𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 20 (Arya)

"𝔄 𝔠𝔥𝔦 𝔥𝔞 𝔭𝔢𝔯𝔰𝔬 𝔦𝔩 𝔰𝔲𝔬 𝔢𝔯𝔬𝔢"

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«Hermana, non crederai mai a quello che ho scoperto!»

Ethan si fiondò nella mia camera, svelto come la polvere, e richiuse la porta dietro di sé con un calcio. Balto sollevò il muso dal mio grembo, rizzando le orecchie.

Anch'io smisi di sfogliare l'album, che tenevo posato contro le ginocchia, per girarmi a fissarlo. Stando alla data riportata sulla copertina consumata, era vecchio di più di trent'anni e non doveva essere stato conservato con molta cura a giudicare dalle fotografie sbiadite.

La maggior parte delle immagini ritraevano dei bambini, tanti bambini particolarmente belli. Molti erano biondi, con splendidi occhi azzurri. Alcuni erano mori e pallidi, altri ancora con folti capelli ramati. In totale erano tredici, tutti con dei volti sorridenti e vivaci, tranne uno con la carnagione abbronzata che in ogni scatto aveva un alone malinconico nello sguardo.

«Che cos'è?» chiese il ragazzo, indicando l'album. Si abbandonò accanto a me sul letto e diede una carezza a Balto, che stava tentando di leccargli la faccia.

«Non dirlo alla mamma, ma l'ho preso tra le cose della signora Wurstel in soggiorno. È stata la governante al castello per parecchio tempo, magari poteva esserci qualcosa di utile».

«E?»

Mi strinsi nelle spalle. «Per ora niente, eccetto che De'Ath era il cognome della madre e sembra che avesse una caterva di fratelli e sorelle. Oltre a Lucius, che era adottato».

Ethan ridacchiò. «Procreare deve essere una tradizione di famiglia».

«Probabile». Sorrisi, per poi grattarmi il mento. «Però sono confusa. Se avevano così tanti zii, perché nessuno di loro li ha accolti quando sono rimasti orfani? Perché spedirli in un centro di riabilitazione?»

«Forse erano pazzi pure loro. Comunque, adesso è il mio turno». Lui afferrò l'album, lo richiuse e lo gettò sul comodino, facendomi emettere un'esclamazione di protesta. Aveva un'espressione eccitata dipinta sulla faccia. «Ti ricordi quando hai cercato in rete delle informazioni su Thomas Stone?»

Annuii. «Non ho trovato nulla».

«Già, beh, forse perché cercavi nel posto sbagliato». Ethan estrasse il telefono dalla tasca e me lo porse. Poi mi diede una gomitata, gongolante. «Sono o non sono straordinario?»

Era un vecchissimo post che John aveva pubblicato quando ancora era nell'esercito, per celebrare la fine di una lunga missione che era durata sei mesi. Ebbi una fitta al cuore alla vista di mio padre in divisa militare, con la medaglia appena ricevuta appesa al collo insieme alle piastrine.

Aveva i miei stessi occhi verdi, anche se i suoi lineamenti erano più seri di quanto ricordassi. Era un passo avanti rispetto al resto della squadra, tra i quali riconobbi soltanto mio zio intento ad abbracciarlo e un sorridente Logan. Erano così giovani che mi facevano quasi impressione.

«Non metto in discussione che tu sia favoloso, eh». Mi voltai verso Ethan, incerta. «Ma esattamente quale sarebbe la scoperta?»

Lui scosse il capo. Il ciuffo castano gli ondeggiò sulla fronte e lo respinse all'indietro con un gesto meccanico. «Saresti proprio spacciata senza di me. Leggi la descrizione, zorro».

Lo feci. In fondo erano riportati i nomi di tutti i membri della spedizione: Charles Black, John Keyne, Logan Myers, Shayla Sander, Colin Baker, Edward Parker, Albert Morrison e altri che non mi dicevano niente... finché arrivai all'ultimo. Thomas Stone.

