26. Rudy

Nell'esatto momento in cui ieri sera Lenoir è fuggita dal mio appartamento, ho sentito una fitta così forte al centro del petto che, per qualche istante, ho creduto di avere un infarto. Mentre infilavo pantaloni e felpa Dino continuava a ripetermi di valutare con attenzione il problema, lei non poteva essere una scopata, tutte le donne del mondo sì, Lenoir assolutamente no, e non potevo permettermi di fare una cazzata per la seconda volta. Ha farfugliato qualcosa su aver lui stesso spifferato il mio nome alla serata di beneficenza per capire se potesse fidarsi di lei. Dopo qualche minuto, il mio cervello non riusciva a contenere tutto ciò che Dino stava blaterando, ho solo distinto un "vestiti" e "muoviti", ripetuto almeno un paio di volte, e così ho fatto. Prima di scendere mi ha trattenuto per un braccio e nel suo italiano-campano ha detto: «Quella ti fa bene, con quello che ti ho detto mi avresti preso a pugni. Non l'hai fatto» ha annuito. «Difficilmente mi sbaglio, Rudy.» Subito dopo mi ha spinto per le scale gridando: «Va' da lei che scappa. Mica posso badare a te per tutta la vita, uagliò

Ed ora la sto tenendo stretta tra le mie braccia mentre dorme rannicchiata al mio fianco; è completamente nuda, con i capelli sparpagliati sul cuscino e la testa poggiata sul mio braccio. Prima di addormentarci abbiamo fatto l'amore. Non era sesso, ne ho fatto fin troppo nella vita per capire che quando i nostri corpi si uniscono c'è qualcosa di più, una sensazione mai provata prima. Lei è la donna perfetta, la mia principessa e nessuno potrà portarmi via da lei.

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Non so quando mi sono addormentato, ma al mio risveglio il posto accanto a me è vuoto, quindi mi alzo e vado a cercare Lenoir. Cammino verso la cucina e la sento.

«Ehi, bel ragazzone.» Sta parlando con Buio. «Cosa hai fatto mentre noi dormivamo?» si china verso di lui per baciarlo sull'orecchio, quando prosegue verso la cucina lui la segue. «Hai fame piccola pulce?» Ed il mio cane sembra ascolti ogni singola parola che esce dalla sua bocca, intanto lei tira fuori le sue crocchette e ne mette un po' nella ciotola che ha in mano. Buio sembra carico a molla quando la posa a terra e si allontana. Lenoir inizia a fare il caffè, apre il frigorifero e in quel momento alza lo sguardo.

Ha i capelli ancora sciolti e indossa la mia camicia color lavanda non completamente abbottonata.

«Buongiorno» dice, aprendo ogni armadietto in cerca delle tazze. «Caffè?»

Cammino verso di lei, osservandola a perfetto agio nella mia cucina, sempre a piedi nudi, uno sopra l'altro. Una spalla della camicia è lievemente abbassata mostrandomi che non indossa il reggiseno. La afferro per la vita e la metto di nuovo sul tavolo. Spostandole i capelli, mi chino e succhio proprio sopra il capezzolo.

«Rudy» sussurra, guardandomi con le gambe penzoloni, «sul tavolo è possibile anche fare colazione?»

Alzo la testa, guardando in basso il segno rosso che le ho lasciato. «Più tardi, magari più tardi sì.» La bacio per augurarle il buongiorno mentre lei attorciglia le gambe ai miei fianchi.

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«Cosa vuol dire che devi andare via?» dico mettendo il broncio come un bambino. Ogni volta dormiamo assieme, è un tormento vederla andar via.

«Devo registrare un'intervista con Antonio Conte per il canale internet. Sono in ritardo di almeno mezz'ora e se non ti metti qualcosa addosso ho paura che non riuscirò mai a uscire da quella porta.» Chiude gli occhi sorridendo e si volta verso la parete mentre indossa i jeans.

Con un guizzo salto dal letto per inginocchiarmi dietro di lei e baciare il suo sedere, piccolo e sodo, nascosto dai soli slip in pizzo nero. Sento le sue gambe perdere le forze quando, dopo i baci, inizio a morderla. Alzo la maglietta che ha indossato da pochi minuti per leccarle la colonna vertebrale e stringere i suoi seni.

«Rudy, questo è un colpo basso» geme voltandosi e prendendo il mio volto nelle sue mani per darmi un bacio famelico sulle labbra. Passa le dita sopra il mio pisello e poi lo lascia, continuando a vestirsi. «Devo registrare un'intervista all'allenatore dell'Inter, ti supplico, quattro ore e poi sono tutta tua.» Prima di voltarsi per afferrare la borsa dalla sedia a fianco del televisore si passa ammiccante la lingua sul labbro superiore. «Quattro ore.»

