10-1 ripensamenti

Forse ho sbagliato, e mi sento in colpa per quello che ho fatto a Genni. Mentre Diana e Becca la tirano fuori dalla tenda, ancora in preda all'attacco di panico, mi sento uno schifo. Sto male perché la colpa di quel panico sono io e anche perché non posso fare a meno di provare un moto di speranza. Lei mi ha creduto. Stavolta non mi ha liquidato come un'allucinazione o come un problema psichiatrico. Lei ha capito che sono reale e ora ho la speranza che mi cerchi, che trovi Corinna, che scopra il mio nome, e che questo sistemi le cose. Le sistemerà? Non lo so. L'ho detto, è solo una flebile e meschina speranza che qualcosa adesso cambi, che si risolva – come non ne ho idea – o almeno che possa tornare come era prima.

Lo ricordavo, prima, il mio nome? Continuo a scacciarla, questa domanda, vagare con la mente ora è fuori questione, ma continua a girarmi intesta.

Dopo il mio ultimo incontro con Dentigialli evito accuratamente di distaccarmi dai pensieri di Genni. Da giorni me ne sto zitto e buono in un angolo della sua testa, vegliando senza pause anche nel sonno, in una sfibrante attesa che non ha alcun orizzonte o traguardo. Ho paura perché ora sono certo che Dentigialli non sia solo una mia fantasia. Il sottile disagio provato quando la prima volta mi ha offerto un biglietto per la ruota si è fatto inquietudine quando, sulla spiaggia, mi ha offerto un gelato. Quelle sensazioni, quell'istintiva repulsione che mi ha fatto rifiutare le sue offerte, all'apparenza così cortesi, è divenuta paura quando è comparso vicino all'altalena, nel ricordo di casa dei nonni. Lì per la prima volta ho sentito che se avessi accettato (mi avesse preso) non avrei più potuto rifiutare (fuggire). L'ultima volta, nella memoria del mio appartamento, sentivo che non esisteva modo di rifiutarmi e mi ero arreso a lui con la rassegnazione di chi sa che non esiste scampo. Gli sono sfuggito solo per un capriccio del caso e so già che la prossima volta non sarò così fortunato.

Per questo, da giorni, sono più prigioniero di prima della mia condanna. Le ombrose pieghe della mente in cui ero solito rifugiarmi quando il presente era troppo noioso o troppo pesante, le strade della mia memoria che mi sono costruito negli anni e che ero solito percorrere per tirare il respiro non sono più un luogo sicuro. Dentigialli mi ha tolto tutto questo. Lo so che è lì da qualche parte, annidato in attesa di prendermi, e non posso abbassare la guardia. Non so di preciso cosa accadrà quando ci riuscirà; perché mi è chiaro che si parli di un "quando", non di un "se", riuscirà a prendermi.

All'inizio non avevo premeditato quello che ho fatto. Quando Genni ha avuto quella specie di reminiscenza e mi ha visto sulla spiaggia, quando dopo diciotto anni mi sono rivisto attraverso i suoi occhi ero soltanto euforico. Sul momento non ho neanche pensato a come lei potesse avere memoria di quel nostro incontro. In quell'attimo, vedere il mio volto nei suoi occhi, così nitido, mi ha risollevato dalla disperazione dopo i giorni appena trascorsi. Mi ha ricordato di non essere solo un insieme di pensieri invischiati in un grumo di paura. Non ho un nome, ma almeno per lei avevo un volto e non mi sono sentito più solo. Per questo le ho parlato, all'inizio.

Solo dopo ho ripensato al ricordo di Genni del mio incubo sulla spiaggia e ho realizzato che quel giorno è contro la sua coscienza che sono andato a sbattere. Non era solo una proiezione della mia mente, un'immagine della ragazza; Genni mi aveva già visto ben prima del sogno dell'ospedale e non me ne ero reso conto.

Subito a ruota ho pensato a martedì notte quando Genni ha sognato il giorno della mia morte. Un altro sogno che forse ho sottovalutato. Non ho ancora capito cosa possa significare.

