Capitolo 11
La prima lettera di Marta dall'Europa ci arrivò all'inizio di ottobre; era stata scritta dalla nostra amica quando lei ed Eugenio si erano fermati a Parigi nel loro tour delle capitali durante il viaggio di nozze:
Parigi, 25 settembre 1962
Carissime Luna, Emilia ed Aurora,
vi scrivo dalla Ville Lumiere, l'ultima tappa del viaggio di nozze prima di stabilirci definitivamente a Madrid.
In queste settimane ho avuto modo di osservare l'Europa e capire se corrispondeva alle aspettative che ci eravamo fatte negli anni.
Un particolare che mi ha stupita e che ancora mi stupisce è l'importanza che la gente dà, nel Vecchio Continente, alla provenienza familiare di ciascuno; spesso e volentieri sento parlare di sangue blu, di censo, di antichità della stirpe, di quarti di nobiltà: tutte cose che nella nostra America sono sconosciute. In questo senso, da questa parte dell'oceano ci hanno sempre ammirati: dicono infatti che il Nuovo Mondo è la terra delle opportunità, dove ogni uomo e ogni donna può diventare re o regina non grazie ai propri titoli, ma grazie al frutto del proprio lavoro; dove una squattrinata coppia di migranti madrileni tira su dal nulla un impero industriale; dove una famiglia di minatori irlandesi, poveri quanto il primo Martinez o anche di più, i Kennedy, hanno dato il via ad una discendenza presidenziale che è l'equivalente di una stirpe reale.
Hanno una grandissima ammirazione nei nostri confronti, al limite dell'emulazione, tanto che desiderano dare vita agli Stati Uniti d'Europa: ma i paesi nordici sono troppo diversi da quelli mediterranei, le nazioni dell'est da quelle dell'ovest; parlano lingue differenti, e non solo a livello di idioma, ma anche di mentalità: hanno tutti tanta storia ciascuno, e la quantità di storia dell'uno sommata a quella dell'altro e di quello dopo ancora, fino all'ultimo entrato nella Comunità Economica Europea - come sognavano i padri fondatori nel loro confino all'isola di Ventotene - in piena guerra, creerebbe una mole ingestibile, una quantità di bagagli di cui noi abbiamo sempre fatto a meno, viaggiando leggeri e prendendo così in mano le redini del mondo.
Eugenio dice che a chi è nato in Europa come lui, nel venire in visita oltreoceano manca sempre mezza storia, come se ci si dimenticasse gran parte dei bagagli a casa, o in aeroporto, e si dovesse viaggiare con ciò che si è riusciti a tenere.
Non penso che riuscirò mai a capire questo suo punto di vista, ma d'altra parte non ci siamo sposati per comprenderci.
Ad ogni modo vi saluto, sperando di avere presto vostre notizie. Sempre vostra,
Marta.
La lettera era stata scritta dieci giorni dopo il matrimonio, e quell'unione già trasudava senso di vuoto e infelicità: sperammo che le nostre future vite coniugali fossero un po' meglio della sua.
***
Quelle missive ci aiutavano a non fare troppo caso all'atmosfera che regnava alla villa e che diventava sempre più tesa: lo era già da giugno, ma da dopo l'embargo degli Stati Uniti nei confronti di Cuba gli eventi stavano precipitando; a partire da prima dell'arrivo di Eugenio a Santo Domingo, infatti, i redditi d'esercizio delle industrie dei Martinez avevano cominciato ad essere in perdita, e il signor Eduardo si stava ingegnando come poteva per evitare di dichiarare il fallimento.
In un altro contesto avremmo detto che non erano le scelte della terra di Castro ad influenzarci negativamente, ma nei momenti più drammatici i Caraibi venivano percepiti come un blocco unitario, e se starnutivano a Cuba, nell'arco di due giorni lo sapevano alle Bahamas, in Martinica, a Puerto Rico e da noi.
Ma la cosa più inquietante che potei notare fu che la mia famiglia, ma anche i Fernandez, i Montenegro e i Navarro cominciarono a rimpiangere l'odiato Trujllo: so bene che la nostalgia del "si stava meglio quando si stava peggio" è sempre esistita, ma se fosse continuata così la faccenda, avremmo rischiato di cadere nella trappola in cui era caduta l'Europa occidentale all'inizio degli Anni Venti, quando l'eventuale minaccia del comunismo aveva fatto spostare l'asse politico a destra, portando diversi Paesi nelle spire dei regimi totalitari, che scelsero una falsa sicurezza ad un salto nel buio sincero, anche se ormai lontano dall'altissimo disegno che l'aveva mosso.
