Mirrors // sɹoɹɹıW
Namjoon rientrò nell'appartamento buio proprio in quel momento. Solamente dopo aver acceso la luce fioca della lampada all'ingresso si tolse le scarpe e indossò le sue pantofole preferite, le più morbide e belle che avesse. Dopo aver passato un'intera giornata a girare per uffici si meritava di far riposare i suoi piedi su un paio di cuscinetti morbidi come nuvole.
Entrato in casa posò le chiavi nel porta-oggetti che si trovava sulla madia in soggiorno e si tolse il cappotto, appendendolo alla porta. Aveva bisogno di bere qualcosa, ancora prima di liberarsi di giacca e cravatta e di quei pantaloni da completo che gli fasciavano le cosce alla perfezione.
Dovrò comprarne un altro paio, pensò dirigendosi verso l'armadietto contenente gli alcolici e tirando fuori una bottiglia di whiskey. Stava peggiorando con l'alcol, se ne rendeva conto, ma semplicemente non gli importava. Gli bastava arrivare sobrio al lavoro e mantenere per sé quell'unica cosa che lo rendeva ancora felice, quindi quando doveva svegliarsi presto il mattino dopo si concedeva al massimo due bicchierini. Ma quella sera era diversa.
Al lavoro era stata davvero dura, non solo perché aveva dovuto girare tutta la città, passando da un ufficio ad un altro. Era stata dura perché era tornato nel suo ufficio, aveva rivisto la sua foto. Anche il suo appartamento era pieno di cornici raffiguranti lui o loro due insieme, ma Namjoon aveva fatto piazza pulita di quasi tutte. Ne era rimasta soltanto una in camera da letto; la teneva sotto il cuscino con il quale non dormiva, in modo che potesse decidere lui quando vederla e quando invece non riusciva neanche a pensare di averla.
Dopo aver afferrato la bottiglia di whiskey camminò verso il divano, gettandocisi sopra, senza curarsi di munirsi del suo solito bicchierino. Semplicemente stappò la bottiglia e se la portò alle labbra carnose, ingurgitando una quantità d'alcol senza misura. Non aveva intenzione di misurarsi, non quella volta, non dopo che l'aveva rivisto sorridere, imprigionato in una cornice argentea che urlava: "Sono il tuo ex ragazzo, guardami!".
Namjoon sentì le lacrime spingere per farsi strada attraverso i suoi occhi, ma cercò con tutto sé stesso di ricacciarle all'indietro, mentre cercava a tentoni di alzarsi in piedi senza perdere l'equilibrio. Aveva freddo. Faceva freddo, era in pieno inverno e in parte usava l'alcol per scaldarsi, ma voleva una coperta calda, un piumone, con il quale coprirsi il corpo attraversato da continui e fastidiosi spasmi causati dai brividi.
Voleva andare in camera sua, cambiarsi e stendersi sotto il suo caldo e soffice piumone, non curandosi del fatto che il giorno successivo sarebbe stato impegnativo tanto quanto l'attuale. Non gli importava, voleva solo poggiare la testa sul cuscino e addormentarsi e non sapere se si sarebbe mai svegliato. Sperava che non si sarebbe mai svegliato.
Riuscì quindi a farsi strada tra i corridoi di quell'appartamento buio e freddo, trovando un po' a tentoni la sua camera da letto, confondendosi prima con il bagno e poi con la stanza degli ospiti. Insomma, era un completo e cieco disastro; la vista non era più solamente annebbiata, era del tutto confusa e il suo cervello gli stava restituendo immagini macchiate, senza contorno. Ironico, poiché "senza contorno" era proprio come si sentiva lui, ormai privo di margini, di regole, di motivi per stare al mondo.
Arrivato in camera accese la luce, che al momento gli bruciò gli occhi abituati al buio del corridoio, nel quale aveva sostato per parecchio tempo. Prese un sorso di whiskey; gli scivolò lungo l'esofago, accarezzandolo durante il suo passaggio e lasciando delle forti zone brucianti, arrivando poi nello stomaco e incendiandolo. Namjoon doveva essere abituato a quella forte sensazione che ormai ogni giorno sentiva farsi strada in lui, ma ogni sorso anziché bruciare di meno aveva proprio l'effetto opposto, facendosi sentire maggiormente.