Li passai in rassegna a uno a uno e mi soffermai su un uomo dal volto famigliare che guardava mio padre, leggermente in disparte come se volesse nascondersi. Aveva i capelli scuri e una postura ingobbita, le braccia rigide lungo i fianchi, con un paio di occhiali dalla montatura spessa sul naso. Sulla guancia gli spiccava un livido e indossava l'uniforme in maniera trasandata.

«Aspetta, io me lo ricordo! È venuto al funerale di papà!» esclamai esterrefatta.

«Davvero?»

«Sì, ne sono sicura. È il tizio che ci ha regalato Balto, perché pensava che un cucciolo ci avrebbe aiutati a superare il lutto». Il cane uggiolò piano, quasi a voler confermare le mie parole. Di colpo mi resi conto di un particolare. «Quindi John ha finto di non conoscerlo, quando ne abbiamo parlato alla centrale».

Ethan fece una smorfia scettica. «O forse se lo è dimenticato. Questa roba è successa un sacco di tempo fa».

«Impossibile. Mio padre mi avrà ripetuto centinaia di volte quanto sono forti i legami che si creano in guerra». Picchiettai l'indice sullo schermo. «Se Thomas Stone ha prestato servizio con loro, John lo sapeva e mi ha mentito. Deve averlo fatto per una ragione».

«È di sotto proprio adesso» replicò Ethan, riponendo il cellulare. «Possiamo chiederglielo».

Un attimo prima che si alzasse, lo acciuffai per il gomito. «No, non farlo. Capirebbe che stiamo indagando».

«E allora? È nella nostra squadra!»

«Mi fido di John, okay?» Mi mordicchiai il labbro. «Ma è evidente che vuole tenermi fuori da questa storia. In pratica, lo ha anche ammesso».

Ethan mi rivolse un'espressione dolce, intrecciando le dita alle mie. «Sarò sempre al tuo fianco, a prescindere dal casino in cui ci stiamo cacciando».

Gli sorrisi. «Non è una gran novità».

«Già, ma ogni tanto mi piace rimarcare l'ovvio».

Lo squillo prolungato di un clacson lacerò l'aria, accompagnato dal suono della marcia imperiale di Star Wars sparata a tutto volume in giardino. Era il metodo originale inventato da Mac per comunicarci quando arrivava, malgrado la sorella lo rimproverasse sempre di fare troppo baccano.

«La nostra astronave di ultima generazione è approdata». Ethan si affacciò alla finestra della mia camera e sventolò la mano. Mi lanciò un'occhiata. «Che stai facendo?»

Aperto l'armadio, cominciai a ficcare i vestiti nello zaino, che già conteneva il poco materiale che avevo deciso di portare per svolgere il compito di letteratura. Felpa, jeans e il giacchetto. Doveva essere tutto.

Richiusi la cartella, me la misi a tracolla e solo allora risposi con un sospiro: «Così quel rompiballe smette di lamentarsi».

Lui sogghignò. «Spero di avere la fortuna di incontrare il tuo Adone, oggi».

«Oh, te lo auguro. Un campione di simpatia e gentilezza» dissi acida.

Tallonati da Balto, scendemmo in soggiorno. Mia madre stava chiacchierando con John, che era inginocchiato per terra a riparare un tubo sotto il lavello. Rhys gli faceva da assistente... un pessimo assistente, dato che continuava a consegnargli gli attrezzi sbagliati e si indispettiva se osava indicargli quello giusto -o addirittura prenderlo da solo. Quindi si limitava ad aspettare con pazienza, scambiandosi occhiate divertite con la mamma.

«Noi usciamo» annunciai.

Mia madre sorrise. «D'accordo, divertitevi con i vostri amici. E ricordate che stasera io e John andiamo a cena fuori. Vi ho lasciato dei soldi per ordinare qualcosa, se non avete voglia di cucinare».

