XXVII - seconda parte
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capitolo 27: parte 2
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»»---- ★ jimin's p.o.v. ★ ----««
Una volta atterrato l'aereo Jungkook mi sveglia e vedere il suo volto ancora amareggiato per quello che è successo circa un'ora prima mi fa pentire di essermi arrabbiato con lui; inoltre la dormita che mi sono fatto durante il viaggio ha aiutato parecchio.
«Ben svegliato» mi dice lui cercando di non far trasparire le emozioni negative provate precedentemente. «Siamo a Tokyo, piccolino» aggiunge forzando un sorriso e io mi innamoro di nuovo di lui. Come faccio ad essere arrabbiato con questo angelo? Certo, quello che mi ha detto prima non è stato piacevole, ma non ho intenzione di passare il poco tempo che ho a litigare ed arrabbiarmi. Il fatto di avere un limite e di conoscerlo mi permette di godermi al massimo quello che mi rimane del mio tempo, anziché passarlo a provare rancori o ad arrabbiarmi per sciocchezze. «Sei emozionato?» domanda poi cercando di ottenere una qualche risposta da me e io lo accontento: «Sì... mi sento super felice. E poi ho te qui con me» rispondo prendendogli la mano e stringendogliela per fargli sapere che è tutto a posto.
«Ti amo» mormora lui posando delicatamente le sue labbra sulle mie e poi mi fa segno di alzarmi, siccome è il momento di scendere.
«Ti amo» gli rispondo una volta presi i bagagli a mano, pensando nel frattempo a quanto sono fortunato. Sono nella mia città preferita con la mia persona preferita e sono qui per festeggiare il nostro matrimonio. Non potrei essere più felice di così, davvero...
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»»---- ★ jungkook's p.o.v. ★ ----««
«Quest'albergo è stupendo» commenta il rosa sorridendo e prendendomi per mano, mentre con l'altra tengo la maniglia della valigia, trascinandola verso la reception.
«Buongiorno» dico al ragazzo dietro al lungo bancone nero che si abbina perfettamente all'ambiente circostante, lui ricambia con un sorriso e poi aspetta che io parli ancora. «Abbiamo prenotato la stanza sette punto tredici» aggiungo cercando di essere il più fluente possibile. Per fortuna nel programma scolastico coreano è contemplato anche il giapponese.
«Nome, prego» domanda poi il ragazzo digitando qualcosa sulla tastiera posta di fronte a lui e tenendo lo sguardo fisso sul monitor del computer.
«Park e Jeon» rispondo e lui digita ancora qualcosa, poi si abbassa di qualche centimetro per prendere quella che si rivela essere la nostra chiave elettronica.
«Ecco a voi la vostra chiave. Quando siete in stanza lasciatela nel suo scomparto, in modo che possa permettere all'elettricità di arrivare anche da voi. Se la togliete dallo scomparto avete dieci secondi prima che tutte le cose elettriche si spengano.»
«Grazie mille» ringrazio afferrando la tessera magnetica posta sul bancone e dirigendomi insieme a Jimin verso l'ascensore del palazzo. Sette punto tredici significa che la nostra stanza si trova al settimo piano e non ho intenzione di far camminare il mio piccolo su per così tante scale.
«Jungkook...» mi chiama il rosa una volta dentro l'ascensore e dopo aver premuto il tasto targato con un "7" per condurci a quel piano. Quando gli rivolgo la mia attenzione lui procede: «Dimmi che non è un sogno.»
Alla sua richiesta mi irrigidisco leggermente, ricordandomi del sogno che ho fatto appena prima di chiedere a Jimin di sposarmi, ma scaccio subito via il pensiero e chiedo maggiori spiegazioni: «Che intendi?»
«Insomma, tu... io... è accaduto tutto così in fretta. Quattro mesi fa ci siamo incontrati per la prima volta e adesso siamo una coppia di sposini in luna di miele. Ho solo bisogno di sentirmi dire che è tutto vero...» continua e nella sua voce riesco a scorgere una leggerissima, quasi impercettibile, nota di disperazione.
