22. Sad Percabeth


Combattevano quel mostro da ore. Annabeth era stremata, i capelli biondi appiccicati alla fronte dal sudore e sporchi di sangue. Un taglio profondissimo le solcava la gamba destra, impedendole di correre. Ormai combatteva in ginocchio. La sua mente si era ridotta ad una serie di comandi essenziali: para, schiva, affonda. Non sapeva neanche quale mostro stesse combattendo. Percepiva Percy dietro di sé. Il figlio di Poseidone la aveva circondata con un tornado d'acqua in modo da rallentare le azioni del mostro rivolte a lei, ma lui era completamente sotto tiro. Con la spada in pugno e lo scudo caduto a metri di distanza, combatteva senza fermarsi. Il suo unico pensiero era tenere quella bestia lontana da Annabeth. Ma anche il grande Percy Jackson aveva dei limiti; il mostro azzannò il braccio con cui il figlio di Poseidone impugnava Vortice. Il ragazzo non mollò la presa sulla spada, ma perse la concentrazione e il muro d'acqua che difendeva Annabeth crollò. Il mostro si volse subito verso la ragazza e a Percy mancò il respiro per un attimo. Se le fosse accaduto qualcosa, non era sicuro di riuscire a sopravvivere. Lei si sfilò un pugnale dalla cintura e lo lanciò dritto in mezzo agli occhi del nemico. Il mostro si accasciò e non si mosse più.
Percy corse da Annabeth e la abbracciò.
-Per un attimo- le mormorò contro l'orecchio. -Per un attimo ho pensato che... che saresti...
-Non dirlo- lo interruppe lei.
I due si staccarono e Annabeth gettò un'occhiata al mostro. Non si era ancora dissolto.
-Percy- chiamò. -Qualcosa non va.
Il figlio di Poseidone stava per proporre di allontanarsi, quando il mostro esplose in miliardi di aculei appuntiti. Automaticamente, Percy si gettò sopra ad Annabeth per farle da scudo con il proprio corpo.
La figlia di Atena cadde a terra sotto il suo peso, sapendo in anticipo cosa sarebbe successo.
Quando la pioggia di aculei terminò, Annabeth tirò un sospiro di sollievo: Percy sorrideva e sembrava stare bene. Magari per una volta la fortuna si era degnata di considerarli.
Stava per abbracciare il suo ragazzo, quando notò la macchia nera che si stava allargando sul suo petto, all'altezza del cuore. Il sorriso le morì sulle labbra.
-Percy...
Lui non staccava gli occhi dai suoi, come se volesse registrare ogni singolo particolare di quella tempestosa tonalità di grigio.
Lei sondò la sua schiena con le mani fino a sfiorare l'aculeo infilzato nella carne. Seppe con assoluta certezza che non sarebbe riuscita a curarlo. Lacrime calde cominciarono a bagnarle il viso.
Percy, anche se consapevole della propria situazione, continuava a sorridere.
-Non piangere- le diceva, accarezzandole con dolcezza i capelli sporchi. -Starai bene, tutto il resto non m'importa.
Le asciugò le lacrime con le dita. -Sei bellissima- le mormorò.
Lei fece appoggiare la testa di Percy sulle ginocchia e continuò a piangere.
-Annabeth- disse lui, la voce debole ma ferma. -Ti aspetterò. Nell'Elisio. Magari potremmo reincarnarci insieme, potrei controllare le acque del Lete e far sì che non ci dimentichiamo l'uno dell'altra al momento della rinascita.
-Non c'è goccia del Lete che possa cancellarti dalla mia mente, Testa D'Alghe. Voglio che tu ti reincarni. Per favore. Voglio arrivare alle Isole dei Beati con te, e nessuno ci toccherà più. Ma non voglio imbrogliare. Ce la faremo. Io e te.
Percy annuì e si portò la mano di Annabeth sulla guancia. Anche lui piangeva, ora.
-Stupido Testa D'Alghe...- mormorò lei, accarezzandogli i capelli scuri.
-A presto, Sapientona.
-A presto, Percy.
Ma lui non la sentiva più.

-
12 anni dopo

Annabeth era finalmente riuscita a diventare insegnante. La sera prima aveva festeggiato con Piper, Hazel e Rachel.
Poi la figlia di Atena, rimasta sola, si era sdraiata a letto, consapevole che Percy sarebbe tornato a farle visita in sogno. Erano tutti incubi terribili, dove lui perdeva la vita e la incolpava per questo. Ma almeno lei poteva rivedere i suoi occhi color del mare.
Quando entrò per la prima volta nella classe, i suoi studenti si alzarono in piedi.
Solo uno rimase seduto, impegnato a guardare fuori dalla finestra. Annabeth si schiarì la voce e il bambino si voltò, allarmato, affrettandosi ad alzarsi in piedi. I suoi compagni risero.
Ma Annabeth, al contrario, rischiava di mettersi a piangere. Il bambino aveva i capelli scuri e gli stessi occhi verde mare di Percy. Il ragazzo sorrise strafottente, immune alle prese in giro dei compagni, e quel sorriso un po' obliquo, per la serie: "ho appena bruciato una chiesa ma giuro che non l'ho fatto apposta" era identico a quello del figlio di Poseidone.
Una lacrima le solcò il viso. Sotto lo sguardo serio dei suoi studenti, Annabeth indicò il dodicenne.
-Tu- esordì. -Come ti chiami?
-Peter Johnson, signora.
E Annabeth seppe che Percy l'aveva amata fino a quel fatidico tuffo nel Lete.

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