«Considerato che le alternative sono noi che bruciamo la casa o rischiare che Eryn ci avveleni tutti con del cianuro, opterei per affidarci all'asporto» commentò Ethan, mettendosi il giubbotto.

Rhys agitò una chiave inglese. «Posso cucinare io!»

Inarcai un sopracciglio. «Se sei bravo come cuoco quanto lo sei come idraulico, rimpiangeremo il cianuro di Eryn».

«Io sono un bravissimo idraulico! Vero, zio John?»

«Certo, campione. Ma ora posso avere il cacciavite a stella? Quella è una chiave inglese».

Ethan aprì la porta e rimase fermo ad aspettarmi. Esitai. «Ehi, John, ci sono novità su...»

«Non si è svegliato» mi anticipò con tono esasperato. Era una settimana ormai che lo assillavo per tenermi aggiornata sulle condizioni di Keegan. «Fra un paio di settimane, se non avrà ripreso coscienza, lo trasferiranno in un ospedale più grande per fargli ulteriori controlli».

Corrugai la fronte. «Quali controlli? Credevo che stesse bene. Ma tornerà a Notturn Hall, giusto?»

John si raddrizzò, riemergendo da dietro il mobile. Il suo sguardo mi trapassò. «Perché ti preoccupi così tanto per quel ragazzo?»

«Obbligo morale. Sai com'è, l'ho quasi investito» borbottai, prima di uscire insieme a Ethan. Udii Balto lanciare un ululato di protesta dall'interno, quando gli impedii di seguirmi.

Il furgone era accostato sul bordo del marciapiede. Deena era seduta nel posto del passeggero e Layla sui sedili posteriori; infatti, erano state messe in gruppo con Gabriel, dopo che quest'ultimo era rimasto da solo per la scomparsa di Andrew. Mac era alla guida, il berretto storto sulla testa. Appena ci fummo infilati dietro, mise in moto.

«Okay, ascoltatemi». Mi allacciai la cintura in fretta e furia, per poi squadrarli con fermezza. «Io e Ethan abbiamo un piano».

Deena soffocò un gemito. «Se lo avete elaborato con quella nocciolina che condividete come cervello, ho paura».

Feci un verso sarcastico. «Dai, sono seria. Ho già pronta una scusa per allontanarmi e approfittarne per farmi un giretto nel castello. Voi dovete solo distrarre i De'Ath per un po', così non se ne accorgono».

«Ti prego, dimmi che la scusa non sarebbe fingere di andare in bagno» replicò Mac divertito.

«Ovviamente no. Sono la figlia di uno sceriffo, dopotutto». Era una bugia, ma ero troppo orgogliosa per ammettere che metà del piano consisteva davvero in quello.

Layla accavallò le gambe, agitandosi nervosa. «Non mi sembra una buona idea. Non potremmo trascorrere soltanto una tranquilla giornata di studio? E comunque cosa speri di trovare?»

Non sapendo cosa rispondere, rimasi in silenzio per il resto del tragitto.

La prima volta che ero stata a Crystal Lake non avevo prestato molta attenzione al gigantesco maniero. Di conseguenza, non fu troppo difficile apparire stupita quanto i miei amici nell'ammirarlo in tutta la sua magnificenza.

Un'imponente rocca di granito con torri merlate e pinnacoli, la pietra così scura che pareva inghiottire la luce del sole. Da un lato c'erano le serre, poco distanti dal laghetto con una barca attraccata al molo. Si intravedeva anche un'inquietante fenditura nel terreno simile all'imboccatura di una grotta, circondata da una recinzione di ferro. Nella parte opposta del giardino invece si estendeva una fitta boscaglia e dei recinti per animali che però erano vuoti.

«È la versione psicopatica di Hogwarts» disse Ethan allibito, chiudendo la portiera.

«Siete arrivati, finalmente». Eleanor ci stava attendendo seduta sul muretto della fontana, al centro dello spiazzo. Si alzò, spazzolandosi la chioma bionda. Attorno a lei, una frotta di corvi gracchiavano appollaiati sulla statua di uno scheletro a cavallo, da cui sgorgavano zampilli d'acqua. «Ero stufa di sopportare questi uccellacci del malaugurio».

