Capitolo II

<<"...bene a fondo. Non cercarmi MAI più." Beh, non ci vedo nulla di strano, fratellino. Ti aspettavi il suo perdono istantaneo, magari con ringraziamento lacrimoso annesso? Solo perché gli altri tre ti hanno ascoltato ed hanno accettato i tuoi regali?>>
<<Hanno dei nomi, gli altri tre. E no, non mi aspetto il perdono. Soprattutto da lei... Pare abbia una personalità di carta vetrata.>>
<<Chissà perché Filippo, chissà perché. Prova tu a far quella vita e poi dimmi.>>
<<Però volevo parlarle... Provare a spiegarmi.>>
<<Spiegarti?>> Michele si alzò da tavola, lasciò la sala da pranzo e appoggiò il suo piatto nel lavandino <<Hai fatto una cazzata e ne paghi le conseguenze, Pippo. Prenditi le tue responsabilità ed accettale.>>
<<Non dovrei andare a trovarla quindi?>>
<<Vai, ma sarai trattato come meriti. Sai come la penso a riguardo.>>
Sentì suo fratello sospirare e decise di non aggiungere altro. Doveva decidere da solo. In ogni caso, lui non avrebbe detto niente a mamma e papà. Erano già più che inaciditi dal dover risarcire quattro famiglie... non umane.
Certo, se si fossero occupati di spiegare ai loro figli qualcosa in più sul comportamento verso la diversità, forse avrebbero evitato il problema. O forse no. Le influenze esterne fanno sempre la loro parte, nello sviluppo di una coscienza. Lui esemplificava bene la cosa.
<<Potresti accompagnarmi? Ho finito i biglietti del pullman.>>
<<Vai in edicola e...>>
<<Anche i soldi. Papà mi ha requisito il portafoglio.>>
<<Non puoi usarlo di nascosto?>>
<<Senti, piantala Michi! Dimmi sì o no... Per favore.>>
<<Certo che ti accompagno, scemo. O magari andiamo a piedi.>>
Ignorò l'invito di andare ad espletare e cominciò a cambiarsi. Dovevano sbrigarsela prima che i loro genitori tornassero.
Il pavimento tremò leggermente.

