Capitolo 36

Arrivò venerdì con sollievo. Ancora qualche ora e avrei passato del tempo solo con Akira senza menzogne, solo noi due. Mi aveva già promesso una sessione di utilizzo delle protesi che avevo purtroppo dovuto ridurre, vista la segretezza in cui doveva avvenire. Akira le teneva con cura sotto il suo letto e per questo potevo utilizzarle, per ora, solo a casa sua.

La mattinata passò con estrema lentezza tanto che, ogni volta che osservavo l'orologio, anziché lo scorrere del tempo che percepivo, constatavo con orrore che non erano passati altro che una manciata di minuti.

La tentazione di tirare testate contro il banco per l'esasperazione era troppa, ma non potevo permettermi di non arrivare al meglio per quel pomeriggio.

Quando suonò l'ultima campanella repressi un urlo di felicità, e mi fiondai fuori, dopo aver raccolto in fretta e furia il materiale scolastico che avevo sparpagliato sulla superficie del banco nel vano tentativo di rimanere sveglio e reattivo, per quanto possibile.

Non dovetti attendere molto prima che Akira mi raggiungesse dall'ascensore.

«Ti vedo affranto» fu quello che mi disse non appena fummo da soli nello stretto abitacolo.

Tirai un sospiro. «Risento della fine della settimana».

"Così come il resto del tempo" avrei voluto aggiungere. Akira dovette aver percepito il mio pensiero perchè stirò le labbra in un sorriso divertito, ma non aggiunse altro, mentre mi seguì verso l'uscita.

«Se sei stanco possiamo vederci un'altra volta» propose lui con sguardo intenso.

Ma col cazzo!

Scossi la testa. «Sono stanco della scuola. Non potrei esserlo di te». Precisai le mie parole finali a bassa voce in modo che non mi sentisse nessuno ad eccezione di Akira.

Lui mi rivolse un fugace sorriso dolce prima di lasciarmi dalla macchina di mia madre, come ormai era sua consuetudine fare. Mi piacevano quelli che sembravano piccoli rituali quotidiani che stavamo instaurando tra noi. Provai un improvviso bisogno di andare oltre. Arrossì subito per l'imbarazzo che quel pensiero aveva scaturito.

Non ero assolutamente pronto, e Akira non mi sembrava intenzionato a instaurare ancora quel tipo d'intimità. O sì? Non avevo affrontato l'argomento con lui, non sapendo neanche da dove cominciare. Mi sentivo un ingenuo, eppure quel tema non mi era del tutto estraneo. L'avevo fatto con Agnese quando desiderava, l'ultima volta era stata tre mesi prima il mio incidente, dopo essersi presentata a casa mia visibilmente turbata. Ma la mia sfera sessuale si era fermata con lei. Non l'avevo mai fatto con un ragazzo e non avevo la più pallida idea da dove cominciare.

Ritornai con la mente sulla terra non appena sentì la portiera della macchina sbattere e osservando fuori dal finestrino constatai che eravamo appena arrivati a casa.

Non appena ebbi ripreso possesso della sedia a rotelle entrai in casa e subito mi fiondai in camera per preparare le cose da portare. Non erano molte ma preferivo portarmi avanti e non ridurmi all'ultimo come di solito facevo.

Recuperai una maglia bianca e un paio di boxer che avrebbero fatto da pigiama e delle calze larghe con cui avrei fasciato i moncherini ancora sensibili ma visibilmente migliorati.

Non mi accorsi della presenza di mia madre fino a quando non avvertì la sua voce alle spalle.

«C'è qualcosa che vorresti dirmi?»

Mi fermai con la mano sospesa sopra il borsone che avevo utilizzato quando ancora andavo a calcio.

«Nulla» risposi, non capendo dove volesse andare a parare.

Lei rimase in silenzio, come a scegliere le parole giuste da dire.

«In questi ultimi tempi passi davvero molto tempo con Akira, e per questo avevo cominciato a pensare...»

Mi raggelai sul posto. Mia madre sospettava qualcosa. Mi aveva scoperto. Mi aveva...

«Siamo solo buoni amici. È l'unico che mi sta vicino».

«Anche Agnese e Ippolito avrebbero voluto, se non li avessi esclusi».

M'irrigidì a quelle parole.

«Non voglio parlare di loro».

«Perchè no? Erano i tuoi migliori amici Luca. Perchè li hai...»

«Non voglio stare con persone che mi hanno pugnalato alle spalle» borbottai spazientito. «Si sono messi insieme. Si, esatto! E la cosa sembra andasse avanti anche nel periodo in cui stavo con Agnese. Perchè dovrei perdonarli?»

