James Emory
James Emory, alla guida della Ford nera, vagò per le strade della città immerso in oscuri pensieri. Si ricordava bene di quel periodo, quando avevano cercato di concepire un figlio, la moglie era stata abile nel convincerlo a lasciare l'impiego.
"Amore, ti prego pensaci, entra nello studio di papà! Perché non vuoi avere un'avvocatura prestigiosa? Non vorrai fare il legale in un tribunale per tutta la vita!"
Erano affondati nel letto disfatto, Margot aveva la testa appoggiata sul suo petto nudo dopo aver fatto del buon sesso.
"Lo sai che ci tengo che tu stia con papà." sussurrò lei mettendo un finto broncio.
James le accarezzava i capelli, sorridendo per la sua ostinazione. Era da giorni che insisteva.
"Abbiamo bisogno di una casa più grande con un giardino, dove nostro figlio possa correre e giocare."
Lo soffocava di baci, affondando smaniosa le mani in ogni parte del suo corpo e lui perdeva la ragione preso dal desiderio di sentirla sua soltanto.
Pochi giorni dopo cedette e acconsentì alla posizione di avvocato aggiunto nella società del suocero.
Come premio, Henry, acquistò una villa lussuosa con un parco rigoglioso, che in realtà non gli era mai appartenuta: tutte le scelte d'arredamento, Margot, le aveva decise insieme ai suoi genitori escludendo lui, visto che i soldi erano del padre.
Lusingato dalla contagiosa felicità della moglie, cadde nella trappola del suocero e senza accorgersene si trasformò nel suo servo.
Qualcuno gli diede un colpo di clacson alle spalle, era rimasto fermo al semaforo due secondi in più.
A quell'ora, i locali cominciavano a riempirsi di persone desiderose di sfuggire allo stress quotidiano e immergersi in una serata di svago. Le strade brulicavano di automobilisti impazienti che intasavano il traffico alla ricerca disperata di parcheggi liberi.
Avvistò le luci del Colebrook Row e le parole di Alfred gli tornarono alla mente non sapendo la motivazione che l'avesse spinto lì.
Sospirò, cercando di soffocare il desiderio di rivedere Amber. Per fortuna trovò un posto dove parcheggiare l'auto e, con la mente in tumulto, iniziò a camminare.
Infilò le chiavi in tasca, prese il cellulare nella speranza di una chiamata della moglie: nulla, nessun messaggio e accadeva sempre più spesso.
Varcò la soglia di quel drink bar rumoroso e affollato, non si guardò intorno. Voleva soltanto bere e starsene in pace.
Trascorse giusto un quarto d'ora che una tizia, bionda e appariscente, lo abbordò con un sorriso smagliante.
In fondo era un boccone appetibile: uomo solo da consolare, con soldi da buttare per sbronzarsi. Non ebbe la forza di mandarla via e la lasciò fare, non le chiese il nome, mentre lui beveva e lei si strofinava senza ritegno, infilando le mani sopra la camicia, ridendo troppo.
Non avvertiva niente, nemmeno tra le gambe, dove non aveva controllo, non si risvegliava nulla per quanto si affaccendasse. Le offrì da bere per come si impegnava a rallegrarlo, ma la testa era altrove, a casa, dove Margot l'aveva guardato rabbiosa.
Quella gli morse l'orecchio e lui rise. Non si era mai trovato in una situazione del genere, tutto gli sembrava fuori posto, eppure, accettava le sue avance.
"Che ne dici se saliamo di sopra, bello mio?"
La osservò per un istante, non possedeva la classe e la sensualità di Amber e questo lo fece rinsavire.
"No grazie, basta così."
La tizia non la prese bene, perdeva un cliente a cui aveva dedicato del tempo. Gli mollò un sorrisetto tirato.
"Non ti si rizza? Posso lavorarci se vuoi."
Fu maliziosa, ma con una forma di ironia che lo seccò. Per mettere fine a quella farsa, si alzò barcollando e dovette tenersi stretto alla sedia per quanto era stordito.
Una voce gentile, ma decisa, intervenne e fermò la bionda che sbavava.
"Vattene Grace, è un mio amico." La donna, sbuffando, si allontanò con una smorfia schifata.
Lui sollevò lo sguardo mentre cercava di mantenersi dritto con le mani aggrappate al tavolo.
"Amber!" Bofonchiò sorpreso dalla sua apparizione.