Mentre Michele e suo fratello minore uscivano di casa, chiedendosi quale fosse l'origine dei tremori e mentre Sara sgattaiolava barcollando fuori dalla sua stanza, nella periferia della stessa città una ragazza si svegliava da un coma autoindotto.
Aveva, a giudicare dall'aspetto, più o meno l'età di Sara. Fisicamente erano abbastanza diverse però: questa giovane era sì mingherlina, più bassa della ragazza aliena e magra (forse un po' troppo). Braccia e gambe erano sottili ma allenate, quasi muscolose. I capelli rosso sangue, mossi, scomposti, ed arruffati le coprivano il viso color caffelatte e gli occhi leggermente a mandorla, ricadendo disordinatamente sul cuscino.
-Aspetta, ferma...-
<<Cu... scino?>> Lo tastò con le mani. Non ricordava di essersi messa a letto. Per la verità, prima di collassare totalmente, ricordava di essersi sdraiata in mezzo al suo personale mucchio di bottiglie, in un vicoletto vicino a casa. Oh beh. Forse qualcuno l'aveva rapita ed usata come bambola gonfiabile. In effetti si sentiva appiccicosa, ma in tutto il corpo. Cosa spiegabile avendo fatto un vero e proprio bagno nell'alcol.
Fece per alzarsi e finì a rotolare giù dal letto. La sua testa si spaccò in due, provocandole un gemito sordo. Restò immobile, aspettando che il dolore scemasse.
<<Cazzo...>> biascicò a ripetizione.
Eccetto la t-shirt era nuda. Dovevano aver tentato di spogliarla. Poveri sciocchi. Persino sua sorella evitava di sfiorarla mentre dormiva, dopo averci guadagnato un occhio nero ed il labbro spaccato. E con lei era gentile.
Sua sorella.
Sua...
<<LETIZIA!>>
Spalancò gli occhi.
L'aveva lasciata da sola.
Mentre beveva come una spugna il pensiero non l'aveva neppure sfiorata! Poteva aver avuto una ricaduta. Poteva essere morta. Tutto mentre lei si ubriacava.
Dopo tutti i veleni che aveva provato senza mai stare fuori gioco per più di una settimana, aveva pensato di testare il suo fegato con una dose da suicidio di alcolici pesanti.
"Beh, eccomi."
Fece vagare gli occhi nella penombra della stanza e poco a poco si calmò, più o meno. Era a casa. Come, di grazia, ci era arrivata?
Si alzò non senza fatica. Barcollò fino al bagno, pensando a quanto tempo avesse passato in quelle condizioni. A giudicare dalla puzza che emanava, abbastanza pungente, almeno tre giorni. In effetti si sentiva abbastanza debole.
Nel salotto sua sorella dormiva, mezza scoperta, la testa priva di gran parte dei capelli, ben visibile tra la coperta ed il cuscino. In televisione il Dottore vedeva Amy e Rory per l'ultima volta, almeno di persona. Quante puntate si era persa?!
Fece l'errore di sbuffare. Una nuova fitta la costrinse ad un gemito basso e lamentoso.
Varcò per miracolo la soglia del bagno, scivolando più volte ed imprecando. Gettò la maglietta vicino al cesto del bucato. Stava sudando come un maiale.
Si accasciò sulla tavoletta del water.
Doveva sboccare. Chiuse gli occhi, tremando.
Era in grado di alzarsi, sollevare la tavoletta ed evitare di sporcare?
"Meglio di sì"
Ce la fece. In qualche modo riuscì persino a tenersi i capelli ed evitare di vomitarci sopra. Il mondo intorno a lei vorticava in maniera inverosimile, tanto che decise che non ce l'avrebbe fatta a rialzarsi. Sentiva qualcosa di strano in testa. Erano veri i boati che percepiva?
Gattonò verso la doccia, strisciando le ginocchia contro le piastrelle sporche. Strinse i denti e le palpebre mentre si sporgeva a girare la manopola dell'acqua e, a tentoni, chiudeva lo sportello del box doccia con il piede. Abitudine.
Il getto gelido la schiaffeggiò come si aspettava, ma le diede una scusa per ignorare l'inferno che aveva in testa. Dopo un po' riuscì ad alzarsi, strisciando contro la parete. Si lasciò cullare dallo scroscio e dal contatto con l'acqua che andava riscaldandosi. Scesa sotto un certo livello di dolore, si arrischiò a sollevare con cautela le palpebre. Vedeva nuovamente tutto fermo, eccetto lo sportello, che si aprì di scatto... ed ecco gli occhi severi di sua sorella, uno grigio e l'altro verde.
Un curioso riflesso la spinse ad appiattirsi contro la parete opposta alla sorella maggiore ed evitare fermamente il suo sguardo.
<<Duri i postumi, eh?>> mormorò Letizia, mezza addormentata ma comunque visibilmente arrabbiata.
Lei non rispose. Rimasero entrambe immobili, la ragazzina schiacciata contro il muro, tutta intenta a coprirsi, col cuore che batteva fortissimo e la donna malata, ciondolante.
<<Perché fai cose tanto stupide? Me lo spieghi?>>
La ragazzina scosse la testa e strinse le labbra, non sapendo cosa dire.
Letizia sospirò.
<<Non mi interessa se non ti curi di me, ma farti del male così, gratuitamente... C'è un limite al masochismo, Bra...>>
<<Mi dispiace di averti lasciata...>>
<<Non importa ho detto. E' per questo?>> la donna indicò la berretta da cui sbucavano pochi ciuffi superstiti dalla chemio.
La rossa non rispose.
<<Sei venuta a cercarmi, vero? Stavi male... ma sei venuta a cercarmi...>> non voleva piangere, ma ci stava arrivando. Il cuore continuava a battere troppo forte, tanto da farle male. Qualcosa non andava. Si portò le mani al volto e passò le dita sulle guance, sulle cicatrici dei graffi in via di guarigione. Cominciò a raschiare con le unghie, come faceva quando era nervosa.
<<EHI. MOLLALA.>> Letizia le afferrò le braccia, costringendola ad allargarle ed allontanare le mani dal volto.
Lei si divincolò e scivolò contro un angolo. Sentiva il sangue caldo scivolarle sulla guancia destra.
<<Bra. Ora ti alzi, ti sciacqui la faccia e ti fai medicare. Non provare a graffiarti ancora. Ci asciughiamo, perché per colpa tua sono inzuppata anch'io e poi ci mettiamo a letto o sul divano. Quando ti sentirai pronta, faremo una tranquilla chiacchierata, ma ora fai come dico. Non sono abbastanza mal messa da non prenderti a calci in culo, se non ascolti.>>
Lei alzò finalmente lo sguardo incontrando gli occhi iridescenti della sorella. Stringendo le labbra, Letizia le carezzò la guancia, sporcandosi le dita di sangue. La ragazza si appoggiò leggermente al suo palmo, socchiudendo gli occhi.
<<Ambra?>>
<<Ok...>>
<<Aggrappati a me, forza...>>
Scosse vigorosamente la testa. Alla fine però si fece aiutare.
<<Ma chetti copri a fa' che ci vediamo nude da sempre?>>
<<Mi sento stranissima, Leti...>> borbotta.
<<Sei anche più infantile del solito. Ammettilo, che ti vergogni di essere piatta come una tavola da surf, dai...>>.
Bra non riuscì a ridere. Aveva la pelle d'oca. Si era già sentita così e sempre prima di una catastrofe. Non pretendeva che Leti capisse. Non glielo aveva mai detto.
La sorella maggiore chiuse la valvola dell'acqua e la osservò con apprensione mentre usciva dal bagno.
<<Che, devo prenderti in braccio?>> provò a scherzare.
Ambra sorrise solo per convenzione. Poi abbracciò la donna.
<<Bra, senti qualcosa? Centra coi tuoi... poteri...?>>
Annuì.

