5. Storia di un incosciente
Fuori dall'unica finestra della mia camera da letto si estende un piccolo terrazzo in cui possono stare cinque o sei persone in piedi. Su questo terrazzo ho sistemato una piccola scaffalatura a due piani su cui posano i vasi delle mie piantine, tredici in tutto tra cui un minuscolo salice bonsai regalo dei colleghi di lavoro per il mio venticinquesimo compleanno.
Ebbene: credevo che il mio fosse un terrazzo di tutto rispetto. Palesemente mi sbagliavo.
Quello su cui mi trovo ora rende il mio un insignificante balconcino. Si tratta davvero di una terrazza panoramica e mentre cammino al fianco di Ruben alla ricerca del padrone di casa mi guardo attorno sempre più colpito. A fianco del piccolo edificio da cui siamo usciti si trova un angolo bar con un bancone lunghissimo e protetto da una tettoia provvista di luci bianche, rosse e blu che si alternano seguendo la musica che esce da amplificatori sistemati in modo discreto ma efficace. Tavoli bassi di vimini attorniati da poltrone e divanetto color avorio sono disseminati un po' ovunque. Davanti al lato corto del bar - dietro cui una squadra di baristi fa acrobazie preparando cocktail dai colori fosforescenti - oltre a una piccola pista da ballo sormontata da una palla stroboscopica appesa in quello che sembra il nulla e invece si rivela essere un cavo sottilmente nascosto, c'è perfino una piscina.
Nonostante sia piuttosto presto, c'è già un frizzantino fermento tra gli invitati arrivati. Una bella frazione è impegnata a farsi servire da bere, altri hanno già preso posto in sparuti gruppetti per chiacchierare. C'è anche chi improvvisa un primo passo di danza.
"Eccolo là." Mi dice Ruben, sovrastando a fatica la musica. Seguo il suo indice teso e noto un uomo che sta fumando e ridendo con altri due uomini e una donna bellissima al suo fianco. È abbastanza particolare. Non tanto per la persona in sé - sembra aver appena superato la trentina, ha il mento sfuggente e i capelli biondicci - ma per come veste. Un completo tanto stravagante l'ho visto solo nei video di Bruno Mars. Sembra che stia indossando la fodera di un divano, di quelli con i decori floreali. Probabilmente quel capo sartoriale costa più di Ruben e me messi assieme.
Prima che possa rendermi conto di quello che sta succedendo, Ruben alza una mano e parte all'assalto.
"Signor Palmer!"
L'uomo alza gli occhi dalla sua sigaretta e ci guarda. È palese che non si ricordi del mio amico, vedo quasi gli ingranaggi del suo cervello mentre cercano di aggiungere mentalmente degli occhiali a quella faccia da putto. Al suo fianco i suoi amici e la bella donna ci osservano confusi. Proprio quando sto per perdere le speranze, il padrone di casa ci sorprende con un sorriso sconfinato.
"Signor Kaloosh! Che piacere rivederla, lo sa che è molto diverso senza gli occhiali?"
Ruben sorride soddisfatto e risponde: "Fortunatamente sì."
"E il suo accompagnatore non assomiglia granché alla graziosa signorina Machak."
Arrossisco e gli tendo una mano. "Jess Liang."
"Sam doveva tornare a casa, signor Palmer. Spero non le dispiaccia che io abbia invitato il mio migliore amico."
"Affatto." Ribatte il magnate, stringendomi con vigore la mano. "Anche lei lavora in campo genetico?"
"Purtroppo no."
"Meglio! Ho già avuto abbastanza testimoni dei miei peccati!" Ride, mentre fa cenno ai suoi amici di avvicinarsi. "Beh, signor Kaloosh, signor Liang, spero che la festa sia di vostro gradimento."
Lo ringraziamo e lo guardiamo tornare dai suoi accompagnatori. Fa scivolare un braccio attorno ai fianchi della donna e si allontana con loro, tornando ai suoi discorsi.
"Quella deve essere la splendida che non doveva sapere del test di paternità." Commenta Ruben, e poi sorride. "Quando avrò abbastanza soldi mi farò cucire un completo del genere."
"E io sarò lì per impedirtelo."
"Dai, facciamo un giro."
Gli invitati stanno aumentando esponenzialmente ma riusciamo comunque a circumnavigare la piscina, lanciare uno sguardo al panorama e poi cercare, trovandolo, un posto dove sederci. Il posto è bello, ma io non sono convinto.
"Ora andiamo a casa?"
"Ma ti pare?" Scatta Ruben. "Siamo qui da nemmeno mezz'ora e già ti lamenti?"
Non rispondo. Sono infastidito e lui lo sa, tanto che dopo un paio di minuti mi comunica che andrà a prendersi un drink. Lo seguo con lo sguardo e per probabilmente la settantacinquesima volta mi pento di essermi fatto trascinare in questa sgradita avventura.