"Perdonami" aveva implorato Agnese. Un giorno forse sarei riuscito, ma non in quel momento, non ero pronto. Chissà, stando con Akira sarei tornato a fidarmi pian piano degli altri.

Lei mi osservò e nel fondo del suo sguardo lei mi stava giudicando, facendomi salire l'irritazione.

Tornai alla preparazione della borsa gettando le cose al suo interno con stizza.

«Quindi tu e Akira...» cominciò lei, cambiando argomento, continuando a cercare un dialogo.

Io e Akira cosa?
Cosa?
Cos'è tutta questa suspense?
Perchè tornava così a tradimento sulla faccenda?

Lo sapevo, andare a dormire da lui era come urlare al mondo "Stiamo insieme!"

«...farete una maratona di...anime giusto? Akira me l'ha già anticipato».

Santo cielo!
Che colpo che mi era venuto.
Se Akira non fosse esistito avrebbero dovuto inventarlo, in qualche modo.

«Si, sono cose giapponesi».

Lei annuì. «Mi raccomando comportati bene». Fece per allungare una mano per arruffarmi i capelli ma mi scostai.

«Ti ricordo che non ho più cinque anni» ribattei con voce atona.

Lei fece cadere il braccio, allineandolo al corpo, con fare ferito.

Fece per dire qualcosa ma si bloccò. Uscì dalla stanza lasciandomi solo.

Le sarebbe passato, e poi avevo solo sottolineato l'ovvietà della cosa.
Finì di prepararmi e scrissi ad Akira che avrei anticipato il mio arrivo.

C'eravamo messi d'accordo che ci saremmo visti a casa sua ma visto com'era andata con mia madre Akira si propose a venirmi a prendere e, dopo le mie lamentele iniziali, dovetti arrendermi di fronte alla sua determinazione.

Un colpo di clacson mi fece capire che era arrivato per questo mi caricai il borsone sulle gambe e mi mossi fuori dalla camera e infine attraversando il corridoio per raggiungere la porta di casa.

Mia madre osservò il tutto dalla porta della cucina, pronta a intervenire nel caso avessi avuto bisogno del suo aiuto.
Arrivai dalla porta, feci per abbassare la maniglia ma qualcuno da fuori mi anticipò.

Mi ritrovai la figura di mio padre avvolta nel cappotto e la ventiquattr'ore in mano, l'aria stanca ma al tempo stesso perfetta.
«Dove stai andando?» domandò con voce dura, tirandosi all'indietro i capelli con un gesto della mano, un modo che utilizzavo anch'io. Odiavo avere cose in comune con quell'uomo.

«Dove non ti riguarda» sibilai contro cercando di fargli intuire che non mi sarei fatto remore a investirlo con la sedia a rotelle nel caso non si fosse scansato.

La macchina di Akira era ferma di fronte alla porta, e Akira pensò di scendere proprio in quell'istante, facendo sbattere la portiera. Subito mio padre si voltò nella sua direzione, spostandosi un poco con il corpo.

«Cosa ci fa lui qui?»

Non gli risposi, lo superai passando in quell'arco di spazio che si era formato, appena sufficiente per la sedia, avviandomi verso Akira, fermo ad attendermi con le mani infilate nelle tasche del cappotto nero.

«Buongiorno signor Tremonti» lo salutò lui, con un leggero inchino, in tradizione giapponese, il fiato che creava una leggera nuvoletta.

Lui lo ignorò, fatto che mi fece salire un attimo il sangue al cervello.

«Non penserai di andare con lui?»

«Non solo lo penso, lo farò».

«Non ti azzardare a fare un altro...»

Si bloccò. Un'occhiata alle mie gambe e una smorfia di disgusto mal velata mi fecero subiro intuire i pensieri che gli affollavano la testa.

«Passo?» gli andai incontro. «Non c'è bisogno di trattenersi. Smettila di far finta che ti dispiaccia per me» aggiunsi, più velenifero del dovuto.

Questa era una discussione da fare a casa, magari seduti attorno al tavolo, non sull'uscio di casa, al freddo e con Akira in attesa, con lo sguardo rivolto altrove per risultare discreto.

Lui mi osservò duramente prima di entrare in casa, scontrando mia madre che si era affacciara dalla porta. Lei lo seguì con lo sguardo, per poi posarlo su di me.

«Divertiti Luca» disse prima di chiudere la porta.

Mi fermai accanto ad Akira, il corpo scosso dalla rabbia e repulsione.

