Capitolo 22

Ai's POV

Non pensai a nulla mentre correvo verso la mia destinazione senza soste che mi avrebbero rallentata. Ogni secondo era prezioso in quel momento.

-Merda, merda, merda, merda, merda, merda, merda! Porca di quella fottutissima merda!- continuavo ad imprecare a bassa voce.

Per mia fortuna ero abituata a correre per chilometri senza fermarmi mai, dati i duri allenamenti dell'organizzazione. Però, anche se mi rendevano sfinita, in un certo senso ero felice di averli fatti: mi avevano reso più forte sia fisicamente che psicologicamente, e ormai avevo imparato a non dare peso al dolore psicologico, sostituendolo con quello fisico.

Circa un quarto d'ora arrivai davanti al laboratorio in rovine dei miei defunti genitori, ma non mi fermai nemmeno per riprendere fiato mentre mi catapultavo all'interno di esso. La lettera era ben ficcata nella tasca della tuta, e mi ero accertata che non fossi stata pedinata cambiano più volte direzione; ormai avevo capito che anche il più piccolo errore sarebbe costato caro sia a me che alle persone che mi stavano vicine, quindi era meglio non rischiare.

Iniziai a frugare con mani nervose e tremanti nei vari scaffali e cassetti che si trovavano, cercando qualcosa per poter analizzare la lettera con più accuratezza. Non trovai niente, fino a che mi ricordai di alcune parole dette dai miei genitori quando ero molto piccola:

"Ricorda, Shiho, per ogni problema che può essere risolto con la scienza, non esitare ad aprire la cassaforte. Il codice lo capirai da te quando verrà il momento"

Mi girai automaticamente verso la parete opposta a quella che ospitava la "porta" e contai minuziosamente le piastrelle un tempo bianche che ricoprivano i muri.

-Tre da sinistra verso destra, cinque dal basso verso l'alto- sussurrai concentrata.

-Eccola- mormorai toccando la piastrella piena di polvere divenuta di un grigio sporco.

Provai a spingerla con una mano, poi con entrambe, ma era inutile. Non accennava a muoversi. Presi quindi un profondo respiro e concentrai tutte le mie forze, anche se limitate a causa del piccolo corpo in cui mi ritrovavo, per riuscire a smuovere anche solo di un millimetro quel dannato pezzo di marmo.

-Si è mossa- mormorai stupita sentendo il movimento di pietra contro pietra, segno che la piastrella su cui stavo pressando stava lentamente "sprofondando" dentro il muro.

-Serve più forza- constatai.

Non esitai nemmeno un secondo a iniziare a prenderla a pugni.

"Posso farcela. Devo farcela." avrebbe pensato una qualunque persona normale in quel momento, ma io riuscivo soltanto a imprecare e ad esclamare:

-E muoviti, fottuto muro del cazzo!-

Le mie nocche avevano iniziato a sanguinare, dapprima solo piccole ed insignificanti gocce rosse, poi quantità sempre più grandi di quel liquido essenziale alla vita. Ma non me ne poteva importar di meno di perdere sangue e di essere ferita, avevo sopportato di peggio senza emettere un solo sospiro. Il mio pensiero era fisso sulla cassaforte che dovevo aprire.

"Ma mamma e papà non potevano inventare un modo meno doloroso e più semplice per riuscire ad estrarre questa merda di cassaforte?! Sembra che l'abbiano fatto apposta!"

Però il motivo principale per cui non stavo riuscendo in ciò che dovevo fare non era il fatto di dover prendere a pugni del marmo: il problema erano quelle piccole e deboli mani che mi ritrovavo, decisamente non adatte a fare a pugni e ad esercitarmi a diventare più forte e pericolosa di ciò che già ero.

-E dai, porco cacchio!- gridai dando un ultimo pugno disperato, chiedendomi nel frattempo perché avevo usato l'imprecazione del mini Sherlock.

Fui fortunata per non essermi spezzata nessun osso.

Una crepa si formo sulla piastrella da me colpita, e per un istante pensai preoccupata che si sarebbe rotta, cosa non buona, visto che i miei quando parlavano di questa maledetta cassaforte mi ripetevano sempre:

"Usa la forza, ma impara a dosarla"

Fortunatamente non si ruppe, ma le otto piastrelle che la circondavano iniziarono a sprofondare insieme a quella centrale. Mi concessi qualche secondo per riprendere fiato, giusto il tempo necessario per avere abbastanza aria nei polmoni per poter continuare. I nove pezzi di marmo, dopo essere letteralmente sprofondati, "riemersero" e formarono una specie di anta di pietra.

