Capitolo 2
Le giovani donne dei ceti popolari emergenti crescono con un mantra che ripetono loro le madri e che tengono a mente per tutta la vita, ripetendolo a loro volta anche alle figlie che avranno: I ricchi sono polli da spennare, più penne hanno e meglio è. Con questo pensiero ci preparavamo al nostro "debutto in società", tra le mille raccomandazioni delle nostre famiglie e le lamentele dell'ultimo minuto sui nostri vestiti e le nostre pettinature.
Cercammo di entrare dalla porta del salone tutte insieme, senza che nessuna si ritrovasse davanti alle altre, anche se Emilia e Aurora avevano esattamente quell'intenzione; ci stampammo in faccia i migliori sorrisi, anche se in fondo al mio cuore volevo scappare.
<< Non ci sta guardando nessuno, è come se fossimo invisibili... >> si lamentò Aurora.
<< O forse è meglio così, magari se ci guardassero troppo è perché pensano che siamo quattro poveracce e qui non c'entriamo niente... >> commentò Marta.
<< Ma perché devi necessariamente sputare sulla fortuna che ci è capitata stasera? >> protestò la Navarro.
<< Buone, ragazze... >> tentai di calmarle. Già non eravamo nel nostro ambiente, ci mancava solo che ci facessimo riconoscere.
<< Ma dov'è Mauricio? >> domandò Emilia, guardandosi intorno alla ricerca del festeggiato.
Lo trovò circondato da uno stuolo di amici storici e di corteggiatrici letteralmente assatanate.
<< Mi sa che il tuo principe azzurro non ti distinguerà facilmente da un mobile di questo salone, stasera... >> la prese in giro Marta.
<< Grazie dell'incoraggiamento... >> ribatté delusa la Fernandez.
<< Perché non ci avviciniamo al buffet, piuttosto? Mi pare la cosa più interessante di questa festa... >> tagliò corto la Montenegro, indicando il tavolo lungo e rettangolare, decorato con una tovaglia bianca ricamata e pieno di pietanze che avevamo visto cucinare dalla madre di Emilia esclusivamente per i Martinez e i loro ospiti, ma che non ci era mai stato permesso di assaggiare.
Si diresse verso quella direzione senza chiedersi se avessimo intenzione di seguirla.
***
C'era un tale bendidio, sopra quel tavolo, che Marta non seppe da dove cominciare; per la prima volta, la più sfrontata delle mie amiche aveva una sorta di timore reverenziale.
<< Dovresti provare le ostriche e il caviale. Lo so che è il cliché del cibo da ricchi, ma se è venuto a crearsi ci sarà un motivo, o no? >> fece una voce maschile alle sue spalle. La Montenegro si girò di scatto: era Valentin.
In fondo al suo cuore, l'aveva sempre trovato un bel ragazzo, anche se in maniera meno manifesta rispetto ad Aurora; quella sera però, con lo smoking e il farfallino, sembrava un divo del cinema.
<< Non mi piacciono i cliché >> rispose lei, sorridendo in segno di sfida.
<< Ne stai appena mettendo in atto uno >> replicò lui, sorridendo a sua volta e accettando la sfida di Marta.
<< E quale sarebbe? >> domandò allora la Montenegro.
<< Di non sentirti degna di un cibo del genere, e decidere perciò che ti fa schifo. Come direbbe Esopo: "La volpe non riusciva ad arrivare all'uva e perciò dopo un po' lasciò stare decretando che era acerba" >> motteggiò Martinez.
<< E allora sai che ti dico? Che questo tizio non mi conosce, e per questo non mi può giudicare. Così nemmeno tu. Ti faccio vedere io se non sono degna... >> rimbeccò la mia amica di sempre, prendendo un'ostrica e succhiandone il contenuto mentre guardava il suo interlocutore dritto negli occhi, sperando di vedere accendersi una scintilla all'interno delle sue pupille, la stessa che si era accesa negli occhi di lei. La trovò.
<< Mi piace questa musica. Balliamo? >> propose il fratello minore del festeggiato, appena sentì le note di un valzer.
<< Non so ballare il valzer... >> si schermì Marta, perdendo di nuovo parte della sua sfacciataggine.
<< Non importa che tu sappia ballare, ma che ti lasci guidare da me... >> disse Valentin, prendendole la mano libera dal guscio dell'ostrica. Marta posò il pregiato frutto di mare e lo seguì, le iridi marroni degli occhi già incastonate in quelle azzurrissime di lui. Gli mise la mano sulla spalla, lui la prese in vita. Dopodiché, sembrarono esistere solo loro due in quella sala. Loro e la musica.