Mac aggrottò la fronte. «Potevi anche entrare intanto».

«Da sola nel castello maledetto infestato dai fantasmi? Non voglio mica morire».

Roteai gli occhi. Per me erano soltanto stupide leggende, anche se dovevo riconoscere che incutesse un certo timore. Poiché gli altri si rifiutavano di bussare, presi coraggio e picchiettai con il batacchio che pendeva da un teschio di marmo. Il rumore rimbombò, profondo e spettrale.

Ad aprirci fu una ragazza. Sfoggiava un enorme sorriso che le illuminava il volto ornato di lentiggini e i capelli ramati, più corti a sinistra, risplendevano di riflessi infuocati.

Nel vederla, a Ethan per poco non cadde la mascella ed Eleanor assunse subito un atteggiamento di ostile altezzosità. Era chiaro che non le andasse proprio giù di non poter competere con la bellezza quasi surreale delle sorelle De'Ath.

«Ciao! Io sono Kath. Voi siete i compagni di scuola dei miei fratelli, giusto?» esordì in tono cordiale, scansandosi. «Prego, venite pure. Vi accompagno da loro».

Fui la prima a entrare, poi imitata dal resto del gruppetto. Dovetti mordermi forte la lingua per non lasciarmi sfuggire un'imprecazione. Nel soggiorno, davanti a uno dei camini, c'era Nicholas. Stava giocando a scacchi con il suo amico riccio che avevo incontrato alla fiera del fumetto, il mento posato sulle nocche in una posa contemplativa.

Le sue iridi blu dardeggiarono nella nostra direzione e incontrarono le mie. «Sono curioso. Abbiamo aperto un albergo o uno strip club?» commentò, abbozzando un sorrisetto che mi provocò un formicolio in tutto il corpo.

Seth invece mi guardava come se gli avessi ucciso il cane.

Kath puntellò i pugni sui fianchi. «Nik, sii gentile. Sono i nostri ospiti». Ci fece un cenno e si indirizzò verso il corridoio.

Man mano che ci allontanavamo dal salotto, il mio cuore rallentò la sua corsa.

Eleanor mi si accostò. «Hai notato quanto era sexy?»

«È l'unico pregio che ha» bofonchiai, senza riuscire a trattenermi. Lei mi puntò addosso uno sguardo indagatore e, pregando di non essere arrossita, mi affrettai a porre rimedio. «Ha una faccia da stronzo».

Non ebbe il tempo di insistere. Kath si era fermata di fronte a una porta di legno cesellato e si era girata a guardarci, sempre con un sorriso dolce sulle labbra. «Se avete bisogno di qualsiasi cosa, ditemelo. Più tardi vi porto la merenda». Dopo aver esitato un istante, se ne andò.

Stavolta fu Layla a farsi avanti e spalancò la porta. I De'Ath erano raccolti attorno a un lunghissimo tavolo da pranzo, coperto da una tovaglia di pizzo ricamata con motivi macabri. Dentro a delle nicchie laterali si trovavano dei bracieri a forma di uccelli e le pareti erano piene di ritratti.

Remiel fu l'unico a salutarci, poiché Joel e Gabriel erano troppo impegnati a sputarsi a vicenda palline di carta e Alexander aveva l'aria imbronciata di chi avrebbe preferito essere da qualsiasi altra parte. Isaac, con le guance arrossate, si limitò a sollevare timidamente la mano, intanto che ci univamo a loro.

Deena si schiarì la gola. «Possiamo cominciare?»

«Prima non sarebbe male farci delle domande per prendere confidenza» propose Gabriel, gesticolando all'impazzata. Quel giorno esibiva una vivace capigliatura viola abbinata a un mascara dorato e indossava una maglia plissettata rosa pastello che stonava con i leggings verde pisello. «Ad esempio, preferite il giallo ocra o il giallo citrino?»

