capitolo sedici

-ma… come è possibile? Non dovevano venire- mormorò Shoyo, non appena capì a cosa era dovuto lo stupore del compagno.

Kageyama ancora non rispose, la fronte corrugata e la bocca leggermente aperta.

-ciao Tobio-chan! Chibi-chan- esclamò una voce, sempre più vicina.

I due si voltarono simultaneamente, e si trovarono davanti il capitano dell'Aoba, il famoso Oikawa al quale avevano mandato un bel messaggio.
E lui lo ricordava fin troppo bene.

Accanto a lui sostava il povero Iwaizumi, martello della squadra, che era il giocatore che si sorbiva Torū più di tutti.

-Iwachan a te lo avevo detto? Sono molto felice perché il mio caro Kohai ha detto di volermi bene- disse, allegro, congiungendo le mani sotto la testa.

Era la stessa persona che in campo era così seria e faceva delle battute da far rizzare i peli del collo?
Risposta affermativa.

-te l'ho già detto, ho perso una scommessa- tuonò Tobio, squadrando il ragazzo da capo a piedi.

Hinata provò ad intervenire a favore del suo compagno, ma questi, con un'occhiataccia, lo zittì

-sì sì tutte scuse tutte scuse. Non vorrai farmi credere che hai perso contro chibi-chan- ridacchiò, andando verso Kageyama e scompigliandogli i capelli, cosa che fece infuriare, a dir poco, Hinata.

Hinata, il quale quel giorno sperimentò un nuovo tipo di rosso.

Aveva provato il rossore dovuto alla vergogna, all'imbarazzo.
Aveva avuto le gote rosse per il freddo, per il caldo, per la troppa fatica… ma mai era stato rosso di gelosia.

Quel contatto gli aveva messo sull'attenti ogni terminazione nervosa, come rendendolo rigido, incapace di muoversi.

Fortuna che agì Iwaizumi, che diede una botta in testa al capitano e lo portò via, scusandosi con i due ragazzi.

Tobio non notò il rossore che si era impadronito del più basso, guardava nella direzione in cui la figura dell'alzatore era diminuita fino a scomparire.
-oggi vinciamo, piccoletto.-

Il match fu parecchio combattuto, essendo  le squadre più o meno della stessa bravura, ma alla fine la spuntò la Karasuno, ai vantaggi.

Oikawa e Kageyama si guardarono in cagnesco. Il primo promise che la volta dopo avrebbero vinto loro, mentre l'altro gli sorrise, beffardo.

Hinata era esausto, quasi non si sentiva più le gambe, cosa molto strana per lui.

Fece stretching e poi decise di andare a vedere la partita che stavano giocando nell'altro palazzetto, la Nekoma contro la Fukurodani.

Sentiva l'urgente bisogno di parlare con Kenma.
E non di pallavolo, come facevano sempre.

Voleva ammettere ad alta voce i suoi problemi di cuore, e credeva Kozume fosse la persona perfetta.
Non era troppo dura ma diceva la verità, e sapeva ascoltare.

Così raccolse le sue cose e volò nell'altra palestra, non curandosi di Tobio che lo stava chiamando.

La partita era abbastanza combattuta anche qui, ma il clima non era di tensione, anzi, era piuttosto giocoso.

Bokuto e Kuroo si sfidavano sottorete, a suon di muri e attacchi, e non appena l'uno murava l'altro dicevano una cosa tipo “no bro…” e poi “scusa bro, la legge della giungla" oppure “tranquillo l'avresti murata anche tu bro", dandosi delle pacche sulle spalle.

Intanto Kenma e Akaashi si rivolgevano occhiate comprensive, anche se entrambi sapevano di non poter stare senza i loro capitani.

La partita si concluse, e anche se vinse la Fukurodani, tranne un po' di rancore, la squadra nero-rosso non era triste.

Kuroo e Bokuto bisticciarono un po', e dissero non si sarebbero parlati mai più.

Tempo mezzo minuto ed erano abbracciati in lacrime.
-scusa bro non dovevo dire quelle cose-
-tranquillo bro non ce la farei senza di te-
-bro come prima?-
-per sempre, bro-

Intanto Kenma aveva una mano in faccia, sconsolato, mentre Akaashi aspettava Koutaro, con la sua felpa in mano.

Shoyo scavalcò la ringhiera degli spalti e toccò la spalla di Kenma, per chiamarlo
-Posso parlarti un attimo?-

il gattino annuì, riflettendo la luce dei riflettori negli occhi ambrati e constatando l'amico fosse parecchio agitato.

Si stava mordendo il labbro, battendo convulsivamente il piede a terra.

Si allontanarono, mettendosi in un lato abbastanza isolato del campo.

-prometti di non dirlo a nessuno, e di non prendermi in giro- premettè il rosso, e Kenma annuì, senza ancora aprire bocca.

Shoyo sospirò, poi gli raccontò tutto per filo e per segno.

