22. PRIMA LUCE
"Prima luce", mormorò tra sé, come si ripete qualcosa di importante che si deve assolutamente rammentare.
La bruma intrappolava i colori e disperdeva le forme in lontananza. Nonostante l'autunno fosse appena iniziato, a quell'ora del mattino l'aria era gelida e condensava il fiato caldo dei cavalli. Galanár la sentiva sul viso come una carezza di ghiaccio sulle guance e sulle ciglia, mentre fissava con ansia l'orizzonte.
Non si era sbagliato: i Nani non si erano fatti attendere. Messi in allarme dal sopraggiungere dei rinforzi, avevano accelerato le manovre di guerra, senza dargli il tempo di riposare e organizzarsi in modo conveniente. Per non concedere loro alcun vantaggio.
Gli venne quasi da ridere a quel pensiero. In effetti, se non fosse stato certo dell'odio degli Elfi nei confronti dei Nani e della profondità sanguinosa di quella faida, avrebbe quasi pensato che quella fosse una trappola ordita ai suoi danni. Si volse indietro, ad abbracciare con lo sguardo i cavalieri schierati alle sue spalle. Non c'era davvero che dire: che fosse stato organizzato di proposito o meno, quello era senza dubbio un bel modo per farlo fuori rapidamente e senza intoppi.
Prima luce...
Quasi senza accorgersene, si ritrovò a canticchiare a bassa voce una ballata, la stessa che Mellodîn aveva intonato mentre attraversavano le foreste di Laurëlindon. Serrò le palpebre e respinse quell'istante di debolezza. Cercò il capitano con lo sguardo e lo trovò in lontananza, attorniato dai suoi arcieri. Era strano non averlo al suo fianco, disorientante come perdere una stella in navigazione. Nessuna calma certezza mentre il dubbio gli serpeggiava attorno, accarezzandogli le orecchie con i suoi suggerimenti aspri... non aveva mai avuto così tanta paura prima di una battaglia!
Prima luce...
Li stava aspettando e d'un tratto si fecero avanti.
Un rumore metallico e cadenzato si levò dal fondo del pianoro, la nebbia si dissolse per lasciare posto alla polvere. L'esercito nemico si muoveva verso ovest, con la luce alle spalle. Galanár aguzzò gli occhi da elfo per poter scrutare quella massa oscura e il cuore, per un attimo, sembrò perdere colpi.
Non li aveva mai visti prima in vita sua, se non ritratti nei libri. Trovandoseli di fronte, la sua proverbiale sicurezza vacillò.. Erano creature basse e tozze, che forse non gli arrivavano alla spalla, ma sembravano straordinariamente muscolose e forti. Avanzavano in schiere compatte, disposte come uno stretto cuneo, e brandivano lunghe lance, anche se Galanár riusciva a distinguere qua e là il bagliore di asce che penzolavano dai fianchi o sbucavano dalle spalle. Le armature non sembravano pesanti, ma i ranghi erano così serrati che il principe indovinò che non fossero necessarie: la difesa era nella loro stessa disposizione.
Prima luce...
Ormai li aveva davanti e poteva vederli con chiarezza, schierati su quella distesa chiusa da un fianco dalla rigogliosa foresta elfica, dall'altra dai crepacci di un rivo montano ancora gorgheggiante prima della ghiacciata. Non riusciva a scorgere cavalieri, solo un fitto schieramento di fanti. Il fiato gli si mozzò a quella vista. Allentò la presa sul proprio animale, che cominciò a ondeggiare, seguendo l'incertezza del suo cavaliere: chi era così pazzo da schierare un esercito di fanti contro una carica di cavalleria?
Un brivido gli attraversò la schiena, trasmettendogli quell'ebrezza da battaglia che conosceva bene. Si riscosse, guardò i suoi e, con un gesto, li esortò a tenersi pronti allo scontro. Doveva solo attendere la salva degli arcieri, poi sarebbe stato il loro turno.
Le grida di secchi ordini in elfico rimbalzavano da una parte all'altra del campo. I cavalli schierati in prima linea scalpitavano e sbuffavano. Galanár si calò sugli occhi la visiera e sistemò la presa di Ariendil. Il muro di frecce alleato si sollevò e si scontrò contro i primi raggi di sole che investivano la pianura, quindi ricadde a mietere vittime tra le fila del nemico. Precisi ed efficaci, andarono a segno una prima, una seconda, una terza volta.
