Capitolo 23

Quella mattina si svegliò prima del solito, saltò la colazione ed andò a scuola in autobus per evitare i suoi genitori. Alla fine aveva preferito non chiamare Victor, non voleva farlo preoccupare. Anche se non lo aveva ammesso e cercava di nasconderlo, nei suoi occhi azzurri vi aveva letto preoccupazione e apprensione. Ma, come sempre, cercava di essere, di apparire forte. Con il passare del tempo, si era accorto di quanto Price in realtà fosse fragile. Come in realtà si nascondesse dietro a delle battute sarcastiche ed un sorrisetto canzonatorio. Dietro quell'aspetto, all'apparenza “trasgressivo”, vi era un ragazzo con la testa sulle spalle, responsabile. Era stato attratto da quel suo aspetto da teppista ma dopo, aveva scoperto quel suo lato così delicato, dolce. Un sorriso spuntò su quel viso leggermente spigoloso, al ricordo del primo incontro con Victor, in quel bagno. Era così terrorizzato che lo picchiasse, così influenzato da quelle voci di corridoio, così infondate, così stupide, che non aveva notato quegli occhi così tristi. Scese alla fermata vicino alla Boston High School e camminò lentamente fino al cancello della scuola. Non aveva alcuna fretta, era in anticipo. Non passava molto tempo da solo, a riflettere, in quel modo. Sopratutto, non prima di conoscere Vick. Senza volerlo era cambiato, lo aveva cambiato, era migliorato. Adesso dava valore ad ogni momento, anche quella passeggiata mattutina. Peccato che la litigata della sera prima con i suoi genitori, tornò ad invadergli prepotentemente la mente. Era sicuro di doverlo raccontare a Vick ma, se gli avesse detto che voleva prendersi un anno sabbatico per lui, come avrebbe reagito? Si sarebbe sentito in colpa e gli avrebbe intimato di non farlo, ne era certo. Convenne che non avrebbe accennato alla storia del college, omettendola volontariamente. Si fermò dinanzi al cancello vedendo Price parcheggiare e scendere dall’auto, gli andò subito incontro.

«Buon giorno principessa », lo canzonò una volta che gli fu davanti, «Alla fine non mi hai chiamato, com'è andata?»

«Vai dritto al punto, eh?» sbuffò sfiorandogli timidamente la mano per poi intrecciare le dita. «Ellen non aveva detto nulla ma, per sbaglio, lo hanno saputo da me. Adesso sto cercando di evitarli, visto che appena l'ho detto, sono scappato».

«Come fai a dire per sbaglio che hai baciato un ragazzo?» un sorrisino divertito era stampato su quel volto smunto, «I tuoi neuroni stavano facendo la gara di apnea?»

«Chiedimi perché non ti ho chiamato, ho la risposta», i due ragazzi si guardarono negli occhi per un secondo per poi scoppiare a ridere. La risata dell’azzurrino risultava così cristallina, così piacevole. Eppure, anche quando rideva, la tristezza non riusciva ad abbandonare il suo volto. Con quelle occhiaie rese più vistose dalla pelle diafana, gliene sfiorò una con il pollice per poi accarezzargli la guancia. «Non hai dormito?»

«Sto bene», distolse lo sguardo girando la testa.

«Non ti ho chiesto se stai bene, ti ho chiesto se hai dormito. È successo qualcosa, vero?» corrugò la fronte.

«Non è successo nulla», evitò il suo sguardo.

«Vick», lo supplicò stringendo leggermente la stretta sulla sua mano, «Cosa ti è successo?»

«Ieri sera ho avuto un attacco, sto bene» lo rassicurò. La verità era che, oltre all’attacco, aveva rigettato la cena in piena notte, inginocchiato dinanzi alla tazza del water. Era la prima volta che gli succedeva, aveva fatto molta più fatica a respirare a causa del contenuto gastrico emesso. L’esofago, laringe, faringe, avevano iniziato a bruciargli. Era lì che aveva compreso che, ogni volta che gli capitava qualcosa di bello, che voleva essere felice come quando lui e Christopher si erano baciati, il cancro tornava a ricordargli che non sarebbe arrivato ai vent'anni. Che non aveva tempo. Cosa doveva fare? Per White sarebbe stato più facile dirgli addio se si fosse fatto odiare? Ma come poteva allontanarsi quando lo guardava con quella preoccupazione negli occhi, con quella gentilezza mentre gli accarezzava delicatamente lo zigomo e le sue dita si erano intrecciate con le proprie, timidamente?