Per mio padre. Per me stesso.

Akira dovette intuirlo perché mi si inginocchiò di fronte, poggiando le mani sul corrimano, incastrando il mio sguardo con il suo.

«Smettila» disse semplicemente, una parola che celava una miriade di significati.

«Lo odio».

«È tuo padre, ma capisco come ti senti perché anch'io ci sono passato».

Non risposi, e gli poggiai le mani sulle sue.

«Andiamo, altrimenti rischiamo di congelare».

Annuì e lui mi liberò dal borsone che depositò nel bagagliaio, per poi avvicinarsi e aprire la portiera della macchina in modo da potermi accomodare e così chiudere la sedia a rotelle.

Durante il tragitto rimanemmo in silenzio, la sua mano poggiata sulla mia gamba che ogni tanto mi accarezzava con un movimento lento di pollice.
Ancora non mi ero ripreso dal veloce ma intenso...scontro, lo potevo definire così? Avevo parlato solo io, ma il linguaggio del suo corpo aveva lasciato intendere anche troppo i suoi pensieri più profondi. La voglia di tornare indietro e insultarlo a dovere era forte, ma decisi di trattenermi e cercare di godermi il weekend con Aki.

Arrivammo a casa sua, trovando sua zia in cucina mentre cucinanava la cena ascoltando i Queen, mentre Maiko era in soggiorno a guardare chissà che serie di quelle che mi parevano essere le Winx, sdraiata a terra a pancia in giù.

Quest'ultima non appena ci notò, scattò in piedi e saltò quasi in braccio al fratello.

«Onii-san» esclamò con tutta la vitalità racchiusa nel suo copricino esile. Poi si staccò e fui la sua vittima successiva. Mi gettò le braccia al collo e fui subito avvolto dal profumo delicato floreale, avvertendo un sussulto all'altezza del cuore.

«Onii-san Luca, mi sei mancato». Si staccò e assunse un'espressione triste. «Onii-san perchè piangi?»

Cosa?

Mi portai la mano sulla guancia e mi accorsi che era bagnata di lacrime.
Non volevo mai mostare un lato volubile, eppure il mio corpo aveva deciso da sè. La tensione accumulata fino a quel momento si era sciolta sotto l'abbraccio confortevole di Maiko.

Avvertì le braccia di Akira avvolgermi da dietro seppur con difficiltà visto l'ingombro della sedia a rotelle.
La vicinanza vera dei fratelli Vinciguerra sdradicò ogni difesa, facendomi sentire in quel momento accettato e compreso, quello che desideravo facessero i miei genitori. Forse era per quello che me la stavo prendendo così tanto per il comportamento di mio padre, solo che provare a parlare con lui era come parlare con il muro con una sola differenza: almeno il muro taceva e non ti faceva saltare i nervi.

A interrompere il momento fu la voce della zia di Akira che ci annunciò che la cena era pronta.

Mi asciugai il volto con il dorso della mano, non ero abituato a piangere di fronte a qualcuno, anche se ormai accadeva di frequente negli ultimi mesi a questa parte, e mi lasciava dietro una sensazione di disagio.

Seguì i fratelli in cucina ed entrammo proprio mentre la donna stava poggiando una grossa pizza margherita fumante sul tavolo. A una seconda occhiata dedussi che non doveva essere una di quelle precotte acquistabili al supermercato.

«Akira mi ha detto che di piace la margherita con le patatine, mi spiace di essermi dimenticata di mettercele sopra» si scusò lei mentre stava tagliando a spicchi la pizza.

«L'ho aiutata anch'io a impastare» si intromise Maiko con fare soddisfatto.

La donna inclinò un poco la testa osservandomi con sguardo preoccupato. «Va tutto bene caro? Hai gli occhi rossi».

«Onii-san è molto triste» rispose per me la bimba tutta sconsolata.

Lei mi sorrise con dolcezza. «Mi dispiace tantissimo. Lasciami dire una cosa anche se magari può sembrare scontata e melensa. Dopo ogni tempesta c'è sempre un arcobaleno. Ora tutto più sembrarti grigio ma pensa che ogni cosa non è eterna... a meno che non si abbia a che fare con un vampiro».

Quelle ultime parole mi strapparono una breve risata. In quella casa erano davvero fissati con i vampiri.

«Vuoi andare a sciacquarti un attimo il viso?»

In effetti mi sentivo le goti con una leggera patina salina che dava un po' fastidio.

