella mia bocca, poi esce fuori e, a poco a poco, scende giù costringendomi a una lenta e lussuriosa tortura. Raggiunge il mio slip, e quando le sue dita provano a introdursi sotto di esso, qualcosa dentro di me si rompe. Nonostante la libido sia letteralmente fuori dal mio controllo, come un incantesimo che si esaurisce, torno alla realtà.

Blocco con decisione la mano di Gabriel che ha quasi raggiunto la parte più intima di me, spalanco gli occhi e urlo: «No!».

La magia si frantuma come una cascata di vetri rotti.

Gabriel si immobilizza, ha l'espressione sconvolta e sofferente, di certo la sua mascolinità è stata messa a dura prova.

«Che succede?» chiede ansimante. Prova ad avvicinarsi cautamente ma gli sfuggo di lato, scivolando via come un serpente. Scappo in bagno e mi chiudo a chiave. Tolgo quel poco che ancora mi resta addosso, apro l'acqua calda della doccia e afferro una delle boccette di bagno schiuma posate sopra il ripiano del lavello.

Sento bussare alla porta.

«Giù, aprimi. Giù, che succede?»

Ignoro il richiamo di Gabriel, mi butto sotto il violento getto d'acqua e piango, piango singhiozzando disperata, piango fino a non sentire più forza nelle gambe, mi appoggio sopra il freddo mosaico della parete e scivolo in basso fino a toccare la ceramica del piatto doccia. Resto per tempo indefinito in quella posizione mentre Gabriel continua a chiamarmi e a sbattere pugni contro la porta. Non appena riacquisto un po' di forze, svuoto il contenuto del bagnoschiuma sul palmo della mano e comincio a strofinarmi la pelle, insistendo nei punti in cui Gabriel mi ha toccata.

Quando esco dal bagno il volto di Gabriel è una maschera di delusione e nervosismo. Recupero velocemente tutti i miei indumenti seminati per terra e mi rivesto.

«Scusami» balbetto senza neppure riuscire a guardarlo negli occhi. «Possiamo andare via?» chiedo imbarazzata, come se fossi stata io la sola a commettere il peccato.

Lo sento avvicinarsi. Mi posa le mani sulle spalle mentre sto armeggiando con la gonna. Sussulto. Mi alza il mento costringendomi a guardarlo.

«Non devi scusarti, Giù. Non vorrei mai vederti fare una cosa che non desideri. Anche se non ci credi, io ho rispetto per te.»

Si riveste velocemente anche lui e abbandoniamo la stanza; una volta raggiunta la hall mi sento in difficoltà al pensiero che la receptionist possa pensare chissà cosa di me e Gabriel. Mentre lui paga il conto e ritira i documenti, io mi rifugio all'esterno e resto a contemplare il mare e a chiedermi con quale coraggio, d'ora in poi, potrò rispecchiarmi negli occhi di Flavio.




Spero di non essere precipitata nella volgarità.

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