Epilogo.
Giorno 2
Oggi, come ieri, Henri mi ha chiamato più volte ma non ho mai risposto.
Gli avevo detto che non lo avrei fatto. Non abbiamo nient'altro da dirci, mi sembra tutto abbastanza chiaro. Quel bacio non cambia niente. Era un bacio d'addio.
Le cose che non vanno bisogna lasciarle andare.
Giorno 5
Il telefono ha preso a squillare nel cuore della notte facendomi venire un infarto e svegliando anche zia Katie e Ashley.
Mia zia, insospettita, ha passato la mattinata a farmi il terzo grado sulle chiamate ricevute nei giorni scorsi e su quella che l'ha svegliata così ho dovuto inventare la balla di un call-center indiano che mi tartassa per rifilarmi delle offerte telefoniche. A fatica ho represso l'istinto di mandare a Henri un messaggio di insulti.
Ora ho il cellulare in modalità vibrazione permanente.
Giorno 7
Ho perso il conto di quante volte ha vibrato il telefono. Ogni volta ho guardato lo schermo illuminato con la lettera H al centro e sono rimasta immobile finché non è tornato nero.
Giorno 8
Henri non ha chiamato. Non che avessi intenzione di rispondere ma, visto che negli scorsi sette giorni non ha mai mancato di telefonarmi almeno mille volte al giorno, mi sono preoccupata e ho temuto gli fosse successo qualcosa.
Poi, ho visto dei video del loro concerto tenutosi poche ore prima e ho capito che era tutto a posto. A dirla tutta, Henri mi sembrava un po' meno allegro del solito ma probabilmente è stata solo una mia impressione.
No, non sto pensando a lui, ho solo notato l'assenza improvvisa di chiamate. Era impossibile non notarla.
Probabilmente è stato solo molto impegnato e mi richiamerà domani. Ma tanto io non risponderò.
Giorno 14
Ancora nessuna telefonata né messaggio o post sui social. Henri sembra quasi sparito dalla faccia della Terra. Mi chiedo cosa possa aver causato questo cambiamento repentino.
Potrebbe essere di nuovo in vacanza con Krystal... no, non è possibile, il gruppo è ancora in tour. Però magari lei l'ha raggiunto e ha deciso di seguirlo per stare un po' insieme.
Non sono affari miei, comunque, lui può stare con chi vuole.
Solo, non capisco perché mettere in piedi tutto il percorso a tappe, aspettarmi nel vicolo, minacciarmi di riempirmi di telefonate per il resto dei miei giorni e poi sparire dopo appena una settimana.
Forse sono solo un capriccio per lui, un giocattolino vecchio con cui gli torna voglia di giocare solo quando, di tanto in tanto, lo rivede per sbaglio in fondo ad un cassetto per poi stancarsene pochi secondi dopo.
Dannato Henri Byles.
Giorno 15
Continuo a colpire con la forchetta il cibo che ho nel piatto fissando un punto imprecisato del tavolino. Faccio fatica a seguire il filo logico dei miei pensieri, così, li lascio correre liberi nella mia mente come una mandria di cavalli al galoppo, senza soffermarmici troppo a lungo.
«Perché sei triste?» mi domanda all'improvviso Ashley prendendo una forchettata di riso.
«Non sono triste. Perché pensi che lo sia?»
«È da quando sei tornata che ti aggiri per casa come uno zombie, parli pochissimo e hai sempre questa faccia abbattuta e pensierosa», borbotta continuando a masticare.
«Non è vero», insisto debolmente.
«Chiamalo», dice tornando subito a prestare attenzione al suo piatto.
«Chi?»
«Il ragazzo per cui stai male», risponde come fosse scontato.
«Non capisco di cosa tu stia parlando», mento schiarendomi la voce per l'imbarazzo e la sorpresa.
«Non ti affannare a negarlo, è talmente evidente. Chiamalo e sistemate le cose», mi punta la forchetta con fare quasi minaccioso.
«Non c'è nessuno da chiamare e niente da sistemare», ribatto con freddezza e irritazione.
«Come vuoi. Continua a piangerti addosso, allora», si infila gli auricolari e con un paio di tocchi sullo schermo del cellulare fa partire la musica.
«Cos-? Io non mi piango addosso», brontolo alzando il tono della voce ma lei non ascolta, continua a dondolare la testa a tempo di musica ignorandomi.
