Capitolo 14: Mr Sanchez

Molto probabilmente se non fosse stato per Leandro e Jenna, la cena si sarebbe svolta in un silenzio imbarazzante e carico di tensioni, soprattutto date le occhiatacce che mio padre e il signor Sanchez si mandavano. Non capivo il motivo di tale odio e sicuramente l'avrei scoperto, a costo di tartassare mio padre di domande e portarlo al punto di avere un esaurimento nervoso. Le portate, serviti dai maggiordomi della casa, erano a dir poco squisiti, anche se non mangiai tutto quello che c'era in ogni singolo piatto a causa di un brutto presentimento che avevo iniziato ad avvertire. Ognuno mangiava in silenzio, facevo fatica ad udire anche la forchetta  che si poggiava nuovamente nel piatto, era come se il minimo rumore poteva far esplodere la rabbia di mio padre nei confronti del signor Sanchez, sembravano due bombe che aspettavano solamente di essere innescate. Fortunatamente dopo sarebbero arrivati altri invitati, ovvero i genitori di Kyla che a quanto pareva avevano avuto un imprevisto, speravo che avrebbero dato una svolta a questa serata in positivo. Tuttavia la cena stava procedendo bene, almeno prima che Christian aprisse bocca.

«Josh Hernandez, chi l'avrebbe mai detto che saremo stati uno di fronte all'altro e mangiare nello stesso tavolo?» Chiese ma sentii chiaramente il sarcasmo nel suo tono di voce, il signor Sanchez si portò elegantemente il tovagliolo di seta bianco, che solitamente si metteva sopra le gambe durante la cena, alla bocca e si pulì i lati delle labbra sofisticamente, guardando mio padre con le palpebre leggermente socchiuse con fare minaccioso.

«La famiglia che ti ha invitato, ovvero i DiLaurentis e tecnicamente non siamo proprio uno di fronte all'altro, Christian Sanchez.» Incalzò nervoso mio padre, portando il tovagliolo, che aveva sulle gambe, sul tavolo e stringendolo con la mano, sibilò il nome del padre di Colton ed ebbi l'impressione che solo pronunciare il suo nome guardandolo negli occhi, riportasse a galla la causa, o forse le cause, che avevano portato due famiglie ad odiarsi tanto. Mia madre alzò lo sguardo da piatto e guardò terrorizzata la madre di Colton, Jennifer, la quale ricambiò lo stesso sguardo. Mia madre rare volte aveva visto mio padre adirato, ma sembrava che in quel momento  fosse la prima volta che sentì il timbro di voce arrabbiato di mio padre. Tuttavia il signor Sanchez, in risposta, rise divertito, come se fosse arrivato al suo scopo: innervosire mio padre.

«Cara, come va con la tua nuova linea di moda?» Chiese Jennifer gentilmente a mia madre, sorridendo cordialmente.

«Molto bene grazie, a te come va?» Chiese mia madre sorridendo, sembrava che mia madre e Jennifer si conoscessero da tempo.

«Non mi dedico più alla moda, ora lavoro insieme mio marito.» Rispose sempre con un dolce sorriso, Jennifer, stringendo la mano del marito. Per un attimo si guardarono negli occhi e mi parve di leggere della dolcezza negli occhi di lui, come se pochi secondi prima non avesse provato a provocare mio padre.

«Anch'io lavoro con mio marito, grazie a lui ho continuato a lavorare in questo campo.» Rispose mia madre, sorridendo.

«Kyla, ma i tuoi genitori non hanno intenzione di venire, per caso?» Chiese bruscamente il padre di Jackson, ponendo fine a quell'atmosfera tranquilla che stava iniziando a crearsi. Kyla sembrò ritornare con i piedi per terra, poiché sussultò sul posto e alzò lo sguardo dal piatto vuoto per guardare il padre del suo ragazzo.

«St-stanno arrivando.» Risponde balbettando, sembrava che tutta la sua sicurezza, la sua sfacciataggine o la sua acidità, che di solito mostrava a noi -il suo gruppo di amici-,  si fosse sgretolata ed era rimasto al suo posto la dolcezza e la paura.