***
Quando Marta e Valentin arrivarono al sesto ballo consecutivo, con grande disappunto di Aurora, Mauricio si avvicinò ad Emilia.
<< Posso avere l'onore di ballare con la ragazza più bella della sala? >> disse, porgendole la mano con fare galante.
La Fernandez per poco non svenne in braccio a me e ad Aurora.
<< M...Mauricio... D...dici davvero? >> balbettò, diventando paonazza.
<< Ne vedi altre con la tua stessa classe ed eleganza? Senza offesa... >> commentò Martinez, rivolgendosi prima ad Emilia, poi a noi.
<< Io... Accetto con piacere! >> esclamò quest'ultima, sfoggiando il migliore dei sorrisi e seguendolo al centro della pista.
<< E a noi chi ci pensa, Luna? Andrà a finire che faremo da tappezzeria... >> sbuffò Aurora, mettendo il broncio. Ma non era rivolto ad Emilia, bensì a Marta: la Montenegro sapeva benissimo che la Navarro amava disperatamente Valentin, eppure invece di indirizzarlo a lei se l'era preso al punto da ballare con lui per sei volte.
Ci avvicinammo al tavolo del buffet, Aurora prese un bicchiere di champagne e lo tracannò, lanciando sguardi inceneritori alla coppia.
***
Alla fine Valentin ballò anche con Aurora, ma solo per due volte, contro le otto in cui divise la pista con Marta.
A quest'ultima, però, questo primato non montava la testa, mentre Aurora non faceva che rinfacciarglielo.
<< Valentin ha sicuramente bevuto troppo, gli ho sentito l'alito. Giusto ubriaco doveva essere, per ballare così tante volte con te! >> commentò infastidita da quello che considerava un affronto. Eravamo uscite in giardino per prendere una boccata d'aria: l'atmosfera frizzante di quella serata era come lo champagne, entusiasmante sulle prime, ma dopo un po' dava alla testa.
<< Non capisco perché te ne fai un problema. Abbiamo ballato insieme, mica ci siamo fidanzati ufficialmente! >> replicò la Montenegro.
<< Magari bastasse tanto poco per passare tutta la vita insieme! >> sospirò Emilia, ripensando ai giri di valzer col suo Mauricio.
<< Infatti, magari... >> concordò la Navarro.
A un certo punto la mia attenzione fu colpita da un movimento dietro i cespugli, che mi mise in allarme.
<< Avete visto anche voi? >> chiesi trasalendo.
<< Visto cosa? >> fece Marta.
Ce ne fu subito un altro.
<< Sarà un ladro... Bisogna chiamare aiuto... >> si allarmò Emilia, ma mentre stava per mettersi a gridare, la figura misteriosa emerse tra le foglie.
<< Vengo in pace, lo giuro! >> dichiarò quello che riconoscemmo immediatamente come Julian, il ragazzo del mercato.
<< Che cazzo ci fai qui? >> berciò Marta, sulla difensiva.
<< Sono venuto per rinnovarvi il mio invito >> rispose il giovane.
<< Come hai fatto a capire dove viviamo? >> chiese Aurora.
<< Tutti conoscono Villa Martinez, a Santo Domingo e dintorni >> puntualizzò Julian.
<< E immagino che tu provenga da questi dintorni... >> lo sfidò la Montenegro.
<< Immagini male... Se mi seguirai, ti dimostrerò che sono diventato cittadino esattamente come te... >> ribatté il magazziniere.
<< Marta, rientriamo... >> la pregò Emilia.
<< Mi ha sfidato e riempito di curiosità. Voglio proprio vedere questa festa... >> dichiarò Marta.
<< Ma l'hai visto? È un granjero, uno di quelli che hanno lasciato le campagne e che adesso vivono nelle baracche fuori città... >> insistette la Fernandez.
<< Ha ragione Emilia. Andiamo via, altrimenti ci ficchiamo dentro a un guaio di quelli grossi... >> le diede manforte la Navarro.
<< Come se davvero non aveste voglia di venire... >> le sfottè il giovane.
<< Pensi che siamo un gruppo di fifone? >> saltò su Marta.
<< Assolutamente >> affermò Julian.
<< Perfetto. Allora andiamo, così ti dimostreremo il contrario... >> decise la Montenegro, in un tono che non ammetteva repliche.
<< Ma... >> tentai di farla ragionare. Ero l'unica che solitamente ascoltava. Avevo un influsso mitigatore su di lei. Ma quella volta non ebbe nessuna intenzione di darmi retta.