«Maledizione!» esclamò il castano portandosi una mano sullo stomaco e arrivando finalmente davanti al suo specchio, con l'unico obiettivo di liberarsi di quei vestiti scomodi e freddi che era costretto ad indossare per tutto il giorno. Incredibile come fino a poco tempo prima gli piacessero, come lo facessero sentire, in qualche modo, sensuale. Ma quando si perde qualcuno che significa ogni cosa, possono rimanere solo due opzioni tra cui scegliere: lottare o mollare. E Namjoon aveva preferito la seconda.
Tenendo per il collo la bottiglia di whiskey in una mano, con l'altra iniziò ad allentare il nodo della sua cravatta, tirandolo in maniera sconnessa, come se si stesse strappando l'indumento via dal collo. I suoi occhi finirono sullo specchio, probabilmente per vedere meglio i movimenti che stava compiendo, e quando finalmente riuscì a liberarsi della cravatta lasciò andare la bottiglia di vetro che teneva con una mano, la quale cadde a terra infrangendosi e sparpagliando frammenti su tutto il pavimento, bagnando la moquette irrimediabilmente. Ma quello era il meno, siccome a Namjoon dell'estetica di casa sua non importava un granché.
«Cazzo!» urlò, un po' per il dolore, un po' per quello che aveva visto. Ma la parte più grave non erano neanche i pezzi di vetro che gli avevano ferito i piedi scalzi e le caviglie. La cosa che gli aveva fatto più paura erano quegli occhi, gli occhi riflessi nello specchio. Erano stati quelli a fargli cadere la bottiglia di mano.
Si avvicinò alla superficie riflettente, curioso di sapere se avesse visto giusto e trovò conferma ancora una volta negli occhi. Namjoon vedeva la sua fottuta immagine, era identico a se stesso, tranne che per quel paio di occhi che appartenevano alla stessa persona che tormentava i suoi sogni da quando... da quando l'aveva persa.
«Maledetto whiskey!» disse dopo, convincendosi che fosse stato l'alcol a fargli avere quella visione poco piacevole. Tuttavia, nello specchio continuava a vedere gli occhi di lui. Allora li chiuse, li strizzò, si ripeté più volte: «Non è reale, è solo l'alcol», ma quando li riaprì vide dentro lo specchio un uomo avvicinarsi sempre di più, e quell'uomo era proprio-
«Seokjin...» sussurrò Namjoon con un groppo in gola. Il ragazzo si sedette a terra, ignorando i cristalli di vetro che gli si stavano infilando nella carne, e versò una lacrima.
«Namjoon» rispose l'altro, sorridendo e sedendosi proprio come aveva fatto il corvino l'attimo prima. «È passato tanto tempo...» disse ancora il ragazzo all'interno dello specchio, stupendo quello dall'altra parte.
«Jin...» disse il castano nuovamente, adesso piangendo del tutto, quasi incapace di pronunciare dell'altro, ma sforzandosi di dire, più a se stesso che al ragazzo nello specchio: «Dovevo ubriacarmi per rivederti?»
«Non sono un'allucinazione» replicò l'altro con calma, spiegando di essere il vero Jin, "semplicemente" intrappolato all'interno di uno specchio.
«Sì, certo, magari fossi vero...» ribatté il minore con amarezza, realmente sperando che quel Seokjin fosse il suo Jinnie, e non solo un frutto del suo principio di alcolismo cronico.
«Guarda che sono vero» insisté l'altro, cercando di convincere finalmente Namjoon che stava parlando con il suo amato e perduto Kim Seokjin. «Sono arrivato in questo specchio qualche giorno dopo essere mort-»
«Stai zitto!» gridò Namjoon, dimenandosi a terra e permettendo a qualche altro vetro affilato di infilarsi nella sua carne sanguinante e piena di ferite. L'alcol attutiva il dolore, ma anche quel poco che sentiva non era un problema per lui, masochista com'era diventato.
Seokjin notò il dolore che stava provando il ragazzo, ma decise di non commentare. Preferì invece andare avanti con il suo discorso: «Sono solo passato a trovarti. A controllare come stessi...» disse.