Non ci credevo quando l'ho visto accadere. Fatto sta che mi ritrovo seduto sulle panchine di fronte casa, quelle sul lato opposto della strada, con in mano un giornale completamente bianco e vedo lei che esce, al posto mio, dal portone di casa con la bicicletta del suo coinquilino mentre la macchina che mi ha investito sopraggiunge. Non so che sentimento mi abbia destato vedere Genni vivere gli ultimi momenti della mia vita perché subito dopo è subentrato il terrore. Dalla macchina non è uscita la carampana che mi ha stirato bensì Dentigialli con un completo color salvia. Ha chiuso lo sportello e si è aggiustato il doppio petto guardandosi intorno, come se mi cercasse. Inchiodato dalla paura su quella panchina, mi sono nascosto dietro il giornale pregando che non mi vedesse, e ho atteso. I suoi occhi mi hanno visto – ne sono certo – me li sono sentiti addosso, ma sono passati oltre. Si sono fermati su Genni.

L'ho visto avvicinarsi a lei, col suo sorriso strabordante. Sembrava interessato, anzi, un po' troppo interessato a lei. Ho ricordato il documento che voleva farmi firmare, sulla porta di casa mia: la data di scadenza di Genni, 19 settembre 2022, tra poco meno di tre mesi. Era lì per quello? Avrei dovuto gridarle di scappare, ma non l'ho fatto. So di fare la figura del codardo, ma se Genni non si fosse svegliata da sola non avrei fatto niente. Il terrore che Dentigialli si ricordasse di me, che decidesse di prendermi, paralizzava ogni mio pensiero. Anche adesso posso sentire la sua opprimente presenza sulla porta di casa e la voce untuosa e cortese chiamarmi: «Signor Landi.»

Da quanto non ricordo il mio nome? Non lo so, ma devo ricordare. Mi manca un pezzo di me, una parte fondamentale di chi ero, e forse c'è qualcosa, un fatto, un frammento di memoria, che magari possa spiegare perché sono qui e perché adesso Dentigialli mi dà la caccia. Così, quando Genni mi ha chiesto qualche indizio su chi fossi ho avuto l'idea. Ripeto, non ne vado orgoglioso, ma ho visto uno spiraglio di luce e mi sono lanciato. Come una falena contro una fiamma, mi viene da pensare, destinato a bruciarmi le ali (o quelle di Genni).

Genni adesso si stringe tra le braccia di Becca. Dopo la fase acuta dell'attacco non ha cercato Simo – che peraltro mi è parso sollevato – ma la sua amica. Superata la crisi, Genni sembra sfinita. Non so cosa stia pensando in questo momento. Non so come abbia fatto, ma la ragazza mi ha escluso da tutti i suoi pensieri; vedo e sento solo quello che avviene all'esterno. Da parte mia ho realizzato che devo essere più cauto con Genni, darle meno informazioni per volta. Non volevo certo dirle subito che sono morto, ma è fin troppo percettiva. Devo muovermi con più prudenza.

Poco fa Teresa voleva chiamare in ogni modo la guardia medica – a volte è insopportabile, sono d'accordo con Becca – ha insistito fino alla nausea, ma per fortuna nessuno le ha dato ascolto. Se le avessero dato retta o se Genni dovesse avere un crollo più serio, se le fossero somministrate delle benzodiazepine o dei barbiturici, finirei di nuovo nel pozzo e lì non avrei nessun modo di sfuggire a Dentigialli. Reprimo la paura che mi provoca il pensiero e ripenso di nuovo a quello che ho fatto. L'ho manipolata nella speranza che la curiosità la porti a cercarmi. L'ho detto, non ne vado orgoglioso, ma devo riavere il mio nome. Non so come, ma mi sono convinto che ricordarlo mi aiuterà a scacciare Dentigialli e riconquistare il mio solitario regno. Forse è solo un'illusione, forse sto solo facendo del male alla ragazza per rimandare l'inevitabile. È questo che sto facendo? Sto resistendo alla mia fine? La fine della mia dannazione? La fine di tutto? Me lo sono domandato più volte in questi ultimi giorni. Forse la mia pena sta per finire, proprio qui a Firenze dove è iniziata; questo è il grande piano con la "P" maiuscola – il disegno nascosto che non vedevo – e Dentigialli è solo il mio "traghettatore", il mio personale Caronte. Arrendermi e accettare l'oblio sembrerebbe così bello, sono così stanco di tutto questo. Eppure, ogni volta che ci penso, la mia mente si ritrae da quel pensiero carico d'angoscia. C'è qualcosa di sinistro e profondamente sbagliato in quella figura grottesca. È troppo cortese, troppo sorridente per non nascondere del marcio. Sta parlando la mia paura? Beh, sì ho una paura dannata, ma per ora non credo che mi risolverò a mollare. Genni dovrà perdonarmi.

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