Ad una trentina di chilometri di distanza, nascosta dentro una casetta disabitata all'interno di un paesino microscopico e sperduto nel nulla, che aveva provveduto a rendere altrettanto disabitato, uno degli esseri privi di nome ricevette un messaggio. L'alieno in questione aveva l'aspetto di una bambina di otto anni, esile ma graziosa. I suoi capelli non erano neri o scurissimi come per gli altri membri della sua razza, ma biondo paglia. Gli iridi risplendevano di un innaturale candore. La bimba si chiamava Anna e per gli standard di vita umani avrebbe dovuto esser un'adulta già con qualche ruga, ma per i suoi simili sessant'anni potevano non influire sull'aspetto. Soprattutto quando poteva renderli vulnerabili ed innocenti agli occhi dei nemici.
Era stata il leader del primo gruppo terroristico, poi aveva saggiamente fatto un passo indietro e lasciato il posto ad una piccola e pilotata democrazia. Aveva mantenuto la sua influenza e diminuito i rischi del comando.
Tutti i leader e le loro squadre avevano dato la loro approvazione. L'attacco era partito ed a loro sarebbe toccato il semplice rastrellamento dei superstiti.
Si concentrò per comunicare mentalmente col loro uomo di punta. Abbassò le palpebre. Per un istante sentì svanire la terra da sotto i piedi. Quando riaprì gli occhi era a terra, ma aveva comunicato quel che doveva.
-Radi al suolo la città, padre-

Annuì.
La sua morte era stata prevista molti mesi prima. Era necessaria. L'antico e più potente maschio tra di loro, per quanto non amasse l'idea, doveva compiere il sacrificio estremo, oppure le stragi di umani e degli ankh, soprannominati beffardamente come "senzanome" o "occhioni", sarebbero andate troppo oltre. Ci voleva qualcosa di definitivo, che salvasse la sua razza... e decimasse l'umanità. I suoi figli avrebbero fatto il resto.
Sorrise tristemente. Non aveva rimpianti.
Due ali scheletriche ed enormi presero forma dalla sua schiena. Cominciò librandosi in aria e colpendo punti sporadici, giusto per scatenare il panico. Non avrebbero fatto in tempo ad evacuare e nessun'arma lo avrebbe fermato.
I suoi figli avevano capacità di adattamento che, se allenata o stimolata, permetteva di preservarsi nelle condizioni peggiori... ma anche di rilasciare tutto il loro potere in forma distruttiva, in punto di morte.
Guardò in basso... poi chiuse gli occhi. Uno per uno trovò gli ankh che abitavano la città. Erano una minoranza, ma sempre troppi. Provò a comunicare con loro, ma nessuno ascoltava. Chiudevano la loro mente, lo scacciavano.

