capitolo ventuno
Negli uffici si cambiarono molte volte le pagine dei calendari, gli alunni, a scuola, avevano iniziato un nuovo semeste.
Ormai laprimavera non era arrivata solo nei cuori di Hinata e Kageyama, era dappertutto.
La brezza fresca solleticava i rami dei ciliegi infiore, che ricoprivano il terreno di rosa, dove prima c'era solo il freddo bianco della neve.
Il clima era decisamente più allegro, molte persone ne approfittavano per passare una giornata all'aria aperta.
Due ragazzi, l'uno con i capelli rossi al vento e l'altro che cercava di rimanere composto, sfrecciavano per le vie della città, su una bici abbastanza malridotta.
"è vecchiotta, ma devi vedere come va" mormorava Shoyo, ogni tanto, dando delle pacche sul suo sellino, che sembrava implorare l'eterno riposo.
E invece ora li ospitava entrambi, mentre andavano a casa di Tobio.
Il giorno dopo sarebbero partiti per giocare ai nazionali, a Tokyo.
Al solo pensarci, ad Hinata si rizzavano i peli del collo, mentre quelli di Kageyama già lo erano da un po', per l'ansia di finire disarcionati dal quel catoccio, anche comunemente chiamato bicicletta.
Arrivarono finalmente a casa, stranamente tutti interi.
Kageyama rimase ad osservare Shoyo mentre gi svuotava con nonchalance il frigorifero, il mento sorretto con le mani e lo sguardo perso.
Shoyo non gli aveva detto più quelle due parole, da quell'ultima volta, ma il suo comportamento non sembrava essere cambiato.
Più che altro pensava non lo dicesse per non mettergli pressione.
Ma lo poteva percepire, quell'amore.
Quasi come se si fosse fuso nel suo corpo, a partire dagli estremi fino al suo cuore, penetrando nelle sue cellule.
E le cellule si rinnovano completmente, e in quel passaggio Tobio sentiva l'amore moltiplicarsi al loro interno, incorporando mano mano parte di un nuovo amore, che le rafforzava.
Il suo, di amore, per Hinata.
Un amore senza forma, e non come quando non si conoscono le precise dimenzioni di una cosa e le si da questa etichetta... era un amore che somigliava ad una tempesta di anime, quasi come quella infernale nella quale vagavano e vagano ancor' oggi Paolo e Francesca.
Questo vortice dentro di sè era imbottigliato talmente bene da poter fare un'analogia con il vaso di Pandora.
Il suo corpo, l'involucro, la protezione... la sentiva come crepata ultimamente, come se stesse per esplodere, per perdere contenuto.
Parte di esso gli traboccò dalle labbra, in un lieve sossurro.
-ti amo anche io-
Hinata rimase piuttosto sorpreso, quasi gli cadde il cibo dalle mani. Non si girò, chiuse il frigorifero e rimase a fissare il vuoto davanti a sè.
-che... che hai detto?- sossurrò, sorpreso, ma con le gote che già avevano adottato una tonalità di rosso acceso non proprio naturale.
-che ti amo anche io, Shoyo- ripetè, la voce leggermente incrinata nell'ultimo tratto, distogliendo alla svelta lo sguardo.
Le emozioni nel piccolo corpo di Hinata esplosero come fuochi d'artificio il primo dell'anno, sul suo viso si aprì un grande sorriso.
Si girò, e si catapultò letteralmente tra le braccia di Tobio, il volto seppellito nel suo petto e le braccia attorno al suo torace.
Il moro sentì presto la maglia zuppa di lacrime, mentre poteva osservare la schiena del ragazzo fare sù e giù un po' troppo velocemente.
-perchè piangi?- mormorò, prendendolo per il mento, facendogli alzare il volto per incontrare quei suoi begli occhi, ora rossi e lucidi, che gli sembravano marroni ciottoli risplendenti sul letto di un fiume.
-non lo so... è che... è che sono tanto feliceeee- piagnucolò, rigettandosi addosso a lui e strofinando il volto sulla sua, ormai bagnata, maglietta.
Hinata non aveva problemi solitamente a nascondere il dolore, lo intorpidiva con un paio di falsi sorrisi.
Mentre incrementava la sua poca dose giornaliera di felicità con tutte le forze.
Lui urlava di felicità, saltava, canticchiava, anche per i più piccoli gesti.
E quindi, per quel "ti amo", estremamente fuori il suo solito livello di felicità lo aveva fatto piangere, come se il cuore avesse dato queste indicazioni ai suoi condotti lacrimali, per dirgli "ehi, guardate che non si può avere la stessa reazione di quando si mangia una merendina"
Ma in realtà era proprio quest'ultima la reazione che si aspettava l'alzatore, che rimase qualche secondo in silenzio, stupito, prima di posare le labbra sulle sue, in contatto dolce e confortante... poi un po' meno, diciamo così.
Shoyo fu preso alla sprovvista, ma non si tirò indietro.
Fu un bacio lungo, di quelli che ti lasciano le labbra secche ed impregnate di voglia, che ti fanno mancare il fiato, anche se si sa perfettamente di averne ancora abbastanza per donarlo al partner.
Si guardarono per alcuni attimi, che entrambi avrebbero descritto infiniti.
Gli occhi di Tobio erano il solito quieto mare, increspato solo da qualche onda e con un po' di schiuma sulla loro cresta, mentre in quelli di Shoyo si vedeva qualcosa di nuovo.