La generazione dei nostri genitori temeva che la mobilità sociale sognata con la fine della dittatura fomentasse gli haitiani e i granjeros, inducendoli ad attuare anche in terra dominicana una Rivoluzione Rossa che avrebbe fatto a pezzi la società civile: ma quando l'ignoranza politica dilaga si arriva a credere a tutto, anche alla leggenda per cui i comunisti mangiassero i bambini.
***
Ma fu il 16 ottobre del 1962 che il mondo tremò: un accordo segreto stipulato a luglio tra il leader russo Nikita Kruschkev e Fidel Castro aveva rivelato al mondo intero l'esistenza di una base missilistica a Cuba, e l'abbattimento di un aereo statunitense aveva quasi portato allo scoppio di una Terza Guerra Mondiale, sventato da un'intensa trattativa tra Kruschkev e il presidente Kennedy, che si concluse il 28 ottobre con la fine della crisi dei missili.
In quei giorni notai che la signora Juana aveva un comportamento strano: passava in cucina più tempo del dovuto, perfino di notte, a cucinare chissà cosa; iniziai a pensare che non avesse smesso di temere un nuovo conflitto e che stesse preparando scorte di cibo per tutti noi.
Un'altra cosa che mi saltò all'occhio furono le visite dei Marquez alla villa, che divenivano col tempo sempre più rare, fino a scomparire.
Aurora venne a spiegare a me ed Emilia il perché: sua madre aveva assistito ad una discussione tra la signora Ines e Daniela Marquez sul futuro insieme dei loro figli.
<< È inutile che insisti, Ines: non posso far sposare Liliana ad un ragazzo con un avvenire così incerto! >> aveva decretato l'amica di famiglia.
A quella notizia, Emilia sentì il cuore dividersi in due: da una parte temeva per la sua famiglia e per tutti i dipendenti della villa, nell'eventualità di un licenziamento di massa; dall'altra parte, tuttavia, Aurora non poteva darle notizia più bella della rottura del fidanzamento tra il suo Mauricio e quell'oca di Liliana.
***
L'inarrestabile declino dei Martinez del ramo americano doveva essere giunto fino alle orecchie di Marta a Madrid, visto che una mattina di inizio novembre Aurora e io trovammo sul tavolo della cucina due lettere a nostro nome provenienti dall'Hotel Ritz.
<< Ma sono davvero per noi? >> domandai timidamente a mia madre, che era lì presente insieme alla signora Navarro, entrambe in trepidante attesa.
<< Conoscete altre Luna Cervantes o Aurora Navarro? >> mi delucidò.
<< Che aspettiamo, Luna. Apriamole! >> esclamò Aurora, estraendo frettolosamente la missiva dalla busta. La imitai più cautamente.
La Navarro lesse ad alta voce il contenuto della sua lettera, che poi era uguale a quello della mia: eravamo appena state assunte come cameriere all'Hotel Ritz, con possibilità di un avanzamento di carriera se ce lo fossimo meritato.
<< Ma... è incredibile! Come mai noi però? Chi ha fatto i nostri nomi? >> domandò Aurora.
<< Credo che sia stata la vostra amica al di là dell'oceano. E dovete ringraziarla: di questi tempi non si può rifiutare niente... >> commentò la guardarobiera.
Le lettere di assunzione dicevano che avremmo dovuto prendere servizio a partire dall'indomani: Aurora e io ci saremmo dovute svegliare all'alba per cominciare a lavorare alle otto del mattino, ma in cuor nostro sapevamo che quella notte non avremmo chiuso occhio per l'emozione.
***
Ci presentammo all'albergo alle sette, un'ora prima di prendere servizio: dovevamo incontrare Ursula Chávez, la capocameriera.
Era una donna robusta, con capelli corvini e occhi neri a mandorla a cui non sfuggiva nulla: pensammo che una così non avrebbe ammesso errori da noi.
Ci diede le divise da indossare e l'elenco delle mansioni che avremmo dovuto svolgere, nonché l'orario della pausa pranzo: rifacemmo le camere e pulimmo i pavimenti dalle otto alle tredici; all'ora di pranzo eravamo distrutte: Ursula ci accompagnò nelle cucine dell'hotel, dove stavano arrivando tutti gli altri dipendenti; pensai che dovesse ritenerci due mammolette, appena arrivate e poco avvezze al mondo del lavoro.
A fine giornata ci facevano male tutte le ossa; a malapena trovammo le energie per raccontare alle nostre famiglie e ad Emilia come fosse andata la giornata.
Quella sera crollammo direttamente in un sonno profondo.