«Come credi che stia?» rispose il castano burbero, per poi aggiungere: «Sto una merda e adesso il mio cervello- adesso questo fottuto stronzo vuole farmi credere che tu sia tornato.»
«Non sono tornato. Non si può tornare indietro dal mondo dei morti, ma-»
«SMETTILA DI DIRLO!» urlò Namjoon afferrando un frammento di vetro e lanciandolo contro lo specchio, generando in esso una piccola crepa. Non riusciva a sentire quella parola, non riusciva ad accettare lo stato in cui si trovava Jin e quindi neanche a nominarlo e il fatto che il suo cervello lo stesse facendo con così tanta noncuranza lo faceva impazzire. Non doveva permettersi.
«Scusa...» Seokjin abbassò lo sguardo, consapevole che per qualcuno ancora vivo la morte è una cosa difficile da accettare. «Comunque sono reale, sono il tuo Jinnie.»
«Perché dovrei crederci? Sono ubriaco e-»
«Perché è difficile. Sarebbe troppo facile credere che io sia solo un prodotto del tuo cervello stracolmo di tossine; e so che tu odi le cose semplici.»
Da quando non ci sei più odio qualsiasi cosa, pensò il minore che si stava pian piano convincendo che l'altro fosse reale, anche se gli sembrava ancora strano: forse qualche altra conferma non gli avrebbe fatto male.
«Okay, ma il mio cervello sa che odio le cose facili. Potresti aver preso l'informazione da lì.»
«Namjoon, sono io» affermò Jin con voce decisa e ferma; quel tono quasi spaventò il ragazzo seduto tra i frammenti di vetro sporchi di alcol e sangue. Non aveva mai sentito Jin usare quel tono, davvero mai, quindi quello non poteva essere un ricordo portato nuovamente in vita dal suo cervello. Inoltre il castano sapeva che il cervello non mentiva: rievocava ricordi, ma non poteva creare situazioni nuove... o almeno, quello era il suo pensiero riguardo al comportamento dell'organo più importante del corpo umano.
«Jin?» chiese per sicurezza, nonostante ormai si stesse convincendo.
«Sì, Namjoonie?»
«S-sei tu?» domandò ancora, con la voce spezzata a causa del pianto in cui era scoppiato, liberando, finalmente e senza più alcun ritegno, le proprie insistenti lacrime.
«Sì, Namjoonie, sono io. Per davvero» confermò nuovamente il più grande, con calma e tornando al suo solito sorriso. «Non devi piangere» cercò di dirgli successivamente, ma il moro lo ignorò completamente; ma d'altronde come avrebbe potuto dargli ascolto? Aveva di fronte ai suoi occhi la persona che più aveva amato – e ancora amava – e che non vedeva da tempo.
«C-come... com'è possibile? Che tu sia- qui, intendo...»
«Le persone non muoiono mai veramente» disse sorridendo, sperando che quella frase avrebbe potuto consolare il minore.
«E perché hai aspettato così a lungo? Mi sei mancato tantissimo...» mormorò cercando di non piangere. Un'infinitesima parte di lui continuava a ripetergli che tutto quello non era reale, ma in quel momento non l'avrebbe ascoltata per nulla al mondo; voleva aggrapparsi a quell'idea, seppur malsana e irragionevole, che il corpo del suo amato fosse intrappolato in quello specchio incrinato a causa sua.
«Anche tu, ma non ho aspettato tanto per una mia scelta. I morti non possono-»
«Potresti non usare quella parola?» lo interruppe Namjoon. Era una cosa più forte di lui, non poteva farci l'abitudine. Seokjin nella sua testa era ancora vivo, anche se non poteva più abbracciarlo o stringerlo a sé; ma lui era vivo.
«Va bene...» concesse il maggiore, prendendo una piccola pausa per poi ricominciare a spiegare i motivi di tanta attesa: «Come ti dicevo, non tutti i fantasmi?» disse quella parola con tono interrogatorio, come a chiedere a Namjoon se andasse bene e, non vedendo alcuna reazione da parte del castano, semplicemente continuò a parlare: «sono autorizzati a farsi vedere dai propri cari. Ogni volta che i nostri mondi entrano in contatto succede qualcosa di terribile, ecco perché serve un'autorizzazione.»
