PROLOGO: LIBERTY; PARTE TRE (THEODORE)


Lancio un'occhiata in direzione del salotto, concentrandomi sulla esile figura di Ben: è seduto sulla morbida moquette, con la schiena appoggiata al divano, e ha una tazza colma di latte e cereali appoggiata in grembo; di tanto in tanto ne mangia una cucchiaiata senza mai staccare gli occhi dalla televisione, perché stanno trasmettendo il suo cartone animato preferito.

"È un ragazzino molto intelligente".

Le parole di Karla pongono fine al lungo silenzio che è sceso tra noi due e mi riportano finalmente alla realtà, facendomi capire che tutto questo non fa parte di un bizzarro sogno; mando giù un sorso di birra per prendere tempo e per pensare a cosa rispondere.

"Non lo metto in dubbio, ma il problema è un altro: Ben non può essere mio figlio"

"È normale che tu sia confuso, chiunque lo sarebbe al tuo posto se scoprisse improvvisamente di essere padre"

"No, non si tratta di questo. Ben non può essere mio figlio perché io non posso averne: sono sterile"

"Allora ci troviamo di fronte ad un miracolo della natura" commenta la rossa, con un sorriso tirato "hai fatto qualche esame?"

"No, non mi servono esami per esserne sicuro" esito prima di dare delle spiegazioni più approfondite perché, ancora una volta, sono costretto a frugare all'interno dello scomodo ed ingombrante bagaglio che costituisce il mio passato "io sono frutto di un incesto. L'uomo... L'uomo che ha contribuito alla mia nascita e mia madre erano fratelli. E i figli nati da una relazione incestuosa non posso procreare a loro volta, l'ho letto in un libro quando ero un ragazzo"

"Evidentemente non hai letto con attenzione quel libro, Theodore: i figli nati da una relazione incestuosa possono procreare a loro volta. Ovviamente c'è il rischio di trasmettere malattie genetiche, o che i bambini possano avere delle complicazioni fisiche fin dalla nascita, ma il vero problema si presenta solo nell'eventualità in cui l'incesto si protrae nel tempo... Puoi trovare tutte queste informazioni su internet o su qualunque libro che tratta di questo argomento, e dal momento che non hai in mano i risultati di un esame che confermano la tua presunta sterilità, stiamo affrontando un discorso privo di senso" ribatte subito Karla; si ferma per bere un sorso della sua tisana ed io ne approfitto per fare lo stesso con la mia birra, e sento già il bisogno di iniziarne una seconda o di sostituirla con qualcosa di molto più forte "e ti posso assicurare che non c'è neppure bisogno del test di paternità. Ti assomiglia molto in alcune espressioni, anche se fisicamente è identico a Nicole".

Nicole.

Sono sette anni che non sento pronunciare il suo nome, ed ancora una volta sono costretto a lottare contro i ricordi.

"Io non sapevo..."

"Che fosse incinta? Era molto combattuta se dirtelo o se tenerti all'oscuro di tutto. Quando sei stato rinchiuso nuovamente a Fox River mi ha confidato che non sapeva se chiedere una visita coniugale, dato che all'epoca eravate ancora sposati. Temeva la tua reazione, Theodore, per diversi motivi: sia per come era finita la vostra storia e sia perché tu una volta le hai detto che non volevi diventare padre perché..."

"Sì, ricordo molto bene quella conversazione" dico, interrompendola all'improvviso: la cucina ed il salotto sono divisi da un semplice arco in legno, ed anche se stiamo parlando con un tono di voce molto basso non voglio rischiare che qualche parola fraintendibile giunga alle orecchie di Ben "dov'è Nicole? Perché non è qui con nostro figlio?"

"Non lo sai?" mi domanda Karla, piegando le labbra in un sorriso amaro "Nicole non c'è"

"Si è trasferita?"

"No, Theodore, non c'è più".

Il mio cervello impiega diversi minuti per elaborare e comprendere il significato delle parole 'non c'è più', e quando finalmente ci riesce vengo colpito dalla loro durezza con la stessa intensità di un pugno allo stomaco.

Sono costretto a chiudere gli occhi ed a prendere un paio di profondi respiri per ritrovare il controllo del mio corpo e per riuscire a formulare una frase di senso compiuto.

"Come... Come è successo?"

"Complicazioni durante il parto. Nell'ultimo periodo era molto provata e stressata"

"Ha sofferto?"

"Ti risparmio i particolari"

"D'accordo... D'accordo... Quindi... Tu hai adottato Ben?"

"No, non l'ho adottato, ma mi sono occupata di lui durante questi sette anni... O forse sarebbe più giusto dire che qualcuno voleva che mi occupassi di lui durante questi sette anni"

"Che cosa significa?"