Mi trovai a scusarmi, con la donna che mi riprese, seppur gentilmente, affermando di non dovere scuse a nessuno, e prima di crollare di nuovo di fronte a tanto calore famigliare mi diressi in bagno. La casa di Akira era ordinata e senza ostacoli per cui raggiunsi la meta senza incidenti di percorso.

Mi gettai l'acqua gelida sul volto e quel semplice gesto mi riportò in sè.

Mi osservai riflesso nello specchio e l'immagine che mi ritornò indietro fu quella di un ragazzo che non mi rappresentava, come stanco e arreso di fronte al proprio destino.

Distolsi subito lo sguardo, ci mancava solo lui a ricordarmi ciò che ero.
Tornai dagli altri per paura che mi dessero per disperso e li trovai ad attendermi con la pizza ancora intatta e senza dubbio quasi temperatura ambiente, non proprio ottimale per potersela gustare sotto ogni aspetto.

Quando provai a dire qualcosa Akira mi zittì poggiandomi un dito sulle labbra.

«Non è colpa tua, abbiamo scelto noi di aspettarti. Per cui ora vieni e assapora anche te la cena».

Feci come mi disse e subito la tavola si riempì delle chiacchiere principalmente di Maiko e della zia di Aki.

Maiko stava raccontando di un suo compagno di classe anche lui appassionato di manga e anime con cui leggeva assieme a ricreazione, mentre la zia di Akira si prodigò a raccontarci di alcuni suoi clienti bizzarri. All'apparenza sembravano sciocchezze eppure ebbero il potere di distrarmi e tirarmi su di morale.

A cena conclusa, la pizza era davvero sublime malgrado la sua temperatura, seguì Akira in camera sua, dietro la voce della zia che voleva assicurarsi che non facessimo cose innapropriate, facendomi salire l'imbarazzo.

Mi fece sedere sul letto e da fianco alla scrivania andò a recuperare il borsone in cui erano adagiate le protesi. Con la sua alternanza di metallo, carbonio e plastica sembravano analizzarmi severamente per vedere se ero alla loro altezza.

Akira mi aiutò a indossarle nel modo corretto e a un tratto avvertì una certa ansia da prestazione. Vero, era da qualche mese che mi stavo allenando a indossarle correttamente, però ancora mi risultava difficile. Credevo che l'unica volta in cui avevo avuto successo, ovvero la prima, fosse solo un caso isolato.

Andò a sedersi sulla sedia girevole dalla parte opposta alla stanza e mi incitò con un sorriso a raggiungerlo.

Feci un primo passo, ed ebbi successo. Forse sarebbe andato tutto bene, sarei riuscito nel mio intento, alla faccia di chi, come mio padre, credeva fossi un fallito.

Fu questo momento momentaneo di gloria a risultarmi fatale.

Inciampiai sui miei piedi, evento mai mai successo nella mia vita, ma per fortuna capitolai all'indietro sul letto ancora vicino alla mia posizione.
Dalle labbra fuoriuscì una risata nervosa.

«Quanto sono patetico. Dico di voler tornare a camminare e faccio questi errori da stupido». Mi poggiai il braccio sugli occhi. «Forse ha ragione mio padre a credermi un fallito. Dovrei smetterla di seguire un sogno irrealizzabile. Non ce la farò mai».

Prima che potessi aggiungere altro mi ritrovai Akira a cavalcioni sopra di me, la sua pelle pallida in contrasto con la mia un poco più olivastra.

Mi stava fissando con un ardore negli occhi che non avevo mai visto.

«Smettila di dire queste cose. Tu sei un temerario! Non puoi abbatterti in questo modo» mi riprese.

«Ma se non riesco a stare in piedi normalmente, come potrei tornare a camminare?»

Pronunciai quelle parole con un moto di amarezza, ma in fondo sapevo che era la verità.

«È per questo che ti stai allenando» ribattè con forse troppa convinzione.

«Non basta. Sto facendo troppo poco oppure il mio corpo si è arreso all'inevitabile».

Lui alzò le sopracciglia.

«Insomma Akira, guarda in faccia la realtà. Come puoi anche solo pensare che possa avere una chance?»

«È per via dello scontro che hai avuto con tuo padre che adesso sei scombussolato. Non devi arrenderti. Per tutte le volte che cadrai ci sarò sempre io a sorreggerti».

Distolsi lo sguardo. «Sei troppo buono con me Akira. Arriverà il momento in cui capirai che sono una causa persa e te ne andrai, così come hanno fatto anche i miei migliori amici».