«E con l'autorizzazione non succede niente di brutto?» domandò il castano sembrando un bambino impaurito. In realtà non aveva paura, solo la sua perenne curiosità non riusciva a placarsi davanti a niente.
«Non è detto...» rispose Seokjin con tutta la calma del mondo, abbassando però lo sguardo per non incontrare quello del minore. «Adesso ho io una domanda per te... e voglio che tu risponda sinceramente: come ti senti?»
Quelle parole colpirono Namjoon come un'ondata d'acqua in pieno oceano, una di quelle che riesce a catapultare un'intera barca. Il castano stava pensando alla parola giusta da usare, stava scavando nelle profondità del suo vocabolario provando a trovare quell'aggettivo che potesse descriverlo, ma non ci stava riuscendo. Stava fallendo miseramente perché in quel momento il dizionario della sua memoria si era completamente svuotato. E forse, realizzò, forse era proprio così che si sentiva. «Vuoto...» disse in un sussurro, sperando che l'altro intendesse le sue parole, dal momento che non aveva intenzione di ripetersi.
«Capisco... ma adesso sono qui, non devi sentirti vuoto» lo consolò Seokjin avvicinandosi di poco allo specchio.
«Sì, ma prima o poi te ne andrai... di nuovo» ricordò il minore, lasciando l'altro senza niente da dire. «Oppure resterai? Vivrai per sempre nel mio specchio e io avrò una ragione per andare avanti?»
«Non posso vivere nel tuo specchio. Dopo essermi fatto vedere, devo lasciarti andare...»
«No.» sentenziò Namjoon, che non accettava quella situazione. Non accettava di essere abbandonato dalla persona che amava una seconda volta. Già la prima lo aveva distrutto, ma un'ulteriore non lo avrebbe fatto uscire vivo. «Non te ne puoi andare ancora, Jin, non puoi...»
«Joonie...» cercò di farlo ragionare, usando quel dolce soprannome che gli aveva affibbiato la prima volta che fecero l'amore. «Ascoltami molto bene: il mio permesso scade tra qualche decina di minuti. Però noi ci rivedremo prima o poi... devi semplicemente avere pazienza» concluse il maggiore, ma le uniche parole che fecero davvero breccia nelle orecchie e nel cuore dell'altro furono quelle che formarono quel "noi ci rivedremo prima o poi". Prima o poi, pensò Namjoon, ... e se riuscissi ad accelerare questo "prima o poi"?, continuò, tastando il pavimento fino a trovare, con il suo palmo già ferito, un frammento appuntito di vetro, attorno al quale avvolse le sue dita lunghe e affusolate, già martoriate da quello stesso materiale che in quel momento stava stringendo nel pugno di una mano. Gli occhi per tutto il tempo erano rimasti fissati in quelli di Seokjin, al di là dello specchio, facendo intendere che il suo gesto fosse stato completamente dettato dall'inconscio.
«Namjoon.» lo richiamò all'attenzione il maggiore, usando un tono di voce fermo e duro. «Non farlo.»
Il minore non capiva di cosa stesse parlando e realizzò solo quando Seokjin gli indicò con gli occhi il pezzo di vetro che aveva in mano. Solo in quel momento il ragazzo dai capelli castani si rese conto del gesto che stava compiendo, eppure non si fermò. Se il suo subconscio aveva agito in quel modo doveva esserci una ragione ben precisa e ora che ci pensava... morire non gli sembrava così male se in cambio avesse potuto avere Jin.
«Pensaci, Jinnie. Io e te insieme, come prima, ma per sempre...»
«Posalo.» ordinò a denti stretti. «Per piacere, Joonie, posalo.»
«Non vuoi stare di nuovo con me?»
«Sì, che lo voglio. Lo voglio più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma ogni cosa a suo tempo.»
«Il tempo è relativo, io lo sto solo velocizzando...»
