Capitolo 29

Marta e sua madre decisero che avrebbero affrontato Rico l'indomani mattina, all'ora della colazione: infatti, prima di andare a meditare in giardino con Gloria, ancora si degnava di farsi vedere ai pasti principali insieme alla sua famiglia d'origine.
Quella mattina Marta si svegliò presto e si diresse nella cucina di villa Martinez, dove aveva fatto colazione tante volte prima di sposarsi; Beatriz le fece cenno che anche Rico stava arrivando: con quelle camicie a fiori, i jeans a zampa d'elefante e la coda di cavallo, nonostante fosse oggettivamente un bel ragazzo - talmente che me ne innamorai, quand'ero in vita - conciato in quel modo sembrava la macchietta di sé stesso; Gloria Martinez doveva essere fuori di testa per amarlo e apprezzarlo in quel modo.
<< Buongiorno, belle fanciulle! Quale onore, la mia sorellina altolocata è discesa in mezzo alla gente... >> disse allegramente, accomodandosi a tavola.
<< Dipende >> esordì Marta.
Rico guardò smarrito prima la sorella, poi la madre: non capiva il perché di quella risposta.
<< Hai presente la cassetta dei risparmi di famiglia? >> cominciò Beatriz.
<< Sì, quella rossa... >> fece Rico.
<< Non c'è più un peso in quella cassetta. Ne sai niente? >> continuò la governante, a braccia conserte. Marta la imitò, fissando il fratello maggiore.
<< Come siete borghesi, attaccate al denaro. Dovreste vergognarvi... >> tergiversò lui. A quel punto sua madre gli tirò un ceffone che lo tirò giù dalle nuvole su cui si era rintanato negli ultimi anni.
<< Dovresti vergognarti tu, semmai! Li hai rubati, ne sono sicura! >> esclamò furiosa.
<< Ma che cazzo dici? >> sbottò il giovane Montenegro. Si girò verso sua sorella, alla ricerca di un minimo di sostegno: ma trovò solo uno sguardo duro e inflessibile. E allora capì.
<< Sei stata tu! Tu hai messo la mamma contro di me, brutta stronza... >> commentò adirato, inveendo contro quest'ultima.
<< Alza le maniche! >> ordinò dunque Marta.
<< Questo è troppo... >> dichiarò Rico.
<< Ho detto alza le cazzo di maniche di quello straccio floreale, se non vuoi che lo faccia io! >> imperò allora lei.
Praticamente braccato, lui dovette ubbidirle. Le sue braccia erano piene di segni rossi e di punti di sangue rappreso: le tracce inconfondibili di lacci emostatici e punture di siringhe.
<< Avevo ragione io, tu sei un tossico! Sei un tossico di merda e ti sei attaccato ai risparmi di famiglia per comprarti le tue dosi! >> berciò indignata la Montenegro.
<< Tu non capisci... >> cercò inutilmente di difendersi l'uno.
<< E non voglio capire, perché ti devi stare zitto. Sei un parassita, e i parassiti non hanno giustificazioni... >> concluse l'altra, che non voleva sentire ragioni.
<< Tua sorella ha ragione, devi disintossicarti. È ora che tu vada in una comunità di recupero! >> decise Beatriz.
<< Col cazzo! >> decretò Rico, alzandosi in piedi di scatto e abbandonando la cucina a grandi falcate.
La governante si accasciò su una sedia, sconsolata.
<< L'ho perso, Marta. L'abbiamo perso... >> commentò senza più forte.
<< Ma neanche per sogno! Ce lo riporto io sulla retta via, anche a costo di internarlo! >> giurò la mia migliore amica, lasciando anche lei la stanza.

***

Era talmente furiosa che per poco non andò a sbattere contro una preoccupatissima Gloria.
<< Marta! >> esclamò.
<< Non è giornata! >> ribatté infastidita la Montenegro.
<< Evidentemente non lo è nemmeno per Rico, visto che è andato via che sembrava una furia. Non si è fermato neanche per meditare... >> osservò la Martinez.
<< E certo, Gloria! Sei scema tu, o quelle robe che fumi ti rendono talmente lessa da non accorgerti che tutte queste teorie servono a Rico solo da copertura per farsi di robe più pesanti? >> berciò l'una.
<< Non dirai sul serio... Io non ci ho proprio fatto caso... >> commentò l'altra.
<< Ha rubato i risparmi dei miei! E le sue braccia sono piene di buchi e segni rossi, cazzo! E poi nega, nega fino alla morte! Più evidente di così... >> continuò la prima.
<< Effettivamente incontra della gente, ma sono tutti nostri amici, pacifisti e amanti della natura... >> ricordò la seconda.
<< Sì, magari proprio delle piante... >> intervenne Valentin, comparendo dietro di loro.
<< Hai sentito tutto? >> gli domandò la sorella.
<< Bisogna seguirlo >> decise Martinez.
<< Dove pensi che possa essere andato? >> chiese Marta.
<< Ci sono delle buone probabilità che sia andato ai casermoni popolari, se non addirittura alla baraccopoli... >> decretò il giovane.
In altri tempi la Montenegro lo avrebbe accusato di essere pieno di pregiudizi, ma ormai quei tempi erano passati e comunque non era il momento di essere filantropi.