«Amore mio, certo che è tutto vero. È magnifico, è fin troppo, personalmente è meglio di qualsiasi cosa avrei potuto chiedere ed è tutto assolutamente e irrimediabilmente vero» lo rassicuro avvicinandomi a lui e catturando le sue labbra in un bacio dolce, delicato e al sapore di ciliegia a causa del suo gloss che amo così tanto baciare. Senza smettere di baciarlo trovo la sua mano con la mia e ad un soffio dalle sue labbra gli domando: «La senti la mia mano?»
Lui annuisce, ancora ansimante a causa del bacio appena interrotto, e io domando ancora: «Le hai sentite le mie labbra?»
«S-sì...»
«È perché ci sono. Sono reali, non è un sogno. Cioè, lo è, ma non uno di quelli che si fanno la notte ad occhi chiusi. Questo è il nostro sogno, ma non esiste niente al mondo che sia più reale.»
«Grazie» bisbiglia lui abbracciandomi, stringendomi così tanto a sé che quasi mi manca il fiato. Ma non importa, in questo momento ho Jimin tra le mie braccia, l'ossigeno è superfluo; è lui che mi alimenta, il suo contatto, il suo calore, le sue braccia magre e allo stesso tempo forti.
«Grazie a te» replico appena prima che le porte dell'ascensore si aprano, permettendoci di raggiungere la nostra stanza. Quest'ultima lascia entrambi sbalorditi per quanto è bella. Diversamente da quello che mi aspettavo, è abbastanza grande e allo stesso modo confortevole. Senza perdere alcun tempo, iniziamo a sistemare le nostre cose, svuotando le valigie e posizionando i vestiti negli armadi vuoti e gli accappatoi in bagno, insieme a tutto il make-up del rosa. E mentre facciamo diventare questa stanza nostra, mi perdo nei miei pensieri felici e continuo a sorridere come un ebete.
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«Sai una cosa?» domanda Jimin sorridendo, gettandosi sul letto e rimbalzando su di esso per qualche secondo. Mi fermo ad osservarlo: le braccia poste dietro di sé come appoggio, le gambe che dondolano dal bordo del talamo, la sua maglietta scollata che fa intravedere quel che basta per farmi perdere la testa... è bellissimo.
«Cosa?» domando a mia volta, avvicinandomi a lui e sedendogli accanto, per poi sdraiarmi del tutto portandolo con me.
«Sono felice» dice guardando il soffitto e io mi volto leggermente verso di lui, vedendolo sorridere a trentadue denti.
«Per cosa?» domando. Posso immaginare per cosa sia felice, ma sono sicuro che voglia sentirselo chiedere e quindi lo accontento.
«Per tutto quanto quello che ho, ma...» inizia mettendosi su di un fianco per guardarmi meglio negli occhi. Prende la mia mano sinistra nella sua e passa un dito sulle nocche tatuate: «Soprattutto per questo. Sono felice di averti.»
«Ti amo» rispondo, non sapendo che altro aggiungere per esprimere al meglio la mia contentezza. Sono sempre stato bravo con le parole, eppure quando si tratta di Jimin vado in tilt, mi perdo e perdo. Perdo il controllo, perdo la ragione, perdo la forza perché lui ne ha abbastanza per entrambi. Perdo me stesso per ritrovarmi in lui, in tutto quello che fa, dai piccoli gesti alle azioni complicate.
«Ti amo anche io» risponde baciandomi, soffermandosi sulle mie labbra fino a quando rimaniamo senza fiato.
«Te lo dovevo un bacio come si deve» dice appena sleghiamo le nostre lingue. «E adesso cambiamoci, voglio vedere la città» aggiunge. Ha davvero intenzione di cambiarsi? Avrà tenuto quei vestiti solo per qualche ora! Sono consapevole del fatto che Jimin tenga tantissimo al suo aspetto, soprattutto per quanto riguarda il vestiario, ma a volte mi spaventa. Sarebbe capace di cambiarsi quattro volte in un solo giorno se lo portassi in quattro luoghi diversi. Tuttavia, sta talmente bene con quelle magliette scollate e quei jeans a volte troppo stretti che non mi lamento affatto della sua decisione.