«Vick, io- », fece per prendere parola, sembrava qualcosa d'importante, ma fu interrotto sul nascere.

«Buon giorno colombini», li salutò Dean. Era strano, non era energico come al solito.

«Cosa ti è successo?» chiese il biondo.

«Sembri Ih-oh di Winnie the pooh», lo canzonò l'azzurrino, «C'entra Jones, vero?».

«Wendy?» Chris agrottò la fronte, confuso. «Mi avevi detto che avevate discusso».

«Ieri sono andato a casa sua per rimediare. Mi sono posizionato con la musica sotto la finestra della sua camera come nei film, le ho chiesto scusa».

«Ma?» lo spronò il teppista.

«Ma ha iniziato a comportarsi come Virginia ed ho iniziato a mettere in discussione i miei sentimenti», sospirò passandosi una mano tra i ciuffi corvini, «Lei non è così, o forse lo è? Sono confuso. Le ho chiesto una pausa».

L'amico d'infanzia lo guardò dispiaciuto, sapeva quanto ci teneva, sapeva quanto era felice. Si erano amati da lontano per anni, quegli sguardi di sottecchi che aveva notato ma che non vi aveva dato peso. Il comportamento strano dell'amico in presenza della ragazza. Solo alla fine aveva unito i puntini. «Mi dispiace, se hai bisogno sai che ci sono», gli diede una pacca sulla spalla, «Anche Josh, che è in ritardo questa mattina».

«Ho dormito poco, non serve farmelo pesare», Joshua alzò gli occhi al cielo, con un sorrisino sulle labbra, dirigendosi verso di loro, «E poi vi ho sentito».

«Parli del diavolo…» ironizzò Mcdaniel con un piccolo ghigno sulle labbra.

«So che sono un anello fondamentale del gruppo, ma nominarmi sempre mi sembra eccessivo», disse teatralmente facendoli scoppiare a ridere. «Comunque ti ricordo che è colpa tua se ho dormito poco», ribadì all’amico.

«Touchè».

«Quindi avete passato la notte a parlare come due scolarette?» domandò divertito il biondino.

«È inutile che ci prendi in giro. Voi piuttosto, sembrate aver fatto progressi», li punzecchiò indicando con il mento le loro mani ancora unite, mentre muoveva ritmicamente le sopracciglia.

«Sta zitto pettegola», le gote di entrambi s’imporporarono leggermente.

«Quindi state insieme?» domandò curioso il castano.

White boccheggiò, cosa doveva rispondere? Ai suoi genitori aveva detto di sì, ma la verità è che non ne avevano parlato.

«Si», asserì Victor titubante. Non che non fosse sicuro di ciò che provava, ma del loro futuro, di quello di Christopher. Poteva davvero essere così egoista? Si sentì in colpa ed allo stesso tempo felice. Incrociò gli occhi color miele del suo, ormai, ragazzo. Era felice, sul suo viso vi era dipindo un enorme sorriso e le guance erano ancora più colorite.

Christopher lo abbracciò contento, strinse il suo corpo esile ed ormai osseo. Stava dimagrendo giorno dopo giorno, stava impallidendo giorno dopo giorno, ma Christopher gli sarebbe rimasto accanto. «Mi piaci», gli sussurrò all'orecchio facendolo arrossire.

«Qualcosa mi dice che i due colombini si siano messi insieme adesso», commentò Dean come se stesse vedendo un film alla TV.

«Concordo», annuì Lloyd. «Colombini?» ripeté confuso.

«È un modo carino per parlare in codice di loro».

«Tipo 00-Colombini?»

«Guarda che noi siamo qui», fece notare Chris, ancora stretto all’azzurrino, che si sentiva alcuni sguardi su di sé, ma non erano dei suoi due amici. Si guardò intorno e le vide. Ellen, Elisabeth e Diana li stavano guardando.

§

Avevano fatto solo venti minuti di biologia, peccato sembrassero cinque ore. Voleva una pausa, la voleva come un assetato nel deserto desidera l'acqua. Era un paragone inappropriato? Forse si, ma nulla gli vietò di sbuffare ed appoggiare il viso sul quaderno.