«Joonie...» lo chiamò nuovamente il corvino con la voce spezzata. Se fino a quel momento non si era scomposto, sembrando quasi un angelo contrassegnato da serenità e benessere, adesso si stava spaventando tantissimo. Lui amava Namjoon e non voleva che morisse per lui. Era ancora così giovane, così bello, non meritava quello che si stava facendo. «Io ti amo... non farti questo» lo supplicò il maggiore, piangendo. Chiuse gli occhi per impedire alle lacrime di offuscargli la vista e perché, allo stesso tempo, non voleva vedere cosa stesse accadendo nella stanza fuori dallo specchio.
Nel frattempo Namjoon si avvicinò ancora di più allo specchio, allungando la mano libera verso di esso fino ad appiattirci il palmo. «Anche io ti amo» disse mentre Jin posizionava il suo palmo in corrispondenza di quello del minore. «Ed è per questo che-che lo devo fare. Ti ho già visto andartene una volta...»
«Namjoon, questa si chiama vita. Si nasce, si vive la propria storia e solo alla fine si m- va via...»
«È questa la mia fine» continuò portando il pezzo di vetro sul suo collo, premendolo leggermente su di esso.
«Non voglio vederti morire» disse Seokjin stringendo a pugno la mano che fino a poco fa stava premuta contro lo specchio.
«Ma le persone non muoiono mai veramente, giusto?» domandò retoricamente il castano con un mezzo sorriso, riprendendo le parole precedentemente pronunciate dall'altro. «L'hai detto tu.»
«Ho anche detto che ogni cosa ha un suo momento, Joonie...» gli ricordò, ma dall'altra parte non arrivò alcuna risposta. Il castano aveva deciso, niente al mondo gli avrebbe fatto cambiare idea; voleva stare con Seokjin e nient'altro, voleva parlare di nuovo con lui, sentire la sua voce, dirgli quanto fosse bello e quanto perfetto fosse il suo corpo nonostante il foro della pallottola che continuava a mostrarsi tra le costole. Voleva tutto questo e lo voleva subito, non "a suo tempo"; non sarebbe mai e poi mai riuscito a sopportare l'attesa, doveva farla finita.
«Hai detto che mi ami?»
«Sì, che ti amo!» sbottò Seokjin in preda al panico continuando a piangere, ma tornando con lo sguardo sulla persona e sulle azioni del minore. «È per questo che non voglio che tu muoia!» quasi urlò, per quanto la sua gola contratta e le lacrime che continuavano a spingere fuori dai suoi occhi lo permettessero.
«Jinnie, tra poco tutto questo sarà finito. Tu ed io saremo finalmente di nuovo insieme» disse premendo la lama vetrata ancora di più contro la sua gola, facendo uscire un leggero rivolo di sangue.
«Fermati!» urlò Seokjin lanciandosi contro lo specchio, sapendo che però non sarebbe mai riuscito a raggiungere l'altro per fermarlo. Provò quindi a usare le parole, ma ad ogni suo "fermati" o "basta" corrispondeva un movimento da parte di Namjoon che faceva scorrere la lama lungo il suo collo, sempre più in profondità.
Il castano strinse gli occhi per il dolore, ma per fortuna l'alcol che gli scorreva in vena attutiva il tutto in maniera quasi totale. Sentiva solamente un leggero bruciore alla gola, niente a confronto di quello che aveva sentito prima con il whiskey.
«Ti amo, Jin. Tra poco sarò nello specchio anche io» sussurrò e poi smise di parlare. Il dolore alla gola gli impediva di dire qualsiasi cosa. Semplicemente si accasciò a terra, schiacciando il suo corpo contro i cristalli di vetro che si trovavano ancora lì, gli occhi adesso aperti e pieni di lacrime a guardare il soffitto buio, sempre più buio, fino a diventare una semplice macchia nera. Attorno a lui adesso il vuoto, eppure non si era più sentito così sereno dopo quel tragico giorno.
La sua vita era finita sul pavimento della loro camera da letto, pavimento sporco di alcol e sangue e, dopo quella sera, sporco di morte. Eppure Namjoon era felice perché finalmente, dopo tanto tempo, si sentiva di nuovo pieno, all'interno dello specchio.