Galanár avrebbe giurato di poter riconoscere la voce di Mellodîn che impartiva il ritmo di tiro ai suoi. Il cuore gli si gonfiò di entusiasmo e cominciò ad assaporare il gusto dello scontro diretto. Che importanza aveva se guidare quell'attacco era quasi un suicidio? Che importanza aveva se persino gli stessi Elfi avrebbero esultato per la sua morte? Lui era nato per quell'ebrezza.
Guardò la pioggia di frecce che una volta ancora si abbatteva sugli schieramenti e si sentì avvolgere dalla frenesia. Sollevò piano il braccio per impartire l'ordine di attaccare.
Prima luce.
L'alba era esplosa.
Silanna lo intuiva senza vederla, perché nelle alte volte sotterranee in cui lei e gli altri elfi evocavano la magia di protezione non era né giorno né notte, ma un tempo senza tempo scandito solo dall'intensità dei loro incantesimi e dall'avvicendarsi degli incantatori nel loro compito. Il soffio di Vilya in lei si era fatto meno gelido, suggerendole che il sole era sorto. La battaglia doveva essere sul punto di iniziare. Si abbandonò tra le braccia del suo Daimon, confidando che le avrebbe suggerito ciò che accadeva.
"Ascolta il vento, ti prego", mormorò, senza quasi rendersene conto, immersa nella preghiera.
Ascoltate almeno il vento prima di attaccare.
Senza alcun motivo valido, le ultime parole astiose di Silanna gli tornarono in mente. Forse significavano qualcosa, forse no, ma quell'incertezza bastò a bloccare il suo gesto e a fargli rimandare la carica.
Seguì con maggiore attenzione l'opera degli arcieri. Il vento spirava a loro favore, facilitando il lancio e mietendo un alto numero di vittime.
Il vento...
Si chiese se non fosse opera di incantatori elfici che, dalle retrovie, agevolavano quel movimento. Ricordava, però, ciò che Anárion gli aveva spiegato durante uno dei loro colloqui: i Nani erano incredibilmente refrattari alla magia. Cercare di combatterli usando lo stesso Elemento da cui erano stati generati, la Terra, si era dimostrato complicato, se non addirittura controproducente, e anche Aria e Fuoco si erano rivelati poco efficaci. Il re, quindi, preferiva impiegare i propri maghi in maniera difensiva, piuttosto che esaurire le loro forze in sterili attacchi.
Qualunque fosse la sua origine, comunque, il vento stava amplificando l'efficacia dei dardi. Incoraggiato da quell'iniziale vantaggio, Anárion ordinò la carica della cavalleria.
Galanár, però, aveva ancora il braccio a mezz'aria e restava sospeso come i suoi stessi pensieri. Nella sua mente aveva congelato in un'immagine statica tutti gli elementi che vorticavano attorno a lui: gli ordini del re, il muro di frecce, l'ansia dei cavalieri, il vento che spirava in direzione del nemico, il respiro che gli sollevava il petto. Fissò il sole che gli sorgeva di fronte e si lasciò abbacinare dalla luce.
Anárion continuava a urlare al suo indirizzo, ma il principe ascoltava solo una voce che, dall'interno, gli suggeriva di non avere fretta.
Cercò di annullare i suoni che lo circondavano e iniziò a contare a voce bassa. Una volta escluso l'udito, la vista gli mostrò ogni possibile trama di quella battaglia. Galanár vedeva, con una percezione che non era solo quella fisica, tutte le coincidenze che si incastravano, come se uno spirito divino gliele stesse suggerendo.
Continuò a ignorare l'ordine di attacco di Anárion e seguitò a contare. Non si lasciò tentare dalla seduzione del sangue e ritardò la carica, e quella dilazione fu ciò che li salvò, perché quando investirono il primo schieramento dei Nani, l'impatto fu devastante.
Nonostante le protezioni e le bardature dei cavalli, a Galanár parve di scontrarsi contro una parete di roccia. I fanti non si scomposero e non uscirono dallo schieramento, aiutati dalle lunghe lance che falcidiarono gli assalitori. Molte bestie furono trafitte e i cavalieri disarcionati o feriti a loro volta. La loro unica salvezza furono i vuoti creati dagli arcieri nei ranghi nanici. Se Galanár avesse interrotto anzitempo la loro manovra aerea, non avrebbe goduto nemmeno di quella fortuna.
Superata la scossa iniziale, l'urgenza della battaglia prese il sopravvento su ogni ragionamento. Gli uomini di Arthalion cercavano di abbattere a colpi di spada quanti più fanti si trovassero a tiro, ma presto il principe capì che aprirsi un varco tra le fila nemiche era impossibile. I cavalieri feriti che cercavano riparo e i cavalli scossi, impazziti per il dolore e per lo stridore delle armi, scompaginavano i suoi ranghi. Aveva di fronte soltanto un intrico confuso di uomini e di animali, che non poteva più governare e che in breve sarebbe stato sbaragliato.