Indosso i pantaloni della tuta e quando lo faccio, il mio uccello sembra non voler collaborare, sentendo ancora la sua presenza nella stanza. Faccio qualche passo per accompagnarla alla porta quando si volta e dal niente esce con quest'affermazione: «In questa casa ci sono cinque mobili compresa la cucina. Non pensi sia il caso di correre ai ripari?»

Aggrotto la fronte guardando il mio appartamento praticamente deserto e annuisco. Non contenta prosegue: «E un albero di Natale, come puoi fare senza?»

«Lenoir, sono più di quindici anni che non ho un albero di Natale in casa» le dico prendendo i suoi fianchi. «Ma se questo ti fa felice prenderemo un albero, principessa.»

«Allora andiamo oggi a fare shopping» dice guardandomi con quegli occhi da cerbiatta a cui non potrei in nessun modo dire di no. Si volta e aprendo la porta mi succhia il labbro superiore e scompare verso le tre rampe di scale.

Dopo poco più di quattro ore è nuovamente davanti alla mia porta, pronta per riempirmi la casa di mobili e cercare un albero: quest'ultimo è stato un grave errore, ci sono voluti due uomini grandi e grossi per legarlo alla mia macchina e un'ora per trascinare di sopra quello stronzo semina aghi. Nel negozio di arredamento mi sono limitato ad annuire fingendomi più interessato alla mobilia rispetto al suo culo che ondeggiava sotto i jeans. Tra qualche giorno consegneranno un divano color senape, sei sedie, due mobili per il soggiorno e non so quante lampade. Non ho idea di dove questa roba debba essere posizionata ma ha detto che il giorno della consegna sarà presente e, se questo mi permettesse di averla sempre per casa, cambierei appartamento ogni giorno e ricomincerei dal principio.

La prima partita che gioco dopo l'infortunio all'occhio è Napoli-Atalanta e casualmente entriamo insieme allo stadio. Ci siamo salutati meno di dieci ore fa, ma sembra un secolo, non poterla baciare o toccare mi consuma dentro. L'ho lasciata all'interno del suo appartamento che preparava una valigia per la trasferta, fortunatamente riesce a scegliere piuttosto autonomamente le partite da seguire e fatevelo dire, ultimamente l'Atalanta è la squadra in vetta alle sue scelte.

Quando prendiamo due gradinate diverse mi fa l'occhiolino. «In bocca al lupo.»

Sorrido e mi giro per andare negli spogliatoi. Metà della squadra è già all'interno, quindi faccio un cenno al secondo allenatore e poi mi fermo al solito posto, scrollandomi la giacca dalle spalle. Ascolto gli altri ragazzi che parlano di donne, scopate o giochi della Play Station quando entra il mister.

«Siete pronti, animali? Fame di vittoria?» chiede, non attendendo altra risposta che un "sì" all'unisono. Mi guarda. «Te la senti, Hoffman?»

Annuisco. «Nato pronto.»

«Deciso, 3-5-2 come in allenamento e non fatemi incazzare.»

Continuo a cambiarmi sapendo ormai che andandosene non avrebbe salutato nessuno, e così ha fatto.

Quando stiamo per entrare, Pierluigi è il primo della fila e ha una visuale piena anche del fuori campo.

«Giuro che Lenoir ha un aspetto diverso» dice in tono pacato conoscendo il brutto carattere del fratello. «Ha un sorriso raggiante.»

«Penso sia innamorata» risponde Alessandro senza guardare nessuno, continuando a sistemarsi la maglia. «Praticamente è latitante da più di un mese, e sempre con questo tipo.»

Continuo ad ascoltare, saltellando sui piedi, mentre la parola innamorata mi fa mancare un battito al cuore.

«Sai chi è?» chiede Pier quasi dispiaciuto mentre Alessandro scuote la testa. «È qualcuno che conosciamo?»

«No» risponde lui. «È impossibile che qualcuno dell'ambiente sia così stupido da uscire con mia sorella» si appoggia alla parete in plastica per stirare un fianco. «Sono sicuro che sia uno di questi ragazzini di Uomini e donne o qualcosa del genere, forse il suo personal trainer tutto tatuato.»

La musica si interrompe, lo speaker chiama le squadre ed entriamo in campo.

Mi guardo attorno e noto che lo stadio è pieno di tifosi, quando torno con lo sguardo verso i miei compagni Alessandro è di fronte a me. «Come va, socio?»

Strizzo l'occhio in segno d'assenso quando l'arbitro fischia l'inizio del primo tempo.