Ethan si accigliò. «Cosa cambia?»

«Uno è ocra e uno citrino».

«Okay, ma perché...»

«Mai chiedere il perché di quello che dice o fa Gabe, fidati». Remiel aprì il quaderno, sbirciandomi ogni tanto con la coda dell'occhio. «Allora, la consegna era di dimostrare l'importanza del punto di vista in una narrazione».

«P-potremmo» intervenne Isaac paonazzo «riportare una scena di un testo letterario, secondo una diversa prospettiva».

Mac si tolse il berretto e lo appese allo schienale. «Sì, attraverso il punto di vista di un altro personaggio. Mi piace come idea».

«Io propenderei per una cosa più personale». Eleanor sfoderò un ghigno subdolo. «E se parlassimo di nostre esperienze? Ognuno racconta un episodio della propria infanzia e lo trascriviamo in base alle sensazioni che ci suscita, così da mettere in evidenza la differenza tra essere spettatori di qualcosa e viverla in prima persona».

Era una mossa meschina, ma dovevo riconoscere che sarebbe stata l'occasione perfetta per estorcere delle informazioni sul passato della loro famiglia. Poi però mi accorsi che Remiel si era irrigidito e il terrore si stava insinuando sul viso di Isaac e fui assalita dal senso di colpa.

«Non mi sembra il caso» tagliai corto. Alexander mi scoccò un'occhiata penetrante e, dopo qualche secondo che continuava a guardarmi, non potei evitare di mimare con le labbra "che cavolo vuoi?"

«Mary, mi presti una delle tue penne che odorano di fragola?»

«Non ho ancora capito per quale ragione mi chiami Mary» obiettò Layla perplessa.

Gabriel si attorcigliò un ricciolo con l'indice. «Oh, Mary non sei solo tu. Mary è in ogni cosa. Tutti possiamo essere Mary». Le soffiò un bacio volante, facendola avvampare, e aggiunse in un sussurro udibilissimo: «Altrimenti posso chiamarti "bella fanciulla". Tanto sei sia bella che fanciulla».

Nella sala calò un silenzio imbarazzante, con Layla che sembrava sul punto di sciogliersi sul pavimento, finché venne infranto da Remiel. «Vi avevo avvisati che è meglio non chiedere».

Joel, che si era appisolato con la fronte premuta sul tavolo, prese a stiracchiarsi sbadigliando sonoramente. «Facciamo una pausa? Tutto questo duro lavoro mi sta sfiancando».

«Non abbiamo neanche iniziato» protestò Deena.

«E che ne so! Ho smesso di ascoltare al giallo ocra e al giallo canarino».

«Citrino» lo corressero in coro Gabriel ed Ethan.

«Dovrei andare in bagno». Mi alzai, ignorando Mac che si dava una sberla in fronte. «Qualcuno potrebbe mostrarmi dov'è? Ho un terribile senso dell'orientamento».

Remiel scattò in piedi come una molla. «Sì, certo». Appena uscimmo, tirò un sospiro e si passò una mano nei capelli neri. «Cavolo. Altroché gruppo di studio, abbiamo messo su un covo di idioti».

Ridacchiai. «Già. Non abbiamo molte chance di combinare qualcosa oggi».

«Se tramortiamo Gabe e Joel, forse forse». Indicò il mio zaino caricato su una spalla. «Potevi anche lasciarlo lì. Abbiamo tanti difetti, ma giuro che non siamo dei ladri».

«Non è per quello». Gli afferrai il braccio, bloccandolo in mezzo al corridoio. «In verità, non mi serve il bagno. È che devo restituire a quel tuo simpatico fratello i suoi... vestiti». Pronunciai quella parola in un soffio. «E non mi va di sbandierarlo alla nostra banda di disadattati».

Remiel abbozzò un sorriso, ma sembrava che un'ondata di malumore gli fosse piombata addosso. «Certo. Puoi anche darli a me comunque. So quanto può essere irritante Nicholas».

