3.1
CAPITOLO III
ᴅɪᴀʀɪᴏ ᴅɪ ᴊᴏɴᴀᴛʜᴀɴ ʜᴀʀᴋᴇʀ
(Continuazione)
Quando ho costatato di essere prigioniero, sono stato preso da un'ira selvaggia. Mi sono precipitato su e giù per le scale, tentando ogni uscio, guardando fuori da ogni finestra che trovassi; ma, ben presto, ogni mio sentimento è stato soverchiato dalla consapevolezza della mia impotenza.
Riandando a quel momento adesso a qualche ora di distanza, ritengo di essere stato fuor di senno, perché mi sono comportato suppergiù come un topo in trappola. Pure, una volta convintomi della mia impotenza, mi sono seduto tranquillamente - sereno come se nulla mi fosse accaduto - e ho cominciato a riflettere sul da farsi. Continuo a farlo, e tuttora non sono giunto a una soluzione.
Di un'unica cosa son certo, ed è che è perfettamente inutile parlarne al Conte. Questi sa bene che sono prigioniero; anzi, siccome ne è lui il responsabile, e avrà i suoi buoni motivi per farlo, non farebbe che ingannarmi dell'altro se gliene chiedessi ragione. A quel che ne capisco, non mi resta che tenere per me quanto so e le mie paure, e stare con gli occhi bene aperti. Non me lo nascondo: o sono fuorviato, come un bimbo, dai miei stessi timori, oppure mi trovo in una situazione disperata; e, qualora sia valida questa seconda ipotesi, ho bisogno, e ancor più avrò bisogno, di tutta la mia lucidità per uscirne.
Ero appena giunto a questa conclusione, quando ho udito chiudersi il gran portone d'ingresso, e ho capito che il Conte era rientrato. Non è venuto subito in biblioteca, e allora in punta di piedi son tornato in camera mia e l'ho trovato intento a rifarmi il letto. Cosa strana, certo, ma non faceva che confermare quanto avevo fino a quel momento pensato: che non ci sono domestici in casa.
Quando, più tardi, dalla fessura tra porta e stipite l'ho visto intento ad apparecchiare la tavola in sala da pranzo, ne ho avuto la riprova ché, se si dedica egli stesso a queste minute incombenze, è certo che non c'è nessun altro che se ne occupi. Questo mi ha dato un brivido perché, se nessun altri è presente al castello, evidentemente il cocchiere del calesse che mi ci ha portato era il Conte in persona. Terribile pensiero!
Se le cose stanno così, che significa che abbia potuto dominare i lupi, come ha fatto, semplicemente protendendo in silenzio la mano? E come si spiega che tutta la gente di Bistrita e i passeggeri della diligenza temessero tanto per me? E che cosa vuol dire il dono del crocifisso, dell'aglio, della rosa selvatica, del pezzo di frassino? Benedetta sia quella buona, buonissima donna che m'ha messo il rosario al collo! Perché, ogniqualvolta lo tocco, mi è di conforto e mi dà forza.
È strano che un oggetto che mi è stato insegnato a considerare con diffidenza, come alcunché di idolatrico, possa essere di tanto aiuto in momenti di solitudine e turbamento. C'è qualcosa, nell'essenza stessa dell'oggetto, o questo è soltanto un veicolo, un tangibile ausilio che fa tornare a galla ricordi amabili, confortanti? Un giorno o l'altro, se sarà possibile, devo riflettere sul problema e tentare di venirne a capo. Nel frattempo, devo scoprire tutto quel che posso sul Conte Dracula, posto che ciò possa aiutarmi a capire. Questa notte, se conduco abilmente la conversazione, può darsi che mi parli di sé. Devo però stare molto attento a non risvegliarne i sospetti.
◄►
Mezzanotte - Ho avuto una lunga conversazione con il Conte. Gli ho posto alcune domande sulla storia della Transilvania, e l'argomento lo ha interessato moltissimo. Parlando di cose e persone, ma soprattutto di battaglie, lo faceva come se ne fosse stato sempre testimone oculare. Me l'ha spiegato dicendomi che, per un "boyar", l'orgoglio della casata e del nome è il suo stesso orgoglio, che la loro gloria è la sua gloria, il loro fato il suo fato.
Parlando della sua casata, diceva sempre "noi", quasi col plurale "majestatis", come un sovrano. Mi piacerebbe riuscire a trascrivere esattamente tutto ciò che ha detto: per me è stato estremamente affascinante. Mi sembra che ci sia dentro l'intera storia del paese. Parlando, il Conte si è eccitato, e ha preso a passeggiare su e giù per la stanza, tirandosi i lunghi baffi bianchi e dando di piglio a quanto gli capitava sottomano, quasi a volerlo stritolare con quella sua forza terribile. È una cosa, ha detto, che desidero mettere su carta con la maggior fedeltà possibile, poiché riassume, in certo qual modo, la storia della sua stirpe:
"Noi Szekely abbiamo il diritto di essere orgogliosi, perché nelle nostre vene scorre il sangue di molte razze valorose che hanno combattuto, come leoni, per la signoria. Qui, nel calderone delle razze europee, le tribù ugre hanno portato dall'Islanda lo spirito combattivo conferito loro da Thor e da Odino, e di cui i loro guerrieri furibondi han dato prova, con tanta selvaggia furia, sulle rive dei mari, non solo d'Europa, ma anche d'Asia e d'Africa, al punto da far credere alle genti che fossero calati i lupi mannari stessi. E qui, quando giunsero, trovarono gli Unni, il cui guerresco furore aveva spazzato la terra come vivida fiamma, tanto che i popoli agonizzanti pensarono che nelle vene di quelli scorresse il sangue di quelle antiche streghe che, scacciate dalla Scizia, si erano accoppiate con i demoni del deserto. Imbecilli, imbecilli! Quale demone, quale strega può essere grande come Attila, il cui sangue scorre in queste mie vene?".
