Capitolo I: The Heroes and the Storm (parte la XI, Decaius Mosdhà)
Capitolo I, parte XI
Lord commissario Decaius KenesÌt Mosdhà
"Gli imperi non sono mantenuti dalla timidezza."
-Tacietvs, antico philosopho.
(Probabilmente M1.Y945, anche se l'unica fonte che mi attesta questa data è uno strale di Data a dir poco in avanzato stato di decomposizione.)
"Il sangue è stata la malta che ha cementificato questo Imperivm."
-Lord Barabas Dantioch, presupposto Primo Maestro Capitolare nonché signore del Capitolo d'Index Astartes (Terza Fondazione) delle Falci dell'Imperatore, circa M30.Y431, alla Conferenza della Vendetta.
(Occorre fare attenzione alla nomenclatura. Ho letto di diversi casi in cui la Sudditantìas Imperialìs che conta ha confuso elementi del Capitolo delle Falci dell'Imperatore con elementi del Capitolo delle Falci Martellanti, entrambi localizzati nella Frangia Orientale.Onestamente non capisco come sia possibile: le loro livree sono veramente molto diverse!)
"Con la fede, la disciplina e l'altruista devozione al dovere verso l'Imperatore-Divino, non vi è alcunché in tutto il vasto expanse dell'Universo che non possa essere realizzato."
Jeinah Lia Dammahd, estratto dalla sua autobiografia: "Il Relatore delle Verità", M17.Y032(Ho confrontato tre copie di questa citazione negli Archaives di Costa Azzurra, trovando un caso dov'era attribuita ad un qualche sovrano Priamvs o Primvs.
Negli altri due casi, tuttavia, il dettaglio della data non è logicamente sensato. L'Imperatore-Dio si rivelò soltanto nello M29.Y001, al principio assoluto delle Guerre di Riunificazione della Sacra Terra.Che costui fosse un profeta?)
Negli altri due casi, tuttavia, il dettaglio della data non è logicamente sensato. L'Imperatore-Dio si rivelò soltanto nello M29.Y001, al principio assoluto delle Guerre di Riunificazione della Sacra Terra.
Che costui fosse un profeta?)
Imperivm del Genere Umano
Ultima Segmentvm, Frangia Orientale
Nord del Reame di Ultramar, Mar Finalìs Regio
Gladius Astralìs Sector
Svb-Sector Gladius Central, Sistema stellare di Gladius
Gladius III, Mondo-Fortezza.
Formicaio Cerberus, Glenna-Granta Castrvm
Base-Aerostralìs Hyrkan Archery-Lightas
Rangheriòn di tiro Alpha Navarro-Primarys
M42.Y005, decimo-septimo giorno del mese di martes.
Spinse il calcio del Gladio contro la spalla e trattenne il fiato. Il suo occhio era il punctator di quel robusto spara-ferrvmcoriandoli, il punctator era un'estensione del suo stesso occhio. Tra le due non vi erano differenze perché non erano frammenti di materivm separati, ma una singola realtà separata soltanto dalla distanza che correva tra la palpebra e il magnocularìs strategico.
La loro sinergia era legata a doppio filo con il ritmico operato dei polmoni e la calma, la solidità della presa che le sue mani ponevano all'impugnatura e lungo l'astina. Un respiro troppo intenso avrebbe potuto pregiudicare lo sparo, disallineandolo.
Un respiro troppo leggero, invece, l'avrebbe affrettato.
Una pletora di azioni e riflessi condizionati. Ricordò che cosa gli avevano insegnato alla Schola Progenivm di Terrax, come un buon sparo stesse tanto nella sicurezza con cui il tiratore si poneva nei confronti del bersaglio quanto nella pazienza di cui doveva munirsi se voleva abbatterlo.
Udì il ronzio e avviluppò l'indice al grilletto.
A mezz'aria, rapido quanto il passaggio di un piccolo predatore alato e furtivo, semi-sommerso dagli spari che provenivano dagli altri saghittareon e dal vociferare dei presenti al Rangheriòn.
Ottanta, al massimo cento metri sulla sinistra. Si stava allontanando, virando verso il cielo con un ritmo zig-zagante. Inspirò, orientandosi ad intercettare il bersaglio.