Da subito inizio a correre lungo la fascia sinistra come un fulmine. Faccio finte, passaggi indietro, dribbling e intanto conto i minuti che mancano a quando Lenoir sarà distesa sul letto. Sorrido tra me e me, non c'è nessun altro, lei è solo mia. Mi smarco giusto in tempo quando Alessandro passa la palla al centravanti, che me la lancia, facendola atterrare poco lontano dal mio piede sinistro, riesco ad agganciarla e proteggendola dal primo difensore del Napoli, corro in avanti entrando nell'area di rigore. Mi rendo conto di non avere possibilità di tiro, la passo indietro ad Alessandro cercando di distogliere l'attenzione dal sottoscritto. Qualche attimo di confusione nell'area avversaria, Alessandro intuisce la mia posizione e crossa la palla che lancio di testa in rete, facendola passare a pochi centimetri dall'orecchio del portiere. Alessandro mi indica mentre corriamo verso i tifosi in delirio. Il resto della partita si svolge con lo stesso copione e termina con una vittoria netta da parte nostra. Difesa e portiere avversari dovrebbero chiedere gli straordinari per l'inqualificabile sforzo che hanno fatto per cercare di contenerci, ma tre palle sono sfuggite e hanno bucato la rete, due mie e una di Alessandro. Entriamo nuovamente nello spogliatoio euforici per questa importante vittoria, il quarto posto è ancora stretto nelle nostre mani. Finisco di vestirmi e mentre attendo il resto dei compagni sgattaiolo nel corridoio per vedere Lenoir durante le interviste. Io sono già stato abbondantemente interrogato dalla mia telecronista sportiva all'uscita dal campo, e devo essere sincero, averla davanti in tutta la sua prorompente bellezza e non poterla avvinghiare a me era eccitante e frustrante al contempo.

«Cazzo, Rudy, professi bene ma alla fine ti becco con le mani nella marmellata.» Mattia è alle mie spalle.

«Sei scemo? Aspetto voi che siete delle autentiche lumache» dico cercando di cambiare discorso. «Per fortuna arrivano anche Robin e Hans. Ne mancano solo altri quindici.» Sbuffo.

Nessuno dei presenti guarda l'uscita, tutti hanno gli occhi puntati sulla mia ragazza.

«Pierluigi ha detto che Lenoir ha un fidanzato» dice Mattia sgomento.

«Sì, l'ho saputo prima» si rammarica l'altro al suo fianco.

«Le notizie importanti volano» ribatto divertito, constatando che dalla notizia data da Alessandro al portiere, sono passate poco più di due ore, di cui, tre quarti trascorse in campo.

«Non capisci quanto possa essere terribile questa informazione» mugola Robin guardando Lenoir e mordendosi la mano al contempo. «Beato chi se la scopa.»

Sorrido e mi escludo dai futuri commenti, chino la testa a terra e mi appoggio al muro con le spalle, mentre i due, insieme al preparatore atletico continuano a borbottare.

Dopo venti minuti, Lenoir ha finito le interviste, liquidato il cameraman e in questo preciso istante sta venendo verso di noi, o meglio verso il fratello.

Ha gli occhi di tutti puntati addosso e sinceramente a fatica riesco ad esserle indifferente. Indossa dei pantaloni grigi poco sopra la caviglia, degli stivaletti neri e una camicia piuttosto scollata dello stesso colore con dei volant sul seno che lo fanno sembrare ancora più prosperoso, un'autentica visione. Ma è la sua altezza da valchiria che la rende straordinariamente imponente e sinuosa, svetta addirittura di qualche centimetro sopra al fratello.

«Ale, per la cena di Natale della squadra ci sono» china la testa di lato, «se sto confermando troppo tardi e creo problemi dimmelo.»

«Ma scherzi!» risponde Pier voltandosi poi di spalle per evitare lo sguardo fulminante di Alessandro.

«Nessun problema.»

Mattia la incalza. «Porterai il tuo ragazzo?» Alessandro lo fissa torvo.

«Vedo che le notizie volano» sorride lanciandomi una fugace occhiata. «Chi lo sa! Potrebbe venire e portarmi via per il dopo cena, no?»

«Se poi non dovesse arrivare ti porto a casa io e mando a quel paese quella vecchia di mia moglie!» Da dietro il gruppo, Giovanni il fisioterapista, si fa avanti spudorato.

Alessandro sbuffa tra le risa di tutti. «E no, Giovanni, non ti ci mettere anche te.» Prende sottobraccio Lenoir portandola via dalla gabbia di belve feroci mentre lei ride del fratello, come non mai.

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