CAPITOLO 12
~NATHAN~
Ciò che farò qui avrà almeno il merito di non rassomigliare a nulla, perché sarà l’impressione di ciò che avrò sentito, soltanto io.
CLAUDE MONET
Trovarmi alla festa di compleanno di Federico non è una delle mie passioni, ma dal momento che Luke doveva essere presente per suo cugino, non ho potuto tirarmi indietro.
Fuori dal locale, tra la folla che mi circonda, diversi ragazzini bevono gin&tonic come se fosse la cosa più buona al mondo. Infiniti profumi si mescolano tra loro, e la musica latina rimbomba in sottofondo.
È una festa per fottuti ragazzini, e io non c’entro un cazzo.
Mentre Luke si intrattiene con diverse ragazze, che gli si sono accalcate attorno come se avesse la storia del secolo da raccontare, il rumore delle marmitte che scoppiettano si fa strada tra la musica. Mi volto, come tutti gli altri.
Federico sta arrivando sulla sua nuova auto sportiva, proprio come si addice a un bambino che vuole fare l’adulto.
Ghignando, mi volto verso il mio migliore amico, «Siete di famiglia così esibizionisti, vero?»
Luke mi osserva con un sopracciglio alzato. «Parli proprio tu, amico?»
Sorrido alzando il sopracciglio, volto verso la folla e mi avvio verso l’ingresso, ho bisogno di un bicchiere di whisky per affrontare questa merdosa serata del cazzo.
Varcata la soglia, mi accolgono un’esplosione di luci colorate e la musica assordante. L’interno è un caleidoscopio di colori, con faretti che si muovono al ritmo della musica e creano un’atmosfera elettrizzante. Le luci al neon che lampeggiano in modo intermittente si riflettono sulle pareti e per un attimo strizzo gli occhi per abituarli al buio.
I bassi pulsano più forte, man mano che mi faccio largo verso il bancone, un ritmo che sembra penetrare attraverso il pavimento e risuonare direttamente nel petto.
Luke mi richiama: «Nate?»
«Ho bisogno di bere», taglio corto, ma il sorriso sbilenco del mio amico mi fa aggrottare la fronte. Nessuno conosce Luke meglio di me, e se c’è una cosa che so per certo, è che quando si comporta come se avesse un asso nella manica, vuol dire che ce l’ha davvero.
Con un gesto muto lo esorto a parlare, ma lui alza le sopracciglia, continuando a ghignare.
«Dunque? Luke?», sibilo fra i denti, in attesa che Luke esponga la sua prossima cazzata.
«Sono indeciso se lasciartelo scoprire da solo», ghigna. «Anzi è proprio quello che farò».
Il profumo dei cocktail e il fumo delle macchine da nebbia si mescolano nell’aria, creando un mix ipnotico. Diversi ragazzi si dirigono verso il bar, le ragazze si radunano in pista, che si riempie piano piano, sfoggiando i loro abiti scintillanti e tacchi vertiginosi.
Un mare di persone inizia a muoversi a ritmo con la musica. Federico è impegnato a fare gli onori di casa col solito sorriso carismatico del cazzo.
Sospiro, stringendo la mascella, e raggiungo il bancone dove intercetto immediatamente il bartender. «Un bicchiere di McCallan».
Il barista mi osserva in silenzio e sbatte le ciglia confuso. «Non ce l’abbiamo, signore», risponde con le spalle ricurve.
Gli rivolgo un’occhiataccia, stringendo la mascella. «Ovvio che non l’avete. Allora, dammi il whisky migliore che hai».
Lui riempie un tmbler e lo deposita sul bancone. Lo prendo e mi dirigo verso un angolo meno affollato per osservare la scena con calma e, soprattutto, per stare alla larga dalla gente.
Improvvisamente, Anna appare tra la folla. Strizzo gli occhi un paio di volte, mentre abbasso il bicchiere che stavo sorseggiando.
“Come ho fatto a non notarla prima?”
È impossibile non notarla vestita in quel modo: indossa un abito bordeaux che le abbraccia le curve in modo perfetto. I capelli sono sciolti in grandi boccoli e spostati su una spalla in un’acconciatura sofisticata, i suoi occhi brillano sotto le luci intermittenti.
“Dèi… che visione”.