«Josh, abbiamo appena cominciato», ridacchiò Ellen accarezzandogli quei ricci castani, così morbidi.

«Odio questa materia, facciamo pausa. Ti prego», lagnò esasperato.

«Volevo parlarti», sussurrò con lo sguardo fisso sui suoi capelli, osservava le sue dita affondare in quel cespuglio. Lui chiuse gli occhi.

«Di cosa?»

«Del fatto che a mio fratello piacciono i ragazzi», Lloyd scoppiò a ridere.

«A lui non piacciono i ragazzi». Gli piace uno solo, avrebbe voluto aggiungere.

«Ieri sera l'ho visto baciarsi in auto con Victor Price, poi a cena ha detto che stavano insieme», si sollevò velocemente sgranando i suoi occhi castani.

Il suo amico lo aveva detto alla sua famiglia? Perché non ne aveva parlato con loro? Che non fosse pronto per affrontare l’argomento? «Come hanno reagito i tuoi?»

«Non hanno reagito, a dir la verità nemmeno io. Ero scossa come loro ed allo stesso tempo ferita. Sono sua sorella, perché non me lo ha detto? Lo avrei accettato senza alcun problema», sbuffò giocando con la penna.

«Non è sempre facile», la rassicurò, «E poi neanche tu gli hai detto di noi». Touchè.

«Io glielo avrei detto quando avrebbe fatto qualcosa di stupido, come questo», si giustificò la biondina, «Così non avrebbe fatto il solito fratellone geloso, irritante e protettivo».

«Non è un soprannome un po' troppo lungo?»

«Si, infatti io e Diana lo abbreviamo in F.G.I.P.», perché Joshua non aveva avuto una reazione simile alla sua? Sbarrò gli occhi, «Aspetta, tu lo sapevi che a Chris piacevano i ragazzi!»

«Non gli piacciono i ragazzi, gli piace solo Price», ribadì.

«Perché non me lo hai detto?»

«Perché non sarebbe stato corretto che te lo dicessi io. Lui doveva dirtelo, la scelta era solo sua. Dovresti parlarci e chiarire».

«Quando fai il bravo ragazzo e mi dai contro provo un sentimento di amore-odio nei tuoi confronti», corrugò le sopracciglia. Lui la baciò a fior di labbra, un dolce sorriso era dipinto sul volto del ragazzo, gli occhi erano cristallini e sinceri. «Ci parlerò», sapeva come farla ragionare.

In risposta le spostò delicatamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Le accarezzò la guancia mentre si perdeva in quegli occhi verdi come i quadrifogli.

«Adesso riprendiamo con biologia», ghignò dopo essersi ripresa da quella delicatezza. Nessun ragazzo l’aveva mai trattata così, né aveva avuto così tanto rispetto per lei, né l’aveva mai guardata in quel modo.

«Mi sciolgo», affermò teatralmente ripoggiando la testa sul quaderno, «Sto bruciando come un vampiro alla luce del sole».

«E dimmi, Signor Vampiro, la biologia è come la luce del sole?» lo punzecchiò.

«Esatto! Come la criptonite per superman», White scoppiò a ridere tornando ad affondare le dita tra quei capelli.

«Va bene, superman, riprendiamo con la cripto-biologia». Non ne sarebbe uscito vincitore, ne era consapevole.

§

Victor si era reso conto degli sguardi indiscreti che le persone gli avevano rivolto quando si sono tenuti la mano, in attesa delle lezioni. Solitamente era abituato a quegli sguardi giudicanti che lo scrutavano. Ma, quella stessa mattina, erano molto più persistenti, fastidiosi e pieni di ribrezzo. Era la prima volta che usciva davvero allo scoperto, non aveva mai nascosto la sua sessualità e ne l’aveva sbandierata ai quattro venti, ma non aveva mai camminato con un ragazzo mano nella mano. Soprattutto, non a scuola. Per non parlare della popolarità di Chris che attirava ancora più attenzioni. Poteva affermare di essersi sentito più a disagio del solito. Avere gli occhi su di sé non gli era mai importato ma, da quando si guardava allo specchio e non si riconosceva, da quando incominciava sempre meno a piacersi, dalla malattia, aveva iniziato a fare attenzione intorno a lui. Le paranoie avevano iniziato ad insinuarsi sempre più nella sua mente. Però, il fatto che al suo ragazzo non importasse dell’opinione altrui, che intrecciasse le dita con le sue senza curarsi degli altri, lo rendeva felice. Non si vergognava di lui.

