22 - Gloria nell'alto dei culi

Nel parcheggio del Confessionale erano parcheggiate solo le macchine dei dipendenti, per il resto era una distesa vuota che il grigiore del cielo plumbeo non migliorava. Non faceva nemmeno freddo, non come avrebbe dovuto in un novembre normale, almeno. Il cellulare vibrò per l'arrivo di un messaggio e con fatica Samuel sbloccò lo schermo. Era Lù.

«Guarda che ti vedo nel parcheggio

Che palle, era stato scoperto. Con un sospiro, infilò il telefono in una tasca del cappotto, aprì la portiera della Mini e sgusciò fuori. Una fitta di dolore gli trafisse il retto e risalì nel ventre e lungo la schiena. Quel bastardo di Kay. Si appoggiò alla portiera e prese alcuni respiri lenti e profondi. Il dolore che avrebbe dovuto provare nei due giorni a Bologna era arrivato tutto insieme al risveglio quella mattina. Kay doveva avergli dato un qualche anestetizzante, perché non era possibile.

Espulse un getto d'aria dalla bocca e chiuse la portiera. Che bastardo.

«Col cazzo che non mi hai sfondato, io lo sapevo! Te l'avevo detto! Cosa mi hai dato per non farmi sentire il dolore?»

Inviò il messaggio e si avviò, con passi minuscoli, verso l'ingresso posteriore. Era già al terzo OKI e la situazione non era migliorata granché. Non aveva nemmeno potuto andare in palestra!

Il telefono vibrò di nuovo, era Kay.

«Non ti ho dato niente. Che hai? Stai male?»

Che shock, eh?

«Già, dopo due giorni con un palo in culo, vedrai...»

Aprì la porta e percorse il corridoio, le fitte erano diminuite d'intensità e avrebbe quasi potuto ignorarle. Un altro messaggio.

«Ti assicuro che sono stato attento, non hai mai sanguinato, eri solo un po' arrossato. Vedrai che in giornata ti passa. E non sei sfondato, madonna quante storie. Tra un paio di giorni il tuo culetto prezioso torna come prima.»

Fanculo. Tipico, da uno che non usava il profilattico, cosa avrebbe potuto aspettarsi di diverso?

La testa di Lù spuntò dalla porta di uno dei camerini. «Ohi, guarda chi si rivede.» Aveva una parrucca di riccioli rossi e un cappellino minuscolo, di velluto nero, con il velo tirato su.

«Ciao», S. si appoggiò allo stipite con una mano.

La Domme era tornata a sedersi davanti allo specchio della toeletta e aveva ripreso a passarsi il fondotinta sul naso con una spugnetta rosa. «Tutto bene? Com'è andata l'inaugurazione? Mi dispiace non essere riuscita a passare.» Indossava un babydoll di pizzo bianco, reggicalze per i collant a rete e un paio di décolleté rosse con tacco a spillo. Molto sensuale.

Samuel si strinse nelle spalle. «Tutto a posto, è andata bene» si grattò il collo e appoggiò tutto il fianco allo stipite.

«Ci sei mancato, sai? Alex era fuori di testa perché hai saltato degli appuntamenti con lei.» Lù si tracciò una linea nera precisa su una palpebra, la ripeté identica sull'altro occhio.

«Capita, avrà diecimila foto mie, non credo che le manchi il materiale per un anno.»

«Come sei acido, non è ancora iniziata la serata e già sei così?» Lù accennò un sorrisetto. «Me li mangi i clienti, poi piangono.»

Samuel si scostò dal legno e riprese a percorrere il corridoio. «Non credo che mi fermerò.»

Dal camerino provenne il rumore di oggetti spostati di fretta, il grattare della sedia, il rintocco affrettato dei tacchi e infine la voce affannata di Lù. «Che vuoi dire? Stasera abbiamo la serata Drag, non puoi mancare.»

Sarebbe stato brutto dirle che poteva fare quello che voleva? S. continuò a percorrere il corridoio. «Appunto, l'attenzione è su di loro, non certo su di me. Tranquilla, nessuno noterà la mia assenza.» Mosse una mano per aria, la porta del suo ufficio era a pochi passi. Infilò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni di flanella grigio scuro e si fermò. Il dolore allo stomaco aumentò e arrivò la nausea. No, non si sarebbe fermato.