«Non mi stupirei se non riuscissero ad arrivare, magari non avevano abbastanza soldi per la benzina e sono rimasti senza auto, sempre se hanno un'auto.» Sbottò divertito il padre di Jackson, scoppiando a ridere anche non c'era niente da ridere.  I genitori di Kyla, Kimberly e Lucas, lavoravano in un supermarket nel Bronx, però economicamente stavamo bene e trovavo la battuta del signor DiLaurentis  inappropriata e crudele. Anche se, tra me e Kyla, non scorreva buon sangue, infondo ma proprio infondo era una mia amica e non sopportavo questo genere di battute nei suoi confronti. Come diceva mia madre ero un pozzo senza fondo quando mangiavo e lo ero anche con le persone, a galla c'erano quelle a cui tenevo, scendendo quelle che mi stavano sulle ovaie. Il padre di Jackson mi stava simpatico, ma stava scendendo rapidamente verso quel fondo inesistente.

«Papà.» Lo richiamò arrabbiato Jackson, lanciando un'occhiataccia al padre che ancora rideva, strinsi il bordo del tavolo e chiusi un attimo le palpebre. Colton parve accorgersi di questo mio cambiamento di umore, poiché mi mise una mano sopra la mia, aprii le palpebre, guardai prima l'orologio nero con un contorno oro che si intravedeva dalla camicia di Colton, alzai lo sguardo e mi girai incrociando lo sguardo del ragazzo accanto a me, il quale mi rivolse un piccolo sorriso, che non riuscii a ricambiare sentendo la frase seguente del padre di Jackson.

«Scusami figliolo, ma sto semplicemente dicendo la verità, mi chiedo se conoscono questa zona.» Disse divertito e sentii la rabbia bollire dentro di me, girai la testa di scatto e guardai infuriata il padre di Jackson. Kyla era mortificata, bianca come la cera, inoltre aveva gli occhi velati dalle lacrime.

«Conoscono questa zona, ne sono certa, ma lei, molto probabilmente, non sa cosa significhi rispetto.» Dissi, educatamente, cercando di avere un timbro di voce fermo per non permettere alla rabbia di mostrarsi immediatamente.

«Cos'hai detto, cara?» Il suo tono di voce cambiò notevolmente, non era più divertito, non aveva più quella sfumatura di disprezzo, era mortificata, preoccupata.

«Ho detto che, molto probabilmente, non sa cosa significhi rispetto. Sa, rispetto verso una persona.» Dissi, guardandolo negli occhi, senza fargli vedere quanto mi intimoriva quello sguardo. Enfatizzai il tutto inarcando le sopracciglia.

«Josh, permetti a tua figlia di parlarmi in questo?» Chiese, impaziente, il signor DiLaurentis guardando mio padre, il quale mi guardava arrabbiato, uno sguardo della serie: ne parliamo a casa.

«Perché, scusa, come pretendi che ti parli una ragazza di diciassette anni sentendo che disprezzi una sua amica davanti a lei e, per giunta, davanti estranei?» Chiese sarcasticamente mio padre, guardando quella sottospecie di individuo seduto a capotavola.

«Con rispetto.» Rispose, prontamente, il diretto interessato.

«Se vuoi qualcosa in cambio, devi darla per primo.» Si intromise mia madre, guardando la madre di Jackson, la quale era mortificata per il comportamento del marito. Povera donna.
Feci per parlare, ma sentii la mano di Chanel che avvolgeva la mano intimandomi a stare in silenzio con lo sguardo.

«Perché non andiamo fuori?» Propose Chanel, guardando me, che annuii. Pochi secondi dopo, noi ragazzi, eravamo seduti sulle poltrone bianche nel giardino di Jackson.

«Ragazzi, lui è Colton, Colton loro sono dei stupidi mondani e, se non lo sapessi, mondani nel mondo dei nephilim significa mortale. Tu cosa sei? Lupo mannaro? vampiro? angelo? demone? nephilim? mago? Unicorno? Panda? Eretico?  Fai parte di quale tributo? Distretto? Non hai mai partecipato agli Hunger Games, eh?» Chiesi velocemente, presentendo Colton ai ragazzi. Colton scoppiò a ridere.

«Purtroppo sono un inutile babbano e no, mi dispiace, ma non ho mai partecipato agli Hunger Games.» Rispose, divertito.

«Vai a fare shopping con una ragazza e vedi a che bei Hunger Games partecipi, anche se sappiamo benissimo che in qual caso si chiamano Saldo Games.» Disse Chanel, alzandosi dalla poltrona su cui era seduta con Brandon.