"Vilya, che vedi?"
"Solo confusione, Fëantúr... solo confusione, come di alberi nella tempesta. E sangue".
Silanna si lasciò sfuggire un sospiro tormentato e la sua magia si affievolì per un istante. Sentì che gli occhi arcigni dell'anziano Maestro erano puntati su di lei e si fece forza, per non dare a vedere quanto fosse stanca e preoccupata.
"Vilya, proteggi il principe Mezzelfo", supplicò nella sua mente.
"Tutte le creature sono mortali, Fëantúr", rispose il Daimon, prima di sparire, immergendosi di nuovo tra le spire della magia.
La schiera di cavalieri di Galanár era in rotta. Se anche li avesse riorganizzati, non avevano più lo spazio necessario per caricare i Nani. Cercavano di difendersi alla meglio nel groviglio di spade e di lance, ma non potevano che indietreggiare, cercando di non rovinare addosso alla fanteria schierata alle loro spalle. Sperando di darle spazio per lanciarsi nel corpo a corpo, il principe cercò la ritirata sul fianco.
Anárion pensò a quel punto di spostare gli arcieri sulla destra, per colpire lateralmente il nemico, ma i soldati non fecero neppure in tempo a disporsi e ad armarsi. Si trovarono addosso la cavalleria nanica, che di certo non era il reparto più brillante di quell'esercito, ma era comunque sufficiente per recare morte e scompiglio in quello dell'alleanza, già abbastanza sotto pressione.
Galanár tracollava sul suo cavallo, alla disperata ricerca di uno spiraglio. L'armatura era ammaccata e piena di sangue, così come la lama di Ariendil, che stillava gocce rossastre fino alla dragona. La povera bestia sotto di lui sbuffava e ansava per le ferite alle zampe e lui temeva che non avrebbe retto a lungo. Quando infine, alle spalle dell'esercito nemico, vide avanzare un corpo di soldati armati con degli strani schioppi, il cuore gli si fermò. Senza nemmeno attendere l'ordine del re, cominciò a ordinare la ritirata. Preso dal panico, anche Anárion impartì lo stesso comando, cercando rifugio in direzione della rocca.
Il principe cavalcava a spron battuto, esaurendo le ultime energie della sua cavalcatura. Si spostava da un fianco all'altro, cercando di radunare i cavalieri superstiti e di spingerli al riparo. Nella sua cavalcata, scorgeva gli altri corpi del suo esercito, gli arcieri di Mellodîn, i soldati di Bellator e Amalion, ma nel disordine generale che disperdeva l'esercito in rotta, non riuscì a scorgere nessuno dei suoi capitani.
L'urto violento li colpì tutti, trasmettendosi da palma a palma e riassorbendosi all'interno del cerchio stesso.
Gli elfi sobbalzarono all'unisono, come se avessero ricevuto un colpo di frusta improvviso, ma subito si riebbero e intensificarono l'incantesimo. Silanna rimase sospesa un po' più del dovuto, ma riprese il suo posto e proseguì. Il tremolare del campo di forze diede una risposta alla sua domanda inespressa: lo scudo magico della fortezza era sotto attacco.
Non era un assalto violento, ma si protraeva. Forse erano solo arcieri o balestrieri, le cui piccole munizioni stavano colpendo la cupola di potere immateriale. Non sembravano pericolosi. Escludendo il primo calo di intensità dovuto alla sorpresa, lo scudo reggeva bene ai colpi, e tutti gli incantatori avevano duplicato gli sforzi.
Solo Silanna sentiva il proprio potere affievolirsi e rifiutarsi di tornare a operare al massimo dell'energia. Non riusciva a recuperare la concentrazione. L'attacco al castello, sebbene troppo fiacco per rappresentare un vero problema, rappresentava per lei qualcosa di più grave: l'esercito era stato sconfitto o costretto alla ritirata.
Dov'era lui? Morto, ferito, disperso? Solo?
Fece violenza su se stessa per trattenere le lacrime di paura che le stavano sfuggendo. Se avesse assecondato il suo cuore, sarebbe scappata da quella sala e si sarebbe precipitata sugli spalti o nella corte, a cercarlo. Ma era un Daimonmaster, era stata addestrata per quel ruolo e lì era il suo posto. Ingoiò le lacrime e rimase immobile, continuando a far scorrere la magia del suo Arcano.
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