Stava troppo male. Aveva voglia Kay a dire che esagerava.

Arrivò fino all'ufficio di Michi e batté le nocche sulla porta chiusa un paio di volte. «Posso entrare?»

Nessuna risposta. Bussò di nuovo e ancora niente.

La voce di Nami alle sue spalle lo sorprese. «Non c'è, S.» Scosse il caschetto arancione, assomigliava in maniera impressionante al personaggio da cui prendeva ispirazione. Forse era addirittura più bella dell'attrice. «Credo che sia dietro al palco a sistemare qualcosa.»

«Ok, grazie.» Samuel accennò un sorriso leggero, la ragazza gli passò accanto e lo superò. Profumava di rose e altri fiori. I pantaloncini neri corti incorniciavano un culetto che pareva sodo e con cui avrebbe volentieri giocato, se non fosse stata una sua dipendente. Samuel sospirò e la seguì nel retroscena della sala grande. E dire che all'inizio Nami gli aveva pure fatto capire senza mezzi termini che sarebbe stata interessata a una conoscenza un po' più intima.

Certo, quello era stato prima che capisse che razza di stronzo era Samuel. Era stato un bene che avesse seguito le sue regole ferree e l'avesse tenuta a distanza. Annuì tra sé e sé, un'ottima scelta.

Michi lo raggiunse, pareva preoccupato di qualcosa. «Meno male che sei arrivato, ci sono dei problemi con i fornitori e vogliono parlare con te.»

«Ciao anche a te. Che succede?»

«Tieni, aspetta che faccio il numero» il manager prese il cellulare e iniziò a scorrere voci della rubrica.

La voce di S. aumentò di tono e di intensità, cominciavano a fargli girare le palle. «Possibile che non possa allontanarmi un minuto che succedono dei casini?»

Il chiacchiericcio si affievolì fino a spegnersi, rimasero solo dei rumori di sottofondo degli operai che finivano di montare il palco.

Michi deglutì, si era immobilizzato con il telefono in mano.

Oh, accidenti, si erano bloccati tutti. Samuel sollevò gli occhi al soffitto e allungò una mano verso il manager. «Dammi qua. Cosa vogliono?»

«Basta che tu dica loro, come sai fare tu, chi sei e che devono consegnare per forza la merce entro un paio d'ore.» Michi gli porse il cellulare.

Samuel fece partire la chiamata, risposero al secondo squillo. «Pronto, buona sera, sono Samuel Ferrari del Confessionale.» Saluti, blablabla, iniziarono con le scuse, l'irritazione gli salì lungo la gola e su per la nuca, allargò le narici. Il tono si fece duro e fermo, irrevocabile. «Ascoltami bene, non mi interessa se hai avuto un imprevisto. Voglio la merce qui entro un'ora o ti rovino.» Altre scuse, balbettate. «Un'ora.» Buttò giù e riconsegnò il telefono a Michi. Erano ancora tutti fermi e in silenzio. Dio, che fastidio. «Allora? Non ci avete da lavorare?»

Come insetti quando si solleva un sasso, se la squagliarono tutti in ogni direzione.

«Michi, altri casini che devo sistemare?»

Il manager chinò il capo. «No, però ho delle novità riguardo al tenente», abbassò la voce e si avvicinò di un passo.

Il bastardo!

«Dimmi tutto.»

Forse quella giornata poteva migliorare.

«Si chiama Malgherini ed è arrivato da un paio di mesi.» Michi indicò il telefono. «Ti giro il file dell'investigatore, ok? Me lo ha appena mandato.»

Samuel annuì. «Grazie. C'è altro?»

Michi scosse la testa e si allontanò a sua volta. Erano nati tutti per dargli fastidio. 

***

Alla fine, era rimasto. C'era la sua Drag Queen preferita, Gloria nell'Alto dei Culi, avevano bevuto due Americani a testa, riso per un'ora e lo show era iniziato con solo mezz'ora di ritardo. Un miracolo. Lo spettacolo era finito e Samuel era spaparanzato sul suo divanetto preferito dell'area VIP e sghignazzava.