***

I luoghi comuni ci portarono sulla strada giusta: seguendo le istruzioni di Gloria, Valentin guidò con le due ragazze fino ai caseggiati popolari del quartiere di Ensanche Capotillo, l'ultima frontiera della decenza prima delle baraccopoli.
<< E questa sarebbe la gente che tu e Rico frequentate? >> domandò Valentin sconvolto, osservando quella fiumana di persone che si riversava per le strade della zona: la maggior parte di loro erano giovani, vestiti secondo la moda hippie, immersi nell'inutile tentativo del quartiete di imborghesirsi; sembravano dei poveracci con l'abito buono della domenica, portato più e più volte e che ormai comincia ad andare stretto.
<< Credo di aver riconosciuto qualcuno... >> comunicò Gloria, aprendo la portiera.
Valentin e Marta fecero lo stesso, stupiti dalla sua disinvoltura.
<< Alban! Teresa! >> esclamò la giovane Martinez, chiamando una coppia che passeggiava per la via principale. I due vennero nella sua direzione: erano vestiti come lei, portavano entrambi i capelli lunghi, avevano gli occhi iniettati di sangue e le pupille dilatate. Fatti fino al midollo.
<< Gloria! Che ci fai qui senza Rico? >> esordì la ragazza.
<< Siamo qui per parlare di lui... >> esordì Valentin, comparendo insieme a Marta accanto alla sorella.
<< Che volete sapere esattamente? Perché non si uniforma al vostro schifoso mondo borghese? >> li sfottè il ragazzo.
<< Alban, magari non vengono con cattive intenzioni... >> lo rimproverò Teresa.
<< Si droga. Non di quelle cazzate leggere che fumate voi. Parlo di roba seria, schizzata in endovena. Che intenzioni vi paiono, queste? >> spiegò Marta in tono spiccio.
Alban e Teresa si guardarono preoccupati, poi guardarono Gloria.
<< Marta e Valentin hanno ragione. È grave, temo seriamente per la sua vita... >> specificò la Martinez.
<< Allora vi tocca andare da Oliverio Rey detto Nerone. Abita all'ultimo piano di questo palazzo alle nostre spalle >> spiegò Alban.
<< Se volete vi accompagniamo noi... >> propose Teresa.
<< Magari, grazie... >> fece Marta.
La coppia si diresse verso il portone, e loro tre li seguirono a ruota.

***

Lo spettacolo che si presentò davanti agli occhi di Marta, Valentin e Gloria non appena misero piede nell'androne delle scale fu pietoso: l'aria puzzava di piscio, alcol e sudore; le pareti erano piene di frasi sconcie e disegni osceni, a volte anche macchie di sangue; buttati per terra c'erano siringhe e lacci emostatici, e la gente sembrava spuntare da ogni dove: se per strada era altissima la presenza di giovani, nei casermoni lo era quella dei bambini, segno che i residenti non avessero altra ricchezza che la prole.
<< Useremmo l'ascensore, se non fosse che è di nuovo inagibile... >> spiegò Teresa, esortando il resto del gruppo a farsi dieci piani a piedi.
Non c'erano differenze tra i vari pianerottoli: in tutti si affacciavano otto appartamenti, mediamente di una stanza o due, alcuni regolarmente affittati, altri occupati abusivamente; il concetto di proprietà era inesistente laggiù. Mettevano paura anche il portiere e la sua famiglia.
Man mano che si saliva i gradini erano sempre più dissestati, sporchi e alti, come se le rare volte che gli impiegati delle imprese di pulizie che venivano non avessero voglia di arrivare fin lassù; una volta arrivati al decimo piano, Teresa suonò il campanello del secondo portone. Ad aprirgli fu un uomo sulla quarantina, con i capelli lunghi e l'aria lessa: aveva l'aspetto classico di uno spacciatore.
<< Che volete? >> berciò, squadrando l'allegra combriccola.
<< Ci sono la ragazza di Rico, il cognato e la sorella. Vogliono parlare con te... >> rispose Teresa.
Oliviero Nerone Rey analizzò Marta, Valentin e Gloria come se fosse intenzionato a far loro le lastre; aveva venduto droghe di vario genere anche a gente in alto nella scala sociale, ma non capiva perché quell'ambasciata di damerini venisse a cercare non l'eroina, ma chi ne faceva uso.
<< Entrate >> li accolse sospettoso.