«Io sono Chanel, lui è Brandon, il mio meraviglioso quanto stupido ragazzo.» Disse allunando la mano, che prontamente Colton strinse, per qualche strano motivo, quest'ultimo guardò me mentre le strinse la mano, facendomi ricordare l'episodio di quello stesso giorno. Si presentarono tutti, alzandosi e stringendo la mano a Colton, per un attimo mi ricordai il primo giorno di scuola, il giorno più imbarazzante di sempre.

«Char, insomma graz-vabbè hai capito.» Disse Kyla, riassumendo il solito tono da presuntuosa accanto Jack.

«No, non ho capito sinceramente.» Mentii, divertita, non c'era bisogno che mi ringraziasse ma sapevo quanto le veniva difficile ringraziare me, che mi odiava praticamente.

«Non sapevo fossi così stupida.» Disse, inclinando la testa di lato. Ecco che ricominciava. «Ma quello che volevo dirti l'avrai sicuramente capito, tra l'altro, volevo dirti che io non ringrazio mai nessuno, ritieniti fortunata.» disse, indicando con l'indice come se volesse enfatizzare la frase detta.

«Non sei mica Miss Perfezione.» Disse Kendall, incrociando le braccia al petto e stringendosi ancora di più al petto di Aaron, il quale le cingeva le spalle con il braccio e aveva la testa appoggiata su quella di Kendall come se non volesse lasciarla andare.

«Per carità, non sono la perfezione, io sono l'ottava meraviglia del mondo.» Disse, vantandosi e portandosi vanitosamente i capelli che erano davanti il suo viso, dietro le spalle con un gesto veloce e fluido.

«Non pensavo fossi intelligente da conoscere le sette meraviglie del mondo.» Dissi, pensierosa, facendo scoppiare tutti a ridere compreso Colton, che fino a quel momento era rimasto appoggiato alla colonna del gazebo, seguii a ruota i miei amici esclusi Kyla e Jackson che rimasero seri. Kendall si allungò di poco per sbattere il cinque con me, infine ritornò tra le grinfie di Aaron.

«Non sapevo avessi questo gran senso dell'umorismo.» Disse Jackson, forse questo era uno dei motivi per cui lui e Kyla stavano insieme: nessuno dei due sapeva qualcosa.

«Semplicemente perché non sai niente di me.» Dissi, sfidandolo con lo sguardo, ero proprio di fronte a lui, ci divideva solo un tavolino di vetro.

«Parliamo di cose più interessanti.» Disse Aaron, che guardò Brandon il quale sorrise sornione e infine guardò me, capii che stava per tirare in ballo una battuta squallida.

«Hey, io sono interessante.» Dissi, fingendomi offesa, incrociando le braccia al petto. Tuttavia, il mio timbro di voce uscì divertito.

«Si scricciolo, lo sappiamo.» disse Brandon, annuendo e allungandosi di poco per scompigliarmi i capelli, gesto che, in un momento come quello, mi fece sbuffare. I miei capelli erano sensibili, l'avevo ripetuto più volte ma nessuno pareva ascoltarmi, ma soprattutto erano permalosi, ogni volta che passavo la piastra era come se diventassero vampiri, tutto si accentuava, bastava anche solo una goccia d'acqua per farli ritornare allo stato naturale, capelli che, in confronti, quelli della preistorica donna delle caverne erano stupendi. «Comunque: illuminaci, fratello.» Disse Brandon, divertito.

«Sapete cosa fa una foca quando vi fissa?» chiese Aaron con le guance gonfie per le risate che stava trattenendo, Kendall si sbatté una mano sulla fronte, tuttavia  provò a reprimere un sorriso. Chanel scosse la testa sconsolata, Jackson osservava Aaron scioccato, mentre Kyla sorrideva leggermente.

«No, cosa fa?» Chiese Colton, divertito, che ora era dietro di me.

«Vi focalizza.» Esclamammo all'unisono io e miei fratelli, facendo scoppiare a ridere tutti tranne Jackson. Alzai gli occhi al cielo vedendo la sua reazione negativa, Aaron stava cercando di stemperare la situazione, dato che fino a minuto fa sarei stata capace a tirare una bottiglia di Champagne in testa a suo padre.