«Cosa ascolti?» le chiedo afferrando uno dei suoi auricolari per portarlo al mio orecchio.
Il respiro mi si mozza in gola pochi secondi dopo realizzando che si tratta dei Just Us.
Henri sta urlando guarda cosa mi hai fatto, non ti lascerò mai se continui a tenermi in questo modo e un brivido mi scorre per tutta la schiena.
Non ho mai sentito questa canzone, ero convinta di conoscerle tutte. Cos'altro mi sono persa?
Ashley sembra leggere la mia frustrazione e mi spiega che si tratta del nuovo singolo estratto dall'ultimo album, uscito quattro mesi prima.
«Henri ha scritto il testo della canzone, solo lui senza nessun altro della band. L'ha chiaramente scritta pensando ad una ragazza che non riesce a dimenticare», mi informa mia cugina, senza un apparente motivo.
Sto per chiederle perché me lo stia dicendo ma mi rifiuto di credere che lei abbia capito qualcosa. E non parlerò di questo con lei.
Le ridò l'auricolare ed esco dalla cucina a passo svelto non sapendo come tenere a bada la rabbia improvvisa che mi opprime il petto.
~
Ricontrollo il cellulare per la centomilionesima volta. Nessuna notifica. Nessuna chiamata. Niente di niente.
«Annie, a cosa stai pensando, sono cinque minuti che ti chiamo!» mi rimprovera mia nonna.
A niente, a niente, non sto pensando a niente. Soprattutto, non sto pensando a nessuno.
«Che c'è?» sbuffo riponendo il telefono in tasca.
«Katie è uscita a fare delle commissioni, ho bisogno di una mano di là. C'è già la signora Pringles che aspetta alla cassa più altri clienti da servire».
Esco dal laboratorio per raggiungere il bancone in assoluto silenzio, sforzandomi di sorridere appena gli occhi gentili della signora Pringles si posano sui miei.
Dopo aver scambiato qualche chiacchiera amichevole e averla fatta pagare, raggiungo l'altro lato del bancone, dove altri clienti stanno osservando tutti i dolci oltre il vetro, indecisi su cosa portarsi a casa.
Spero che scelgano alla svelta, non sono in vena di socializzare.
Quando finalmente anche l'ultimo cliente è uscito, riprendo il cellulare. Giusto un'occhiatina per essere sicura di non aver perso niente.
Sospiro delusa. Appoggio il telefono accanto alla cassa e rimango a guardarlo.
Devo concentrarmi in qualcosa altrimenti impazzirò. Perché? Perché? Perché?
«Fissare il cellulare non servirà», commenta mia nonna passando uno straccio lungo il bancone.
«Lo so», alzo le spalle.
«Mi ricordi così tanto tua madre», le sue labbra si tendono in un sorriso malinconico.
«Davvero?»
«Quando è rientrata dall'Italia, dove ha conosciuto tuo padre, era radiosa. Non l'avevo mai vista così felice prima di quel periodo. Non c'erano i cellulari a quel tempo e le chiamate internazionali erano molto costose quindi l'unico modo che avevano per comunicare in maniera costante senza spendere un patrimonio erano le lettere. Anziché fissare uno schermo, tua madre controllava dalla finestra del salotto l'arrivo del postino. Ogni giorno si accovacciava alla cassapanca che avevamo sotto la finestra e aspettava per ore. E non importava se avesse ricevuto una lettera il giorno prima, lei si metteva alla finestra ogni singolo giorno perché diceva che le sembrava di averlo più vicino così. Lo scambio è andato avanti per mesi finché le lettere hanno smesso di arrivare improvvisamente. Dopo un paio di settimane senza notizie dall'Italia, tua madre aveva la tua stessa espressione. Aveva gli occhi spenti, proprio come i tuoi adesso».
«Cos'è successo poi?» domando incerta. Ho sempre avuto paura di fare domande sui miei genitori perché non volevo procurare ulteriore dolore a mia zia e mia nonna costringendole a rivivere e raccontare episodi del passato. Per fortuna, mia nonna non sembra turbata dalla mia curiosità.
«Lei ha cominciato a mettere da parte i soldi per tornare da lui ma tuo padre l'ha anticipata ed è venuto qui a chiederle di sposarla».