Lo xeno-marchingegno rilasciato da August parve leggere i suoi pensieri alla maniera di Kalcantes e sibilò verso il basso, tagliando in diagonale con un'accelerata che lo portò oltre la soglia dei cento-e-quaranta metri di distanza.
Tirò il grilletto, rilasciando il primo colpo. Il Gladio gli rinculò contro la spalla trasmettendogli un urto passeggero, ma solido quanto un pugno.
Il drone t'au infiorettò l'aria del saghittareon avvitando in caduta, e un flebile fumo azzurrino sgorgò alle sue spalle. Lo vide tentare di riassestare un modicvm di controllo sul proprio volo facendo palpitare i blocchi laterali.
Rilasciò uno secondo colpo, centrando il pannello più esposto.
Il marchingegno rovinò al suolo, ruzzolando in un tenue sconquasso di plastiche xeno-ferraglie. Decaius abbassò il fucile, portandolo a puntare innocuamente il pavimento, e poi espirò.
I bossoli erano rotolati vicino ai suoi piedi, tintinnando grevi quando erano rimbalzati a terra. Impresse subito sotto le zampe arcuate di una serigrafata Imperiale Aquila Bicefala, le parole GAS/Char Manifactorvm-Mvndvs spiccavano in rosso e nero, precedendo un lunghissimo numero di serie.
«Sei contento, George?»
«Non sei molto sportivo, vecchio haraemita bastardo.» George pressò una runa sul pannello impresso al margine sinistro dell'ingresso ad architrave al Saghittareon. Un avviso audio-phonikeo si fece udire e contemporaneamente lui si distanziò, uno sbuffo infastidito sulle labbra.
La videata in onda sul monitor del pannello si separò in due colonne definite secondo i loro nominativi, chiusi in sfida.
Come sempre, August si era preso la briga di rendere il suo nome in abbreviato. Non era di suo gradimento che "la gentaglia", e dopo un secolo di conoscenza Decaius faticava ancora a comprendere i limiti di quell'insieme e cosa costituisse requisito per farne parte, potesse scoprire per caso che il suo nome era George.
Lo riservava a pochi.
«Va bene, sei a due.» Picchiettò in rassegna le armi del suo Armamentarivm e si cinse il mento con la destra, per fingersi pensoso. «Sai, se continui ad abbattere i miei droni al primo colpo ben presto non ne avremo più. Ora, non ti dico di perdere a bella posta, ma potresti anche essere uno sportsmahnn. Così, per prolungare il momento.»
«Mi stai chiedendo di farti vincere?»
«Ti pare? Non ti sto chiedendo di farmi vincere!» sbottò August allargando le braccia. «Certo, quello che io sto dicendo è che sarebbe carino se per qualche rounth tu non mi sbattessi in faccia la tua super-vista...»
Ancora con quella storia? «George, non ho la super-vista. Si chiama parsimonia.»
«Si chiama parsimonia» scimmiottò in replica, tamburellando contro la canna in grezzo martian-ferrvm grigio di un fucile semi-automatico M2B4 Gladius-Pattern con caricatore a tamburo. Lo staccò dalla rastrelliera sciogliendo le cinture, e soppesandolo per un momento tramite il manico commentò: «Io ancora non capisco come facciamo noi in Gladius a produrre una versione di questo aggeggio peggiore di quella che forgiano in Claymoria.»
«Forse perché il rites originario proviene da lì. I loro tecno-preti saranno più familiari con le schematiche di quella pistola-ganger.»
«Pistola... pistola-ganger?!» August sollevò lo M2B4 per metterlo in mostra. Sotto alle lucerne di posizione dell'architrave, sembrava perfino più goffo che assicurato nella rastrelliera.
Vibrò un piccolo schiaffo al caricatore a tamburo. «Anche se il nostro locale fa schifo, questo ragazzino è uno splendore. Quattro chili e mezzo di puro, imperialissimo martian-ferrvm e syntho-canvaslegname sagomati in uno slaahb solido, bruto ed efficace.»
Decaius assentì, facendogli cenno di continuare. Se lo divertiva, perché no?