<< C'è talmente tanta gente alla festa che non si accorgeranno mai della nostra scomparsa. Cercheremo di tornare prima che anche l'ultimo degli invitati se ne sia andato, per non destare sospetti >> ci rassicurò ulteriormente.
A quel punto abbandonammo ogni remora e seguimmo lei e Julian oltre la siepe.
***
Mi sembrò di non aver mai camminato così tanto in vita mia: avevo sentito dire da mia madre e dalla signora Navarro - e a quelle parole storcevano le bocche con disprezzo - che le baraccopoli dei contadini emigrati in città si trovassero all'estrema periferia di Santo Domingo, ma non immaginavo fino a quel punto; correndo appresso a Julian, superammo le zone residenziali, i quartieri della borghesia e perfino gli immensi complessi abitativi dove si ammassavano le classi lavoratrici, che a noi, sebbene le nostre famiglie vi appartenessero, essendo nate e cresciute in una villa principesca, sembravano l'ultima frontiera del vivere. Dopo c'era la campagna, almeno finché era durato il regime di Trujllo; ma da quando era morto, vagonate di gente si erano spostate da quei luoghi sperduti e poverissimi per cercare un futuro migliore nella grande città: ma gli alloggi erano troppo pochi in proporzione a queste masse di disperati, per cui avevano fatto ricorso ai mattoni crudi, al legno, alla lamiera, addirittura al container per erigere, oltre i casermoni di edilizia popolare, interi quartieri fatti di baracche; chi viveva - o meglio sopravviveva - laggiù non aveva i servizi igienici, non aveva un telefono, non aveva un indirizzo, non aveva niente di niente.
Volevo tornare indietro, ma non osavo proferire parola perché ormai le mie amiche erano catalizzate da quel posto, specialmente Marta, attratta da un ritmo musicale nuovo, sconosciuto, di cui Julian sapeva perfettamente la provenienza.
C'era uno spiazzo, tra due baracche, dove si stava svolgendo la festa di cui parlava il ragazzo: lampade ad olio e torce - non c'era la luce elettrica - illuminavano sia gli spettatori, sia i ballerini, sia i musicisti; questi ultimi suonavano strumenti improbabili, come ciotole e cucchiai di legno.
<< Mamà, ho portato delle amiche! >> esordì Julian, raggiungendo una signora sulla cinquantina, col volto indurito dalla fatica, ma che rivelava comunque un'espressione materna.
<< Buonasera, signorine. Mi chiamo Claudia Delgado. Spero che mio figlio non sia stato troppo insistente... >> si presentò.
<< No, non è stato insistente. È solo spuntato tra i cespugli. Per fortuna che siamo ragazze curiose e l'abbiamo seguito... >> rispose Marta, con il suo solito fare sfrontato.
<< Visto che mi hai dato dell'insistente, insisto affinché balliamo! >> decretò divertito il giovane Delgado.
La Montenegro accettò, ma si accorse immediatamente della differenza tra la presa dell'ex contadino e quella di Valentin, con cui aveva ballato poche ore prima: mentre quest'ultimo l'aveva condotta con grazia e delicatezza, Julian si era avvinghiato a lei come se non intendesse lasciarla andare, e Marta fu seriamente tentata di mollargli un ceffone lì, davanti a tutti.
Era un ritmo strano, quello che accompagnava i loro passi, qualcosa che né io né le altre avevamo mai sentito; a partire da qualche decennio prima che noi nascessimo si erano affermati, tra gli stati caraibici, diversi generi di danza, soprattutto di origini umili, come la salsa, la rumba e il merengue; nel tempo questi si erano tutti affermati, anche tra le classi medie; le bachatas - come Julian e i suoi familiari chiamavano questa tipologia di feste - prevedevano una danza strutturata su otto tempi scadenzati, con la coppia di ballerini stretti l'uno all'altra che marcava il quarto e l'ottavo tempo con un provocatorio movimento d'anca. Una cosa scandalosa per noi, che l'unico approccio che avevamo al sesso era stato tramite le spiegazioni delle nostre madri, e sempre ai fini matrimoniali.
Quella sera non riuscii bene a capire dove finiva lei e cominciava lui, o dove finiva lui e cominciava lei.
Sembravano uniti in una cosa sola.
Venimmo riaccompagnate a casa da Julian esattamente come ci aveva condotte fin laggiù, ma fortunatamente nessuno si era accorto della nostra assenza.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top