Ti prego, non farlo, ho una famiglia.

Pregavano.

MAMMA, LA MIA TESTA - nonononononoNONONO - non voglio morire - non può - perché? - sbrigati e fallo

Fuggivano, si nascondevano. Riaprì gli occhi, amareggiato. Il lato peggiore sarebbe stata la loro morte. Seppur traditori, erano suoi figli anche loro.

Non voglio morire

Il suo corpo cominciò ad emanare calore e disfarsi, prendendo gradualmente la forma di una candida bolla in espansione. Nel giro di qualche minuto avrebbe inghiottito e distrutto tutto ciò che esisteva nel raggio di venticinque chilometri... ed i suoi figli avrebbero fatto lo stesso con le altre capitali, in tutto il mondo. Prima che la sua coscienza svanisse, l'uomo si prese la briga di inviare un messaggio mentale ai morituri.
<<Vi parla il padre della razza Ankh, a cui voi non avete nemmeno concesso il garbo del nome. Morite come bestie da macello.>>
Non aggiunse altro. Odiava gli addii e la sua grande famiglia avrebbe capito.

Ormai si distingueva nel cielo, una sfera di luce bianca che ricordava fin troppo ironicamente la Genkidama di Goku, situata al centro esatto della città, a neanche un chilometro dal suo ospedale. Poco prima che il panico e gli allarmi scattassero, Sara aveva avuto modo di osservarne l'aspetto piacevole e rassicurante.
Stavano per morire. Lei, Semir, Leonard. Sentiva il potenziale di quell'energia e quel messaggio, ripetuto come un tormentone. Il rifugio di fortuna non l'avrebbe protetta, tantomeno lo avrebbero fatto le sue scarse capacità. Non poteva sopravvivere, come non avrebbero potuto tutte le persone colpite. Voleva solo andarsene, sparire. Cucinare con Leo; fare i compiti e provar vestiti con Sem; andare a scuola; spettegolare con Cisco... parlare d'amore, di ragazzi e ragazze, di sesso, di tutte le nuove uscite, dei libri che tanto amava sfogliare e di tutte le cose - ed erano tante- che non capiva; voleva rivedere le amiche che aveva perso... il primo sfortunato e non corrisposto amore...
Ma di questo a nessuno importava.
<<Che schifo.>> mormorò, diretta alla parete in cemento armato. Paura, rabbia, disperazione: non usciva le usciva niente.
Chiuse gli occhi.
Per un momento le apparve una collinetta verdeggiante, occupata dai resti fumanti di un paese. Vide un gruppo di suoi simili. Stavano festeggiando, osservando qualcosa alle sue spalle. Davanti a loro sedeva una bambina. La riconobbe all'istante. Anche la creaturina la guardò. La maschera di serietà sul suo viso si intaccò, ma non scomparve.

Mi dispiace, Saretta.

Altri la notarono. La maggior parte scosse la testa o guardò altrove. Ci fu chi rise, chi sputò per terra, chi gridò insulti.
Poco a poco la visione scomparve.
I muri si creparono tutt'intorno alla ragazza.

-fanculo-

"Saretta"

-VAFFANCULO, ANDATECI TUTTI VOI, BASTARDI, A MORIRE COME BESTIE-

Non si mosse. Altri si erano rifugiati con lei.
Non voleva che il loro ultimo ricordo fosse la scenata di una ragazzina... ma soprattutto di un essere che molto probabilmente odiavano.
Nascose il viso sul braccio sano e pianse in silenzio.