Spalancai quell'anta improvvisata e rivelai cosi la famosa cassaforte che i miei genitori mi avevano lasciato. Espirai profondamente prima di prenderla e appoggiarla con un tonfo su uno dei numerosi tavoli del laboratorio, facendo si che un polverone si alzasse. Ero abituata ad ogni cosa, infatti non tossii nemmeno mentre cercavo di capire quale fosse la combinazione per poterla aprire.

"La fine è anche l'inizio" mi vennero in mente le parole della mamma con un flashback.

La mia mano scatto automaticamente verso la serratura e schiacciai 0000.

Con un "click" la cassaforte annunciò la sua tanto agognata apertura, e così potei vedere cosa si trovava all'interno.

"Non so come cazzo ho fatto ad aprirla, visto che la frase e i numeri non hanno un collegamento cosi stretto fra di loro" pensai sbattendo un paio di volte le palpebre, confusa.

"Mamma, papà, è ufficiale: vi amo" sorrisi malinconicamente mentre estraevo dalla scatola di metallo un microscopio di ultima generazione.

Dietro di esso notai una busta bianca, quindi, dopo essermi asciugata distrattamente il sangue sulla tuta, la presi con le mani tremanti dall'adrenalina e la aprii, svelando una lettera da parte dei miei genitori per me.

La spiegai delicatamente come se potesse volatilizzarsi al minimo passo falso, e la lessi sussurrando le parole scritte da due delle persone più importanti della mia vita.

"Cara Shiho, se stai leggendo questa lettera, vuol dire che questa è un'emergenza e che ormai noi non ci siamo più. Non vorremmo dilungarci troppo, ma vorremmo spiegarti un paio di cose. Se la questione per la quale hai estratto la cassaforte è di estrema importanza, allora prendi la lettera e leggila quando il problema sarà risolto."

Non lessi oltre, seguendo il loro consiglio. Riposi con cura la lettera in una delle tasche della tuta ed estrassi quella che conteneva la "minaccia velata".

"Perché sono venuta fino a qui? Cosa posso scoprire sulla lettera con un microscopio?" iniziai ad andare nel panico.

"Ok, Shiho. Calmati. Sei la detective migliore, quindi sai cosa devi fare in questo momento, giusto?Giusto. Direi anche che sono impazzita visto che sono arrivata a parlare da sola" mi diedi un paio di schiaffetti sulla faccia per svegliarmi.

-Allora,- mormorai per fare il punto della situazione sistemando il microscopio -prima di tutto devo analizzare i ritagli di giornale per vedere se ci sono impronte digitali per sapere chi è che ha lasciato la busta sullo stipite, anche se non credo siano stati cosi imprudenti. Poi...-

Venni interrotta bruscamente da un urlo:

-Shiho!-

-Merda, è Kudo- mi lamentai a bassa voce mentre entrava nel laboratorio.

Ficcai in fretta e furia la lettera in tasca sperando che non la vedesse, ma sapevo che l'aveva notata, e se non la lettera almeno la busta che avevo erroneamente lasciato sul tavolino nel soggiorno del dottore; comunque decise di non dire niente.

-Ma come cazzo ti salta in mente di sparire cosi?!- iniziò a urlarmi contro -ti rendi conto che hai fatto preoccupare sia me che il dottor Agasa?! Potevi almeno portarti dietro il tuo fottutissimo cellulare, cazzo!- continuando a tuonarmi a gran voce mi stava innervosendo non poco.

-Senti, non mi sembra di aver commesso qualche crimine, quindi taci- sussurrai minacciosa cercando di stare calma.

-Col cazzo che sto zitto! Ti sembra il modo di uscire di casa senza avvisare nessuno, e per di più lasciando la porta aperta?!- continuò senza badare alle mie parole.

"Merda, è vero... la porta...- pensai in un attimo di lucidità che duro ben poco.

-Taci!- gridai facendolo smettere di parlare a raffica.

-Senti, Shinichi- iniziai, e sapevo di avergli procurato un brivido quando pronunciai freddamente il suo nome, mentre mi partiva il solito tic alla mano destra -non so cosa ti prende, ma non venire qui ad urlarmi contro cose di cui non ho colpa-

-Ora mi vieni a dire che non hai colpe?! Ma ti senti quando parli?! Ti rendi conto che...- si interruppe di colpo quando tirai un gancio destro contro il muro, formando una profonda crepa su di esso e sbriciolandone molti pezzi e calmando momentaneamente il tic.

-Mi sembra di averti detto di tacere- sussurrai sapendo che mi aveva sentita benissimo, non voltandomi nemmeno verso di lui.