Mi alzo seguendolo nel bagno, dove ha già posizionato il suo make-up.
«Mi segui?» chiede lui in maniera ironica.
«Sempre» gli rispondo abbracciandolo da dietro mentre lui è intento a passarsi il fondotinta sul viso.
«Jungkook, dai, mi fai sbagliare tutto!» si lamenta ridendo.
«Uff, non ti serve quella roba» sbuffo io nascondendo il viso nell'incavo del suo collo e respirando il suo profumo dalla leggera fragranza, che non dà alla testa.
«Sì, invece» ribatte lui cercando di farmi spostare, ma io rimango fisso, anzi... la sua reazione mi porta solamente a stringere ancora di più la presa.
«Sei bellissimo così come sei, non devi nasconderti dietro del trucco» dico dal profondo del cuore.
«Perché tutta questa avversione nei confronti del make-up adesso?»
«Penso solamente che tu non ne abbia bisogno» replico lasciandolo finalmente andare, appoggiandomi allo stipite della porta con la scapola.
«No?» domanda lui retorico.
«No» ribadisco io e a questo punto lui si avvicina a me tanto, così tanto, che quasi mi mozza il respiro.
«Allora presumo che non mi serva neanche il lucida labbra» sentenzia in un bisbiglio, mentre si trova a un palmo di naso dalle mie.
«Q-quello...» balbetto incapace di formare una frase sensata in sua presenza. Mi schiarisco la gola e cerco di concentrarmi, riuscendo a formulare la frase: «Quello è l'eccezione che-che conferma la regola» concludo leccandomi le labbra e mandando giù un fiotto di saliva per lubrificare la mia gola diventata secca. Questo ragazzo, ovvero mio marito, ha un potere assurdo su di me.
«Però...» continua lui, prendendo le redini della situazione, anche se a dire la verità non le ho mai avute io. «Se smetto con il trucco, smetto con tutto» sentenzia creando un'assonanza che fa apparire la sua frase quasi poetica. «Se vuoi posso farlo» aggiunge provocandomi, sapendo che non gli direi mai di smettere qualcosa che ama fare. Soprattutto se la amo anche io.
«Non ci provare» ringhio posando una mano sul suo fianco e attirandolo a me; le sue mani che aderiscono al mio petto per evitare di perdere l'equilibrio.
Il rosa di fronte a me dà il via ad un altro bacio passionale e io sento che potrei annegare nelle sue labbra, annegare in tutto il suo amore. Siamo a Tokyo, una delle città ritenute tra le più belle al mondo e la preferita di mio marito, eppure a me basta lui. Sono curioso di visitarla, ma in questo momento in cui sono con Jimin mi dimentico persino il mio nome.
«Dovremmo davvero andare, adesso» mormora il rosa ancora sulle mie labbra.
«Per forza?» piagnucolo io.
«Sì, Kookie» usa quel nomignolo che non aiuta la situazione, siccome mi verrebbe voglia di prenderlo qui e adesso. Allo stesso tempo però sa benissimo che chiamandomi così io mi piegherò a qualsiasi sua volontà. L'ho detto io che è perfido.
«Okay, ma mi devi un favore. Stanotte... mentre guardiamo tutta la città»
«E mentre la città guarda noi» replica Jimin ridendo, pensando di aver stroncato il discorso, ma io ribatto incamminandomi verso l'uscita: «Spero che la città sia impegnata a farsi i cazzi suoi mentre io mi faccio il tuo» e gli do una pacca sul sedere, dio santo il suo sedere, che lo fa sobbalzare e arrossire leggermente. È proprio un pulcino, penso guardandolo uscire dalla stanza solamente dopo essersi sistemato il trucco, rovinato dalla nostra pomiciata di prima. Il mio piccolo pulcino rosa.
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Il secondo giorno di permanenza a Tokyo andiamo a visitare lo stupendo santuario Meiji della città.