«Oh ma, Brandon, perché avete litigato tu e Chanel?» Chiese Aaron, curioso, alle volte sembrava quelle ragazze che si occupavano del giornalino scolastico, pettegole, che volevano sapere tutto di tutti e farlo diventare un'opera da prima pagina. 

«Non lo ricordo, sinceramente.» Disse Brandon, alzando le spalle con nonchalance, Chanel aggrottò le sopracciglia nello stesso momento in cui feci spazio a Colton e lo feci sedere accanto a me. Fortuna che le poltrone erano per due persone.

«Aspetta non ti ricordi il motivo per cui abbiamo litigato? Vuol dire che non sono abbastanza importante.» Disse Chanel, incrociando le braccia al petto.

« Sei importantissima, amore, ma il-» Chanel interruppe Brandon, con un gesto della mano.

«Zitto.» Disse arrabbiata Chanel, allontanandosi da Brandon, con il mento alto, lo sguardo altrove e le braccia incrociate al petto. Trovavo esagerata la reazione di Chanel, tuttavia sapevo che era tutto basato su uno scherzo.

«Aaron.» mi lamentai, fulminandolo con lo sguardo lui mimò uno scusa, ma in quel momento non me ne facevo nulla delle sue scuse. La mia spalla si sfiorò con quella di Colton e un brivido percorse la mia schiena, un timido sorriso nacque sulle mie labbra senza un vero e proprio motivo.  Tornai ad osservare Brandon e Chanel e notai che mio fratello non si arrese, si avvicinò e iniziò a farle il solletico, che lei non tollerava, infatti iniziò a dimenarsi e ridere fragorosamente, contagiando tutti. Anche se, io, sorrisi dolcemente osservando la scena. Alla fine, Brandon abbracciò Chanel e la bacio dolcemente, come se fossero solo loro, distolsi lo sguardo: era un momento intimo.

«Colton, ti sei trasferito a New York?» Chiese Kyla, ponendo fine al litigio che stava per iniziare tra Chanel e a Brandon.

«No, inizialmente dovevo semplicemente passare di qui da solo, ma i miei genitori erano stati invitati da questi signori così ora sono con loro, ma per poco, tra due giorni ho intenzione di andare via.» Rispose, appoggiandosi completamente sullo schienale e distendendo il braccio sopra esso, dietro la mia schiena.

«Oh, dove andrai?» Chiese Kendall, curiosa e interessante, enfatizzando ciò mettendosi più avanti e mettendo le braccia sopra le gambe.

«Miami.»Rispose Colton, per un attimo parve rabbuiarsi ma subito dopo sorrise, un sorriso smagliante. Osservai i suoi lineamenti duri, i suoi denti perfetti, mi chiesi se per avere dei denti così avesse portato l'apparecchio. Subito dopo mi chiedi cosa andasse a fare a Miami.

«Da solo?» Chiesi, girandomi verso di lui, accavallando le gambe, Colton annuì e quando mi guardò negli occhi sentii che il resto delle parole mi morirono in gola, tra l'altro, sentii le mie labbra incresparsi in un dolce sorriso.

«Perché andrai a Miami?» Chiese Aaron, sospettoso, lanciando un'occhiataccia a Colton, forse, per essere accanto a me. « Sei per caso uno spacciatore internazionale che-» non poté finire la frase, poiché Kendall gli rinfilò un gomitata all'altezza dello stomaco, scocciata del suo comportamento, la ringraziai mentalmente e vidi Colton ridere sotto i baffi.  Aaron scroccò un'occhiataccia a Kendall, la quale subito gli diede un bacio.

«Andrò a Miami perché mi è sempre piaciuto andarci.» rispose Colton, sorridendo, mi chiedevo come riuscisse a non rispondere male ad Aaron.

« I tuoi genitori ti lasciano andare lì?» Chiese Jackson, scioccato, Colton parve imbarazzato, mi sentii in dovere di porre fine all'interrogatorio, anche se ero davvero curiosa di sapere la risposta di Colton.

«Ma basta.» Dissi, divertita, ma nello stesso tempo autoritaria. «State torturando questo povero ragazzo, solo perché siete invidiosi che lui può viaggiare e voi no.» Spiegai la mia teoria, divertita ovviamente.

« Oppure perché quello che vi rende felici si trova già in un luogo, che avete già trovato.»
disse Colton, alzandosi dalla poltrona, facendomi rabbrividire.

