Chapter XV - Who Am I?

[Finn]

«Sicuro che non stiamo solamente girando a vuoto?» mi urlò Marill da dietro, come se non riuscissi a sentirla, non ero mica dall'altra parte della foresta. 

La ignorai nuovamente, alzando gli occhi verso il cielo e portandomi l'indice alla bocca. Marill dietro di me sbuffò nuovamente, dandomi uno schiaffetto sulla spalla «stai facendo così da tutto il giorno, non sarà il tuo indice fatto di saliva ad indicarci la giusta via!» sospirai deluso, essendo un Finigus avrei dovuto avere delle ottime capacità di controllare la terra e tutto ciò che appartiene al mondo, invece sono sempre stato una frana.

Ho imparato più tardi a saper usare l'incantesimo più semplice per poter sdradicare le piante o per invocare le radici dal terreno; in realtà non mi sono mai sentito bene con la terra,  non l'ho mai sentita il mio elemento.

Certe volte ne parlavo a malincuore con Damon,  il quale mi rassicurava sempre dicendo che fosse solamente una mia impressione e moltissimi miei coetanei hanno riscontrato certi problemi. Ma non era affatto vero, gli sorridevo sinceramente, ripetendomi mentalmente che Damon avesse ragione. Ma più il tempo passava, più mi rendevo conto di come tutti avessero fatto passi incredibilmente enormi,  mentre io restavo sempre indietro.

Ripetevo le mie ipotesi a Damon e lui mi ripeteva sempre la stessa e identica cantilena, eppure non ero mica un Huntress o un Gelida, loro potevano riscontrare molta difficoltà non sentendo l'elemento vicino loro.

Ma io, che difficoltà potevo mai riscontrare? Assolutamente nessuna.

Marill mi toccò la spalla,  nel punto in cui mi aveva colpito «Marill, sono passati quattro giorni, il tempo sta scadendo e ancora non ho convinto Damon» Marill mi guardò rassicurante, come se volesse rincuorarmi di qualcosa.

In realtà non c'era nulla che potessi fare, sarei morto presto e lo sapeva bene anche lei. E, nonostante avessimo iniziato male, sentivo Marill molto più vicina rispetto a prima e questo non poteva che rendermi più che felice.

Fin da piccolo avevo sempre dato per scontato che l'amore non esistesse, che se davvero mia madre e mio padre mi avessero amato non mi avrebbero abbandonato; l'amore restava solamente una debolezza, un sentimento che ti rodeva l'anima e che ti uccideva lentamente.

Quando Olivia era arrivata al campo, aveva il cuore spezzato, un amore non corrisposto diceva, ed io mi affezzionai a lei e alla sua storia.

Pian piano mi innamorai di Olivia,  ma come un fratello, sentivo per lei un amore fraterno mai provato prima. James pensava che ad Olivia io piacessi, ma non era mai stato così. Lei non riusciva a dimenticare il suo cuore spezzato ed io non credevo a qualcosa del genere, vedendola solo come una sorellina minore.

Non so per certo cosa sia l'amore, ma quando vidi Marill per la prima volta, mi arrivò l'amore come un secchio d'acqua ghiacciata.

Vederla ridere mi portava allegria, mi stringeva il petto e mi si propagava un calore per tutto il busto mentre il cuore mi batteva all'impazzata. La guardavo spesso da lontano, persa nei suoi pensieri, ferita nello sguardo e quando la sentivo lontana, mi sentivo chissa dove con lei.

Quando era arrabiata, non potevo far a meno di arrabiarmi anch'io o non potevo far a meno di prenderla in giro.

Se questi erano i fatidici colpi di fulmini di cui mi parlava sempre Jacques, allora ne avevo ricevuto uno bello forte.

Ma per quanto Marill si fosse avvicinata a me,  non sentiva quello che sentivo io e non l'avrebbe mai fatto.

Appoggiai la mia mano sopra la sua, era così piccola e indifesa, che mi si strinse il cuore.

Ma la ritrassi subito.

Marill non disse nulla, si limitò a fissarmi mentre mi allontanavo da lei.

A volte mi chiedevo davvero chi fossi.

Non parlammo per un bel pò e, solo quando sentì dei rumori sospetti,  mi girai a fissarla.

Gli occhi azzurri spenti, i capelli arruffati, l'espressione stanca e ferita, i vestiti sgualciti.