«No, tranquillo. Tanto devo anche discutere con lui di una cosa». Lo osservai con un'espressione supplichevole. «Tu però potresti assicurarti che non vengano a cercarmi, nel caso impiegassi un po' troppo tempo, per favore?»

«Sì, nessun problema» annuì.

Lo ringraziai e mi diressi verso il soggiorno. Adesso c'era solo Seth che, spaparanzato sul divano, faceva zapping tra un canale e l'altro. Quando si accorse della mia presenza, fece una piccola smorfia; se fossi stata una cacchetta sotto la suola della sua scarpa, sarebbe stato meno infastidito.

«Nicholas?» gli chiesi.

All'improvviso cominciò a premere il tasto così forte che pensai volesse frantumare il telecomando. «Di sopra. È andato a lavarsi». Il suo tono divenne ancora più acido. «Suppongo che tu conosca già la strada per la sua camera».

Le punte delle orecchie mi si scaldarono. A essere sincera, no, non la conoscevo; avevo rimosso quasi tutto di quella notte, ma ero certa che la stanza in cui mi ero risvegliata fosse al pianoterra. Tuttavia avevo l'impressione che Seth non fosse un mio grande fan, quindi rimasi in silenzio e mi incamminai su per i gradini.

Eppure, con Rhys era stato gentile. Che cavolo aveva contro di me? Era una qualche strana forma di solidarietà maschile?

Giunta in cima alle scale, presi a vagare nel labirintico intrico di corridoi e passaggi. Ogni angolo di quel castello era ammantato di richiami alla morte o di simboli non proprio allegri che mi mettevano i brividi. Non riuscivo a immaginare dei bambini crescere in un ambiente del genere.

Scorsi una porta socchiusa e mi ci tuffai dentro. Mi ritrovai in quello che aveva l'aspetto di un ufficio, freddo e austero. Il sole del pomeriggio si rifrangeva sulla superficie delle specchiere, creando un fastidioso gioco di luci. Non sapevo nemmeno cosa stessi facendo mentre mi avvicinavo alla scrivania.

Sfiorai le graziose statuette intagliate disposte in ordine vicino al portatile, ma la mia attenzione venne subito attirata dal sibilo proveniente dal cassetto in alto. Somigliava a un mormorio, che scomparve nell'istante stesso in cui lo aprii. La serratura era rotta.

Anche se era invaso da fogli e documenti, il mio sguardo cadde su una custodia di cuoio con un'elegante "D" rilegata sopra. La afferrai e rovesciai il contenuto sul mio palmo, restando scioccata.

Una frusta dalla punta acuminata si srotolò sinuosa fino a toccare il pavimento, facendo tintinnare i pezzi di metallo che la rivestivano. Li scrutai, incuriosita. Erano dei frammenti sottili e affilati, di una tonalità rossastra con venature dorate.

Un rumore di passi mi fece sobbalzare. In preda al panico riavvolsi la frusta a casaccio nella sua custodia e la rimisi al suo posto, un attimo prima che la porta si spalancasse.

Un ragazzo vestito di tutto punto comparve sulla soglia. La camicia bianca gli fasciava meravigliosamente il fisico scolpito. Il viso era ombreggiato da una barba scura e i suoi capelli corvini erano talmente lucidi che fui quasi invidiosa del suo shampoo.

Il mio primo pensiero fu: "Che gran figo".

Il secondo: "Ma di che si facevano i loro genitori per avere dei figli così?"

«Posso aiutarti?» domandò con gelida cortesia. I suoi occhi erano grigi come quelli di Kath, ma più freddi e cupi.

Mi sollevai, sforzandomi di mantenere un tono saldo. «Cercavo Nicholas».

«Non è nel cassetto».

Feci una risatina forzata. Lui inarcò un sopracciglio e mi ammutolii. Doveva andare parecchio d'accordo con Alexander, insieme avrebbero formato un duo imbattibile in quanto a simpatia.