Con un vago malessere frammisto a fastidio e la consapevolezza che forse sarebbe stato meglio avere uno di quei coinquilini che vengono a sapere della tua esistenza quando ci sbatti contro per occupare il bagno, recupero il cellulare e controllo a che punto è la partita. A quanto pare i Giants hanno perso, perché Serafina ha smesso di rispondere e ora l'argomento si è spostato sulla prossima torta di Jeb - Ragazzi, a Masterchef hanno fatto una red velvet. Come la trovate? - con Miranda che approva coi cuoricini e tutti gli altri che democraticamente votano. Rispondo con un Perfetta! e... tempo due secondi in chat privata compare un messaggio del mio capo.
Ma non eri a una festa?
Sì, ma mi sto annoiando.
Quando vedo che l'avviso sta scrivendo ha superato il tempo dei quindici secondi, sospiro. Cerco di anticiparla.
Sì, lo so che volevi che io mi divertissi, ma...
Vedo che lo sta scrivendo si ferma. Poi ricompare velocissimo.
Prima di tutto non tentare di evitarti la paternale, ché ho dovuto copiarla per scriverti questo.
Sorrido. Lo sapevo.
Scusa.
Serafina ricomincia a scrivere.
Hai già fatto molti passi avanti in questi anni. Tutti noi ti abbiamo dimostrato che il mondo non pullula specificatamente di signori Liang, di Leeh et similia. Come hai dato una possibilità a noi, puoi darla anche ad altre persone, non ti pare? So benissimo che è anche questione di carattere ma, cazzo, Jess! Non potrai vivere per sempre una vita a metà. Parla con la gente, cerca di interagire! La cosa più importante è che sei una persona, a prescindere dal tuo sesso.
Rileggo due o tre volte il messaggio e cerco di deglutire, inutilmente. Serafina ha ragione. Ma io non ci posso far nulla. Sono venuto perché Ruben mi ha più o meno costretto, non perché volessi partecipare a una festa né tantomeno conoscere nuove persone. Non ho bisogno di nuove persone, in fondo. Ho i miei colleghi, ho i miei amici, ho Ruben, Ben, Serafina e Stephanie. Ho abbastanza.
Qualcosa nella mia testa cerca di ricordarmi che in un modo o nell'altro anche loro una volta erano sconosciuti e che se avessi applicato la mia convinzione a quei tempi, ora sarei solo. Ma non è semplice convincere anche la parte irrazionalmente ferma sulle proprie posizioni.
Ci provo, Sef. Ma non ti prometto niente.
Serafina visualizza e non risponde subito. Quando penso che non voglia dirmi altro, aggiunge:
Nihil humani a me alienum puto. Ricordi?
Sì, me lo ricordo bene. Non riesco a non sorridere, per quanto la situazione sia scomoda.
Ricordo.
Allora mettilo in pratica. Porto Goethe a fare il giro serale. Buona festa. E smettila di stare su Whatsapp.
Serafina scompare e io mi ritrovo costretto a tornare alla mia triste posizione di annoiato ospite di una festa da ricchi. Mentre infilo il cellulare nella tasca dei pantaloni, sento uno scoppio di risa in direzione del bar e, chissà perché, quando alzo gli occhi non mi stupisco di vedere Ruben appollaiato su uno sgabello mentre intrattiene un paio di bionde signorine. So cosa vuole fare: se le sta cuocendo a fuoco lento perché da loro vuole solo una cosa.
Un selfie.
Sì, un selfie con entrambe. Un selfie che pubblicherà su Facebook e metterà come immagine Whatsapp, cosicché Tanya la veda - e riveda - con la massima probabilità di successo. Quella tra lei e Ruben è una sorta di guerra di posizione. Mi chiedo quando e se mai scoppierà il conflitto definitivo, ma dato che sono quasi tre anni che questa situazione va avanti comincio a dubitarne ampiamente.
Lo fisso e so che sul mio viso si è appena dipinta un'espressione che il mio strampalato amico ama definire di condanna materna perché la signora Kaloosh ha passato la prima metà della vita del figlio a guardarlo come lo guardo io. Cioè male. Per non dire malissimo. Ma non ci si può fare niente, Ruben se lo merita. Ho una mezza idea di alzarmi e andarmene senza di lui, tenergli il muso per un paio di settimane e minacciare di cambiare casa, quando lui scatta in piedi all'improvviso e con lui le due ragazze. Sono belle, anche se un po' costrette in vestiti troppo stretti per le loro gambe. Sotto le luci del bar i loro vestiti paillettati brillano come scaglie di pesce. Mi accorgo troppo tardi che stanno venendo nella mia direzione.