«Leghem-Dardi modello Extortio Solvtio ad alto potenziale, rivestiti dalla capocchia al culo» Scollegò il caricatore e glielo lanciò con sicurezza, aspettandosi che lui lo prendesse al volo. Trovando disdicevole l'idea di lasciarlo deluso, Decaius arretrò d'un passo e incassò il caricatore contro il panciotto dell'uniforme, assicurandolo con il braccio.
Lo strinse nella mano e squadrò il proiettile in testa alla cintura-arteria di trasmissione.
«Calibro undici punto otto millimetri. Non si può dire di no ad un undici punto otto millimetri, Dec'. È come rifiutare un ordine dal Dio-Imperatore stesso.» Si avvicinò, strappandogli il caricatore dalle mani. «Ridammi questo arnese, tu non lo meriti. Ganger-pistola, bah!»
«Me l'hai appena lanciato...»
«Dettagli» disse lui licenziando la questione. Incastrato il tamburo nell'arma, August incassò il calcio contro la spalla e rilasciò una raffica contro la carcassa del drone.
Esplodendo tuoni spessi come i cazzotti di un lottatore, lo M2B4 tempestò il macchinario con tuoni che ne torturarono la corazza, sfondandola e dilaniandola ad ogni singolo impatto. «Quello che voglio dire è... senti come canta, porca puttana. Senti come canta.»
«Mi ricorda il papisha garoniano, il modello di Ullanorechka.»
«Non bestemmiare.»
Decaius strinse la testa tra le spalle. «Credimi sulla parola.»
«Decaius, stai paragonando un fine strumento di guerra forgiato dall'illuminato intelletto di un tecno-prete di matrice gladiana ad un crudo, rozzo ed erratico spara-coriandoli garoniano probabilmente fabbricando picchiando un blocco di ferro grezzo, attaccandoci un grilletto e sputandoci sopra. Mi viene difficile crederti sulla parola.»
«Da quello che ho letto, il papisha non si inceppa praticamente mai. Rivaleggia i las'.» Resosi conto dell'esagerazione, Decaius si umettò le labbra. «Perlomeno in questo specifico ambito.»
«Si, beh...» Sbuffando dalle narici, August alzò gli occhi al cielo nuvoloso. Seguendo il suo gesto, Decaius vide un paio di Libertatìs che solcavano il mare plumbeo, incrociando tra i nembi. Le scie del plasma esausto, chiare ed iridescenti, parevano sublimare nel manto soprastante. «Anche un chronometròn rotto segna l'ora giusta almeno una volta al giorno.»
«Le fonti lo descrivono come un ottimo strumento tattico di hastata.»
«Il komitet garoniano ha chiaramente corrotto gli autori di quelle fonti per far fare una bella figura alle loro armi scadenti.»
Non c'era verso di fargli cambiare idea. Indicò la carcassa del drone che lui aveva mitragliato e spaziò per toccarne altre due, rimaste a terra dopo essere state abbattute. «Comunque... ho una domanda: dove hai trovato tutti questi affari xenos, per la miseria?!»
«Nevkta!» Decaius inarcò un sopracciglio. Il vento spazzò il saghittareon, agitando la coda del suo nero cappotto da commissario. «Laggiù li usano per fare le consegne a domicilio. Ne ho confiscati un paio quando sono stato messo di stanza lì.»
«Oy vey, solo un paio?»
«O-kay, un paio di paia...»
Squadrandolo di misura, il commissario elysiano lasciò cadere un breve secondo di silenzio. Lo interruppe con un sospiro stanco: «George?»
«Una decina.»
Tipico.
«Se posso permettermi d'interrompervi, lord commissari» esordì una donna dall'accento decisamente non gladiano, sibilante e lungo sulle ethas. Guardandola avvicinarsi, Decaius puntò il Gladio verso il basso e spostò l'indice dal grilletto.
Un momento dopo, fulminato dal pensiero, innescò la sicura.
«Il penultimo tiro è stato un piccolo capolavoro. Dico quello che ha abbattuto il drone, non la raffica di mitragliatrice.»
«Vedi, August? Stavi infierendo su di un nemico già sconfitto.»
