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"Come sarebbe a dire non farò l'audizione?!"
Donatella la guardò con espressione addolorata, come avrebbe guardato la figlia che non aveva mai avuto mentre la privava di tutto ciò che aveva sempre desiderato.
"Il tuo rendimento è calato di molto nell'ultimo mese, preferisco prevenire una delusione piuttosto che curarla".
Cassandra percepì la bile riempirle la gola. Aveva desiderato tanto fare quel provino, e una stupida slogatura alla caviglia non avrebbe potuto rovinarle la carriera.
Beh sì, una slogatura alla caviglia. Perché era stato quello, no?
Durante le prove aveva messo un piede in fallo ed era crollata sul pavimento. Come se ad un certo punto non avesse saputo più opporsi alla gravità, come se il suo equilibrio impeccabile le avesse giocato un tiro mancino. Era stato un maledetto capogiro venuto nel modo sbagliato e al momento sbagliato.
Cassandra deglutì, prima di parlare nuovamente. "Non riesco a capire che mi è preso, forse hai ragione...", Abbassò lo sguardo ferita.
E così vedeva il suo sogno svanire prima ancora di cominciare. Sognava di impersonare Clara dello Schiaccianoci da un sacco di tempo.
Si era vista con un meraviglioso tutù, eterea ed elegante, a ballare il valzer dei fiori. Lavorava per quel provino da un sacco di tempo.

Strinse i denti. Il viso di sua nonna balenò nei suoi pensieri. Nonna Sara, il motivo della sua risolutezza, la sua più grande forza.

...

Ricordò, nel suo passato, a quanto aveva tenuto a quella raccolta di favole che sua nonna le aveva regalato.

Aveva trovato in una cartoleria di Palermo quella collezione e aveva chiesto alla nonna di aiutarla a completarla.
Ad ogni Natale, ogni buon voto, ogni buona azione, corrispondeva una favola nuova. E lei leggeva. Divorava con curiosità ogni fiaba. Nonostante molti le dicessero che fosse troppo grande per leggere le favole.
L'ultimo giorno di Natale che aveva passato con Nonna Sara, a tredici anni, lei le aveva consegnato l'ultimo involucro incartato, sottile e abbellito da un grande fiocco oro.

"Promettimi che un giorno lo ballerai per me", aveva detto sua nonna con un dolce sorriso dipinto sul suo viso stanco.

Lei aveva preso il pacco tra le mani tutta contenta e sorridendo non aveva esitato a dire "Sì, nonna! Te lo prometto".

L'aveva stretta a sé inspirando a fondo il suo odore di talco profumato con cui la nonna usava sempre incipriarsi e aveva mormorato: "Grazie".
Cassandra sapeva già cosa l'avrebbe attesa all'interno di quella confezione regalo. Era la favola mancante. E da quel momento non la avrebbe aspettata altro se non leggerle tutte in compagnia di sua nonna.
Aveva aperto con impazienza la confezione, consapevole che là dentro ci fosse la favola del Principe schiaccianoci. Ed infatti eccola là, la piccola copertina dallo sfondo lilla su cui spiccavano l'austera figura di un soldatino con la mandibola sporgente stretto tra le braccia di una bambina con un grande fiocco bianco tra i capelli.
"Me la leggi, nonna?", le aveva chiesto timidamente sedendole accanto alla fine del cenone natalizio.

Lei con pazienza aveva preso tra le mani la favola che Cassandra le porgeva e aveva cominciato la lettura. La ragazzina non aveva avuto orecchie che per lei, durante tutto il tempo, nonostante il gran fracasso che in quel momento facevano i suoi fratellini.

Era stato come se nonna Sara avesse aspettato di regalarle l'ultima fiaba prima di andare via per sempre.