Quella sera a casa di Kageyama, il suo odore su di sé, il giorno della partita e del suo compleanno, infine quando avevano dormito insieme.

Il budino accompagnò il suo discorso con la testa che faceva su e giù, talvolta si portò l'indice sotto il mento.
Poco dopo che ebbe finito il monologo, visto l'alzatore della Nekoma rimaneva in silenzio, Hinata iniziò a stranirsi.

-dimmi qualcosa ti prego, sento di star diventare matto- lo supplicò, soppesandolo con i suoi occhi nocciola.

-beh cosa vuoi che ti dica- rispose, con una leggera ma sicura voce, come la camminata di un gatto. -vi piacete. E pure tanto. Però siete stupidi e orgogliosi. Dovreste accettare i vostri sentimenti e basta, così non risolverete nulla. Carpe diem, Shoyo. Cogli l'attimo- terminò, riprendendo la console dalla borsa e sotterrando quel suo strano lato saggio.

Poi fu chiamato a gran voce, probabilmente da Kuroo, e lasciò Shoyo da solo, in preda a quei sentimenti e a quelle parole, che tutto avevano fatto, tranne che tranquillizzarlo.

Tra docce, cena e chiacchiericci serali, venne l'ora di coricarsi.

La Karasuno entrò nella stanza loro assegnata e si mise a letto.
Erano tutti molto stanchi, quindi le palpebre nella stanza si chiusero come belle di notte allo spuntar del giorno.

Tutto era calmo.

I ragazzi erano raggomitolati nelle coperte, e c'è chi aveva trovato un altro modo per scacciare via l’inverno, cioè Suga e Daichi, che dormivano l'uno nelle braccia dell'altro.

Solo due occhi color corteccia non abbandonavano la giornata, e il centrale al quale appartenevano non riusciva proprio a star fermo, continuando a rigirarsi nel futon.

Era già tarda notte quando decise di andare a prendere una boccata d’aria.

Tutta la sua vita si stava improvvisamente alterando, stranendo, colorando con toni talmente forti da fargli girare la testa, emozioni talmente grandi da non fargli più percepire suoni, odori…

Si affacciò sul balcone, in appoggio al muretto con i gomiti, e gli occhi persi in qualche terra straniera.

Il vento gli sputava in faccia la neve che aveva iniziato a cadere, gelida e crudele, occultando i ricordi di calore.

Era ovattata, come se gli si depositasse nelle orecchie, improvvisamente tappate.

Ripensò alle parole di Kenma, e si trovò a concordare con lui.

Carpe diem, aveva detto.

Ma era proprio quello che non stava facendo.

Lui era lì, e Kageyama da un'altra parte.

Sospirò, per poi rabbrividire.

Tobio… ti piaccio anche io?

Quelle parole gli riecheggiano nel cervello da un po'.

Prima pensava di sì, ma ora…
Magari non lo voleva, lo faceva solo per educazione, magari lui era solo una spalla su cui piangere, niente di più. D'altronde lui era un genio, mentre non poteva dire lo stesso di sé. E se fosse solo un impiccio?

-boke! Che ci fai qui ti prenderai un malanno, manco la felpa ti sei portato!- una voce, alle sue spalle, annunciava la sua presenza.

-oh scusa- sossurrò il più basso, abbassando lo sguardo su di sé e capendo di star letteralmente tremando come una foglia.
Hinata che chiedeva scusa per una cosa su cui neanche ci sarebbe da scusarsi? Strano.

Kageyama sospirò, producendo una nuvoletta bianca, che a poco a poco si dissolse.
-ecco metti questa- disse, apparentemente gelido, prendendo la propria felpa e mettendola sulle spalle del centrale.

Il pensiero di Shoyo andò sulla figura di Tobio.

Non impregnati di sudore, i suoi muscoli apparivano asciutti e lattei, non troppo evidenti, né inesistenti.
I capelli neri gli incorniciavano il viso che troppo spesso si era fermato ad osservare, talvolta talmente da pensare si potesse corrugare dall'intensità del suo sguardo.
Eppure eccolo lì: poteva essere tranquillamente un'antica statua marmorea, precisa nelle proporzioni e bianca come le farfalle che talvolta si scorgono nei campi.
Eppure vi era un tocco di rosso, una striscia di sangue sulle ali dell'insetto. Rosso di imbarazzo sulle sue gote, che si poteva notare anche su quelle di Shoyo, il quale infilò la felpa.

-tu non hai freddo?- domandò, insicuro, sfregandosi le mani.

Tobio mimò un “no" con il capo, poi si mise a guardare il mondo ricoprirsi di bianco accanto all'altro.

C'era silenzio.

Un silenzio assoluto.

Non una cicala che strideva, non si udiva un'automobile passare.

Forse solo un leggero russare di Tanaka, ma non è questo l’importante.

-a che pensavi?- domandò il moro, senza guardarlo.

-alla pallavolo- mentì il più basso.