Seduta al suo fianco, Gloria nell'Alto dei Culi, stava facendo l'imitazione delle facce del suo ex a letto. «Avrei dovuto capire da come mi ha detto Ciao la prima volta che non sarebbe durata. La scopata, non la relazione.» Gloria si fece aria con il ventaglio di pizzo bianco, che non nascose il ghigno divertito che le incurvava le labbra esagerate dal rossetto fucsia.

Samuel finì l'ultimo sorso del terzo Americano e si fece scivolare un cubetto di ghiaccio in bocca. Iniziò a giocarci con la lingua, Gloria aveva ripreso a raccontare un'altra storia.

Il cubetto gli ricordava il ghiacciolo all'amarena di un paio di giorni prima e il corpo nudo di Kay, con i capelli bagnati, che lo fotteva sul letto.

Gloria batté le mani a un centimetro dalla sua faccia. «Ohi, bell'addormentato.»

Samuel sobbalzò e il cubetto gli finì in gola, tossì e se lo sputò in una mano. «Cosa?»

«A chi stavi pensando?»

«A...», un angolo delle labbra di Samuel si incurvò verso l'alto, «ai due giorni di sesso che mi sono regalato questa settimana.» Buttò il cubetto nel bicchiere e lo appoggiò sul tavolino. «E intendo proprio due giorni di sesso.»

«Povero caro, quando ti diverti non chiamarmi mai, eh?» Gloria gli toccò un braccio con il ventaglio di piume e scosse la testa. «Quando hai finito con lui, camminava ancora?»

Samuel annuì, camminava ancora? «A malapena.»

«Bravo.» La Drag abbassò lo sguardo sulla patta dei suoi pantaloni grigi. «Se non ricordo male, sei ben fornito laggiù.»

«Non mi posso lamentare.»

Fuori dal travestimento da Drag, Gloria, o Giorgio, era un figo pazzesco. Occhi azzurri, moro, un fisico scolpito che avrebbe fatto piangere uomini migliori di lui.

«Certo che», Gloria sospirò e voltò il viso verso la sala dove la gente ballava, «sarebbe bello rinfrescarsi la memoria.» Gli posò una mano sul ginocchio, le lunghe unghie finte erano dipinte di bianco. Era agghindata a sposa slutty con un abitino stretto color avorio che non le arrivava a coprire le autoreggenti e una scollatura profonda sulle tette finte.

«Oh, Gloria, tesoro mio», Samuel accavallò la gamba e la mano della Drag scivolò via, «lo sai che non ti piace quello che faccio a letto.»

«Un pompino è un pompino, mica volevo due giorni di sesso», la Drag si sistemò gli orecchini tondi e si appoggiò allo schienale, «ma fai pure il prezioso. Così fai venire ancora più voglia di stropicciarti.»

Davvero Giorgio non ricordava com'era finita l'ultima volta tra loro? Erano passati un paio d'anni, ma era scappato piangendo dalla camera da letto e si era rifiutato di tornare a esibirsi nel locale per più di sei mesi.

Gloria gli sfiorò il petto con il ventaglio. «Non incupirti, amore, ti ho perdonato. In fondo, è risaputo che sei uno stronzetto.» Gli fece una smorfietta con il naso che era diventato a punta, grazie al trucco, e si alzò in piedi. Gli appoggiò una mano sul ginocchio e tentò di rimettersi le scarpe, un paio di sandali color oro con un plateau da cinque centimetri e un tacco vertiginoso.

Già, era uno stronzetto, per dirla in modo carino. La Drag si allontanò sculettando verso alcuni fan. Era proprio uno stronzetto.

Si mordicchiò l'interno di una guancia, c'era ancora una persona al mondo che non lo pensava. O almeno che faceva finta. Prese il telefono e scrisse un messaggio a Gabriele.

«Ti sei perso uno spettacolo divertentissimo, stasera. Comincio a essere davvero geloso dei tuoi sabato sera con gli amici. Mi manchi»

Non era online.

Samuel aprì Instagram, Gabriele non aveva pubblicato foto e non era stato taggato. Arrivò un messaggio, era lui. Di già?