«Posso dormire da te?» domandò il biondo, poggiato sugli armadietti.

«Non puoi continuare ad evitarli. Più passa il tempo, peggio sarà», rispose armeggiando con i libri.

«Non puoi proprio assecondarmi?» sbuffò passandosi una mano tra i capelli.

«Posso, ma non voglio.» si fermò per incrociare le sue iridi ambrate, «Io voglio che tu stia bene, che tu sia felice. Lasciare le cose irrisolte non è mai la cosa giusta. Devi cercare di non avere rimpianti». Era ironico come consigliasse a White di parlare con i suoi genitori quando lui si rifiutava di parlare con suo padre.

«Tu ne hai? Di rimpianti intendo».

L'azzurrino distolse lo sguardo, sembrava essersi ricordato qualcosa di doloroso. «Si» sibilò, come se facesse fatica ad ammetterlo. White avrebbe tanto voluto chiedergli quali fossero i suoi rimpianti, ma come poteva? Ne soffriva ancora e non sembrava essere pronto a parlarne. Si disse che, quando sarebbe stato pronto, gliene avrebbe parlato. «Chi non ne ha?»

«Io non ho rimpianti, ma sensi di colpa», ammise Christopher. Si rabbuiò guardando il freddo pavimento, fino a quando Victor non gli si parò davanti facendogli alzare lo sguardo sui suoi occhi. Non servivano le parole, sapeva che era preoccupato, sapeva che gli stava dicendo che gli sarebbe rimasto accanto anche lui, sapeva che stava cercando di rassicurarlo, di non forzarlo a parlare. «Per favore, non lasciarmi indietro», gli sussurrò a fior di labbra quando il teppista si avvicinò al suo viso.

Le loro pupille si erano incatenate l'uno all’altro, incapaci di distogliere lo sguardo, se solo avessero voluto. «Io spero tu lo faccia con me», sussurrò inclinando la testa verso destra, «Mi dimenticherai, così non soffrirai». Accarezzò la sua bocca con la sua, i respiri ormai si mescolavano tra loro.

«Mai, ciò che mi chiedi non lo farò mai», affermò deciso, «Non si può dimenticare qualcosa, o meglio, qualcuno di così importante. Non puoi lasciare indietro la persona che ti ha cambiato, che ha cambiato il tuo modo di vedere le cose. Non puoi lasciare la persona che ha reso piena la tua vita vuota, piatta».

«Così mi farai salire il diabete», ironizzò per poi tornare serio. «Vorrei baciarti», strinse la mascella, gli occhi si fecero lucidi. Nessuno lo aveva mai fatto sentire così importante.

«E perché non lo fai?»

«Per abitudine, credo», saettò le iridi azzurre dai suoi occhi color miele alle sue labbra schiuse. Le pupille si dilatarono. «Ma mi disabituerò», sollevò un lembo della bocca in un piccolo ghigno per poi dargli un leggero bacio a stampo. Uno di quelli così leggeri ma che ti lasciano comunque senza fiato. Così intensi.

«Allora è vero», entrambi si voltarono verso quella voce femminile. Quei lunghi capelli castani le cadevano delicatamente sulle spalle, quei grandi occhi azzurri come il ghiaccio li scrutavano, scettici.

«Beth», soffiò Christopher, confuso. Da quando si erano lasciati non si erano più rivolti la parola, lei non aveva mai dato segno d’interesse nei suoi confronti.

«Beth!», la chiamò Duke con il fiatone. Aveva corso per fermarla, ma aveva miseramente fallito.

«Maschione» Victor alzò un sopracciglio allontanandosi dal suo ragazzo. «Cos'è? Una rimpatriata? Una riunione di famiglia?» ironizzò acido. Da quanto non faceva una delle sue battute sarcasticamente pungenti?

«Non iniziare con il tuo stupido sarcasmo del cazzo.» alzò gli occhi al cielo, «Come puoi non essere maturato dopo tutto questo tempo?»