Aggirai la scrivania e uscii dall'ufficio con il cuore che batteva forte per l'adrenalina, accelerando il passo nel momento in cui gli passai accanto. Emanava un buon profumo, però.

«Torno dai miei amici. Ci vediamo» farfugliai, desiderosa di battere in ritirata. Perché diavolo continuavo a ficcarmi in situazioni così ridicole?

«Non cercavi mio fratello?» Strinsi la bretella dello zaino, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte, ma non mi diede modo di parlare. «Vieni con me. Non sia mai che ti perda di nuovo».

Avrei voluto insultarlo, ma mi aveva appena beccata a frugare in casa sua, dovevo riconoscere di essere dalla parte del torto. E in tutta onestà mi faceva un po' paura, perciò mi limitai a seguirlo stando a debita distanza.

«Callum».

Sussultai. «Eh?»

La mia reazione lo lasciò interdetto. «Il mio nome».

«Ah sì». Finsi un colpo di tosse. «Arya Black, piacere». Mica tanto.

Un guizzo gli balenò sul volto corrucciato, ma chinò il capo con fare rispettoso senza dire niente.

Mi guidò fino a una sala rettangolare dominata da un'ampia vetrata istoriata di forma circolare, alla quale si accedeva tramite un massiccio portone rinforzato da borchie di ferro. Sul serio, ormai avevano smesso di stupirmi le assurdità di quel castello.

Callum accennò a uno dei corridoi che si diramavano come serpenti. «Ti aspetto qui».

Mi allontanai e raggiunsi la porta sul fondo, contrassegnata da un numero in ottone: 0. Era alquanto bizzarro, ma dai De'Ath non mi aspettavo nulla di normale.

Ancora prima che bussassi, udii la sua voce, marchiata da solito timbro ironico: «Prego, angioletto».

Rimasi imbambolata con il pugno a mezz'aria per un attimo, quindi sgattaiolai dentro. La camera aveva le spranghe alle finestre e qualsiasi superficie orizzontale era gremita di libri. C'era anche un mobiletto in cui era esposta una vasta gamma di bottiglie di alcolici.

Un disco girava sul grammofono. Nonostante il debole sottofondo della musica classica, all'inizio credetti che fosse vuota, poi Nicholas sbucò dal bagno adiacente in una nuvola di tepore. Aveva un asciugamano attorno al collo e si stava allacciando la cerniera dei pantaloni, per il resto non indossava altro.

Mi girai di scatto. «Se non eri presentabile, bastava dirmelo!»

«Abbiamo chiaramente un diverso metro di giudizio sull'essere presentabile. E poi la nostra è una tradizione, no?»

«Grandioso, bravo, hai fatto il galletto. Puoi coprirti ora?»

Per tutta risposta, scoppiò in una risata canzonatoria. «Non ti facevo così facile da intimidire, tesoro».

Punta sul vivo, mi voltai a fronteggiarlo. Era pigramente appoggiato al palo del baldacchino, i capelli biondo grano ancora bagnati e il ciondolo che gli pendeva sul petto nudo. Mi costrinsi a non soffermarmi sul suo fisico affusolato, aggraziato come quello di un felino, con i fianchi sottili e le spalle larghe.

Il ricordo delle mie labbra che gli tracciavano una scia di baci sugli addominali, con le sue dita affondate nelle cosce, mi affiorò sfrontato nella mente, intaccando la mia spavalderia.

«Primo. Si chiama semplice decenza» replicai impettita. Presi a frugare nello zaino e raccolsi l'ammasso di vestiti. «Secondo». Glieli scagliai in faccia, ma purtroppo ebbe la prontezza di intercettarli e gettarli sul letto uno dopo l'altro. «Ecco. Spero di averti reso un bimbo felice».

Con mia sorpresa Nicholas annusò il giacchetto e storse il naso. Sbuffò, buttando anch'esso sul materasso con un gesto svogliato. «Puzza. Avresti potuto lavarlo».