«Consegnava pizze prima che io lo confiscassi» commentò lui, bofonchiando il suo risentimento con un soffio che aveva un tratto quasi ferino. «Semmai gli ho dato una morte onorevole...»
Io l'ho ucciso, di fondo. Tu al massimo hai svuotato mezzo caricatore sulla sua carcassa. Ah, ma che importanza aveva?
La nuova arrivata indossava una integrale tunica da fatica stretta, sopra alla quale s'era addobbata con un tactitoi-gilet armato di venti giberne nere.
Sul capo portava un berretto con visiera, sotto alla quale poteva distinguere con chiarezza due occhi dal taglio stretto.
«La ringrazio», commentò Decaius offrendole il saghittareon con un cenno della mano. «Mishreì... chi è lei, se mi permette la domanda?»
Incassandola di gran carriera, la nuova arrivata vi rispose dopo un momento; prima gli rivolse un saluto, breve e meccanico, fornendo un indizio prezioso sulla sua origine. «Caporale Leckijiva, lord commissario. Tempestvs Scion, Alpha-Delta-Hastata della Venera-Sigma-Sigma Spectre Primarys. Questo risponde alla sua domanda?»
«Sì. A questo punto ritengo di dovermi presentare io...»
«Lord Moshdà?» Considerò di farle presente che la lettera sigma nel suo cognomen era lungi dall'essere protratta in quel modo. Nel corso degli anni un buon numero di soggetti l'aveva mal interpretata, apostrofandolo come Moss'da oppure come Mosdah.
Il suo corretto era Mossh'dà, ma non valeva la pena farlo notare.
Nel vasto e dispersivo Imperivm esistevano centinaia di miliardi di lingue con milioni di miliardi di accenti e pronunce.
Capirsi via lingue autoctone e dialetti comuni tra pianeti dello stesso svb-sectores poteva rivelarsi impegnativo, difficile nel caso dello stesso sector e funzionalmente impossibile quando si lasciavano i confini inter-stataes per sbarcare in un diverso reame dell'Imperivm, men che meno in un differente Segmentvm.
Il Gotico Basso ovviava al problema, nei magri limiti del suo possibile, ma era prono a procurare grattacapi con traduzioni inconsulte, errori di forma e influenze regionali.
La scelta più saggia era non fare troppo caso agli errori, perlomeno quando non erano troppo gravi.
Mi ricordo di una guerra della quale ho letto da ragazzo. Se non sbaglio, due mondi del Reame di Ultramar andarono alle mani per discrepanze sulla pronuncia del nome del Primarca Guilliman e sono finiti a ricorrere alle armi atomiche.
Se quel conflitto non fosse stato un evento foriero di decine di miliardi di morti, l'avrebbe fatto ridere come uno sciocco.
Presumo sia un ulteriore conferma che l'idiozia non ha mai fine. «Mi fa sempre un po' di stranezza venire apostrofato come lord, tuttavia è corretto. Lord commissario Decaius Kenesìt Moshdà, presente. Posso esserle utile in qualche modo, caporale?»
Mishreì Leckijiva scoccò un cenno alle carcasse dei droni. «Non si offende se dico che più che per utilità, le parlo per farmi un piacere?»
Abbiamo pochi peli sulla lingua, eh? «Non ero al corrente di essere un oratore così affabile.»
«Mi riferivo ai suoi tiri, m'lord.»
Accettando quella correzione tanto grigia e precisa, Decaius piegò le labbra in un ghigno triste. Peccato! Per un momento aveva preso in considerazione l'idea di appendere la giacca da commissario al chiodo e darsi alla politica elysiana. Ora, quello sarebbe stato un lavoro ben più semplice e soprattutto remunerativo!
Invece di ripararsi dai proiettili avrebbe soltanto dovuto imparare a schivare i pomodori marci. «Sì, caporale. Questo l'avevo capito. La mia era auto-ironia...»
«Ah, una peculiarità elysiana?» S'arrischiò il sottufficiale.
Sospirando, il commissario sganciò il caricatore dal Gladio per verificare il numero di colpi rimasti a sua disposizione. «La leggerezza di chi non si prende troppo sul serio, suppongo...»