Mi si strinse il cuore «che c'è?» mi domandò acida. Non le risposi e andai a passo svelto verso di lei mentre la mia altezza la sorvastò «stai ferma qui e non muoverti» un capello ribelle mi finì in faccia ma ero troppo concentrato a guardarmi intorno per notarlo.

Attorno a me era tutto troppo tranquillo, fin troppo, potevo sentire benissimo il vento e gli alberi muoversi,  niente rumori dalla foresta.

Mi sentì sfiorare una tempia e, abbassando lo sguardo, notai la ragazza di fronte a me spostarmi la ciocca di capelli all'indietro.

Non respirai più «scusa, era parecchio oscena e puzzi anche» aggrottai un sopracciglio, al diavolo il momento romantico, ed io che ci avevo sperato.

«Io non puzzo» commentai, nonostante l'odore di terreno bagnato e sudore si sentisse ad un bel pezzo di strada; Marill alzò gli occhi al cielo «ah non credo proprio» volevo dirle di sentirsi un pò lei, ma non volevo complicare questa battaglia senza riscontro, quindi decisi di starmene zitto.

Marill abbassò la mano e arrossì violentemente, probabilmente si era accorta solo adesso di aver sfiorato un ragazzo.

Che grande voto di castità.

Scoppiai a ridere da com'era buffa e bellissima, mise il broncio e si portò le braccia al petto «non c'è niente da ridere» io le diedi un colpetto nella guancia, morbida, paffuta e delicata «oh si invece, piccolo gnomo» lei assunse un espressione corrucciata e stava per rispondermi, quando la presi per le spalle e la scansai di lato insieme a me.

«Ma che cazz.. » urlai mentre l'ascia si andava a conficcare nell'albero dietro di noi, mi girai nuovamente verso Marill che aveva gli occhi spalancati.

Imprecai mentalmente e mi sporsi lentamente per vedere due gnomi litigare tra loro con degli strani cappelli in testa, ah, ottimo momento per aver fatto quel paragone. «Ma sei impazzito? La regina lo vuole vivo, testa di rapa!» urlò quello con il cappello verde.

Aveva una lunga barba bianca e il viso paffutello, fu davvero un colpo, non avevo mai visto uno gnomo da vicino. L'altro teneva un cappello rosso e la barba molto più corta, aveva un espressione imbronciata, aveva delle guance rossissime e la fronte corrucciata «non mi interessa, brutto momento per aver fatto quel paragone,  moccioso. In ogni caso, sarebbe morta la ragazza, pezzo irrilevante oggi» buttò scontroso.

Marill corruggò la fronte e mi guardò rossa dalla rabbia in viso, mimai no con la testa ma lei si girò prontamente, abbassando lo sguardo «brutto essere sotto sviluppato, certo che servo viva!» il nano rosso la ignorò, alzando un braccio in aria e oltrepassandola con la sua camminata storta.

Sentivo davanti a me il nervosismo di Marill ma stetti comunque zitto, oggi non era proprio la mia giornata «Will pensa alla ragazzina e scortala immediatamente, io ho qualcosa da discutere con il ragazzo» il nano verde, credo si chiamasse Will, non se lo fece ripetere due volte e, dopo essersi scusato con Marill per il comportamento di quello rosso, le disse qualcosa all'orecchio.

Marill impallidì di colpo, lo sguardo più spento di prima e seguì il nano senza fiatare. Partì a ruota verso di lei «Marill,  Marill,  dove cazzo ti stanno portando» urlai senza avere risposta.

Li vidi scomparire tra la foresta e la rabbia mi ribbollì nelle vene, il nano rimasto con me riprese la sua ascia e mi raggiunse lentamente «tranquillo ragazzo, intanto moderiamo i termini. Inoltre, non sembra, ma siamo molto amichevoli, la vedrai tra poco. Ora seguiamoli» ma io non lo ascoltai «dove la state portando?» Lui sbuffò e mi superò, camminando in modo tozzo e buffo.

Lo seguii a ruota, dovevo essere razionale per una volta, maledizione «nello stesso posto in cui stiamo portando te, Stephan Steel, a Barlume» mi girai confuso «Stephen che? Barlume?» abbassai lo sguardo, ricordandomi di quanto fosse basso.

Forse dovevo smetterla di insultare Marill per la sua altezza, esisteva qualcuno più basso di lei, e non di poco.

«Ci dev'essere un errore, sono sicuro che stiate sbagliando persona» lo gnomo sbuffò e non mi ascoltò minimamente.