E nel pronunciarlo ha levato alte le braccia. "È forse da stupirsi che fossimo una razza di conquistatori, che ne fossimo fieri, che allorché i Magiari, i Longobardi, gli Avari, i Bulgari o i Turchi si riversavano a migliaia sulle nostre frontiere, noi li respingessimo? È forse strano che quando Arpad e le sue legioni invasero la patria magiara trovasse noi qui, a guardia del confine, e che qui si sia compiuto l'Honfoglalas? E quando la marea ungara dilagò verso est, gli Szekely vennero proclamati consanguinei dai Magiari vittoriosi, e a noi per secoli fu affidata la guardia alla frontiera con la terra dei Turchi, ma che dico: la guardia in eterno perché, come affermano i Turchi stessi, "l'acqua dorme ma il nemico veglia". Chi più lietamente di noi, in tutte le Quattro Nazioni, accolse la "spada insanguinata"(*), e chi più veloce di noi volò al richiamo del re, quando venne vendicata la grande onta della mia nazione, la vergogna di Cassovia, allorché gli stendardi dei Valacchi e dei Magiari si umiliarono alla Mezzaluna? E chi è stato, se non un voivoda della mia razza, che varcò il Danubio e sconfisse i Turchi sul loro stesso "suolo"? Era un Dracula! E fu gran vergogna che il suo indegno fratello, egli caduto, vendesse il suo popolo al Turco, riducendolo all'onta della schiavitù! E non è stato forse quel primo Dracula a ispirare quell'altro della sua razza che, in età successiva, più e più volte guidò le sue forze di là dal Grande Fiume, in terra turchesca; e che, respinto, tornò ancora, e ancora, e ancora, sebbene gli toccasse riparare quasi solo dal campo insanguinato dove le sue truppe erano state massacrate, poiché sapeva che lui, e soltanto lui, alla fine avrebbe trionfato? Dicevano che pensasse unicamente a se stesso. Bah, che valgono dei contadini senza un capo? E che scopo avrebbe la guerra senza un cervello e un cuore che la guidino? E ancora, quando, dopo la battaglia di Mohács, ci liberammo del giogo magiaro, noi del sangue dei Dracula eravamo tra i loro duci, ché il nostro spirito non poteva accettare che non fossimo liberi. Ah, giovin signore, gli Szekely - e i Dracula sono il sangue del loro cuore, la loro mente, la loro spada - possono vantare un passato che schiume della terra come gli Absburgo e i Romanov non possono neppure sognare! I giorni guerreschi sono finiti. Il sangue è una cosa troppo preziosa, in questi tempi di disonorevole pace; e le glorie delle grandi razze sono una narrazione ormai conclusa".
Era quasi mattino, adesso, e siamo andati a letto. (N.B.: questo diario assomiglia terribilmente all'inizio delle "Mille e una notte", perché tutto deve interrompersi al canto del gallo oppure alla storia di Amleto e dello spettro di suo padre). (*)
Curiosidracula#1: Per "spada insanguinata" si riferisce probabilmente all'antica usanza di esporre al pubblico una spada insanguinata per segnalare l'arrivo di tempi di guerra e di pericolo, quindi accogliere lietamente la spada insanguinata può voler dire che la sua casata era sempre pronta e fiera di combattere.
Curiosidracula#2: proprio al N.B. finale Jonathan cita Amleto e scopriremo in seguito che non resterà l'unica volta.
Dovete sapere che l'Amleto di Shakespeare ha influenzato "Dracula" in un grande numero di aspetti e temi (per alcuni dei quali dedicheremo dei Curiosidracula più avanti).
Bram Stoker era infatti l'amministratore nel Lyceum Theatre di Londra e ha scritto Dracula proprio in quel periodo. Nel prestigioso teatro londinese lavorava il suo grande amico Henry Irving e in quegli anni le rappresentazione delle opere di Shakespeare furono innumerevoli e di enorme successo. L'Amleto in particolare, interpretato da Irving stesso, venne messo in atto per 200 notti. Non sorprende che Stoker avesse una profonda conoscenza di quelle opere.
Curiosidracula#3: se nel creare il personaggio di Dracula Stoker si ispirò alla figura storica del principe Vlad III di Valacchia, per quanto riguarda l'aspetto e per il carattere si ispirò proprio al suo amico Henry Irving che egli ammirava per la sua personalità carismatica ed ipnotizzante. Stoker sperò inoltre e a lungo che il suo amico acconsentisse ad interpretare il Conte a teatro, ma Irving non accettò mai.
Nota: Ovviamente non farò una nota per tutto, ma nel caso ci sia qualcosa che stimoli la vostra curiosità non esitate a farmelo sapere!
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