Quando camminiamo verso imponente struttura, osservandone tutti i particolari, Jimin subito esclama: «Wow, ma è-», ma si interrompe subito a causa della meraviglia che sta provando.
«Stupefacente, vero?» termino la frase al posto suo, chiedendogli una conferma che non tarda ad arrivare.
«Sì, è bellissimo!» ripete portandosi una mano davanti alla bocca per lo stupore che ancora persiste.
«Sono contento che ti piaccia, piccolo» dico stringendogli la mano e portandolo con me verso il tempio per osservarlo meglio.
«Non mi piace e basta, lo adoro proprio!» esclama lui ridendo di gioia e riempiendo il mio cuore di luce, la stessa che emana dalla sua figura allegra e contenta. Non lo avevo mai visto così tanto felice... insomma, è sempre sorridente da quando abbiamo sistemato il "problema Choi" e quando siamo insieme i momenti tristi sono ben pochi, eppure la felicità che sta mostrando oggi è abbagliante. Sta letteralmente brillando e allo stesso tempo illuminando anche me.
«Dove stanno andando quelle persone?» mi domanda poi, vedendo che un grosso gruppo si sta dirigendo verso una parte specifica del santuario.
«Seguiamoli» propongo prendendo Jimin per mano e camminando al suo fianco verso la massa di persone riunite davanti ad una parete alla quale sono appese tantissime tavolette di legno dalla forma pentagonale.
«Gli ema» dico soltanto, ricordandomi di un anime in cui gli avevo visti.
«I cosa?» domanda Jimin non capendo a cosa mi riferisca.
«Sono tavolette di legno sulle quali scrivi i tuoi desideri. Vanno poi appese nel tempio in modo che i kami possano leggerle e realizzare quanto richiesto.»
«Ma è stupendo! Lo facciamo?» chiede all'istante, entusiasta all'idea.
«Sei shintoista?» domando io un po' stupito.
«N-no, ma mi piace l'idea. Almeno per lasciare a Tokyo un ricordo di noi» mi spiega sorridendo, convincendomi all'istante ad accettare la sua richiesta. Non riesco a resistere al suo sorriso, ai suoi occhi da cucciolo mentre mi osserva e si perde nei miei; quando mi guarda così, potrebbe benissimo chiedermi di uccidere un uomo che io lo accontenterei.
«Va bene» rispondo sorridendo e dirigendomi insieme a lui verso la coda ordinata che si è creata nel frattempo, mentre le persone attendono quiete il loro turno di posare le mani su una tavoletta vuota e lasciare un segno del loro passaggio al santuario, chiedendo qualcosa a divinità in cui io personalmente non credo. Però Jimin ha ragione: possiamo lasciare un ricordo di noi, ed è quello che faremo e anche quello che conta davvero.
Quando arriva il nostro turno, camminiamo verso i tavoli posti in mezzo al piazzale per appoggiare la tavoletta e scrivere meglio e sia io che Jimin la copriamo per non farla vedere all'altro. Questo è un momento estremamente intimo, durante il quale ognuno chiede qualcosa di talmente personale che quasi non può – o non deve – dirlo a nessuno.
Prendo in mano il pennarello indelebile e penso bene alle parole da usare, come sono solito fare sempre. Con la coda dell'occhio vedo che Jimin sta già macchiando la tavoletta di inchiostro permanente, mentre io ancora non so che frasi scegliere.
Chiudo gli occhi e penso... tutto quello che potrei volere lo ho. È una casualità che "tutto" e "Jimin" siano composti dallo stesso numero di lettere? Non credo proprio. Quindi continuo a pensare, e pensare e pensare finché quasi non sento odore di bruciato, effetto provocato da qualche mio meccanismo inceppatosi a causa del troppo lavoro.
Con la coda dell'occhio vedo il rosa alzarsi e andare ad appendere il suo ema alla parete su cui si trovano tutti gli altri.