Avrei tanto voluto prenderlo e lanciarlo da qualche parte, non sarebbe stato difficile, onestamente m'irritava parecchio «sono Lucas, sottotenente al servizio del regno di Barlume, discendente della nobile casa dei Lee, e tu sei Stephen Steel, casata della nobile regina Cleo, i Polemistés e dovresti andarne molto fiero. Da una tra le lingue più antiche, significa guerriero, ed è questo che le nostre amabili casate dovrebbero fare, voi siete un guerriero e dovete combattere» tutto quello che compresi fu bla, bla e bla.

Scoppiai a ridere e lo gnomo mi rivolse un'occhiataccia. Smisi immediatamenre «ah, sei serio?»

Lucas mi pizzicò la caviglia e saltai in aria, maledette mani tozze «ragazzini..» sbuffò.

Mentre mi chiesi cosa si fosse fumato, iniziai a non capirci più niente, la mia mente era così confusa, che per lui, dovevo risultare uno stupido.

Lucas continuò a parlare a raffica, ma non lo stavo ascoltando già da un pezzo «.....infine, Lady Cleo e il Lord Draco, vi spiegheranno tutto, sono così felici di avervi trovato dopo tredici anni» una fitta mi colpì al cuore.

Pensai di essere sbiancato immediatamente, mi veniva da vomitare «fammi capire» iniziai, come se ci stessi credendo realmente «in realtà, io non mi chiamo Finn ma mi chiamo Stephan, discendo da una casata di guerrieri e sono il figlio dei sovrani di Barlume? E, questi presunti miei genitori, sarebbero quelli che mi hanno abbandonato tredici anni fa?» lo gnomo annuì «abbandonato è una parola grossa, è solo successo qualcosa che non doveva accadere.» Avevo così tante cose da chiedere ma Lucas aveva deciso di troncare il discorso.

«Ti avverto ragazzo, Barlume è protetto da un incantesimo, è facile entrarne ma è difficile uscirne.» Mi disse infine, facendomi zittire immediatamente.

Quando arrivai a Barlume la prima cosa che cercai fu una testa bionda e, quando intravidi Marill, le corsi incontro, con il disappunto di Lucas.

Lei non ebbe nemmeno il tempo di girarsi che si ritrovò me addosso, l'abbracciai forte e le baciai la testa «oddio Marill, pensavo ti stessero portando al patibolo» sotto di me sentì dei lamenti «ragazzino, ma per chi ci hai presi?» si lamentò Will.

Giuro che li avrei ammazzati.

Marill scoppiò a ridere contro la mia spalla e in quel momento dimenticai cosa mi avesse detto Lucas, dimenticai la preouccupazione e tutto.

Ma durò veramente poco, Marill si staccò da me e mi guardò in faccia, mi sorrise raggiante e questo bastò a farmi calmare. Sorrisi a mia volta «Will mi ha detto tutto» mi sussurrò e questo bastò a far spegnere la mia allegria. Presi la mano di Marill e alzai un angolo della bocca «stammi vicino, ti prego» lei non disse nulla e mi strinse più forte la mano.

E quel giorno capì una cosa, capì che non volevo morire senza prima aver fatto Marill mia, vaffanculo Damon e Barlume. Avrebbe dovuto trovare un altro modo per sacrificare Katy, Marill aveva bisogno di me ed io di lei.

«Bene quando avete finito queste smancerie, potremmo andare» borbottò Lucas, che iniziò a camminare, seguito da Will. Non lasciai la mano di Marill nemmeno per grattarmi il naso e lei fece altrettanto.

Mi guardai intorno, gente che andava e veniva, mercatini da qualsiasi parte, bambini spensierati che giocavano.

Persone normali.

In quel momento una punta d'invidia mi balenò nel cuore, avrei pagato oro per poter essere normale.

L'abitazione dei miei genitori, a detta dei due gnomi, si trovava esiliata dal popolo, motivi assolutamente privati.

Le gambe chiedevano pietà, avevo una fame tremenda e puzzavo, come diceva Marill.

Cercai di non sudare nelle mani, per evitare di fare una figuraccia di fronte a lei, ma il mio stomaco brontolò «porca vacca!» sospirai mentre Will si fermò, era molto più gentile del suo collega «da quanto tempo non mangiate?» io guardai Marill, lei me «non ne ho idea, tanto tempo, suppongo.»

Continuammo a camminare ed io cercai di non guardare Marill, ma mi risultò al quanto difficile. E lei se ne accorse, ridendo sotto i baffi. Quando arrivammo di fronte la sudetta fortezza, io non vidi nulla e nemmeno la mia compagna.