«Mi dispiace», iniziò teatralmente il teppista, «Non sono abbastanza maturo per la donna vissuta quale sei». Infiocchettò il tutto mettendosi una mano al petto, in quei momenti usciva fuori il peggio di sé.

«Tu brutt-» fece per ribattere ma il quaterback la interruppe sul nascere.

«Basta Beth

«Avete bisogno di qualcosa?» Christopher appariva inaspettatamente freddo, distaccato. Probabilmente perché aveva sofferto molto della separazione con la sua ex e non aveva dimenticato come lo aveva fatto sentire.

«Si, ho bisogno di dire una cosa al mio fratellastro.» asserì ignorando Duke che tentava di farla ragionare. «Ho sopportato abbastanza! Per prima cosa rovini la mia reputazione scolastica utilizzando il mio stesso cognome. Seconda cosa, fai soffrire papà fregandosene di lui. E terzo, ti sei messo con il mio ex. Sul serio? Ti piacciono gli avanzi?»

«Cara donna matura, ti chiamerò quando mi importerà qualcosa della tua reputazione scolastica, di tuo padre e che lui sia il tuo ex», ella strabuzzò gli occhi, incredula. «Se sei stata cieca da non accorgerti di chi avevi al tuo fianco, non è colpa mia. Non pensare che io faccia il tuo stesso errore, perché non sono così stupido».

«Come ti permetti?!» sbraitò, «Ti vesti come un teppista depresso e vieni a giudicare le mie scelte?!»

«Sei tu che stai giudicando le mie senza conoscere i fatti».

«E quali sarebbero questi fatti?!»

«Ha vissuto senza un padre e di recente ha perso sua madre», all'affermazione di Duke tutti e tre si ghiacciarono sul posto.

Il teppista deglutì a vuoto e strinse la mascella. Gli avevano appena sbattuto in faccia la realtà, ancora una volta. La realtà che conosceva benissimo, ma che sentirselo dire gli aveva fatto più male del previsto. Quella stessa realtà che quei due ragazzi dinanzi a lui non avevano mai vissuto, non avrebbero mai potuto neanche immaginare come fosse. Di fretta e furia chiuse l'armadietto e, con lo zaino rigorosamente nero in spalla, andò via senza incrociare alcuno sguardo, senza dire alcuna parola. Nessuna battutina sarcastica, nessun commento acido.

«Vick», lo chiamò White. Sospirò, incrociò lo sguardo della sua ex fidanzata, «Sei cambiata, Elisabeth. In peggio». Sollevò lo sguardo sul fratello, «Ci vediamo, Duke». Prese velocemente il proprio zaino e raggiunse Price. Era appoggiato sul cofano della propria auto, con le gambe incrociate mentre, i suoi occhi contornati da delle vistose occhiaie, erano bassi. Scrutavano l’asfalto del parcheggio della scuola. «Vick», sussurrò come se non sapesse dire altro. Gli si parò davanti e lo abbracciò, «Sono qui».

«Non mi sento di guidare», sussurrò ricambiando l'abbraccio. E neanche di parlare, intuì Chris.

«Rimango a dormire da te?»

Fece no con il capo. Lo zio lo avrebbe tempestato di domande. L’ultima cosa che voleva era farlo preoccupare più del dovuto. Aveva fatto così tanti sacrifici per lui, era tornato a Boston per lui. Probabilmente, sarebbe tornato a casa, avrebbe finto un sorriso, avrebbe detto di stare bene per poi crollare nel suo letto. Da solo.

«Vieni da me», intuendo la situazione. Non lo avrebbe lasciato da solo, non in quel momento.

«Ci sono i tuoi».

«Non devi preoccuparti di loro», strinse l'abbraccio inspirando il suo profumo. Odorava di pulito, non più di fumo. «Non posso cambiare la realtà, se mi piace un ragazzo non vedo perché dovrei vergognarmi. Se a loro non sta bene, sono problemi loro».

«Dove la trovi questa sicurezza?»

«Sei tu la mia sicurezza, teppista», gli baciò delicatamente la fronte.

«Stupida principessa guerriera», lo punzecchiò con un sorriso accennato, «Se continui così avrò la glicemia alta».

«Andiamo. Avviserai tuo zio Charlie in macchina», gli lasciò un leggero bacio a fior di labbra accarezzandogli la guancia con il pollice. Gli sarebbe rimasto accanto, anche in quei momenti.

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