-allora posso rimanere con te mentre inventi un'altra bugia?- chiese, gelido.

Tobio non era arrabbiato.

In realtà in quel momento avrebbe solo voluto stringerlo, liberare la neve che si era depositata sui suoi capelli e passarci di continuo le mani.

Poi piazzarci un bacio.

E se non avesse replicato sarebbe sceso, fino a baciargli le labbra.

Ormai era sicuro di volerne conoscere la morbidezza, di volerne sentire il sapore.

Shoyo non rispose, la sua mente vagava in altri luoghi.

Quelle due parole che Kenma gli aveva detto si ripetevano nella sua mente, come l'eco remoto di una voce in montagna.

Si girò improvvisamente verso Tobio, deciso a parlargli, il volto teso, senza esitazione.

Mi piaci.

Ci voleva tanto?

Ma quelle due parole gli morirono in bocca, lasciandolo rosso e balbettante davanti al moro, le labbra socchiuse.

Si voltò anche l'altro, senza riscontrare imbarazzo sulle gote, o almeno, non più di quanto già ce ne fosse, senza aprire bocca.

Rispetto a quello di prima questo era un silenzio assordante, pieno, vivo.

Tobio non sapeva cosa fare.
O meglio, lo sapeva, però l'ansia se lo stava letteralmente mangiando vivo.

Ad Hinata fischiavano le orecchie, vittime di quell'atmosfera oppressiva e pungente.

A volte basta solo allungare la mano, dire una parola, tendere un dito…

Una mano del moro andò al mento di Shoyo, che alzò, per far incatenare i loro sguardi.

Avevano il respiro pesante, le nuvolette di condensa che fuoriuscivano dalle loro bocche si univano a metà della poca distanza che ormai li divideva.

Aprì la bocca, Kageyama, per dire una frase ad effetto, magari, ma quando si ha a che fare con l'amore, è normale i piani vadano a puttane.

-ti posso baciare?- domandò, solo un filo di voce, sfuggente come una parola nel vento.

I sentimenti nel corpo di Hinata si unirono tutti in una sola, piccola e potente parola.

Quelle due lettere sarebbero state probabilmente le due più importanti nella vita del centrale, eppure anche quelle si condensavano, come tutte le altre.

Parole sossurrate al vento e solo a Tobio oltre ad esso, sperando poi ritornassero in una brezza fresca e non in una potente bufera.

Fa che questa parola tornando non spazzi tutto via.

-sì- Shoyo deglutì, le guance di un rossore che faceva quasi male, le labbra che sentiva pulsare dal desiderio di essere toccate.

Kageyama sorrise, posandogli le mani sulle guance.

Sono fredde…

Ancora pochi centimetri e il loro amore sarebbe stato scritto in prima pagina sul cuore del rosso.

Posso sentire il suo respiro sul mio…

Per un attimo per Shoyo fu come non percepire più nulla, nel momento esatto in cui percepì le sue labbra sulle proprie, poi fu come per un ceco riacquistare il dono della vista.

Tutta appariva nitido, reale, non lontano, come se la neve avesse smesso di cadere e fossero già in primavera.

Labbra morbide, al sapore di colluttorio alla menta, mani impacciate che si spostavano sui suoi fianchi, mentre lui non sapeva proprio che fare, la mente chiusa in una botte e buttata nelle profondità dell'oceano con un peso attaccato.

Non lo vedeva, l'oceano.

Aveva gli occhi chiusi, così come Kageyama, ma sapeva fosse lì, a guardarlo attraverso il buio, ad avvolgerlo dolcemente e ad accarezzarlo con teneri sguardi.

Tobio lo attirò di più a sé.

Le labbra di Shoyo erano screpolate, morbide e dolci, sapevano del dentifricio alla fragola che si da ai bimbi ai quali non piace la menta.

Si staccò, accarezzandogli la guancia, passando il pollice proprio dove pochi secondi prima vigevano le proprie labbra, che sentiva improvvisamente incomplete.

Non dissero nulla, nessuno dei due.
Si guardarono per secondi infiniti, poi Hinata gli donò uno dei suoi sorrisi migliori, intrecciando la mano con la sua.

Dire che lo aveva reso felice era un eufemismo.

Come tutti i ragazzi che si fidanzano con la persona che gli piace, si sentiva la persona più fortunata del mondo.

Come se fosse invincibile. Credeva di poter saltare in alto fino alle stelle, e poi cavalcarne una, girando il mondo.

Si sentiva il re del mondo.

“Ma un re triste” si ritrovò a pensare, nel caso in cui Tobio non sarebbe stato al suo fianco.

Un re solo.

Ma ora, su quel freddo balcone, con la felpa del moro e il suo sapore in bocca, le loro mani intrecciate, Shoyo si sentiva tutto, fuorché solo.

Ciaoooo dopo sedici capitoli ce l'ho fatta :)
spero di averla descritta bene e che vi sia piaciuta :')

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