«Perché non le racconti la battuta della maglev, cane haraemita?»
C'era di che risentirsi. Tra tutte le sue battute, l'unica che George riusciva a ricordare al momento era quella della maglev?
«Perché non è così divertente.»
«Io la trovo divertente.»
«E questo dice più di te che del mio senso dell'umorismo, August.»
«La battuta della maglev?» chiese Mishreì Leckijiva. «Conosco quella dell'ursas, ma questa mi manca. Come fa, m'lord?»
Oy vey, la devo anche raccontare? «Devo proprio?»
«Ricordati il diritto degli ospiti!» commentò August, dimentico che tecnicamente stava parlando ad un ospite che proprio per il suo statvs non poteva ospitare un altro ospite. «Si cortese con questa mishreì di Mercurio. Lei è di Mercurio, vero?»
«Venere, m'lord.»
«Non importa, sono la stessa cosa.»
«Con tutto il rispetto, m'lord, non è vero e...»
«Il nostro protagonista» schioccò Decaius per cambiare argomento, «che per la cronaca si chiama Aaron Har'òn lo haraemita, sta andando al lavoro come il bravo suddito che è. Arriva alla stazione maglev di Tiberiade Poelìs un po' prima del solito e nota una nuova, straordinaria macchina sulla banchina. Il signòs sopra alla macchina recita che è frutto dell'ingegno di un abile tecno-prete: è una bilancia parlante, forgiata allo stato dell'arte e pronta ad officiare i suoi rites. Aaron si posiziona sulla piattaforma, inserisce un vermiglio da un Trono con la santificata effige dell'Imperatore-Divino sopra e aspetta il responso.»
Incrociate le braccia, Decaius lasciò trascorrere un secondo prima di riprendere. «Trascorso un secondo, la macchina parla: "Tu ti chiami Aaron Har'òn. Pesi settantasei chili e sei haraemita." Il nostro protagonista non può credere alle sue orecchie, così sperpera un altro bel vermiglio.»
Schioccò le dita.
«Di nuovo, la macchina gli parla: "Tu ti chiami Aaron Har'on. Pesi settantasei chili e sei haraemita. Stai aspettando la mag-lev dell'ora septima plvs trenta-e-cinque minuti per recarti al tuo posto di lavoro all'Administratvm."»
Un elysiano haraemita che lavorava all'Administratvm. Chi aveva ingegnato quella stupida battuta aveva avuto proprio una grande immaginazione. «Aaron è scioccato da queste parole, ma è determinato e vuole battere la macchina. Così va nel lavatorivm, si scombina i capelli, inforca un paio di ocvlvs-lenses da sole, scioglie la sua cravatta, si toglie il cappotto-mantello, si appiccica un cerotto alla nicotina sul mento ed esce dal lavatorivm, pronto a ritornare dalla macchina e sconfiggerla.»
Mimò il protagonista che infilava nella fessura una terza banconota da un Trono imperiale e poi si schiarì la gola: «All'istante la macchina gli dice: "Sei ancora haraemita e pesi comunque settantasei chili. Sei anche uno shlimzèl di prima categoria: hai perso la mag-lev.»
Il caporale sbuffò un accenno di risata: «Posso essere onesta?»
«Permesso accordato.»
Fu molto onesta. «Preferisco quella degli ursas.»
«Anche io, caporale. Anche io.» Alle volte, l'onestà era da premiare.
Offrendole il saghittareon, Decaius sollevò le sopracciglia: «Ora, se possiamo cambiare soggetto da qualcosa che non m'imbarazzi come un cadetto... si vuole unire a noi?»
«Volentieri. È una competizione solo con armi cinetiche?»
Poté immaginare August storcere la bocca al suono di "competizione". Guardando la gara che lui stesso aveva proposto dal suo punto di vista, era un po' un massacro a fuoco libero ed alzo zero. «Lord August ha insistito su questo elemento.»
«Ah, non è un grande appassionato di queste armi?»