«Non esserlo, ho dovuto dare buca perché una cliente si è piantata nel mio ufficio. Sono stato fino alle dieci ad ascoltarla mentre si lamentava. Però almeno paga bene e subito 🙄🙄»

Non gli mancava. Era ovvio. A chi sarebbe mancato?

Un altro messaggio. «Mi manchi anche tu. Sono stanco morto!!!»

Samuel si mordicchiò il labbro inferiore. «Ci vediamo domani?»

«Vieni da me, Netflix & chill»

«Ok, voglio poltrire sul divano tutto il pomeriggio»

«Hai finito la dieta, giusto? Ti faccio assaggiare i biscotti che ho fatto l'altro giorno quando mi ignoravi, invece di mandarti duemila messaggi»

Una punta di senso di colpa gli strinse lo stomaco. L'aveva trattato proprio male.

«Dieta finitissima. Non vedo l'ora. Ci vediamo verso le 5 ok?»

«Ok e meno male perché non mi piaci così magro»

Quando lo aveva visto? Samuel aggrottò le sopracciglia.

«Parli come se mi avessi visto»

«Ma sì, sciocchino, mi hai mandato quella foto super sexy in cui facevi finta di dormire. Non ti ricordi?»

Spalancò le palpebre. Fece scorrere i messaggi, non c'era nessuna foto. Aprì la galleria, eccola lì: era nudo, a pancia in su, tra le lenzuola sfatte. Non faceva finta di dormire, dormiva davvero.

Quante foto gli aveva fatto Kay? E quante ne aveva mandate in giro e poi cancellate?

Ce n'erano altre in posizioni simili, il master lo aveva sistemato a suo piacimento e poi lo aveva fotografato. In una era a pancia in giù, aveva la schiena un po' inarcata e mostrava le chiappe. Erano arrossate, Kay lo aveva sculacciato? Non lo ricordava per nulla. Certo che erano foto davvero erotiche, Kay aveva occhio. Sembravano da boudoir.

C'era anche un video: Kay che posizionava il telefono sul comodino, Samuel con il viso nascosto a metà da un cappuccio in latex nero, a pancia in su, i tatuaggi erano stati coperti. Nel filmato, il master si era sdraiato su di lui e aveva iniziato a baciarlo e palpeggiarlo in mezzo alle gambe. Dopo un po', Samuel era sembrato svegliarsi, lo aveva abbracciato e gli aveva circondato i fianchi con le gambe.

Spense tutto. Era in un bagno di sudore bollente, il fiato corto e il cuore che gli martellava nel petto. Il membro che gli pulsava nei pantaloni. Ricordava: Kay aveva fatto lo streaming sul suo OF nella notte tra giovedì e venerdì.

Riaccese il video, lo fece scorrere veloce. Era vero, non aveva avuto nemmeno un'erezione. Eppure, eccolo lì che eiaculava.

Digitò un messaggio a Kay:

«Ho trovato le foto e i video. Non so se essere arrabbiato o lusingato. Comunque, che ne dici di un'altra scommessa? Così ti dimostro che ero davvero vicino a vincerla anche l'altra volta»

Gli avrebbe dovuto anche chiedere a chi altri avesse inviato le foto. E quante persone avevano visto lo streaming.

Nuovo messaggio di risposta di Kay:

«Direi lusingato, anche perché ti avevo chiesto il permesso e avevi detto di sì. Per la scommessa non saprei, se vuoi fare sesso con me basta dirlo»

Samuel serrò la mascella, chi si credeva di essere?

«Nuova condizione: se non riesco a sottometterti nel giro di una sola serata, vinci tu. Che ne dici?»

«Dico che ho un sacco di idee nuove per i tuoi prossimi due giorni da sub. Anzi, da slave 🙄»

«Accetti?»

«Accetto. Quando? Prima di sabato prossimo non posso»

Samuel aprì l'app del calendario, sabato sarebbe stato perfetto. Serata a tema Moulin Rouge. Sogghignò.

«Perfetto. E non serve che prenoti un albergo, a casa mia c'è una cuccia bella comoda per i sub ubbidienti»

«Allora sarà un piacere fartela usare per la prima volta»

Che essere fastidioso e arrogante.

Suonava anche lui così? Lasciò andare un sospiro, nessuno si era mai lamentato.

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