«Non lo farò. E vuoi sapere perchè?» Un attimo di silenzio, poi avvertì la sua mano poggiarsi sotto il mio mento, costringendomi gentilmente a girarmi.
«Siamo entrambi persi, eppure insieme ci siamo ritrovati. Come potrei lasciare chi mi ha riportato alla vita?»

«Mi attribuisci meriti che non ho». Cercai di evitare il suo sguardo ma lui non demorse. Mi teneva ancorato al suo, come se temesse gli potessi scivolare dalle dita.

«Ti sminuisci troppo. Non ti rendi conto di che potenza hai racchiusa dentro di te? Adesso mostrala, tirala fuori. Dimostra a te stesso che puoi farcela».

Avvertì il suo corpo scivolare via lasciandomi libero e subito ne sentì la mancanza.

Mi tirai su con i gomiti.
«Akira io...» provai a iniziare ma fui interrotto dalla voce di Maiko.

«Cosa state facendo?» domandò perplessa.

Come spiegare a una bambina che suo fratello era stato praticalmente spalmato sopra di me fino a quel momento facendomi sentire tutto e che se non fosse stato per il suo arrivo gli avrei quasi chiesto di...fare cosa effettivamente? Mi sentivo pronto a quel passo?

Assolutamente no!

Assolutamente si!

Ero un tantino confuso sui miei sentimenti.

«Ecco io...noi...insomma...»

«Luca stava provando le protesi» salvò la situazione Akira, apparentemente per nulla a disagio per quello che era successo tra noi.

«Ma allora perchè eri sopra di lui?»

Ah...cazzo! Ma da quanto tempo era lì?

In quel momento provai un intimo desiderio che si aprisse sotto di noi una voragine di sprofondarci dentro.

Con la gola secca provai a parlare ma comparì la figura della zia che ci salvò. Meritava senza dubbio una statua.

«Vieni Maiko, lasciamoli in pace».

Mi rivolse uno sguardo d'intesa che mi fece più sentire in imbarazzo dell'essere stati beccati dalla bambina.

«Zia, perché loro stavano...»

Non sentì la fine domanda perché il cigolare della porta coprì la voce e forse era meglio così.

Voltai lentamente il capo verso Akira trovandolo appollaiato sulla sedia da scrivania a modo suo, messo di traverso e con le gambe poggiate sui braccioli. Fissava un punto indefinito ma si percepiva che non era rimasto indifferente a quello che era successo.

Aprì la bocca per parlare ma non trovai il coraggio di affrontare il momento.

«Andiamo a letto, cosa ne dici?»

Perché doveva uscirsene con parole così cariche di doppio senso dopo ciò che era successo?

Dovette accorgersene perché subito aggiunse:«Per dormire intendo».

Annuì come se avessi compreso e mi alzai dal letto rimanendo in piedi con le protesi.

Si alzò a sua volta andando a recuperare la custodia ma lo fermai con un cenno del capo.

«Vorrei provare a prepararmi con le protesi».

Lui aggrottò le sopracciglia. La sua perplessità era più che lecita. «Sicuro?»

Abbozzai un sorriso. «Dovrò superare prima o poi i miei limiti o non potrò guardare avanti».

Il suo bel viso di aprì in un sorriso e mi fece cenno di muovermi. Mi aiutò solo a recuperare il pigiama dal borsone.

Mi sedetti sul bordo del letto e comunciai a sfilarmi la felpa seguita dopo dalla maglia che gettai poco distante sul pavimento. Poi passai ai pantaloni, con un po' di difficoltà a toglierli con le protesi, e anche quelli si trovarono in compagnia con la maglia a terra.

«Ehm» lo sentì dire alle mie spalle, al che mi girai, trovandolo rosso in viso e con lo sguardo calamitato non verso il viso ma più in basso.

Feci lo stesso e mi accorsi che ero in boxer e che il normale rigonfiamento non era poi così normale.

Imprecai tra me e me, inframmezzando scuse mentre procedevo speditamente a indossare gli indumenti che avevo portato da casa, forse un po' leggero malgrado il periodo.

Anche Akira si stava cambiando ma con più evidente discrezione del sottoscritto.
Ci sdraiammo, rimanendo agli antipodi del letto, senza dubbio in imbarazzo e non sapendo cosa fare.

Mi tirai su un poco la coperta in modo che mi coprisse la spalla, e fu proprio in quel momento che sentì il tocco leggero della mano di Akira a contatto con la pelle scatenandomi un brivido gelido.

«Hai freddo?»

Aveva la voce vellutata che mi fece salire nuovamente la pelle d'oca lungo la spina dorsale.