"Ciao James, incontrarci due volte nello stesso giorno è un segno del destino." Sorrise e lo afferrò per i polsi costringendolo a sedersi.
"Non dovresti essere qui, sembra che tu abbia qualche problema." disse ironica muovendo la testa e i lunghi capelli neri.
Lo fissò con quegli occhi verdi che ricordava bene, sentì un brivido fino all'inguine, rivederla gli rimescolava il sangue.
Preso alla sprovvista e memore della performance della mattina, si lasciò sfuggire una frase scortese.
"E tu chi ti scopi stasera in questo posto?" Sogghignò con la bocca impastata dall'alcol.
La donna non raccolse la provocazione e rispose con gentilezza.
"Sai qual è la mia professione e non ti è dispiaciuto approfittarne stamattina." Socchiuse gli occhi e aggiunse con calma: "Sei inutilmente aggressivo, James..."
Lui abbassò lo sguardo, consapevole di quanto si fosse comportato da cretino negli ultimi mesi, al punto da non riconoscersi più.
La giovane lo osservava e aspettava che rispondesse.
Avvertiva l'impulso di toccarle la mano, di tenerla stretta per sentirne il calore, ma era stata chiara su qualsiasi contatto fisico potesse nascondere un gesto di affetto.
Si sorprese nel desiderare la sua attenzione.
La scrutò, mentre i fumi dell'alcool lo abbandonavano. Sembrava diversa: ora indossava un abito blu notte a tubino che le fasciava il corpo. La scollatura risultava sobria, con un delicato ricamo di fiori in tono. Era elegante e posata e non portava i tacchi a spillo della mattina, ma delle scarpe più basse.
Non aveva più nulla dell'escort smaliziata con il négligé nero.
Si passò la mano sulla fronte, trovandola bella e affascinante.
"Scusami ho bevuto troppo." Ammise a voce bassa.
"E ti succede spesso? Ti conosco da poco." Avvertì una nota di dispiacere nella sua bella voce femminile.
"Niente di quello che ho fatto oggi è usuale, Amber. In realtà non mi piace bere." bofonchiò allontanando il bicchiere vuoto.
"Penso di averlo capito, James, ma nel mio lavoro ne vedo di uomini che hanno un problema per cui sfogarsi."
Lui sospirò, abbassò lo sguardo, non voleva dirle della crisi del suo matrimonio e mentì.
"Non dovevo sfogare nulla, volevo solo fare sesso, non crearti delle idee strane."
La giovane sollevò le mani in segno di resa. "Cercavo di essere gentile."
"Strano, visto che hai detto che non vuoi farti coinvolgere nella vita dei tuoi clienti." Sentenziò acido cercando di non farle capire la sua difficoltà. "È ora che vada."
Si alzò, andò alla cassa sforzandosi di rimanere stabile.
Amber lo seguì fuori dal locale.
"Che c'è? Hai paura di perdere un cliente?" Reagì seccato per quella cura che non si aspettava. "Tranquilla tornerò a casa sano e salvo, ora puoi andare dentro a cercarti qualcuno da fottere."
Ci ricascò ancora, incattivito dalla gentilezza che gli dimostrava, perché avrebbe voluto avere al fianco la moglie.
Lei allargò gli occhi e rispose garbata.
"Ero qui con delle amiche, ho una vita anch'io James. Niente lavoro stasera."
Lui finì per brontolare, la mente divisa tra la premura di Amber e il disprezzo di Margot che non lo voleva più.
Quando si avvicinò all'auto, la donna lo trattenne per il braccio.
"Non so se hai qualcuno che ti aspetta, una famiglia o una moglie, ma hai bevuto parecchio."
Il giovane le rimandò un mezzo sorriso ironico.
"Grazie, so guidare. Posso fare tardi non allarmando nessuno."
Salì nella Ford, trafficò con il volante, ma lei non se ne andava. Seccato inserì le chiavi e sputò.
"Che strano che una puttana si preoccupi per me più di mia moglie!"
Amber smise di sorridere, il bel volto fu attraversato dall'amarezza.
Lui si pentì subito per quell'epiteto offensivo, non era nelle sue corde insultare le persone in quel modo.
La giovane cambiò espressione, gli occhi verdi velati.
James si sentì sprofondare.
"Allora va a casa, stronzo! Ti meriti che nessuno ti aspetti."
Gli sbatté la portiera in faccia e se ne andò.
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