Io intanto continuo a pensare, finché alla fine non mi viene in mente, l'unica cosa che voglio quasi più di Jimin stesso; forse, in certi momenti, anche più di lui. Una cosa che voglio dal profondo del cuore e il cui solo pensiero mi attanaglia lo stomaco. E quindi scrivo, poso la punta del pennarello nero sull'asse di legno grande quanto la mia mano e muovo lo stilo, incidendo così le parole: «Io voglio Jimin, per sempre».
Mi alzo poi in piedi e vado ad appendere a mia volta la tavoletta, fiero di me anche se so che il mio desiderio non si realizzerà mai, soprattutto perché si scontra ad un livello estremo con l'evidente realtà.
«Fatto?» mi chiede il rosa vedendomi avvicinarmi a lui.
«Yes» replico sorridendogli e riprendendo la sua mano nella mia. Quando non lo sento percepisco come una sensazione di vuoto dentro di me, che cresce tanto di più quanto sto lontano da lui, fino a bucarmi lo stomaco. Ma per fortuna adesso lui c'è e questo vuoto, formatosi lentamente per la sua assenza, viene riempito all'istante con la sua presenza.
«Cos'hai chiesto ai kami?» chiede lui mentre ci dirigiamo verso un'altra zona del santuario.
«Se te lo dico poi non si avvera» rispondo sorridendo amaro – perché so che non si avvererà in ogni caso –, ma facendolo passare per un sorrisetto malizioso.
«Il mio si avvererà lo stesso invece!» ribatte sorridendo e allacciando un braccio attorno alla mia vita, gesto che mi fa sobbalzare leggermente poiché inaspettato e allo stesso tempo più che gradito.
«Perché, cos'hai chiesto?» chiedo curioso sapendo che muore dalla voglia di dirmelo. Lo vedo dal suo sguardo e lo capisco da come si sta comportando.
«Una bottiglia di vino» inizia e io già immagino dove voglia arrivare. Respiro quindi pesantemente, cercando di rimanere concentrato e non perdermi in pensieri impuri, cosa alquanto difficile siccome poi aggiunge: «E di farti sognare stanotte.»
Cerco di non soffocarmi mentre mi riprendo dalle immagini di me e Jimin in tutte le posizioni possibili che mi scorrono davanti agli occhi e mi volto verso di lui, osservandolo dall'alto – non troppo alto in realtà, dato che ha messo le scarpe con un po' di tacco per non sembrare, parole sue!, il nano con il principe – mentre cerca di passare per innocente.
«Lo sai che ti odio?» domando retorico e infinitamente ironico. Non potrei odiarlo neanche se mi spezzasse il cuore e ci camminasse sopra; sarei comunque io a chiedergli scusa in quel caso.
«Intanto mi hai sposato» sottolinea.
«Sì. E lo farei altre mille volte» rispondo tirandolo verso di me e stringendolo con un braccio, mentre con l'altro mi passo una mano tra i capelli, diventati ormai troppo lunghi da gestire. Appena saremo tornati a Seoul dovrò andare dal barbiere a farmi dare una bella spuntatina.
«Ti amo, Kookie» mi dice dandomi un bacio sulla guancia, disinteressandosi completamente della miriade di persone che camminano per il santuario.
«Ti amo, piccolino» rispondo dandogli un bacio a stampo, scusandomi nel frattempo con gli Dei che hanno dovuto assistere a questa scena da loro considerata "impura". Ecco perché ho smesso di credere... non è giusto che l'amore, o le sue forme di dimostrazione, vengano considerati impuri. Non è giusto che l'amore debba essere etichettato come "gay" o "normale". Niente di tutto questo è giusto, perché quando si ama contano solo i sentimenti e la felicità di entrambi, nient'altro.
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Ed ecco qua a tutti voi la seconda parte di questo capitolo. Non vedo davvero l'ora di finire questa storia, ho bisogno di portarla a un termine anche se mi mancherà da morire.
Io auguro a tutti voi un buon fine settimana!!! Spero di riuscire ad aggiornare presto, ma devo dire che per questo capitolo ho faticato a trovare l'ispirazione. But Jungkook made up to Jimin for the things he screwed, so... :D
In ogni caso, ve se ama!!! ❤️
Words: 2947
Published: 25062021
Edited:
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