Come un pigmento di colore che c'era sempre stato, ma si poteva notare solo a quella luce.
Negli iridi ramati si poteva notare un che di famelico, come quella fosse sabbia, destinata, piano piano, a mangiare la costa marina.
Si leccò le rosee labbra, ormai non più screpolate, e poi le fece riunire con quelle di Tobio, dato che già le sentiva incomplete, come se fossero state progettate per essere insieme.
Si alzò un paio di volte sulle punte, come a chiedere di essere preso in braccio.
Kageyama lo accontentò, infatti lo prese dalle cosce e lo fece aderire al suo corpo, mentre l'altro gli agganciava le gambe al bacino.
-io... non te l'ho più detto per non metterti fretta- sossurrò improvvisamente Hinata, interrompendo il contatto.
Si poteva intravedere delle strisce di colore più intense solleticargli dolcemente le gote, che Tobio avrebbe accarezzato volentieri, se non avesse avuto le mani impegnate a sorreggerlo.
-sì... lo avevo capito- rispose, donandogli uno dei pochi sorrisi non inquietanti che avesse fatto in vita sua.
-bene, ora rimedio- mormorò, prima di ricoprirgli il volto di baci, un "ti amo" per ogni schiocco di labbra.
-hai finito di fare l'appiccicoso?- domando, infastidito, tuttavia con le gote rosse.
-no- rispose, sorridendo, poi gli leccò una guancia.
Avete presente un pomodoro? Ecco, questo era più o meno il volto di Tobio, che, preso alla sprovvista, gli lasciò le cosce, e caddero l'uno sopra l'altro, a terra.
-scusa scusa scusa scusa- continuava a ripetere il rosso, agitando le mani davanti a sé.
Kageyama rimase a guardarlo, perdendosi per la millesima volta.
Perso, sì, quello era l'aggettivo giusto.
Era perso in quegli occhi, in quella vita, nel pensiero dell'altro, in quell'amore, su quel pavimento, in quel momento, in quel periodo, forse per tutta la vita.
E sentiva le labbra magnetiche, attratte da quelle di Shoyo come il nord e l'ago di una bussola.
Senza rispondergli, fece congiungere le loro bocche, con abbastanza potenza da sentire per un momento la forma dei suoi denti, che poi andò a sfiorare con lingua.
Erano ancora leggermente ondulati, come venuti da poco, ancora non levigati dalla vita, a differenza del loro proprietario, che invece sembrava che lo scorrere del tempo avesse proprio logorato.
Le sue mani andarono, d'istinto, all'inizio della sua maglia, ma Hinata lo bloccò di colpo.
Stava andando troppo velocemente?
Non voleva si sentisse usato, solo... Kageyama voleva di più.
Voleva tutto.
Aveva bisogno di constatare se anche la sua pelle brillasse del caldo sole che gli avvolgeva l'anima, voleva passare lentamente il dito su ogni centimetro della sua pelle, per cercare nuove piccole cicatrici, o voglie, o anche nei o segni di scottature, e imprimerle nella propria mente.
Così da vederlo tutto, come in un film, quando nei brutti giorni il suo ervello avrebbe settato la memoria su "il ragazzo che amo".
Ma Shoyo lo tranquillizzò con la più semplice delle azioni: un sorriso.
-andiamo... in camera? È un po' scomodo qui-
Ed eccoli, sul letto di Tobio, dove avevano dormito innumerevoli volte, l'uno nelle braccia dell'altro.
Ma questa volta non dormirono.
Era stato tutto incredibilmente lento, e pieno di "sicuro?" "Sei pronto?" "non devi fare nulla che non ti stia bene" del corvino.
Ma anche Hinata voleva sapere.
Voleva sentire il vero sapore della sua pelle lattea, dove il deodorante e la colonia non arrivavano, sfiorargli il corpo per vedere se era cosparso di calli come le sue mani, che più di una volta avevano stretto le sue, più piccole.
Così annuiva ogni volta, senza aprire bocca.
Se è quello che vi state chiedendo... sì, alla fine lo fecero.
Fu una cosa dolce, impacciata e anche abbastanza improvvisa per entrambi.
Il riflesso del loro amore, che li aveva presi alla sprovvista.
Ma non come un vento burrascoso che fa volare oggetti e butta giù alberi.
Più come quella brezza che d'improvviso fa innalzare l'aquilone di un bimbo, che ora lo indica incredulo, ridendo.
-non ti ho fatto male, vero?- sossurrò Tobio, accarezzando i capelli al piccolo raggio di sole che teneva al petto, il quale lo guardava con un amore che non sarebbe entrato nella successione dei numeri naturali.
-no... è stato bello... tu sei bello- rispose, accucciandosi a lui e socchiudendo gli occhi.
-anche tu lo sei- ribadì Tobio, serio, come a dire che non lo stesse dicendo per cortesia. -ti amo- aggiunse, arrossendo parecchio e distogliendo lo sguardo, ancora imbarazzato nel pronunciare quelle due parole.
Shoyo scoppiò in una piccola ma cristallina risata, poi gli prese le guance con forza per far incatenare i loro sguardi.
-anche io, stupido di un Tobio-
Amici... questo era l'ultimo capitolo...💔 ora pubblico l'epilogo :')
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