Quello sarebbe stato l'ultimo giorno in cui Cassandra avrebbe abbracciato sua nonna.
La sua triste dipartita era avvenuta qualche giorno dopo, mentre era comodamente seduta nella sua consueta poltrona a guardare un telegiornale.
Cassandra aveva pianto tanto, e aveva stretto ogni notte a sé l'ultima fiaba del Principe schiaccianoci, ci aveva dormito stretta, e si era fatta una tacita promessa. Sarebbe diventata la ballerina che sognava da sempre di essere, e lo avrebbe fatto per sua nonna.
Interpretare Clara sarebbe stato un riscatto.
Avrebbe impiegato tutta la sua determinazione e pazienza per raggiungere quello scopo.
Aveva preparato la coreografia per il giorno del diploma al conservatorio. Poi aveva continuato a prepararsi privatamente per cercare di accedere all'audizione del teatro Politeama della sua città, dove erano stati indetti dei provini proprio per quel ruolo che tanto agognava.

...

"Io... Per oggi torno a casa", Cassandra aveva nervosamente spostato la sua tracolla sulla spalla sinistra e aveva sciolto lo chignon con gesto rapido ed esperto.

Donatella annuì dolcemente. Le indirizzò un debole sorriso ma ottenne in cambio solo lo scarso risultato di suscitarne in lei uno molto indeciso. Nulla più.
"Ci tenterai alla prossima stagione concertistica, tesoro, non abbatterti!", tentò di rincuorarla la maestra.
La ragazza gettò verso di lei un'occhiata nervosa. Si perse per un momento a osservare le numerose rughe che solcavano il viso di Donatella. Si ritrovò a pensare che, viste controluce, sembravano molto più profonde.
Quella mappa di sorrisi, lacrime e vita vissuta, sul viso di quella donna, risvegliava in Cassandra una certa ammirazione per lei. Donatella era una donna forte, bella e indipendente, nonostante avesse perso da poco suo marito. Una donna da imitare. Ciò che anche lei, tutto sommato, avrebbe desiderato essere.
La sua storica maestra di danza, di età sfiorava i cinquanta.
Appariva come una bellezza sfiorita che nonostante l'età ostentava una cura maniacale del suo aspetto.
I lunghi capelli corvini le sfilavano il viso, e un pesante ombretto scuro era sfumato maldestramente sulle palpebre. A rifinire lo sguardo, queste ultime erano solcate da una riga molto scura di eye-liner.
Nonostante i chiari segni di una vecchiaia imminente, Donatella aveva un corpo ancora prestante. I fianchi erano pronunciati e i polpacci ben sodi per via della costante attività fisica.
Il suo fisico da ballerina e maestra di ballo, non era sfiorito del tutto con l'età.
A dirla tutta Donatella sembrava il classico tipo da: "corpo da liceo e faccia da museo".
A quel pensiero Cassandra sollevò un angolo del labbro, e quell'accenno di sorriso non sfuggì alla sua maestra di danza che colse l'occasione per riprendere la parola.
"Ti aspetto mercoledì per la consueta esercitazione", disse depositandole un affettuoso bacio sulla guancia, "al prossimo provino sbalordiremo la commissione, te lo prometto!". Donatella la strinse in un abbraccio materno che durò appena qualche secondo. Sapeva di rose, come sempre.
"Grazie...", Mormorò Cassandra. Indugiò per qualche altro momento. Rotolò una ciocca dei propri capelli ormai sciolti attorno ad un indice e le voltò garbatamente le spalle per dirigersi verso l'uscita dell'ufficio.

...

Palermo l'accolse nel suo chiassoso via vai serale di auto. La scuola di danza di Donatella si trovava a pochi metri dal teatro Massimo. Il massimo, appunto, a cui una ballerina di Palermo potesse aspirare nella sua città. Ma quell'imponente edificio con l'entrata sorvegliata da due mastodontici leoni in pietra, per lei era ancora una meta lontana.

Cassandra aveva camminato a passo svelto fino alla fermata dell'autobus cittadino e lì si era messa ad attendere, fino a che un mezzo pubblico col numero 108 sul display elettronico non aveva fatto sosta davanti a lei con uno sbuffo.

Una piccola folla si era già radunata alla fermata, per cui, nel pigia pigia della gente che cercava di accaparrarsi il posto a sedere migliore, lei rimase per ultima. Dovette accontentarsi di reggersi a uno dei maniglioni disseminati per l'autobus. Durante il viaggio la lotta per non venire sballottata da una parte all'altra del mezzo a causa della guida maldestra dell'autista, fu ardua.