***

Attraversarono un ingresso stretto e buio, per poi sbucare in quello che doveva essere il "soggiorno": uno stanzone con un tavolo rotondo al centro, pochi mobili e le pareti sbeccate; una grande finestra illuminava l'ambiente in modo accecante data l'altezza, mettendone impietosamente in risalto i difetti.
<< Rico Montenegro non si trova qui, se proprio volete saperlo >> esordì scostante l'uomo.
<< Vabbè, grazie che non è qui. Mio fratello è fatto ma furbo. Magari non lo sapeva con certezza, ma poteva immaginarlo che lo avremmo cercato qui >> ribatté Marta.
<< La mammina bacchettona, è così che Rico ti chiama. Lo sapevi? "Fa tanto la moralista e poi ha sempre fatto il cazzo che le pare per prima!". È questo che dice di te... E forse non ha mica tutti i torti... >> cominciò Nerone, tentando goffamente di risultare simpatico. Ma i suoi interlocutori non si fecero incantare.
<< Ascoltami bene. Voglio sapere se sei tu che vendi la droga a mio fratello, altrimenti non me ne vado di qui. Immagino che tu sia armato. Sparami, se vuoi. Spara un po' a tutti, così non ci saranno testimoni di questa conversazione. Ma dimmi se sei tu che vendi la droga a Rico. Solo quello voglio sapere >> lo sfidò la Montenegro.
Valentin, Gloria, Alban e Teresa sentirono i rispettivi cuori schizzare fuori dai petti: quella scrocchiazzeppi di Marta si era messa a discutere con un uomo pericoloso che poteva farla secca da un momento all'altro.
Ma a dispetto dei loro timori, i lineamenti di Nerone si distesero.
<< Sì, gliela vendo io. Ma gliel'ho detto milioni di volte che non è roba che fa per lui. Non ha il fisico. Ma d'altronde è un cliente, e io non posso andare contro i miei interessi... >> replicò tranquillo.
<< Ma vaffanculo, va'! >> berciò Marta, voltandogli le spalle e dirigendosi verso l'uscita.
Gli altri tre le corsero dietro per tutte le scale fino al portone.
<< E adesso che volete fare? >> domandò Teresa.
<< Andare a parlare con Rico. Convincerlo che sta buttando al cesso la sua vita >> ribatté Marta.
La sua affermazione non faceva una piega.

***

Quando tornarono alla villa, quello che trovarono fu peggio del contesto sociale di Ensanche Capotillo: Emilia , Aurora e sua sorella Silvia, Julian e tutta la famiglia Montenegro correvano loro incontro, gridando aiuto.
<< Ma cosa succede? >> domandò Valentin.
<< Rico è in overdose! >> esclamò disperata Silvia Navarro.
<< Cosa ne sarà di lui? >> domandò sconsolati i gemelli Josè e Joaquin, fratelli gemelli minori di Rico e Marta.
<< Ma che vi allarmate qui in mezzo al giardino? Chiamate un'ambulanza! >> li incitò la Montenegro, correndo incontro al fratello insieme a Gloria.
Rico era riverso a terra, il laccio emostatico che gli bloccava il sangue, la siringa sbilenca conficcata nel braccio; era pallido e aveva le labbra blu. Se non fossero intervenuti in tempo, probabilmente sarebbe morto. Valentin aveva chiamato l'ambulanza.
<< Rico! >> gridò Marta, tentando di scuoterlo.
<< Rico, amore mio, resisti! Sta arrivando l'ambulanza, ti rimetteranno in sesto... >> lo esortava Gloria.
Entrambe lo strattonavano, lo stringevano, lo chiamavano a ripetizione senza risposta, mentre tutto intorno a loro era panico e confusione.
La mia amica di sempre non ci capì più niente, si avvinghiò al fratello come una pianta rampicante, come se non volesse staccarsi da lui; invano una marea di braccia riuscì a scollarla dal corpo ormai inerme di Rico, quel ragazzo che ho amato con tutta me stessa e che avrei potuto salvare se fosse rimasto con me, così come avrebbe fatto lui impedendomi di partire per l'Amazzonia e di morire laggiù.
<< Signora Martinez... >> la chiamò un medico dell'ambulanza.
Marta non distingueva più realtà e finzione; pensò che quella figura fosse il frutto della sua mente.
<< Suo fratello è morto >> seguitò. A quelle parole la Montenegro vide tutto buio, poi più nulla.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top