Non avrei mai immaginato che questa mocciosa vestita in questo modo potesse essere così affascinante; un leggero nodo mi stringe lo stomaco.
L’ultima volta che ci siamo visti, ci siamo parlati in modo spiacevole. Decido di spostarmi dall’angolino buio per andarle incontro, ma Anna non è sola. Oltre alle amiche, con lei c’è Federico, che la sta praticamente trascinando verso la pista. Aggrotto la fronte e stringo forte la mascella, con un moto di rabbia che mi monta nel petto.
Gli occhi azzurri di Luke mi mettono a fuoco, curiosi di vedere ogni mia minima espressione. Devo mantenere la calma. Con un respiro profondo, mi allontano un po’ dalla scena, diretto di nuovo verso il bar. Ordino un altro whisky, cercando di distrarmi con una conversazione con il barista. Conversazione che sfugge, perché le mie attenzioni si spostano rapidamente in pista.
Il festeggiato e la ragazza che è la mia preda sono persi in un abbraccio che sembra escludere il resto del mondo, mentre ballano appiccicati l’un l’altra.
I loro sguardi si incrociano e si perdono in un’intimità che sembra essere solo loro e di nessun altro. Per un attimo, il tempo sembra fermarsi. Strabuzzo gli occhi e il respiro mi viene meno, un moto irrefrenabile di ira pura mi si accende nel petto e stringo forte le mani a pugno.
Tutto il resto – la musica, le luci, le persone – diventa solo un sottofondo sfuocato senza alcuna importanza, ogni fibra di me mi ordina di andare là e spaccare la faccia di Federico per rammentargli che lei è la mia preda e che lui ha sconfinato nel mio territorio.
«Cerca di mantenere la calma», Luke mi si siede accanto, sospirando. «Non vorrai rovinare la serata di Federico, e di certo non vuoi che Anna ti veda per cosa sei realmente», mi guarda negli occhi con un cipiglio serio.
“Se quella ragazzina vedesse anche solo la punta dell’iceberg della mia violenza se la darebbe a gambe e addio scommessa del cazzo…”
Con un respiro profondo, sogghigno, cercando di scacciare via il moto d’ira.
Mi volto verso Luke, e a denti stretti ringhio: «Tuo cugino non avrà una vita lunga se continua a ficcare il naso su ciò che mi appartiene!»
«Federico può fare quello che vuole, Nathan!» si alza, altrettanto serio. «Sta a te la mossa ora. Ti basta solo essere…» finge di pensare alle parole e sogghigna. «…carino. O dolce. Decidi tu quale delle due».
Si prende gioco di me, allontanandosi con fare teatrale.
Volto di nuovo lo sguardo verso Anna e Federico, ed è come se i miei piedi si fossero incollati al pavimento. Federico e Anna sono ancora avvolti in un abbraccio che sembra escludere ancora il resto del mondo e io non riesco a distogliere lo sguardo da loro.
Ogni fibra del mio essere urla che quella scena non è giusta, che Anna non deve essere lì con Federico. Lei sarà mia. Mi sento tradito dal fatto che sia con Federico, anche se non c’è alcun motivo razionale per provare tale emozione.
«Questo è il mio ultimo avvertimento, Luke!»
Ma mentre lo dico, i due si baciano. La mia preda sta baciando quel coglione di Federico. Abbandonata tra le sue braccia, lei lo bacia a occhi chiusi.
All’improvviso, la musica si spegne, come se fosse un segno inequivocabile della mia ira, lasciando un silenzio assordante che sembra amplificare ogni emozione nella sala.
Cerco con gli occhi il mio migliore amico, sperando di capire cosa stia succedendo, il suo viso è teso e preoccupato. Qualcosa non va. Prima che possa fare qualsiasi domanda, la voce bassa e urgente di Brad parla vicino al mio orecchio: «Sono i Domingo’s, signore. Stanno scatenando il panico fuori dalla discoteca».
“Li avevo avvertiti appena sono arrivato”, stringo forte la mascella.
Non posso ignorale la situazione. Devo cercare di calmare la situazione, prima che degeneri. «Usciamo. Voglio vedere con i miei occhi».
Volto di nuovo lo sguardo verso Anna e Federico, un paio di occhi da cerbiatto mi mettono a fuoco e mi guardano increduli. Ho un violento colpo al petto, seguito dal fuoco della rabbia.