Non mi aveva mai raccontato come erano andate le cose nei dettagli. Non immaginavo che mio padre fosse così romantico, che lo fossero entrambi.
«Se non fossero morti così presto, forse non sarei così razionale e cinica, così allergica all'amore», sospiro. Me l'avrebbero insegnato loro cos'è l'amore.
«La tua non è allergia, è solo paura», replica con dolcezza.
Sì, ho paura. Paura di stare ancora male. Paura di stare troppo bene. Paura di un mondo che non mi appartiene. Paura di stravolgere la mia vita per una persona per cui non ne vale la pena.
Dio, Henri ne vale davvero la pena. Anche solo per un suo sorriso ne varrebbe la pena. Per i suoi occhi stanchi dopo una giornata intensa, per le sue dita affusolate ricoperte di anelli mentre si muovono sui riccioli morbidi incasinandoli ancora di più, per la sua capacità di capirmi senza parlare, per le sue braccia che mi stringevano forte prima di addormentarci, per i suoi bellissimi occhi che mi guardavano come fossi un panorama mozzafiato.
Cosa sto facendo?
«Io-io... devo andare», balbetto prima di affrettarmi ad uscire.
«Non ti azzardare a chiedergli di sposarti», mi urla dietro soffocando una risata.
~
Dopo quasi dodici ore di volo e altre cinque per gli spostamenti da e per gli aeroporti mi sembra di fluttuare dalla stanchezza. Non mi capacito di come riescano i ragazzi a salire e scendere dagli aerei quasi ogni giorno ed avere ancora energie per intrattenere cinquantamila persone durante i loro concerti in giro per il mondo.
Non so più che giorno sia e sto ancora cercando di realizzare di essere davvero a Bangkok. Il cielo è leggermente nuvoloso ma fa caldissimo e i vestiti mi si sono appiccicati addosso.
«Annie», mi viene incontro Lucas poco dopo aver raggiunto la reception, «sei arrivata finalmente. Ce ne hai messo di tempo».
«Già, non pensavo di trovare tutto questo traffico, è quasi peggio di Londra», ridacchio nervosa.
«Mi riferivo alla decisione di venire qui. Stavo per mandare qualcuno a rapirti», mi scruta con un'espressione che non riesco a decifrare.
«Oh, beh... Io... Non sono ancora sicura che sia la cosa giusta ma...»
«Ma siete due cretini», mi interrompe.
«Hey», pronuncio in tono di rimprovero aggrottando le sopracciglia.
«Vieni, ti accompagno da lui», sorride scuotendo la testa mentre si volta per farmi strada.
Percorriamo un lungo corridoio fino a raggiungere una porta a vetro che dà sul giardino e sulla piscina.
«È lì», indica un punto verso sinistra.
Henri è steso su una sdraio a bordo piscina. Ha un costume a pantaloncino nero e gli occhiali da sole, i capelli raccolti in una crocchia. I suoi numerosi tatuaggi sono in bella vista lì sulle braccia, sul petto, sullo stomaco, sui fianchi e a fatica riesco a distogliere lo sguardo.
«Grazie Lucas», gli sorrido debolmente tentando di tenere a bada l'agitazione. «E per la cronaca, ti ho solo chiesto il nome dell'hotel in cui avreste alloggiato e in quali giorni, non dovevi pagarmi il viaggio», lo rimprovero e lo ringrazio allo stesso tempo.
«Volevo fare qualcosa per te, dopo tutto il casino che è successo a causa mia te lo dovevo. Anche se, tecnicamente, è un po' merito mio se siete arrivati a questo punto», stringe le labbra nella sua tipica smorfia compiaciuta.
«Lo sapevo che avrei dovuto chiedere a Nick», alzo gli occhi al cielo mentre lui scoppia a ridere. «Tu vai, arrivo tra un attimo», aggiungo poi.
«Non hai intenzione di scappare, vero?» mi lancia uno sguardo severo.
«No», scuoto la testa divertita. Non dopo essere arrivata fino a qui.
Annuisce ed esce fuori mentre io mi sposto di lato accanto a quello che sembra un enorme ficus per non farmi vedere. Prendo un paio di respiri profondi e torno a sbirciare oltre il vetro.