Lucas sussurrò qualcosa a me incomprensibile ma sentii Marill irriggidirsi. Quando spostai lo sguardo su di lei, sudava freddo. Le toccai una guancia con l'indice «oi, tutto bene?» lei non si girò a guardarmi «si» disse solo.

La sua freddezza mi lasciò così di sasso che fui tentato a prenderla di peso e scappare da lì, ma restai fermo e buono.

Quando rigirai lo sguardo, la fortezza era lì, il castello enorme sembrava avere tantissime casette da quanto era fatto bene.

Curato nei minimi dettagli, non ne avevo mai visto uno da vicino, o almeno, così ricordavo.

Marill deglutì, probabilmente pensava la stessa cosa, omettendo l'ultima parte «tu sei cresciuto qui?» sussurrò.

Feci spallucce «fino ai sei-sette anni così pare» in realtà non ci credevo nemmeno, ma meglio lasciar perdere.

Non seppi spiegare le mille sensazioni finchè non entrai all'interno, un senso di familiarità, angoscia e tradimento mi arrivò addosso.

Cominciai a tremare e a non sentirmi più il respiro, le mie gambe avevano voglia di fuggire, era come se il mio subconscio volesse scappare, ricordando qualcosa d'oscuro. Cosa diamine era successo qua dentro tredici anni fa?

Marill mi strinse più forte la mano, come per rincuorarmi, ma nemmeno questo riuscì a calmarmi.

Attraversando il lungo corridoio, Marill si fermò a metà strada. Si girò verso un quadro e mi trascinò con sè.

Era un dipinto ben fatto, raffigurava quattro persone, un ragazzo sui ventisette anni con i capelli biondo cenere e gli occhi verdissimi era seduto su un trono rosso, di fianco a lui una ragazza sui ventiquattro anni con dei capelli castani e degli occhi azzurrissimi.

Marill si soffermò su un bambino, abbassai la testa e con orrore notai la mia fotocopia a sei anni, quando Damon mi aveva trovato.

Ma una cosa mi lasciò di sasso.

Marill continuava ad accarezzare il mini me, esultando di quanto fossi carino e non un panda come ora.

Se non fossi stato così shockato l'avrei pure ringraziata e presa un pò in giro, ma accanto a me la fotocopia di Queen mi fece impallidire «Marill, per caso.... » cominciai, attirando la sua attenzione mentre lei si girò verso la mia direzione «.... riconosci Queen in questo dipinto?» Marill sbiancò, proprio come me.

Il sorriso sbarazzino, i capelli castani e gli occhi azzurri di Queen del quadro, erano identici a quelli di Queen odierni «che ci fa Queen qui?» urlò Marill accanto a me, ma non le risposi.

Mi staccai velocemente da lei, evitando Will e Lucas che stavano venendo verso di noi, probabilmente per richiamarci, e presi velocemente il corridoio verso la sala del trono.  Come se le mie gambe sapessero il sentiero,  arrivai velocemente di fronte il portone, protetto da due guardiani.

«Spostatevi per favore» dissi drighignando i denti e con il sangue negli occhi, dietro di me sentivo i passi veloci di Marill.

Una guardia si fece avanti, poco dopo anche l'altra, mentre Marill mi affiancava con il fiatone.

Mi sentivo uno schifo, tutti nella mia vita mi avevano mentito, la mia vita era stata costruita su una menzogna.

Mi sarei sicuramente scusato dopo con lei,  adesso ero troppo arrabbiato «mi dispiace, non si può passare senza un permesso» mi disse uno,  sentivo dentro di me la rabbia salirmi, senza spostare lo sguardo da quelle due guardie,  spinsi Marill dietro di me ed evocai delle radici dal terreno contro le guardie, li legai e li strinsi forte contro le radici.

Stavo malissimo, aveva voglia di spaccare tutto.

Marill mi prese di nuovo per una spalla «Finn ma sei pazzo? Mettili subito giù, così li ammazzi» ma io non l'ascoltai e li buttai a terra.

Con uno spintone dato dalle radici, mi tolsi anche lei di dosso ed aprì il portone.

Tantissimi occhi iniziarono a guardarmi.

Un tappeto rosso contornava la sala verso due troni, alti e possenti, con sopra due persone.

Non mi inchinai affatto e mi guardai attorno, in allerta.

Le guardie all'interno si avvicinarono, le lance tese verso di me «non provare a fare un passo, ragazzo» non dissi nulla.