«Preferisco il laser» rispose con candore. Non rischiavano d'incepparsi né richiedevano una malnata quantità di manutenzione per essere al massimo delle loro funzionalità. I rites manutentori delle armi laser erano o estremamente semplici, come la loro produzione, o così complicati da dovere essere delegati alle autorità in materia, ai tecno-preti e tutti i loro vari apprendisti.
Un lavoro in meno da fare era sempre una buona notizia.
Incamminandosi verso l'Armamentarivm di George, mishreì Leckijiva si sciolse i polsi. Attorno a loro vestiva delle fasce di tessuto, strette dalle corse di alcune catenelle che sorreggevano piastrine di riconoscimento. Un paio non terminavano nella classica e consumata Aquila Bicefala Imperiale agganciata al fondo della targhetta, ma in un esagono bianco dentro un cerchio nero.
«Quelle ad esagono le ha comprate da un rivenditore?» chiese indicandole, più curioso che sospettoso. Cosa c'era da temere dai memorabilia che provenivano dall'Altra Parte? Solo, trovava strano che li accorpasse ai memento-mori dei suoi compagni.
Posto che quelle targhette con l'Aquila dell'Imperivm fossero del suo reparto...
«Sono un cimelio paterno, m'lord.»
«Mi perdoni per l'indiscrezione.»
«Non v'è bisogno di scusarsi» replicò il sottufficiale. «Erano di uomini e donne che lui conosceva, ma non le tengo per la loro memoria. Io non so chi fossero queste persone. Li custodisco per un suo desiderio. Era convinto che portassero fortuna.»
Per essere vera anziché una bugia nobilitante, quella storia chiedeva che suo padre fosse stato uno degli elementi mandati dall'Altra Parte.
Inusuale, certo, ma non impossibile. «So qualcosa del nostro intervento laggiù negli anfratti dell'Altra Parte. Si ricorda dove suo padre ha servito?»
«Era parte del Novecento-e-Quindicesimo Reggimento di Ishtar Terra, Terza Branca dell'IAAEG. Le dice qualcosa di più di quello che dice a me?»
«Se non rammento male, quelli della Terza Branca sono stati tra gli ultimi reparti a venire fatti ritornare dalle nostre parti. Trent'anni prima che i nostri alleati nonché incompetenti imitatori si facessero rovesciare da quattro ribelli avevano ancora gente laggiù a far loro da balia.»
«Mimban? Sa qualcosa?»
«So che è una palla di fango abitata da xenos scorbutici e che l'Impero ha passato anni ad innaffiarne i fanghi con il sangue delle sue gioventù invece di bombardarlo dall'orbita.» Una parabola su quale poteva essere il risultato d'installare come -falso- imperatore un ex-cancelliere storpio.
Quegli smidollati avrebbero potuto smontare dal loro bel cavallo bianco, dare un'occhiata alla nostra storia e vedere la catastrofe avvicinarsi.
Vandire è un esempio abbastanza lampante...
«Immagino che sia il limite di quello che può dirmi...»
«Immagina bene, caporale.» Licenziato l'argomento, Decaius guardò a terra. Il suolo stava tremando da alcuni istanti, colpito da vibrazioni super-soniche che infervoravano alte nel cielo. Alzando gli occhi avvistò alcune sagome tra le nuvole.
Erano tozze e larghe, affilate in prua.
Non riusciva a distinguere per bene i loro colori, ma attorno agli scafi sfuriavano vampate di fuoco d'attrito. «Direi che quelle non sono Libertatìs...»
«No» ne convenne August. «Probabilmente un paio di Okeanìs-Haulerìs che scendono a caricare la roba. Si staranno dando una mossa, finalmente!»
«Finalmente?» gli fece eco, ridendo sotto i baffi. «Lascia ai miei ragazzi un po' di respiro, siamo appena sbarcati dalla Trono di Spade!»
«A me sembrano passati dei mesi da quando siete sbarcati, invece...»
«Cos'hai detto?!»
August aggrottò la fronte. «Niente di che. Dev'essere l'eccitazione all'idea di andare a massacrare i T'au. Lei, caporale: ha mai combattuto i t'au?»
Leckijiva si chinò davanti alle ante aperte dell'Armamentarivm, appoggiandouna mano al suolo. «Ho avuto modo di fare la loro conoscenza, sì...»
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