Mi voltai verso di lui, trovandolo con il suo sguardo puntato su di me, i capelli che incorniciavano la sua figura come un'aureola oscura.

In quel momento provai un bisogno impellente di desiderio. Di lui. Di fuga da quello che stavo provando.

Luii invitò gentilmente ad avvicinarmi, così mi ritrovai circondato dalle sue esili braccia.

Mi invitò a poggiare la testa nell'incavo del collo, trovandomi con i monconi un poco avvinghiati alle sue gambe.

«Oyasumi nasai* Luca-chan».

Mi strinse ancora di più a sè, facendomi aderire ancora di più al suo corpo.
In queste condizioni era impensabile dormire.

E invece...

~~~

La vibrazione del telefono poggiato sul comodino mi strappò dal sonno comatoso in cui ero piombato. In vista di una partita fondamentale il mister ci aveva massacrato con gli allenamenti.
Non mi ero lamentato ma erano giorni che tornavo a casa a pezzi e non vedevo l'ora di andare a letto. Senza contare che a scuola ci stavano torturando con verifiche e interrogazioni in vista della fine. Non ero mai stato un patito di studio, facevo solo il minimo indispensabile per la sufficienza e sembrava che avesse finzionato fino a quel momento. L'anno dopo sarebbe stato l'ultimo, e finita anche quella scocciatura, mio padre era fissato con il pensiero di farmi prendere il diploma, mi sarei potuto dedicare anima e corpo esclusivamente al calcio.

Allungai pesantemente un braccio verso il comodino e recuperai il telefono che stava continuando a torturarmi le orecchie.

«Pronto?» biasficai ancora mezzo rimbambito, a bassa voce per non svegliare i miei genitori.

«Luca. Sono io».

Mi alzai poggiandomi sui gomiti.
Gettai un'occhiata alla sveglia ed emisi un lento sospiro.

«Agne, lo sai che ora è?»

«Scusami. È che avevo bisogno di sentirti».

«Mhm». Non riuscivo a tenere gli occhi aperti.

«Ti ho svegliato?»

Nahhh stavo solo fissando il soffitto, davvero a suo modo molto interessante. Cosa mai dovevo fare a quell'ora della notte?
Stavo per risponderle a tono ma qualcosa nella sua voce mi bloccò.

«Non importa. Tu piuttosto? Tutto bene?»

Non rispose ma la sentì piangere in sottofondo. Si sentiva ogni tanto qualche mezzo di trasporto, segno che si trovava fuori casa.

«Agne? Dove sei?»

Mi liberai della coperta pronto a vestirmi per raggiungerla. Insomma le temperature erano tiepide ma non abbastanza da uscire in maglia e boxer, la mia tenuta di notte.

«Fuori casa tua».

«Aspettami, vengo ad aprirti».

«Luca, non è il ca-»

Buttai giù la chiamata prima che terminasse do parlare. Mi sarei scusato di persona.

Uscì fuori dalla stanza e percorsi a grandi passi il corridoio.

Aprì la porta di casa, trovandomi Agnese avvolta in un giacchettino che stringeva come se potesse proteggerla, sopra un vestito corto nero, il suo preferito. Aveva il mascara colato, segno che aveva pianto e non solo di recente. I capelli di solito in ordine erano scompigliati.
Non appena si accorse di me alzò lo sguardo e si buttò tra le mie braccia tese.
Le accarezzai la schiena, sentendo che stava tremando.

«Cosa ti è successo?»

«Abbracciami e basta. Ti prego Lu» fu la sua risposta e l'accontentai.

Non ero il classico esempio di sensibilità, e scarsamente sapevo quando era ul momento di tacere, ma stavolta inaspettatamente ci riuscì.

Rimanemmo così stretti per qualche minuto prima di ricordarmi che ero in boxer.

«Entriamo, ti va?»

Annuì e mi seguì in silenzio dopo che ebbi richiuso la porta.

La condussi in camera mia e chiusi la porta.