***
Lavoravamo dal lunedì alla domenica, ma avevamo diritto alla malattia e alle ferie; e poi fortunatamente non tutti i periodi dell'anno erano ad alta densità turistica: l'idea che presto avremmo visto la nostra prima busta paga ci rendeva leggero anche il più pesante dei lavori.
Aurora aveva deciso di sfruttare il proprio nuovo impiego per farsi bella agli occhi di Valentin: era sicura che, adesso che lei si guadagnava da vivere da sola, magari non l'avrebbe guardata più come una bambina capricciosa ma come una donna matura e consapevole; non immaginava che lei fosse l'ultimo pensiero nella testa del giovane Martinez in quel momento: infatti, da quando Marta se n'era andata a vivere a Madrid con Eugenio, era come morto dentro; in più la situazione finanziaria familiare non li aiutava: mia madre mi raccontò che aveva sentito discutere il ragazzo e suo padre, il quale non era assolutamente d'accordo con la proposta del figlio di lasciare l'università per andare a lavorare.
Ma Aurora non demordeva: anche se il mondo che conoscevamo fosse andato in pezzi, era determinata a fare breccia nel suo cuore.
<< Valentin! Valentin, aspetta! >> gli gridò dietro una mattina. Non era ancora finito il periodo di permesso speciale che si era preso per fare quella terribile proposta al padre, subito rifiutata.
<< Aurora... Scusa, ma non ho tempo di fermarmi a parlare. Mio padre vuole che io torni alla Pontificia Universidad Madre y Maestra >> cercò di congedarsi lui.
<< Sì, ho sentito cosa vuoi fare. Non sono pettegola, è che le voci corrono... >> commentò lei.
<< Anche troppo >> sbuffò l'uno.
<< Comunque ha ragione tuo padre. Non è giusto che lasci l'università >> sentenziò la Navarro.
<< Ma tu che ne sai di come mi sento io? Che ne sapete tutti? Una persona mi capiva, l'unica, e se n'è andata dall'altra parte dell'oceano! >> sbottò Martinez, riferendosi a Marta. Quel riferimento fu per lei come una doccia fredda.
Dopodiché girò i tacchi e se ne andò senza nemmeno salutarla: in quell'istante Aurora si mise in testa che dovesse scacciare Valentin dai suoi pensieri.
***
Andò a lamentarsi con Emilia, da sempre sua confidente, dopo il lavoro: mancava poco all'ora di cena e aspettò di restare sola con lei; sapeva bene che ero la migliore amica di Marta, e che se avesse detto qualunque cosa su di lei l'avrei difesa.
Ero andata in lavanderia a portare dei panni sporchi, perciò si prese tutto il tempo per esporre le sue questioni di cuore alla Fernandez al fine di ricevere un suo saggio consiglio.
<< Mi ha sbattuto in faccia il fatto che ha in testa solo Marta e non la dimenticherà mai! Ma lei è a Madrid, Emilia. Lei è a Madrid e io sono qui! >> si sfogò.
<< Appunto, Aurora. Ti sei risposta da sola: tu sei qui. Ci vuole solo del tempo. Lo sai cosa dice Doña Eusebia sugli uomini... >> le ricordò la Fernandez.
<< Che sono come i polli arrosto e non devono cuocere né troppo perché si bruciano, né troppo poco perché altrimenti rimangono crudi? >> citò la Navarro.
<< Esatto. Anch'io sto esercitando la strategia della pazienza con Mauricio. Vedrai, devi solo attendere e intanto sfoderare tutte le astuzie femminili di cui disponi, così vedrai che Valentin cadrà ai tuoi pied... Oddio! >> rispose Emilia, ma si interruppe trasalendo ad un rumore assordante, terribile, a cui seguirono delle urla strazianti.
<< Cos'è stato? >> sussultò Aurora.
<< Non lo so, sembrava una schioppettata... >> ipotizzò l'una.
<< Sento delle urla... Dei passi... Emilia, dobbiamo andare a vedere, qui mi sa che è successo qualcosa di grosso! >> commentò l'altra, avvicinandosi alla porta per aprirla.
Ma io la precedetti. Venivo dalla cucina, ero trafelata.
<< Luna! >> esclamò Aurora.
<< Ragazze, mio Dio... Non riesco neanche a dirlo... Il signor Eduardo... >> cincischiai in stato di shock. Ciò che avevo sentito era talmente abominevole che non riuscivo a proferire parola.
<< Il signor Eduardo cosa? >> intervenne Emilia, guardandomi in maniera incoraggiante.
<< Il signor Eduardo si è sparato alla tempia. Lo ha trovato la signora Beatriz nel suo studio, riverso sulla sua scrivania in una pozza di sangue >> confessai, le parole che mi uscivano fuori dalla bocca come massi.
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