Quanto avrei voluto mollargli un ceffone. «Senti, ci sarebbe una questione...»

«Di solito non offro il bis, ma sì. Per te potrei fare un'eccezione».

«Non offri il...» ribadii confusa. Scossi la testa. «E chi lo vuole!»

«Dici così solo perché lo hai dimenticato».

«Se l'ho dimenticato, evidentemente non è stato un granché».

Con un sorrisetto odioso, Nicholas prese l'asciugamano e cominciò a sfregarsi i capelli. Nel farlo i suoi muscoli si tesero e deglutii, il mio respiro che diventava pesante.

«Comunque» ripresi impacciata. «Volevo solo avvertirti che potresti avere dei problemi con il mio ex. Ha scoperto che c'è stato qualcosa tra me e un De'Ath e non l'ha presa benissimo...»

«Tutto questo dramma mi pare esagerato. Abbiamo avuto una bella scopata, mica ti ho fatto una proposta di matrimonio». Ammiccò. «Senza offesa, angioletto».

«Lo so. Ma Josh ha un brutto carattere e, sebbene tu sia insopportabile, mi dispiacerebbe se ti spaccasse quel bel faccino per colpa mia».

Lui sogghignò. «Tremo al pensiero di quello che potrebbe farmi».

«È grosso il doppio di te. Se dovessi puntare su uno dei due in una rissa, non saresti la mia scelta». Mi strinsi nelle spalle, fissandolo truce. «Senza offesa».

Il sorriso malizioso di Nicholas si allargò, formando una fossetta. Quando si mosse verso il bagno per riporre l'asciugamano, aggrottai la fronte. Un intrico di lunghe cicatrici dai bordi irregolari gli rigava la schiena; sarebbero state difficili da vedere, se la sua pelle bianca non fosse stata ancora arrossata come se avesse fatto una doccia bollente. Forse per questo non le avevo notate prima, o magari l'avevo fatto e lo avevo rimosso.

Ciò che mi colse alla sprovvista però fu che non ricordavo nemmeno che avesse un tatuaggio tra le scapole, un corvo in inchiostro sbiadito con una scritta.

Soggetto 0
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«Sono commosso» commentò Nicholas, venendo verso di me. Si fermò, abbastanza vicino da provocarmi un fremito alla bocca dello stomaco. «È stato premuroso da parte tua preoccuparti per la mia incolumità».

I miei occhi si conficcarono nei suoi, che brillavano come zaffiri, poi li abbassai sul suo torace ben definito. Anche se detestavo ammetterlo, il desiderio di toccarlo ancora una volta era bruciante.

«Dovrei trovare un modo per ringraziarti». Nicholas mi accarezzò la guancia con una delicatezza che non gli si addiceva, togliendomi il fiato.

Avrei voluto ritrarmi, sapevo che avrei dovuto, ma non ci riuscivo. Avevo la sensazione di essere tirata in due direzioni opposte: il cervello che mi gridava che stavo solo cadendo nella trappola di un altro cattivo ragazzo e il corpo che mi implorava di abbandonarmi tra le spire di quella ragnatela.

Portò il suo volto a pochi centimetri dal mio. Il suo calore mi investì con un'ondata soffocante. Quando strofinò le labbra morbide sulla mia gola, mi ritrovai a piegare la testa di lato. Percorse la linea della mascella e arrivò a stuzzicare il lobo. Reprimendo un gemito di piacere, mi aggrappai al suo bacino con entrambe le mani, in bilico tra allontanarlo e attirarlo ancora di più a me.

«E menomale che non volevi il bis, amore» mormorò Nicholas al mio orecchio.

Lo spinsi all'indietro, ansimante. Mi sentivo stremata come se avessi corso una maratona. «Ho cambiato idea. Josh può anche pestarti». Evitando il suo sguardo, uscii dalla camera con le gambe tremanti e crollai contro la porta, tentando di riprendere fiato.

E così decisi che avevo definitivamente chiuso con Nicholas De'Ath.

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