"Heilà!" Esclama vivacemente il mio amico che dovrei ribattezzare Giuda. "Jess! Ti presento le mie due amiche, Jennifer e Pamela."
"Ciaaaaaao!" Esclamano le due belle bionde, ondeggiando sui tacchi, mentre si siedono al fianco di Ruben, una per lato.
"Ciao. Piacere di conoscervi." Dico, stringendo loro la mano con la conseguenza di farle ridacchiare di più. Sono confuso: quanto hanno già bevuto?
"Jennifer e Pamela abitano qui vicino." Spiega per loro Ruben. "Sono amiche della sorella del padrone di casa."
"Heather." Ricorda quella insaccata nell'abito azzurro, mentre la sua compagna di bianco vestita annuisce e infila il viso nel bicchiere ormai quasi totalmente svuotato.
Il mio amico sembra un bambino il giorno di Natale: siede in mezzo a loro con aspetto tronfio e soddisfatto. Io, d'altro canto, mi sento assurdamente a disagio. Non so cosa dire o cosa fare, ho come l'impressione che qualsiasi cosa dica, sarà quella sbagliata.
Io. Odio. La. Socialità.
Va a finire che mentre loro chiacchierano di cose che non mi interessano affatto, io comincio ad annoiarmi. Penso che dovrei prendermi qualcosa da bere, quando la bionda in bianco afferma una cosa interessante.
"Forse dovremmo tornare dalla nostra amica. L'abbiamo lasciata da sola."
Gentile da parte tua preoccuparti, ragazza. Vedo che chi si somiglia si piglia.
Ruben avverte il pericolo di fuga delle belle pulzelle e per evitare il problema fa una mossa degna di uno scacco matto di Gasparov.
"Jess! Visto che tu non sei un tipo molto da chiacchiere di questo tipo, che ne dici di andare a farle compagnia?"
Ruben Kaloosh, sei un dannato genio del male sottoforma di pacioso ricercatore pasticcione. Ti sei appena tolto di torno il tuo amico musone e impegnato per tutta la serata con le belle tipe che hai accalappiato al bar. Genio. G. E. N. I. O.
In una situazione del genere troverei la proposta vagamente offensiva, ma il fatto è che non voglio rinunciare alla possibilità di scappare. Così decido di rimanere al gioco, abbozzo un sorriso e mi stringo nelle spalle.
"Perché no? Nell'angolo dei noiosi."
Jennifer e Pamela ridacchiano in sincronia e la prima mormora: "La nostra amica non è noiosa."
"È solo molto tranquilla." Aggiunge l'altra.
"Ed è quella seduta su quel divanetto solitario." Conclude Ruben, che non ha voglia di discutere oltre le qualità o i difetti di una persona che non sia compresa tra le due bionde. Muove un braccio e mi indica un angolino riparato dietro le sue spalle. In effetti, accoccolata su uno dei divanetti bianchi di Palmer, c'è una figurina intenta a giocherellare con una ciocca di capelli. Sembra molto impegnata nell'operazione. Sorrido.
"Vai e fai colpo, campione." Dice il mio amico, mentre io mi alzo. È una frase terribilmente da film e per un secondo vorrei rispondergli male, ma poi penso a quanto sia probabilmente triste per Tanya e ci ripenso. Mi limito a dargli un cinque, sempre secondo il copione da terrificante film americano basato sulla storia di un gruppo di adolescenti del college, e saluto in modo più educato le sue due nuove accompagnatrici. Palesemente anche loro non vedono l'ora di disfarsi di me. Tranquille, care: mi disfo da solo di me stesso.
Mentre abbandono il mio posto e mi allontano aggirando persone, poltroncine e impedimenti vari, mi domando con stolido stupore cosa io stia facendo. Mi trovo a una festa di persone che non conosco e sto andando a presentarmi volontariamente a una ragazza di cui non so nemmeno il nome. Mi sembra di osservarmi dall'esterno, in una pellicola da serie TV. Già vedo i titoli. Mi viene da sorridere al pensiero che se Stephanie fosse qui - chissà come le è andato il provino! - avrebbe forse consigliato: Trans-body to love.
Ma il divanetto bianco su cui l'amica delle due bionde ha appena smesso di torturare la ciocca di capelli è ormai a un passo di distanza.
Mi vengono in mente le parole di mio padre, mentre mi fermo dinnanzi al basso tavolo su cui sono già stati abbandonati i resti di alcuni bagordi serali in formato di bicchieri vuoti e tovaglioli sporchi, quando ho l'improvvisa sensazione di affacciarmi sull'orlo di un baratro irrimediabilmente pieno di imbarazzo.
Tu non sai mai quello che stai per fare. Sei un incosciente. Non pensi mai abbastanza alle conseguenze.
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