Ero fuori di me, avevo voglia di sfogarmi e rompere qualcosa.

Evocai le ultime energie rimaste. Il mio elemento, stavolta, era guidato dalla rabbia e non dall'allegria che mi contraddistingueva sempre.

La terra tremò e l'uomo seduto si alzò in piedi, non prima che il pavimento si aprisse e che una radice uscisse da esso.

Alzai la mano, per niente lucido, e mossi le radici in avanti.

In fondo era l'unica cosa che sapevo fare, muovere le radici «Finn ascoltami bene, sei fuori di testa in questo momento, proviamo a calmarti, ok? Questo non toglie il fatto che dopo te le darò di santa ragione e...» urlò Marill, entrata in sala ma non continuò mai la frase.

Ma anche se fosse, io non l'ascoltai minimamente.

Mentre le radici correvano verso le lance, i sovrani urlavano di smetterla, non che comunque m'importasse.

Anche Marill urlò; le guardie si fecero avanti e le infilzai una per una.

Caddero a terra con un tonfo e il sangue iniziò a colare per tutta la sala.

Quella visione mi risvegliò. Nessuno si mosse «ora capisco da chi proveniva quel trambusto, ma era così necessario uccidere le mie guardie migliori?» annunciò un uomo sui quarant'anni, o forse di meno.

Aveva una barba bionda ben curata e gli occhi verdi sbarazzini.

Riconobbi in lui l'uomo del dipinto, il re e mio padre, forse?

Quando mi risvegliai, mi sentì in colpa.

Avevo ucciso, senza pietà. Avevo ucciso davanti a tutti e verso di lei, verso Marill.

Non mi importavano gli altri, ma la sua opinione era la priorità.

Mi girai verso di lei. La vidi arrossire violentemente e distogliere lo sguardo, era delusa, spaventata.

Da me «oh porca vacca» sussurrò. Aveva un taglio nella guancia e pensai che gliel'avessi fatto io quando le avevo buttato l'incantesimo addosso.

Mi dimenticai completamente della rabbia, del tipo che aveva parlato, dei sovrani all'interno, dei due gnomi, dei morti e della regina che stava fissando la scena.

Andai semplicemente verso Marill, le presi il viso tra le mani e le toccai la guancia con un pollice.  Lei contorse la faccia e si lamentò, ma non mi guardò mai in faccia «ahia Finn, mi fai male» sorrisi «ti curo dopo» lei grugnì «no, dopo ti ammazzo.»

Poi mi prese le mani, ancora sulle sue guance, e le tolse, mettendo spazio tra noi.

Qualcosa dentro di me, si spezzò.

La regina tossì. Mi girai verso di lei mentre Marill restò di sasso «con tutto il rispetto, vorremmo evitare questo battibecco da innamorati e vorrei che Stephan venisse qui» sentirmi chiamare in questo modo, da una Queen di quattordici anni più grande, mi fece senso.

Lasciai Marill, anche se non avrei mai voluto abbandonarla e mi avvicinai a mia madre e mio padre, non mi mossi nemmeno quando Cleo cominciò a parlare «avrei voluto fare questo discorso insieme a tua sorella, ma purtroppo come puoi ben notare,  abbiamo trovato solo te. Queen è chissà dove con quel Gelida» chiuse i pugni e sentì la sua rabbia e disgusto nel pronunciare solo "Gelida".

Sorrisi, ero felice che Queen fosse al sicuro con James,  ma il sentimento che sentivo più di tutti era la delusione. 

Queen era mia sorella ed io non ne avevo idea, eravamo entrambi nobili ed entrambi eravamo stati abbandonati.

Mi sentì male, in fondo non ero così diverso dai nostri genitori, l'avevo abbandonata anch'io «in ogni caso, fatti guardare Stephan, sei un uomo ormai» sorrise raggiante e quasi non scoppiò a piangere, guardai mio padre nei miei stessi occhi e lui mi sorrise «se per voi non è un problema, preferisco che mi chiamiate Finn» mi girai e fissai Marill «io sono Finn, è questo il nome con cui ho vissuto ricordi e con cui ho provato qualcosa.»

Loro sorrisero «va bene Finn, vorremmo fare una bella chiacchierata, magari dopo però» il suo tono cambiò «ora portatelo in cella» prima che potessi dire e fare qualsiasi cosa, un oggetto mi colpì in testa.

L'ultima cosa che vidi fu Marill venire verso di me.

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