Lei nel frattempo si era seduta sulla sponda del letto, le mani poggiate sul grembo, di nuovo lo sguardo basso, gli occhi spenti. Sembrava con la mente lontana anni luce.

Mi chinai alla sua altezza.

«Agne, mi stai facendo davvero preoccupare, ne sei consapevole? Ti prego parlami».

«Cosa c'è di sbagliato in me?»

La sua domanda mi colse alla sprovvista.

«Cosa? Chi ti ha fatto credere che-»

«Baciami. Ti prego. Stringimi. Voglio sentirti. Voglio credere di essere ancora degna di stare con te».

La guardai sgomento. «Sei ubriaca? Agne! Che cazzate stai dicendo?»

Odiava quando dicevo parolacce ma non ero riuscito a trattenermi.

Mi alzai e fece lo stesso fronteggiandomi con il suo metro e sessantacinque contro il mio metro e ottantacinque.

«Ora ascoltami! Voglio stare con te. Perchè me lo vuoi impedire?»

Capì subito a fosa si stesse riferendo e in quel momento mi sembrò ancora più sbagliato.
«Perchè sei scossa. Non sei in te. Non voglio approfittare di questo momento. Lo faremo quando ti sarai calmata e sarai tornata in te».

Lei si spostò in modo da avere la possibilità di spingermi facendomi cadere sul letto, le doghe che scrichiolarono sotto il mio corpo.

«Ti prego Luca. Te lo chiedo per favore. Amami. Amami come non hai mai fatto in tutta la tua vita».

Ci fissammo negli occhi, con lei che mi troneggiava sopra e tutta l'aria che non si sarebbe arresa finchè non le avrei dato ciò che desiderava. Non era una patita di sesso, per cui se lo chieveva così insistentemente doveva esserci una faccenda seria dietro.

Con un sospiro ruotai il corpo e strisciai quel poco per aprire il cassetto del comodino dove tenevo i preservativi.
Il tempo di girarmi che me la trovai già spogliata del giacchettino e intenta ad armeggiare con la cerniera del vestito. Mi alzai per aiutarla a liberarsene. Sotto indossava un completo in pizzo nero. Sexy, del tutto diverso da ciò che poteva ricordare Agnese. Lei era sempre stata una ragazza più semplice e dai vestiti più maschili e mi piaceva davvero com'era, ma negli ultimi tempi, da quando ci frequentavamo, cercava di impegnarsi a sembrare più femminile come se l'essere fidanzata comportava certi tipi di cambiamento.

Le poggiai un bacio sul collo e la sentì irrigidirsi sotto il mio tocco. Forse avevo esagerato. Feci per allontanarmi ma lei mi bloccò.

«Non dare retta a ciò che ti suggerirà il mio corpo. Sembrerà che non voglia nulla ma non è così. Continua come ti senti».

Aveva una voce ancorata a cui non seppi dire di no.

L'accontentai. La condussi a letto, feci ogni passo preliminare prima di entrare dentro di lei anche se il suo corpo sembrava rifiutarmi, con lei in sottofondo che continava a ripettermi di non fermarmi.

Non le seppi dire di no.

Forse sarebbe stato meglio non darle retta, ma non ce la feci.

Sudati e ansanti ci ritrovammo entrambi con il volto diretto al soffitto, in silenzio.
Provai a girarmi sul fianco per poterla avvolgere tra le braccia ma lei si scostò come se fosse stata ustionata dal mio tocco.

La mattina dopo quando aprì gli occhi la trovai di spalle seduta sul letto.

«Stai bene?» domandai preoccupato.

Le sue spalle si irrigidirono e voltò parzialmente lo sguardo. Non le avevo mai visto quegli occhi così tristi.

«Non andrà più bene» rispose con voce rotta. «Ti ringrazio per avermi fatta sentire per un'ultima volta aggiustata».

Dette quelle parole si alzò e lasciò la stanza.

Rimasi confuso semi sdraiato sul letto ancora per un po'.

Quella fu l'ultima notte in cui mi permise di toccarla.