"Poco dopo la nascita di Ben mi è stata recapitata una busta gialla. Dentro c'erano una lettera ed un assegno molto consistente. Nella lettera c'era scritto che se mi fossi assunta la responsabilità di occuparmi di Ben avrei ricevuto assegni simili ogni mese, con regolarità, ma in cambio avrei dovuto farmi da parte il giorno in cui suo padre sarebbe tornato ad essere un uomo libero... Ed a quanto pare, contro ogni mia previsione, quel giorno è arrivato".

Il racconto della giovane donna non fa altro che aggiungere dubbi e domande a quelli che già occupano la mia mente dal giorno del mio rilascio; contemporaneamente, però, riesco a trovare un piccolo punto debole che potrebbe trasformarsi in un punto a mio vantaggio, in uno spiraglio di luce.

"Gli assegni" dico, infatti, sporgendomi in avanti sul tavolo "a chi erano intestati?".

Karla si alza dalla sedia e si sposta in un'altra stanza per recuperare una serie di foglietti rettangolari a cui dà una rapida occhiata.

"Kaniel Outis".

Lo spiraglio di luce scompare con la stessa rapidità con cui è apparso.

Kaniel Outis.

Outis.

Nessuno.

" 'Outis' è una parola greca. Significa 'nessuno'. Quegli assegni sono intestati a nessuno" mormoro, utilizzando parole simili a quelle del dottor Whitcombe, ma la rossa non sembra essere particolarmente impressionata.

"Mi sembra piuttosto reale questo 'signor nessuno' visto che ogni mese, per sette anni, mi ha mandato un assegno da quattromila dollari. E mi sembra piuttosto reale anche questa firma. Magari si tratta di uno pseudonimo. Forse la persona che c'è dietro a tutto questo non vuole che si sappia la sua vera identità".

Annuisco lentamente con la testa e poi rivolgo una seconda occhiata in direzione del salotto: la tazza, ormai vuota, è abbandonata sul pavimento ma lo sguardo di Ben è ancora concentrato sulle immagini colorate che scorrono rapidamente sullo schermo della TV; di tanto in tanto sulle sue labbra compare un sorriso divertito causato da una scena comica del cartone animato, o da qualche battuta di un personaggio.

Mi schiarisco la gola e poi decido di porre a Karla una domanda che ho accuratamente evitato fino a questo momento.

"Ben è a conoscenza del mio... Passato burrascoso?"

"Mi stai chiedendo se tuo figlio sa qualcosa del 'Mostro dell'Alabama'? Se sa che sei uno psicopatico e pedofilo che è stato condannato a due ergastoli? No, ovviamente non gli ho raccontato questa parte della tua vita, ma sa che ti trovavi in prigione"

"Ohh, gentile da parte tua"

"Dovresti ringraziarmi, invece, Bagwell. Che cosa avrei dovuto dire? Che eri a spassartela da qualche parte del mondo anziché essere affianco al tuo unico figlio? In questo modo Ben ha avuto una spiegazione comprensibile riguardo all'assenza di suo padre, non credi?".

Non rispondo e mando giù, in un unico sorso, quello che resta della mia birra.

"Quindi... Adesso mi lascerai andare via con lui senza opporti?"

"Aspetta, prima c'è una cosa che devi sapere... Ben deve sempre prendere queste. Una pastiglia tre volte al giorno: una dopo colazione, una dopo pranzo e una dopo cena. È importante che le prenda con regolarità" la giovane padrona di casa allunga la mano destra e prende due flaconi di plastica arancione, posizionandoli davanti a me; ne prendo in mano uno e leggo l'etichetta, su cui è scritto anche il nome completo di mio figlio.

Benjamin James Bagwell.

Non riesco a non sorridere tra me e me.

"James era mio cugino. Io e lui siamo cresciuti insieme, come due fratelli. Nicole sapeva che ero molto legato a lui... Perché deve prendere queste medicine?"

"Asma. Una forma piuttosto aggressiva. Fortunatamente non ha più crisi da molto tempo grazie a questi farmaci, ecco perché è molto importante, per lui, prenderli con costanza e regolarità. I momenti più critici sono la notte e la mattina ma, come ti ho già spiegato, se prende questi non c'è alcun pericolo" Karla esita nel proseguire, poi scuote la testa e torna a fissarmi negli occhi "sai che cosa hanno detto i medici quando hanno scoperto il problema di Ben? Hanno detto che si tratta di una forma genetica... A quanto pare, ti sei preoccupato a lasciare un'eredità piuttosto consistente a tuo figlio".

Adesso è il mio turno di scuotere la testa prima di piegare le labbra in un sorriso, ma quando parlo la mia voce è poco più forte di un sussurro minaccioso.

"Sei fortunata ad avere un uomo diverso davanti ai tuoi occhi, tesoro, perché il vecchio T-Bag avrebbe già preso quel coltello da cucina" dico, indicando l' oggetto che si trova a poca distanza dal lavandino "e lo avrebbe usato per aprirti a metà come uno scoiattolo... Sì, il vecchio T-Bag avrebbe fatto esattamente questo... Ma quell'uomo non c'è più, è rimasto relegato a Fox River, adesso esiste solo Theodore Bagwell... Ma non approfittarne, d'accordo?"