«Colton, anche se i nostri genitori si odiano, noi non abbiamo niente contro di te, quindi può sentirti a tuo agio.» Disse Brandon, Aaron inarcò le sopracciglia. Come se fossero loro a decidere lo status di una persona.

«Be' io non ho niente contro di te, però se metti le mani su mia sorella, poi avrò tanto contro di te, ad esempio... pugni.» Disse Aaron, la sua affermazione mi spaventò, anche se fu seguita da una risata.

«Vi ringrazio. Ci vediamo dentro.» Disse, iniziando a camminare verso l'entrata. Mi alzai anch'io e feci cenno a Kendall di tenere Aaron fermo, che in quel momento aveva gli occhi chiusi poiché stava dando un bacio sulla testa di Kendall. Colton aprì la porta a vetri ed entrò, seguito da me, la tenne aperta finché non entrai da vero gentiluomo.

«Posso chiederti il motivo di quella frase?» Bisbigliai, curiosa nell'orecchio di Colton che mi rivolse un sorriso malinconico, notai che al tavolo non c'era seduto più nessuno, la stanza era illuminata dal camino in ceramica incassato tra due colonne, accanto al quale c'era un albero verde addobbato in maniera molto spoglia, facendomi ripensare all'albero di Natale che non avevamo più addobbato a casa mia, c'era anche una leggera musica classica, una di quelle che ci faceva venire voglia di ballare un lento. Colton scrollò le spalle, guardando  il camino e lo spazio davanti a se. Si girò verso di me, inchinandosi cordialmente.

«Mrs Hernandez, le andrebbe di ballare con me?» Chiese, cordialmente, porgendomi la mano che, divertita, strinsi con la mia, sentendo nuovamente quella scocca elettrica di quella mattina, tuttavia non mi ritrassi, anzi strinsi saldamente la mano.

«Certamente, Mr Sanchez.» Dissi, felice ma divertita, mi trascinò dolcemente al centro della stanza, il ticchettio dei miei tacchi, che si ridusse notevolmente quando camminammo sul tappeto persiano, fece eco nella stanza insieme lo scoppiettio della legna, rendendo quel momento bello. Sorrisi debolmente quando misi una mano sulla spalla di Colton, l'altra nella sua mano, lui mise una mano sul mio fianco, i nostri occhi si incrociarono, i nostri nasi si sfiorarono e accompagnati dalla musica, iniziammo a muoverci lentamente. Non mi sentivo a disagio, anzi, mi sentivo come se fossi al sicuro. Mentre ballavamo i nostri visi erano illuminati, alternamente e lievemente, dal fuoco. Mi aspettavo che mi pestasse i piedi o che io li pestassi a lui, dato il buio, ma mi stupii vedendo che mentre ballavamo, anche se non staccavamo i nostri occhi neanche per un secondo, sembrava quasi di volare, mi sentivo leggera, mi sentivo bene. Stavo bene tra le sue braccia. Ad interrompere quel momento unico, fu il ticchettio di tacchi  provenienti dal corridoio, seguite da risate. Ci staccammo bruscamente come se quel contatto fosse sbagliato, un crimine che non si doveva commettere. Entrarono solamente le donne, che accesero la luce, o meglio, una di loro, mi passai una mano sul mio vestito come se volessi rimuovere il ricordo di quel momento anche da esso, il suo profumo elettrizzante  e fresco lo sentivo ancora nelle mie narici. Colton si grattò la nuca, imbarazzato.

«State bene?» Chiese mia madre, aggrottando le sopracciglia, annuii e notai l'assenza degli uomini.

«Gli altri?» Chiesi, nervosa, avvicinandomi al tavolo in cui già le donne si erano accomodate. Nello stesso momento, suonò il campanello, facendo sussultare tutti.

«Saranno i genitori di Kyla, Charlotte potresti andare a chiamare gli altri sono nell'ufficio di mio marito? almeno accoglieremo gli ospiti come si deve.» Mi chiese la madre di Jackson, annuii e, sapendo già dove si trovava, uscii dal soggiorno sentendo lo sguardo di Colton addosso, nello stesso momento che camminai lungo il corridoio che portava all'ufficio sentii il brutto presentimento farsi vivo, facendomi stringere lo stomaco in una morsa e qualcosa mi spinse a camminare lentamente e silenziosamente, forse era la soggezione di trovarsi in un lungo corridoio buio in una casa grande e sconosciuta. Vidi alla fine del corridoio uno spiraglio di luce, ma quando mi avvicinai sentii delle urla, così mi appoggiai al muro senza superare lo spiraglio aperto.