“Sì, ragazzina, ti ho visto baciare un altro. E sarai fottuta per questo!”
Torno impassibile, distogliendo lo sguardo dal suo, e senza perdere tempo mi faccio strada attraverso la folla confusa per uscire. Fuori, l’aria è carica di tensione. La gente si sposta e rientra nel locale con l’ansia e la confusione negli occhi, alcuni membri dei Domingo’s stanno provocando una rissa.
Uno degli amici di Federico è avvinghiato con uno dei ragazzi dei Domingo’s e si prendono a calci e pugni, mentre i bodyguard che erano all’ingresso cercano di farsi strada per dividerli, impossibilitati dai colpi scomposti che volano ad ogni direzione. Uno dei ragazzi colpisce un passante, e il sangue mi ribolle nelle vene.
Non posso permettere che continuino.
«Cazzo!» esclama Luke, fin troppo entusiasta. «Dovremmo insegnarli le buone maniere!»
«Prima però, dobbiamo fermare il caos», avanzo rapidamente al centro della rissa, seguito dai miei uomini.
Uno dei membri della gang alza il pugno per colpire di nuovo, ma prima che possa farlo, scatto e gli sferro un gancio destro preciso e potente all’altezza dell’orecchio. Lui si blocca e si accascia a terra.
Il tempo si ferma per un momento e un silenzio irreale cala sulla scena. I membri della gang esitano, sconvolti, e lentamente si ritirano, borbottando minacce sottovoce mentre trascinano il loro amico incosciente.
Uno di loro incrocia il mio sguardo e i suoi occhi si spalancano leggermente, increduli. Si avvicina rapidamente e sussurra agli altri. «Fermi, è Nathan Bailey».
“Meno male che tra questi coglioni c’è qualcuno che riesce a ragionare”, gonfio il petto e alzo il mento, pronto a dargli un avvertimento, ma uno dei ragazzi ancora intento a lottare contro l’amico di Federico, tira fuori un coltello e con un grido di guerra esorta i suoi compagni ad attaccare.
Gli altri si avventano sugli amici di Federico e qualcuno si avvicina pure nella mia direzione, ma uno dei miei uomini lo mette k.o. con un montante potente. Il caos regna sovrano: le persone, vedendo le armi che impugnano i Domingo’s, iniziano a correre e a sparpagliarsi in ogni direzione.
Alcuni fuggono verso le macchine per sfuggire alla rissa, altri rientrano nel locale per sentirsi più al sicuro. L’odore dell’alcool si mescola con l’ebbrezza della sera in un mix caotico e irreale.
Faccio un lungo respiro e con un cenno ordino ai miei uomini di intervenire per far cessare la rissa.
Brad e gli altri si muovono come una persona sola. Colpiscono alle mani per far cadere i coltelli, poi li trattengono per i polsi e per la gola.
«Se ci tenete alle vostre teste, vi suggerirei di andarvene e subito!» minaccio gridando sopra il casino.
«Nate…», mi chiama Luke, perplesso.
Mi volto con calma plateale verso di lui, ma il mio sguardo cattura quello della ragazzina.
È isolata in un angolo buio, apparentemente separata da Gaia e Carmen e mi sta guardando con gli occhi sbarrati dalla paura. Il petto mi fa male e per un attimo, il tempo sembra fermarsi di nuovo. Mi fa sentire come se fossi la bestia più macabra di questo fottuto pianeta.
“Oh ma tu lo sei una bestia, Nathan…”
«Merda», sussurro, sospirando, mentre allento la pressione del pugno aprendo la mano. Respiro pesantemente, l’adrenalina ancora alta nel mio sistema nervoso mi fa vedere rosso.
Uno degli uomini di Domingo’s, con un coltello in mano, le si avvicina facendosi strada attraverso la mischia.
Lei abbandona i miei occhi e si volta verso il suo aggressore, che la raggiunge con una luce di lussuria macabra negli occhi. Lei fa un passo indietro con le mani in avanti, muovendo la testa e mimando un “No” con la bocca.
Sbatte con la schiena contro un vaso ornamentale e inciampa, cadendo all’indietro. L’aggressore scatta verso di lei, che urla un: «No, per favore».