Seokjin nel frattempo stava continuando a piangere, accovacciato davanti allo specchio e quasi contro di esso, nel vano tentativo di raggiungere il corpo stesso a terra e privo di vita del suo amato. Continuava a piangere e continuò anche quando una mano si posò sulla sua spalla, facendo credere al corvino che il suo tempo fosse scaduto. Continuò a piangere anche quando, dopo diversi minuti, sollevò lo sguardo e vide gli occhi dell'ex fidanzato brillare, brillare di gioia per aver ritrovato l'amore. Continuò a piangere anche quando il minore lo prese tra le sue braccia stringendolo a sé, dandogli calore nonostante i fantasmi ne fossero privi, donandogli quell'affetto che per tanto, troppo tempo gli era mancato. Continuò a piangere anche quando il suo tempo era davvero finito e, accompagnato dal castano, iniziò a tornare indietro, nel mondo in cui aveva vissuto i primi giorni da morto.
Seokjin e Namjoon finalmente erano di nuovo insieme ed erano felici, ma il prezzo che il minore aveva dovuto pagare era fin troppo e il corvino se ne sarebbe ricordato per sempre. Nonostante questo Namjoon era sereno, era felice e aveva ricominciato a vivere insieme al suo amore. È vero che il tempo è relativo, ma lo è anche la percezione della vita. Se il maggiore era rimasto letteralmente sconvolto dal gesto che il castano aveva compiuto davanti ai suoi occhi, il secondo era invece tranquillo, nonostante si stesse parlando della sua stessa vita. Semplicemente, era ciò che voleva, ciò che attendeva. E adesso stava bene.
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Il corpo di Kim Namjoon venne trovato tre giorni dopo da quattro agenti della polizia, che erano stati avvertiti da due colleghi del ragazzo, preoccupati delle sue assenze ingiustificate al lavoro. Beh, d'altronde un ragazzo rigoroso come era Namjoon suscitava subito dei sospetti quando si assentava dal lavoro senza neanche un messaggio, o senza rispondere al telefono per tre giorni di fila.
La sagoma era stesa a terra, gli arti insanguinati e la gola squarciata. Le lacrime lungo guance e tempie si erano ormai seccate, così come il sangue e il liquido marrone del whiskey, mischiati insieme a formare un'unica sostanza che sprigionava un odore pessimo.
Gli agenti notarono tantissime cose, tra cui tutti i dettagli del suicidio: come era avvenuto, quanto tempo fa. Il perché poteva essere spiegato dai colleghi: perdita d'amore. Il caso era chiuso, per gli agenti era suicidio: l'unica cosa che mancava da fare era dichiarare il decesso del ragazzo, poi era finita. Una sola cosa era sfuggita ai quattro uomini che avevano fatto irruzione in casa dell'adesso fantasma, un minuscolo dettaglio all'apparenza irrilevante: la sua espressione. Tutti stavano piangendo la sua morte, persino Kim Seokjin; eppure lui aveva gli occhi felici, perché finalmente si era liberato di quell'oppressione che si stava portando dietro, si era liberato di quel carcere in cui stava vivendo.
Jin gli aveva detto che ogni qual volta che il mondo dei morti e quello dei vivi si incontravano, succedeva qualcosa di terribile, ma anche quello era tutto relativo. Quella che per i suoi colleghi e amici era stata una tragedia, un qualcosa da commemorare con funerale e successiva sepoltura, quello che aveva scosso gli animi quieti degli angeli in paradiso e che aveva riempito di pena quelli tormentati dei diavoli all'inferno, per Namjoon aveva invece rappresentato libertà, amore, gioia, la fine del fottuto dolore che aveva provato ogni giorno da quel giorno. Il castano se lo meritava il paradiso, e se lo meritava proprio insieme a Seokjin.
╰⊱♥⊱╮ღ꧁ spazio autrice ꧂ღ╭⊱♥≺
Ciao a tutti! In questi giorni, anziché dedicarmi alla scrittura della seconda parte del capitolo XX di TH, ho preferito scrivere questa OS tragica che spero vi sia piaciuta.
A me fa cagare, but hey- tell me smth that i don't know... in più non mi soddisfa neanche, però vabbè.
Ve se vole bbene! Passate una buona giornata!
Words: 3657
Published: 28 Aprile 2021 (tanti auguri a mia sorella!)
Edited: 28 Aprile 2021
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