«Sono venuto qui per mia figlia, tu ora mi dirai dove l'hai nascosta!» Sbraitò il padre di Colton, il signor Sanchez, non sapevo con chi parlava, ma soprattutto di chi parlava.

«Tua figlia è scappata dopo la morte del mio, Christian, Chloe è scomparsa.» Urlò mio padre, facendomi scivolare lentamente sul muro.

«Ma voi l'avete rapita, avete rapito mia figlia Chloe, era ingenua e voi l'avete trasportata nella vostra squallida vita, rovinandola.» sbraitò Christian e sentii il rumore di qualcosa che sbatteva, vetro che si infrangeva.

«Indovina di chi è colpa? Di quell'ingrata di tua figlia, Charlotte, ancora una volta la colpa di tutto ciò è vostra, di voi Hernandez. Ma soprattutto quella ragazza è piena di colpe, è responsabile della morte del fratello, ah quel povero ragazzo, è responsabile della scomparsa di Chloe, è responsabile anche della sofferenza di tutti noi e del litigio che ora sta avvenendo.» Sbottò il padre di Jackson, non riuscii a sentire nemmeno le risposta di mio padre che prendeva le mie difese, poiché la mia vista si appannò. Una cosa era incolparsi da sola, ma un'altra era sentirselo dire, indirettamente, da persone che non conoscevano nulla di te. Riuscii solamente ad alzarmi e correre via, gli ospiti si erano già accomodati nel soggiorno, incrociai solo per un momento lo sguardo di Colton ma capì subito che ero sconvolta.  Andai verso l'ingresso e presi il mio cappotto nero, aprii la porta ed uscii di casa, volevo andarmene, volevo sfogarmi, volevo...

«Charlotte, hey, Char.» Ma Colton mi fu dietro in un attimo, non riuscii neanche ad alzare la testa, arrabbiata con me stessa per le lacrime che volevano iniziare a solcare le mie guance. Dopotutto, ero debole.

«Char, che è successo?» Chiese dolcemente, mettendo una mano sotto il mio mento provando ad alzarmi la testa, ma opposi resistenza.

«Voglio andarmene.» Dissi, provai ad allontanarmi da lui, ma mi prese il polso e mi trascinò con se verso il viale lungo il quale c'erano parcheggiata una serie di auto.

«Andiamo, neanch'io voglio restare qui.» Disse, dolcemente, avanzando. Mi portò davanti un'audi nera, la sua. «Dato che neanch'io sopporto mio padre sono venuto con la mia auto e direi che è stata un'ottima idea.» Ebbi il coraggio di alzare la testa, in fin dei conti era uno sconosciuto, non potevo andarmene con lui così a caso solo perché avevo un disperato bisogno di annegare nei sensi di colpa. Tuttavia quando incrociai il suo sguardo, mi sorrise e, lasciandomi la mano, fece il giro della sua auto e aprì le portiere, decisi di fidarmi del mio istinto che mi urlava di seguirlo. Così salimmo in auto,  ci allacciamo le cinture e in attimo partì, lasciando il viale, la casa su cui avevo passato la serata e, quando guardai sullo specchietto retrovisore, vidi con orrore che sulla soglia della porta c'era il padre di Jackson che seguiva l'auto con lo sguardo. Non ci aveva fermati, non ci aveva minimante provato, sapevo che quello che stavo facendo era terribilmente sbagliato, ma sentii nel profondo del mio cuore che di Colton mi potevo fidare. Come se mi avesse letto nel pensiero, mi guardò, mi rivolse un sorriso rassicurante ma tornò immediatamente a guardare la strada, il suo sorriso era stato come una sorta di calore che aveva prosciugato le mie lacrime, lacrime che erano pronte a solcare le mie guance, lacrime che avrei preferito trattenere, guardando il suo profilo, gli sorrisi grata, perché l'effetto che aveva su di me, oltre ad essere qualcosa di nuovo, era qualcosa che mi faceva stare bene e in quel momento ne avevo  bisogno.

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