~~~

Aprì gli occhi, mi sembrava che non fossero passati altro che una manciata di minuti, perso in un ricordo non poi così lontano nel tempo, trovandomi la luce che traspariva dalla tapparella non giù del tutto.

Cercai di portare il braccio sul volto constatando che fino a quel momento era stato poggiato sul petto di Akira. Per quanto riguarda il resto del corpo...ero completamente spalmato su di lui!

Avvertì un senso di imbarazzo risalirmi lungo il corpo. Una delle due ginocchia era a pochissima distanza dalla zona proibita.

Cercai di divincolarmi ma constatai che anche il braccio di Akira era poggiato sul mio corpo, all'altezza dell'addome.

Era ancora addormentato, le ciglia sottili che gli solleticavano la pelle pallida, sembrava in pace, ma solo in apparenza. Ormai che conoscevo cosa si nascondeva sotto la sua pelle mi era difficile rimanere in disparte.

Mi sentì un po' in colpa di aver sognato la mia ex mentre mi trovavo in quella posizione al limite del peccato oscuro.

Un mugugno e anche i suoi occhi si aprirono. Non appena mi mise a fuoco stirò le labbra in un lento sorriso.

«Ohayō** Luca-chan».

Non avevo mai trovato la lingua giapponese sexy come in quel momento.
Allungai una mano per accarezzargli lo zigomo liscio, gli cresceva di rado la barba, al contrario del sottoscritto che se non l'avesse fatta quotidianamente si sarebbe trasformato in Babbo Natale (super sexy, ma dettagli) nell'arco di pochi mesi.

«Non vale» borbottai e lui innarcò le sopracciglia con fare pensoso.

«Cosa?»

«Non puoi essere bellissimo di primo mattino, mentre io sembro sicuramente uno appena investito da un trattore».

Mi accorsi solo dopo della pessima scelta di parole che avevo appena fatto. Insomma dette da uno che aveva subito un incidente simile erano davvero di pessimo gusto.

«Sei adorabile» replicò lui sempre sorridendo.

Una vista simile di primo mattino doveva essere illegale.

Fece per avvicinare il viso al mio, forse per un bacio quando sentimmo suonare il campanello di casa.

Salvo, ma non tanto contento perché Akira con un sospiro scese dal letto, cercando le ciabatte con sopra stampato il busto del Gigante Colossale dell'attacco dei giganti.

«Dev'essere la zia che è andata a fare la spesa e si è dimenticata le chiavi di casa» sospirò uscendo dalla stanza.

Gettai un'occhiata alla sveglia e in effetti aveva senso che fosse uscita, dato che erano già le undici del mattino. Era tempo che non dormivo così serenamente, e il merito era senza dubbio della presenza di Akira. Se avesimo dormito sotto lo stesso tetto ce ne sarebbero state di più di notti come quella...

Scossi la testa. Era troppo prematuro fare pensieri di quel tipo, anche perchè la nostra frequentazione seria ammontava a circa...un mese? Sembrava essere passato molto più tempo.

Mi tirai su coi gomiti non appena sentì l'eco della porta che si apriva.

Poi il silenzio.

Nessuna traccia della voce gioviale della donna né di Maiko. Nè di Akira.

Avvertì ina strana sensazione all'altezza dell'addome, i sensi allerta.

Subito mi balenò l'immagine orribile in cui Akira aveva aperto a un serial killer che l'aveva pugnalato a morte.

Recuperai in fretta la sedia a rotelle e mi ci sedetti sopra con così tanta foga da rischiare di decapottarmi. Le protesi erano poggiate contro la parete opposta della stanza, troppo lontane e avevo ancora non percepivo così tanta dimestichezza da muovermi come desideravo e sarebbero state solo d'intralcio.

Uscì dalla stanza e svoltai l'angolo trovandomi finalmente a osservare la figura di Akira, quasi di tre quarti.

Il primo pensiero fu di sollievo nel constatare che fosse vivo.

Ma subito dopo mi accorsi che c'era qualcosa che non andava.

Era troppo rigido, le mani erano chiuse a pugno, talmente forte da rischiare di affondare le unghie e lasciare dei segni dolorosi.

Non appena avvertì la mia presenza si voltò parzialmente verso di me, osservanfomi senza realmente vedermi, permettendomi di notare la figura incappuggiata in un impermeabile sull'uscio della porta che sembrava aver scombussolato tutto.

Per quel che mi riguardava il nuovo arrivato poteva essere chiunque, anche il presidente, che non mi sarebbe importato.

In quel momento ero tutto concentrato su Akira.

Non l'avevo mai visto con uno sguardo simile.

*trad dal giapponese: Buonanotte
**trad dal giapponese: Buongiorno

Angolino autrice:

Buon anno wattapdiani :)

Come dice il detto? Chi pubblica il primo dell'anno pubblica tutto l'anno? Come vedete, credendo in questa "affermazione" son riuscita nell'intento XD

La storia, inoltre, compie oggi tre anni di pubblicazione*^* sembrano (sono) tanti però sono felice comunque, perchè, anche se a rilento, sto continuando a scriverla e a curarla nella mia maniacalità di renderla come vorrei (spero di riuscirci 🥰).
Il buon proposito di continuare c'è, se non addirittura ad arrivare vicina o alla fine...spero di farcela 💪🏼😎

Già sapere che ci siete voi a leggere e a seguire la storia mi dà davvero molta energia 😭❤️ Grazie, grazie mille ❤️

E ora veniamo a noi...chi sarà la figura appena comparsa? 🤷🏽‍♀️🙊 E cosa sarà successo in passato ad Agnese? 😱

Vi lascio alle vostre congetture e ci vediamo al prossimo capitolo ❤️

FreDrachen

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top