"Perché sto giocando con il fuoco e rischierei di bruciarmi, vero? Non cambierai mai, Bagwell, puoi ingannare te stesso e gli altri ma la verità è questa: non potrai mai diventare un uomo diverso da quello che sei stato finora perché non è possibile. Una volta che hai imboccato una strada senza ritorno non puoi pretendere di tornare sui tuoi passi".

Dopo aver pronunciato queste parole con freddezza, e con uno sguardo altrettanto glaciale, Karla si alza dalla sedia e raggiunge Ben; io mi alzo a mia volta e mi appoggio all'arco di legno che separa la cucina dal salotto, perché non voglio intromettermi tra loro due, limitandomi ad osservare la scena in silenzio, in modo passivo: lei si inginocchia sulla moquette e, utilizzando tatto e le giuste parole, spiega a mio figlio che deve venire via con me.

Lui gira il viso nella mia direzione, mi guarda e poi fissa nuovamente sua 'zia'.

"Questo significa che non potrò mai più vederti, zia Karla?"

"Mi dispiace, tesoro, ma non è una scelta che dipende da me" risponde lei, prima di abbracciarlo per l'ultima volta, facendomi apparire per l'ennesima volta come il 'cattivo della situazione'; e dal momento che non voglio apparire in questo modo agli occhi del mio unico figlio, non appena ci lasciamo la candida villetta alle spalle decido di parlargliene, utilizzando la stessa tecnica della rossa: m'inginocchio sul marciapiede, senza preoccuparmi dei pantaloni che potrebbero sporcarsi o strapparsi, e cerco le parole migliori per iniziare un discorso.

"Se desideri continuare a vedere Karla puoi farlo, io non voglio impedirtelo"

"Non ha importanza" si limita a rispondere lui, scrollando le spalle, sorprendendomi.

"Ohh, credevo... Credevo fossi affezionato a lei" tento una seconda volta, ma la sua risposta non cambia e scrolla di nuovo le spalle; decido di non insistere ulteriormente riguardo a questa faccenda e mi alzo, concentrandomi sulla busta gialla, l'ennesima e maledetta busta gialla, che ho ricevuto proprio dalla rossa prima di essere congedato: non resto affatto sorpreso di trovare un foglio con un indirizzo al suo interno, ma la mia espressione cambia nello stesso momento in cui una piccola chiave scivola sul palmo della mia mano destra.

Anche Benjamin la nota, e nei suoi occhi azzurri compare uno sguardo incuriosito.

"Che cos'è?"

"Una chiave, ma per scoprire che cosa apre dobbiamo cercare questo indirizzo. Probabilmente apparterrà ad una cassetta di sicurezza" mormoro, con un sorriso, per non trasmettergli l'inquietudine ed il disagio che ogni nuova busta mi provoca.



Contro ogni mia previsione, la chiave non appartiene alla cassetta di sicurezza di una banca o di una stazione ferroviaria, ma bensì ad una villetta a due piani, simile a quella di Karla.

"È la nostra nuova casa?"

"A quanto pare sì" commento, osservando per qualche istante le due targhette posizionate affianco al campanello, che confermano la teoria di Ben: nella prima c'è scritto 'Bagwell, Theodore', mentre nella seconda c'è il nome completo di mio figlio "resta qui, Ben, entro io per primo. D'accordo?"

"D'accordo".

Infilo la chiave nella serratura, la giro verso destra e poi muovo qualche passo nell'ingresso, guardandomi attorno con circospezione, per timore di essere aggredito all'improvviso: l'abitazione, però, sembra essere completamente vuota.

Completamente vuota ma completamente arredata allo stesso tempo, perché al suo interno non manca nulla e lo verifico con i miei stessi occhi: nel salotto ci sono una TV ed un telefono cordless perfettamente funzionanti, il frigo e la dispensa sono colmi di provviste, e nelle due camere da letto gli armadi sono pieni di vestiti nuovi e piegati con cura su diverse mensole.

Nel salotto, poi, c'è una porta che conduce ad una scala a chiocciola.

Quando arrivo all'ultimo scalino mi rendo conto di trovarmi in un garage, occupato da una splendida e nuovissima Mustang; mi lascio scappare un lungo fischio ammirato prima di avvicinarmi alla vettura per studiarla con maggior attenzione, e solo allora mi accorgo del foglietto di carta che è bloccato da un tergicristalli.

Lo prendo subito in mano, rischiando quasi di strapparlo, e scorro velocemente le poche righe, leggendole mentalmente.


'Goditi tutto questo, Teddy.

Capirai da solo quando arriverà il momento di ricambiare il favore.'

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