Scatto avanti e mi faccio strada verso di lei. Sferro un pugno rapido e preciso alla mandibola del tizio, con tutta la rabbia che ho. Lui rovina a terra, svenuto, la sua testa impatta contro il bordo del vaso e un rivolo di sangue gli sgorga dalla testa.
Mi avvicino a lei, che mi guarda ancora terrorizzata e le prendo la mano, facendola rialzare; trema tanto che potrebbe cadere di nuovo. La trattengo per la vita. «Stai bene?»
Lei sussulta e mi guarda con la luce di terrore nel volto, senza emettere fiato, come se avesse appena visto un mostro.
Stringo forte la mascella e con un respiro profondo cerco di tenere la voce ferma e mostrarmi calmo, nonostante tutto. «Va tutto bene, Anna. È finita».
Anna mi osserva in trance, ancora terrorizzata. «Che cosa sei tu?»
"Ti hanno minacciata con un coltello, e il problema sono io?"
«Uno che sa come si tira di boxe», distolgo lo sguardo dal suo, stringendo forte la mascella. Vorrei poter fare di più per calmarla, ma per ora devo concentrarmi su ciò che è successo e assicurarmi che nessun altro sia in pericolo.
La folla è ancora in preda alla confusione. Mi volto verso Brad. «Sistemate qui e cercatelo!», mi volto di nuovo verso Anna.
Sposto la mano dalla vita e la prendo delicatamente per il braccio. «Dobbiamo andare via di qui», le dico con decisione, la mia voce è ferma ma spero sia anche rassicurante.
Anna, ancora scossa, annuisce e si lascia guidare verso le auto, do un’occhiata alle mie spalle e attraverso le vetrate noto Federico, ancora impegnato a cercare di controllare la situazione all’interno.
Un’ondata di soddisfazione m’investe e ghigno: “Sto portando via Anna, lontano da te, coglione”.
Per me è già una mezza vittoria. La serata ha preso una piega inaspettata, e sta a me la prossima mossa. Di certo, non mi tirerò indietro.
Ci allontaniamo dalla folla e la indirizzo verso i parcheggi, dove mi stanno aspettando diversi dei miei uomini. Anna diminuisce il passo e tira su col naso. Mi fermo per assicurarmi che stia bene. Ha le pupille dilatate e nei suoi occhi grandi si intuisce tanta paura e tristezza, le ciglia lunghe sono umide per via delle lacrime. I capelli sono ancora in disordine per la caduta, il naso è arrossato sulla punta e le labbra, piene e morbide, tremano.
“Quelle labbra sono state baciate da un altro, Nathan”.
Il cazzo reagisce all’improvviso scatenando un moto d’ira nel petto, ma faccio un respiro profondo soffocando tutte e due le emozioni. «Sei al sicuro, ora».
Anna mi guarda con occhi pieni di confusione e la voce le trema appena: «Grazie, signor Bailey. Per quello che avete fatto poco fa per me. Non so cos’avrei fatto senza di lei».
«Non preoccuparti, ci penso io a te», annuisco, ma la rabbia che inizia a traboccare piano piano dentro di me.
“Nessuno ti farà del male. Sei roba mia, e se qualcuno deve fartene, quello sono io”. Stringo forte la mascella. “Se qualcuno ti bacia, quello sono io”.
Stringo i pugni, col bisogno di scaricare la frustrazione, ma cerco di mostrarmi il più calmo possibile.
Anna si guarda intorno, ancora visibilmente scossa. «Vado a casa a piedi», dice, con un filo di voce. «Ho bisogno di calmarmi».
Scuoto la testa. «No, non è sicuro. Ti porto io. Non ho intenzione di lasciarti sola».
“Ho già rischiato che ti facessero del male, stasera, e di certo non ho intenzione di replicare per la colpa di un qualche ubriaco.”
Anna apre la bocca lentamente e la richiude. Il suo volto si acciglia, eliminando ogni parvenza di paura o tristezza e trasformandosi in rabbia.
«Vado da sola!», si oppone a denti stretti, tenendo i suoi occhi da cerbiatto ben incollati ai miei.
Mi scappa un sorriso e il fuoco mi si accende nelle vene. Ghigno e mi avvicino pericolosamente al suo viso, enfatizzando le parole: «Tu provaci, a fare un passo, e giuro che ti carico in spalla».