Tenevo lo sguardo basso e la mano ancora contro il muro, quando continuai:

-Non ho fatto nulla se non uscire di casa dimenticandomi di chiudere la porta e prendere il telefono. Quindi non venire da me per iniziare a farmi la predica. Non ti devo nessuna spiegazione...-

Non riuscii a continuare che lui mi fermo di colpo:

-Magari non mi devi nulla ed io sono nel torto, ma almeno non ho privato nessuno della sua vita!- gridò.

La sua voce rimbombò tra le pareti di quella struttura, e lui sembrò rendersi conto troppo tardi delle parole dette.

-Shiho... io... scusa... non volev...- iniziò a balbettare, ma venne interrotto per l'ennesima volta da me.

-Non hai nulla di cui scusarti. Hai espresso ciò che pensi di me, in più è vero. Sono un'assassina. Ma ora vattene- mi girai dandogli le spalle.

Le sue parole mi avevano fatto più male di ciò che avrebbero dovuto.

-Shiho...-

-Ho detto vattene!- urlai, e sapevo di averlo fatto sussultare.

Con la coda dell'occhio lo vidi andarsene a capo basso, ma non prima di avermi detto:

-Non lo penso davvero... scusami...-

Quando fui sicura che se ne fosse andato, liberai la mia frustrazione in forma di un ennesimo pugno contro il muro, molto più forte del primo. Molti pezzi di pietre caddero dalle pareti già distrutte, ma non me ne poteva fregar di meno. Tirai un altro pugno. Un altro ancora. Tirai pugni fino a che sentii che se ne avessi tirato un altro mi si sarebbero rotte le mani. Non è che me ne importava tanto, ma dovevo lavorare sulla lettera. Il sangue sgorgava copioso macchiando muri, piastrelle e vestiti; ma non me ne fregava.

Non mi importava dell'organizzazione.

Non mi importava della lettera.

Non mi importava dell'aptx4869.

Non mi importava più di niente e nessuno.

Mentre cercavo di calmarmi prendendo respiri profondi finii di macchiare pure i capelli ramati di quel liquido rossiccio: avevo per l'appunto iniziato a strattonarli senza rendermene conto.

"Sei un'assassina... sei un'assassina... sei un'assassina..." continuava a ripetermi la mia mente come una mantra.

"Perché le sue parole mi hanno ferita tanto? E' la verità. So che è la verità. Sono un'assassina..."

All'improvviso sentii un bisogno che non sentivo da tempo, ma era l'unico modo per farmi dimenticare del dolore psicologico. Iniziai a frugare dentro cassetti, su tavoli e all'interno di armadi alla ricerca di qualcosa di affilato.

Appena individuai una lametta, la afferrai non badando al fatto di essermi tagliata le mani per via della forza con cui la stavo stringendo.

La ragione continuava a ripetermi di non farlo, che non risolveva niente; ma vinse l'istinto, il quale mi diceva che il dolore si sarebbe alleviato.

Alzai la manica sinistra della felpa e passai la lametta sull'avambraccio più volte, facendo riaprire le cicatrici che mi ero procurata tempo prima.

Tirai un sospiro di sollievo quando le opprimenti emozioni svanirono, e misi la lametta nella tasca della felpa, sicura che mi sarebbe servita in futuro.

"Merda, sto diventando troppo emotiva" pensai, riferendomi al dolore che mi avevano procurato le parole di Kudo "E questa cosa non va bene, devo rimediare" mi dissi decisa di non lasciarmi più sopraffare dalle emozioni.

Ma sentii comunque, nonostante le mie parole, le lacrime pizzicarmi gli occhi, pregandomi di lasciarle uscire; e tutte le emozioni negative influirono a farle diventare sempre più numerose, sempre più difficili da trattenere.

Mi rintanai nell'angolo più lontano della porta, e mi sedetti rannicchiandomi su me stessa, lasciando finalmente scendere le calde e salate gocce d'acqua; promettendomi però che quella sarebbe stata l'ultima volta.

-Mi dispiace, mamma... mi dispiace, papà... mi dispiace, Akemi... mi dispiace di non essere diventata ciò che voi vi aspettavate da me. Sono diventata un'assassina... mi dispiace tanto...- mormorai singhiozzante tra le lacrime, con la testa sprofondata fra le braccia -voglio rivedervi... mi mancate... creerò l'antidoto a quella fottuta aptx e verrò da voi... al diavolo gli uomini in nero... al diavolo tutto... al diavolo tutti... non ce la faccio più a continuare a vivere... mi dispiace... mi dispiace cosi tanto...-

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