Ancora pochi metri e avrebbe dovuto suonare il campanello per segnalare la fermata.
Lo fece. Prima di tutti. Era da sempre stata una sua fissazione quella di suonare il campanello di fermata prima degli altri passeggeri.

Un sorrisino soddisfatto la accompagnò nella buona riuscita della sua impresa quando si accorse che anche altri due passeggeri stavano abbandonando il mezzo.

L'autobus si fermò davanti l'ospedale civico con uno sbuffo, poi le porte scorrevoli si aprirono per lasciarla passare. Cassandra si ravviò la sciarpa sopra le spalle e vi affondò il viso.

Faceva freddo, un gelido freddo invernale che trasformava ogni suo respiro in una evanescente nuvola di condensa.

Si rammaricò di non aver portato con sé nemmeno un cappellino di lana per ripararsi dal freddo.
Le luci aranciate del grande edificio di fronte a lei risplendevano nel gelido freddo invernale.

Ancora pochi passi e avrebbe raggiunto casa.

Una gelida goccia di pioggia, proprio in quel momento, le cascò sulla punta del naso.

"Dannazione", imprecò lei gesticolando dietro la sua schiena alla ricerca di un cappuccio. Niente. Quella mattina aveva preferito indossare il cappotto più pesante invece che il giubbotto a vento con tanto di cappuccio.

"Sei un genio", si era detta sbuffando di disapprovazione.

Come se il cielo volesse giocarle un dispetto, l'intensità della pioggia aumentò. Ed eccolo là un acquazzone invernale di quelli tipici della Sicilia che tanto è meglio se ti metti in un angolino e aspetti che scampa.

I suoi capelli avevano iniziato ad inzupparsi, ma ormai tanto valeva correre fino a casa e infilarsi sotto il getto caldo di una doccia.

Cassandra prese a correre con la tracolla in spalla che le sbatteva fastidiosamente alla gamba. L'acqua gelida le sferzava il viso, facendola rabbrividire. Imprecò. Possibile che non avesse piovuto tutto il giorno e avesse aspettato solo che lei uscisse da scuola di danza?

La ragazza cercò di asciugare il viso con la manica zuppa ma proprio mentre lo faceva uno sbilanciamento causato dalla pesante borsa che le sbattè tra le gambe la fece precipitare rovinosamente sul marciapiede.

Si rimise in piedi all'istante. Si scrutò intorno speranzosa che nessuno avesse visto la sua ridicola figura. Percepí il suo corpo vibrare nella tensione di quel momento e un leggero formicolio estendersi in tutte le gambe, fino alla vita.

Si osservò le calze. Un profondo strappo si era aperto su di esse e la mano destra era sbucciata e bruciava per aver ammortizzato la caduta.

Urlò di rabbia. Ma cercò di contenersi quando vide un passante voltarsi preoccupato dalla sua parte.

"Signorina, va tutto bene?".

"Sì", inveí con poca delicatezza.

Che le stava succedendo? Perché ogni cosa andava storta? Perché il mondo intero sembrava avercela con lei?

Ma soprattutto, perché era caduta di nuovo?

Era stato tutto uguale all'ultima prova di danza. Sbilanciamento, caduta, panico.

La sensazione di panico. La sensazione di impotenza che aveva provato all'ultima prova e che non le aveva permesso di proseguire senza sbagliare più un singolo passo, era tornata. Era sfiancante, identica, sconosciuta.

Cassandra raccolse la borsa e con passo molto più incerto raggiunse il portoncino di casa.

Una lacrima di frustrazione si confuse con la pioggia che le colpiva violenta il viso mentre cercava le chiavi.

Sei solo arrabbiata e delusa, si disse, una delusione può avere anche questo tipo di incidenze. Domani andrà meglio.

Le mani gelide e doloranti. Una folata di vento. Un'altra lacrima.

[Come vi avevo detto questa storia evolverà giorno per giorno per cui, ho deciso (anche oggi) di aggiungere un nuovo elemento che inciderà non poco nella trama.
Cassandra aveva bisogno di essere caratterizzata, e nulla avrebbe potuto caratterizzarla meglio di quello che ho scelto.
Aggiungere questo nuovo particolare darà un nuovo significato alla storia]

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