CAPITOLO SETTIMO

Spiegò il tovagliolo ripiegato malamente su se stesso.
Sbuffò. Era la terza volta che provava a dargli forma. Sicuramente non era un periodo eccellente; aveva i nervi a fior di pelle ed era spesso di pessimo umore. Ma... diamine! Ne aveva fatti migliaia di cappelli del vescovo. E... maledizione! Avrebbe dovuto essere un movimento automatico. Come mangiare, lavarsi le mani, oppure preparare il caffè, non importa cosa; una di quelle azioni che ormai si fanno a occhi chiusi, e anche se la testa è totalmente da un'altra parte.

Dopo otto anni lì dentro, Sara non avrebbe giustificato un errore simile a se stessa. Ancor meno del suo stesso datore di lavoro. Aldo era un uomo molto attento e preciso, e soprattutto adorava quel lavoro nel quale aveva riposto tutta la sua vita.
Nonostante fosse al suo servizio da così tanto tempo, Sara non era quel tipo di ragazza da essere disinvolta e invadente nella vita altrui, quel poco che sapeva sul conto di Aldo lo aveva sottratto dai discorsi di suo padre quando, una volta a casa, si concedeva di raccontare i momenti particolari di quel lavoro che tanto adorava.
Quando arrivò il momento in cui lei avrebbe voluto fare domande, non ne ebbe un granché di coraggio: avrebbe riaperto ferite a suo padre. Un capofamiglia costretto in poltrona, invece che fra quei tavoli che tanto gli portavano soddisfazioni.
Preso il posto di Henry dopo l'incidente, al suo ritorno, Sara si limitava a concludere le conversazioni con un "tutto bene" o un "come al solito", leggendo la nostalgia e la sofferenza negli occhi di suo padre.

Fu Aldo a farle la proposta, di sua spontanea volontà, dicendole che il posto vacante lasciato da Henry sarebbe stato difficile da colmare e che, "se buon sangue non mente", sarebbe stato felicissimo di fare una prova. Sara accettò immediatamente, di lì a poco avrebbe finito gli studi alla Central High School e si sarebbe lanciata in quella nuova avventura.

Sapeva di Aldo come un uomo pignolo e accurato, ma anche del suo animo buono e della sua grande pazienza. Sapeva fosse nato lì, nel Colorado, cinquantasei anni prima, e che la famiglia fosse emigrata nella Sicilia italiana poco dopo la sua nascita.
Restò in Italia fino ai suoi vent'anni, momento in cui scelse di tornare nel suo paese natio dove dopo qualche anno aprì la sua attività: Aldo's Ristorante Italiano. Scelse di portare con sé un po' della sua infanzia e adolescenza, e unirla alla sua passione per pentole e fornelli. Trascinò con lui buona parte della tradizione italiana in cucina, che tanto adorava, e gli ingredienti che costantemente, e ancora, si faceva recapitare laddove possibile.
Su suggerimento di Henry decise di elaborare un menù combinato che unisse le due nazionalità e che fosse in grado di soddisfare tutti i palati. Quindi, se da un lato la lista prevedeva la classica cucina italiana, dall'altro rispecchiava le abitudini americane: una elenco di panini concludeva il menù richiamando l'attenzione di molti clienti affezionati, sì, alla loro consuetudine, ma anche di curiosi alla ricerca di nuovi sapori.
Venticinquenne sposò la sua dipendente Sofia, e dopo un anno nacque il piccolo Theodore... che crescendo, avrebbe lasciato il cervello a spaziare nel vuoto, avrebbe aggiunto Sara.

«Veronica, questi tovaglioli non sono inamidati bene. Non tengono la piega e mi stanno facendo impazzire. Dov'è Fernando?»

Accadeva spesso che Fernando, l'addetto alla lavanderia, non fosse attento e accurato nel suo lavoro. Capitava che a Sara passassero sottomano tovaglioli con aloni o tovaglie non perfettamente rigide e lucenti. Ma forse, non era questa la volta.

«Sara, a me sembrano a posto.» Tentò di fermarle la mano frenetica. «Lascia, faccio io. Occupati delle posate e dei bicchieri.»

Le tolse la stoffa dalle mani e cominciò a ripiegare il tovagliolo su se stesso, finché un bel cappello venne apposto al centro del piatto. «Et voilà» concluse carezzando affettuosamente la spalla di Sara. «Credo che dovresti prenderti un periodo di riposo, tesoro. Ultimamente hai la testa per aria, e non è da te. A dirla tutta non hai nemmeno una gran bella cera.»

Sara abbassò lo sguardo, non poteva dare torto alla sua amica. Magari si aspettava che il tutto fosse meno evidente, che riuscisse a mascherarlo come di consueto, ma gli avvenimenti degli ultimi giorni l'avevano scossa a tal punto di non avere più il pieno controllo di se stessa. E poi quel maledetto tremore alle mani! Era tornato incessante e si acuiva in momenti di forte stress.

«Sara... Ehi, Sara. Ci sei?»