La piscina è semplice, rettangolare, col fondo blu, circondata da una larga striscia di piastrelle bianche su cui giacciono una trentina di sdraio. Tutt'attorno si estende un ampio prato, l'erba è verdissima e tagliata in modo impeccabile.
Lucas lancia via maglietta e scarpe e si tuffa in piscina, dove Nick gli salta subito addosso. Zack è dal lato apposto, seduto sul bordo con le gambe in acqua che ridacchia mentre osserva i suoi compagni giocare come due bambini. Lake è a pochi passi dall'entrata e sta parlottando con un paio di persone che non riconosco. I loro collaboratori sono davvero tanti e non ho avuto modo di conoscerli tutti.
Torno ad osservare Henri. Ha il viso rivolto di fronte a lui ma sembra non guardare niente di preciso. Dire che è bellissimo è riduttivo.
Con piacere e sorpresa, mi accorgo che indossa ancora la mia collanina, quella che gli ho regalato tre anni fa e il mio cuore accelera ancora di più i battiti.
Appoggio la mano sulla maniglia della porta intenzionata ad aprirla. Mi prendo ancora qualche secondo per godere della meravigliosa vista.
Lo guardo afferrare il cellulare e controllarlo per pochi istanti per poi lanciarlo sulla sdraio accanto alla sua quasi con rassegnazione. Sembra molto giù di morale.
«Henri», sussurro appena come se fossi accanto a lui e volessi consolarlo.
Inaspettatamente, quasi mi avesse sentito, lui si gira verso di me.
Lì per lì sembra non accorgersi di me e il suo sguardo passa oltre ma i suoi occhi tornano subito nella mia direzione e la sua bocca si apre appena per lo stupore. Alza gli occhiali sopra la testa e sbatte le palpebre un paio di volte prima di convincersi che sono davvero io, poi si alza e comincia a correre verso di me.
Rimango immobile in quella posizione fino a quando Henri apre la porta facendola quasi sbattere contro la parete esterna, allora indietreggio per lasciarlo entrare.
Mi fissa per qualche secondo frastornato poi mi stringe in un abbraccio a cui non posso non rispondere.
Lascio che le mie mani si muovano lungo la sua schiena nuda mentre tutto il resto del mio corpo si gode il contatto con la sua pelle calda, posso sentire il suo calore attraversare la stoffa della mia maglietta.
Mi è mancato. Immensamente.
«Sei davvero qui?» pronuncia sottovoce, quasi con timore.
«Non hai più chiamato», borbotto contro la sua spalla.
«Cosa?»
«Non hai più chiamato», ripeto tenendo lo sguardo basso dopo essermi allontanata controvoglia dalle sue braccia.
«Avresti risposto se avessi continuato a chiamarti?»
«Forse», replico incerta. Henri alza un sopracciglio, per nulla convinto. «Ok, forse no, ma... Perché hai smesso di provare?»
«Ho capito che non era standoti addosso che avrei risolto le cose e che dovevo darti tempo».
«E poi», continua incurvando le spalle e mettendosi a giocherellare con gli anelli, visibilmente imbarazzato, «ho sperato che allontanandomi ti sarei mancato a tal punto da farti tornare».
«Davvero sdolcinato, Byles», non mi trattengo dal commentare lasciandomi sfuggire un sorriso. Henri si rilassa di rimando.
«Ti piaccio anche per questo», afferma fingendosi sicuro di sé guadagnandosi un mio pizzicotto di protesta.
«Quindi ha funzionato?» mi chiede speranzoso.
Altroché se ha funzionato, il tuo ignorarmi mi ha logorato per giorni sia il corpo che la mente.
«Sono qui, no?»
«Allora perché ho la sensazione che tu sia qui per dirmi addio?»
«N-non è mia intenzione...»
«Ma?»
«Ma non sono in grado di continuare come abbiamo fatto finora e se è questo quello che cerchi allora...»
«Io non cerco niente all'infuori di te», mi interrompe. Si passa una mano tra i capelli, nonostante siano legati, e prende un respiro prima di riprendere a parlare. «Senti, non posso garantirti che durerà per sempre, anche se mi auguro che sia così, però una cosa posso assicurartela: sono innamorato di te, completamente. Ho evitato di pronunciarlo o persino pensarlo perché mi terrorizzava l'idea di essere così legato a qualcuno ma poi mi sono accorto che mi spaventa molto di più perderti, è un'opzione che non posso minimamente contemplare. Sono pronto a dichiararmi in diretta nazionale se non mi credi».