<<Che cosa fai?!>> la ragazzetta tentò di divincolarsi, ma Letizia non mollò la presa dal suo braccio. Sapeva perfettamente di non essere forte quanto lei, ma Bra si tratteneva sempre in sua presenza.
<<Devo andare, ADESSO!>>
<<No! Dobbiamo nasconderci! Più scendiamo, più probabilità abbiamo di sopravvivere!>>
<<SI SONO PRESI LA BRIGA DI RENDERSI VISIBILI A TUTTI! Qualsiasi contromisura o difesa non servirà! Un rifugio non farà la differenza!>>
<<E tu la farai, Bra?>> mormorò Leti, già sapendo cosa avrebbe risposto la sorella.
<<Certo che sì. Sono l'unica qui che può farla, attualmente e tu lo sai benissimo.>>
<<Non sei così forte... ti fai stendere dall'alcol, ti ferisci come tutti noi... e... non farai in tempo a rigenerarti... Ambra, ti prego!>>
<<Ascolta. Primo, non sai un cazzo di me, lasciatelo dire; secondo: io sono peggio di un cancro, sorellona. Meriterei di morire, perché tu viva... Ma posso solo darti un po' di tempo in più... ed una vita senza di me. Quindi levati.>> la ragazza barcollò verso la finestra, la aprì ed osservò la sfera col cuore che lottava per uscirle dal petto.
<<Non voglio vivere senza di te!>>
Prima di uscire Ambra mormorò, cercando di suonare calma:<<Leti, probabilmente ci sarà comunque un'esplosione di minore portata, ma pur sempre pericolosa. Tu riparati, ma attenta ai possibili crolli.>>
Letizia fece per parlare, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, la ragazza saltò, scomparendo in un esplosione di piume rosso sangue.

Se l'essere che si librava sopra la città condannata avesse provato ancora emozioni, probabilmente si sarebbe stupito nel veder apparire, un paio di metri sopra di lui, una ragazzina pel di carota completamente nuda. Un presentimento, il potere che essa emanava, lo avrebbero messo in allarme. Avrebbe lottato, avvertendo la disfatta imminente, o per lo meno l'avrebbe semplicemente evitata, lasciandola cadere nel vuoto. Forse, per lo stato in cui versava, non sarebbe riuscita a raggiungerlo.

Ce la fece. Ambra raggiunse la superficie in espansione e la superò. La sua pelle cominciò a bruciare e consumarsi quasi istantaneamente, e solo a stento il piccolo corpo resse il potere che la permeava. Mentre si faceva strada verso il nucleo, sentì collassare gli organi, uno dopo l'altro. I suoi occhi andarono per primi.
Ci stava arrivando. Poteva orientarsi col dolore: aumentava in proporzione alla vicinanza con il nucleo. Avrebbe voluto gridare, e contorcersi dal male che sentiva, ma lo fece solo nella sua mente. Presto i muscoli avrebbero cominciato a fondersi. Doveva sbrigarsela in fretta.
Pensò a Letizia. A quanto la trascurava, all'eterna fuga dalla sua malattia... dalla consapevolezza che un giorno non troppo lontano sarebbe morta.
-Non voglio osservarla mentre si spegne lentamente-
Sarebbe stato più facile accettare di essere sopravvissuta ad un'altra persona cara, se non avesse assistito alla sua dipartita. Perché anche adesso sapeva che non sarebbe morta, che sarebbe sopravvissuta a sua sorella ed a tutti gli altri e che tutto questo non sarebbe servito a nulla. La gente presto o tardi muore... lei era soltanto una delle poche eccezioni.
Un'altra parte di lei, quella che la spingeva ad affrontare quel dolore inesprimibile, voleva che la sua amata sorella sopravvivesse, a costo di farla soffrire come una dannata fino alla fine.
Raggiunse il nucleo. Lo circondò con le braccia. Piano, quasi amorevolmente. Il fulcro di distruzione sussultò, ma lasciò che ella lo traesse a sé. Non aveva più una volontà.
Lo sentì soffocare nel suo abbraccio.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top