Il respiro le si fa più denso e una ruga fa capolino fra le sue sopracciglia scure. «Non sei mio padre! A me non puoi
dare ordini!»
“Stupida mocciosa!” Sorrido, passandomi la lingua sulle labbra. «Tu verrai con me con le buone o con le cattive. Altrimenti …»
“Ti ci prendo di forza e ti sbatto in macchina aldilà delle tue lamentele, e non ti sbatto solo sul sedile, ma anche a quattro zampe”.
Tengo per me il resto della frase. Perderei terreno, e non sono propenso a volerlo fare.
Lei muove il capo perplessa e mi rivolge uno sguardo di sfida col mento in alto. «Altrimenti lei cosa, signore?», stringe i pugni lungo i fianchi e si allontana di un passo.
«Altrimenti ti ci carico lo stesso e ti ci chiudo dentro fino alla destinazione».
Stringo la mascella fino a farmi dolere i denti, sento le spalle irrigidirsi e il sangue iniziare ad affluire veloce nel mio sistema nervoso. Se aveva intenzione di farmi incazzare ci sta riuscendo alla grande.
«Ha intenzione di rapirmi? Davvero!» mi pone la domanda incredula.
Sogghigno: «Se serve lo farò!»
La ragazzina alza un sopracciglio e, facendo un respiro a pieni polmoni, mi volta le spalle e inizia a camminare verso il marciapiedi oltre i parcheggi, con la testa in alto e le spalle dritte, come a voler comunicare di non credere alle mie parole.
Per un attimo resto attonito dalla facilità con cui questa mocciosa riesce a farmi incazzare da zero a cento. Questa mocciosa dalla lingua biforcuta non dà mai peso ai miei avvertimenti. La seguo a passi decisi, pronto per tenere fede alle mie parole e la raggiungo. Lei si volta con espressione incredula e le vado addosso. Lei si blocca, gli occhi dilatati, mentre il respiro le si mozza in gola. Lo sguardo che le cade sulle mie labbra la tradisce. Le sue sono leggermente socchiuse, mentre il petto le va su e giù a scatti.
“Vuoi che ti baci, piccolo cerbiatto?” Mi scappa un mezzo sorriso, ma lo maschero guardandola dall’alto in basso, il suo sguardo torna nei miei occhi e scivola di nuovo sulle mie labbra. “Certo che mi vuoi”.
Al contrario di quello che sperava, con un movimento fulmineo mi accuccio per prenderla in spalla.
«No! No, lasciami!», strilla a voce alta, cercando di scalciarmi via, ma le mie mani sono sui suoi fianchi e la sto già sollevando da terra. Lei punta i palmi sulle mie spalle e mi spinge via.
«Va bene! Va bene! Verrò con lei, ma mi metta giù!» strilla, torcendosi su sé stessa per scendere dalla mia spalla.
Il profumo dolce e floreale che indossa mi riempie le narici, e respirandolo a pieni polmoni la metto giù.
Senza fare pressione, le agguanto la mascella. «Bene, signorina Giordania. Ora che abbiamo messo in chiaro come stanno le cose, la prego di seguirmi».
Lei si scosta, liberandosi dalle mie mani e il suo volto si colora di un rosso acceso; un brivido caldo mi corre lungo la colonna vertebrale. Alzando il mento mi sposto di lato aprendole la strada dall’altra parte, verso i parcheggi: «Andiamo».
I suoi occhi sembrano saettare fulmini nel cielo burrascoso, e un broncio accigliato le incornicia il viso allibito.
Stringendo i pugni con forza lungo i fianchi a denti stretti borbotta: «Lei è fuori di testa».
Sogghigno, gonfiando il petto, e le mostro un sorriso a mezza bocca. «Questo “fuori di testa” ti ha salvato la vita, poco fa».
«Che cosa si aspetta: che la ringrazi con un gesto plateale?», risponde secca. «E comunque, nessuno gliel’ha chiesto, quindi la smetta di darmi ordini!», esclama, superandomi in direzione delle auto con le braccia incrociate.
“Cazzo. Questa mocciosa deve capire con chi ha a che fare.”
●Spazio Autrice●
Spero che la revisione e l'estensione del racconto vi possa piacere.
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Kappa_07
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