Le sue parole mi fanno sussultare come lo scoppio improvviso di un petardo.
Sento un enorme calore riempirmi il petto, il mio cuore potrebbe esplodere da un momento all'altro. Se tutto dentro di me è in fermento, in totale agitazione, all'esterno rimango immobile, con la bocca leggermente spalancata, ancora incredula, quasi sotto shock.
«Annie, hai sentito cosa ho detto? Io ti amo».
Al richiamo della sua voce dannatamente bassa e sexy, un enorme sorriso mi esplode sulle labbra e, dopo avergli gettato le braccia al collo, lo stringo a me come non ho mai fatto prima, come se da questa unione dipendessero le nostre vite.
Lui ricambia con altrettanta intensità e, prendendomi per le cosce, mi tira su facendo aderire maggiormente i nostri corpi.
Affondo il viso nell'incavo del suo collo e, sommersa dalla felicità, respiro il suo profumo mentre gli accarezzo il retro del collo e le spalle.
«Ti amo anch'io», riesco finalmente a dire ad alta voce.
«Spero che tu ti sia portata dietro qualche vestito di ricambio perché non ti lascerò tornare a casa per diverse settimane».
«Ecco, in realtà ho portato solo...»
«Scusa», mi zittisce posando l'indice sulle mie labbra, «mi piacerebbe tanto restare qui a parlare con te ma ho davvero bisogno di passare la prossima ora a baciare la mia ragazza».
La mia ragazza.
Ho la gola improvvisamente secca e sento la testa girare per l'emozione. Se non fosse per le sue braccia che mi sorreggono, avrei già perso l'equilibrio.
Annuisco ripetutamente prima di raggiungere le sue labbra e lasciarmi andare completamente. Basta paranoie, basta paure. Non posso fare a meno di lui.
In un attimo il bacio si fa più intenso. Stringo ancora di più le gambe intorno ai suoi fianchi e lui rinsalda la presa sotto il mio sedere.
«Ok», si discosta di pochi millimetri facendo ripetutamente sfiorare i nostri nasi, «fammi recuperare le mie cose in piscina e andiamocene dove possiamo stare da soli, solo io e te».
«Just us», sussurro contro la sua bocca.
«Oh, al diavolo!» esclama prima di allontanarsi dalla porta del giardino tenendomi sempre in braccio e riprendendo a baciarmi.
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Eccoci giunti alla fine.
Non credo di aver davvero realizzato cosa significhi. Sono felice, triste, emozionata, un po' di tutto. Sono le due di notte, forse è anche per questo. Magari mi prendo del tempo per metabolizzare la cosa e tra qualche giorno vi faccio sapere come sto.
Ideare e scrivere questa storia è stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto in tutta la mia vita (molto più difficile di tesine, esami universitari e tesi di laurea) e sono fiera di essere riuscita a portarla a termine. Quando l'ho cominciata, molti mesi fa, questo giorno sembrava lontanissimo, non riuscivo nemmeno a visualizzarlo nella mia mente e ho temuto di non riuscire ad avere la forza necessaria per continuare a scrivere nonostante gli impegni quotidiani e gli imprevisti. Sono così felice di avercela fatta!
Ovviamente, ora seguirà un'intensa fase di revisione e so già che i primissimi capitoli verranno ritoccati molto se non addirittura stravolti ma l'amore di Annie e Henri rimarrà sempre lo stesso, tranquilli.
Ci tengo a ringraziare immensamente la mia fan n° 1 e ormai anche amica @@Juria-kun che ha speso parole bellissime nei confronti di questa storia, che ha ascoltato le mie idee folli, i miei audio un po' schizzati e che mi ha sempre incoraggiata ad andare avanti.
Ringrazio chiunque abbia avuto il coraggio e la costanza di arrivare fino a qui, sono curiosa di sapere quali sono le vostre reazioni e i vostri commenti finali.
Spero ovviamente che il finale non vi abbia delusi e che, in generale, la storia vi abbia tenuto compagnia e vi abbia fatto un po' sognare.
Grazie ancora a tutti. Tornerò appena possibile con una nuova storia e un nuovo amore.
❤️ Love always wins ❤️
Zölvia
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