La voce dolce di Veronica le sembrò arrivasse da un'altra dimensione.
«Sì. Sì, scusami. Ci sono» rispose mordendosi il labbro.

«Sul serio, tesoro. Vuoi che ci parli io con il signor Aldo? Potresti prenderti una settimana...»

«Ah! Figurati, Veronica! Theodore mi ucciderebbe» rispose rinsavendo di colpo, mentre le mani iniziarono a compiere quei movimenti che fino a pochi istanti prima le erano risultati così difficili. «È un periodo che passerà, come tutti gli altri. Ho bisogno solo di un pochino di tempo, e soprattutto che quello stronzo non mi stia col fiato sul collo.»

«Theodore vale meno dei piatti sporchi che lavo ogni giorno. Ignoralo Sara. Purtroppo la maggior parte della gente non apprezza la vita. Le persone non fanno che lamentarsi per delle stronzate. Sono sempre insoddisfatte. Vogliono sentirsi gratificati, appagati, soddisfatti e, anche quando hanno la pancia piena, continuano a lamentarsi perché forse qualcun altro ha mangiato più di loro. Perdono di vista le cose che contano davvero. Ogni giorno della vita è un dono, ma solo in pochi ne sono consapevoli. La gente calpesta la felicità, perché non la vede. Lui ha il primato in questo. E non solo» concluse con una smorfia di ripugnanza.

Sara annuì. Era perfettamente d'accordo con le parole dell'amica. E riflettendo bene, probabilmente quelle sulla felicità la coinvolgevano; forse nemmeno lei riusciva a scorgerla, calpestandola.

«Prima... c'è mancato poco che il padre lo soffocasse attaccato al muro» bisbigliò Veronica con un sorrisino elettrizzato.

«Cosa!?»

«Aha. So che ti fa strano, da Aldo nessuno se lo aspetta. Ma io ero lì presente, e stavolta quel coglione ha veramente superato i limiti persino di suo padre che è un santo.» Alzò gli occhi al cielo e poi le puntò il dito sulla spalla. «E tu, mia cara, sei stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»

Sara guardò Veronica smarrita. Fece un cenno di diniego col volto e attese che la sua amica proseguisse.

«Aldo ti difendeva contro i soliti attacchi isterici di quel pazzo.»

«Tipo...?» chiese esausta Sara.

Nell'esatto momento in cui le arrivò la domanda, Veronica decise di omettere la parte peggiore della discussione. Decise di non creare altre apprensioni nella sua amica, e altra rabbia. Se solo le avesse riferito che le aveva dato della pazza e quello che aveva detto sul conto di suo padre... «Niente che tu non sappia già. Alla fine Aldo gli ha detto qualcosa del tipo: "devo pensare che sia vero il fatto che tu ce l'abbia con lei perché ti ha mollato il due di picche?" Tesoro... Vedessi che faccia ha fatto!» prese di nuovo a sghignazzare di gusto.

«Non ci posso credere. È riuscito a far saltare il cervello anche a suo padre. Che idiota.» Riprese seria il suo lavoro non dando importanza all'accaduto e alle parole della sua collega.

Veronica si incupì all'istante. Non era la sua Sara. Quella delle chiacchierate fino a tarda notte, dei sorrisi, degli abbracci. Per questo decise di insistere ancora: «Sara, perché non vuoi parlarne con me. Ti rendi conto anche tu che non sei più la stessa?»

«Sì, hai ragione. Ma sono solo stanca e...»

«Credi che non mi sia accorta del tuo tremore alle mani?»

Sara impallidì in un attimo, ma non poteva tacere; la sua amica non avrebbe mollato. «Sono tornati i miei attacchi di panico.»

«Ne hai parlato con Michael?»

«No. Non ancora. Credevo di essere in grado di gestirli. Almeno la claustrofobia.» Inchinò il volto spento per poi spostarsi e cambiare tavolo.

«Almeno?» La seguì Veronica. «Cos'altro c'è che tieni per te?»

Restò in silenzio, l'ultima cosa che avrebbe voluto era che la sua migliore amica la credesse pazza definitivamente.

«Ho la sensazione che c'entra Lincoln in tutto questo.»

Sara avvertì un tuffo al cuore. Le immagini cominciarono a scorrere nella sua mente innumerevoli, fino ad arrivare all'ultima terribile figura di suo fratello impresso in quel vetro. Una scossa percorse l'intero corpo fino a concentrarsi nella testa annebbiandola. Cosa cerchi da me, e perché dopo tutto questo tempo. Il pensiero prese forma distaccandola totalmente dalla realtà.

«Sara, dovresti parlarne. Non puoi andare avanti così.»

Un cenno di assenso con la testa bastò a Veronica per farle capire che la sua amica fosse davvero in difficoltà.

«Parli del diavolo, e spuntano le corna.» Si voltò e accennò un saluto alla nuova presenza. «Arriva il tuo bel dottore» le sussurrò, per poi baciarla sulla guancia. «E... visto che a te non interessa, ricordati della tua migliore amica!» disse nell'intento di farla sorridere.
Strizzò l'occhio ammiccando e poi si dileguò fra i tavoli.

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