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Dopo po’ i due si separarono, Octavia tornò in camera sua, lasciando Stolas da solo.
Non era la prima volta che succedeva, ormai era abituato a rimanere solo in quell’immenso palazzo. Sentiva sempre un’ombra di solitudine e amarezza dietro di lui, che lo seguivano dovunque egli andasse, solo quando stava con quell’imp non la sentiva, anzi sentiva tutt’altro, quando era con lui non esistevano emozioni negative, anche quando lo trattava male, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui.
quella notte però, dovette passarla senza di lui. Era molto preoccupato, Blitz in quel periodo non era stato affatto bene, e lui lo sapeva, aveva visto quello di cui era capace, quindi non poteva stare tranquillo. Però dopo la “brutta” conversazione che avevano avuto non si sentiva sicuro nel scrivergli o nel chiamarlo. Non voleva disturbarlo ulteriormente.
Andò in camera sua, ormai dormiva da un po’ senza stella, che dormiva in una delle numerose stanze degli ospiti del palazzo. Si coricò sul letto, dopo essersi messo la sua iconica vestaglia rossa, e poi si rannicchiò su se stesso, provò a dormire, tentativo vano, la sua mente era occupata a pensare al suo imp, se stesse bene, senza preoccuparsi però delle sue condizioni, dei suoi bisogni. Sapeva benissimo che per il demone inferiore lui era solo un passatempo, e che non doveva illudersi se a volte gli dava affetto o aveva semplicemente bisogno di lui. Tutti a volte hanno bisogno di compagnia e affetto, e cercano di ottenerlo da chiunque, anche persone di cui non gli importa.
Stolas pensava fosse questa la visione di Blitz, che lo avesse cercato solo per un suo bisogno fisiologico, non perchè forse veramente interessato a lui.
Stolas si rigirava nel letto, incapace di trovare pace. La vestaglia di seta gli aderiva fastidiosamente alla pelle, ma non era quello a tenerlo sveglio. Erano i pensieri, sempre loro. Blitz. Il suo volto, il suo sorriso sarcastico, persino il modo in cui lo trattava con una certa indifferenza... ogni dettaglio era inciso nella sua mente come un marchio.
Si alzò dal letto, incapace di restare immobile. La sua stanza sembrava ancora più grande e vuota di quanto fosse in realtà, e l’ombra della sua solitudine sembrava quasi prendere forma tra le tende e gli angoli bui. Si avvicinò alla finestra, scrutando l’orizzonte dell’Inferno, con aria triste e impassibile. Là fuori, da qualche parte, c’era Blitz, sentiva il bisogno di averlo accanto a se, come se fosse la sua aria, voleva rivivere momenti simili a quello che avevano avuto prima che Octavia chiamasse, voleva sentire il calore del suo corpo sul suo. Voleva sentire i suoi occhi gialli, come le più profonde pozze di zolfo dell’inferno, intrecciarsi con i suoi color sangue.
Casualmente si trovò con il telefono in mano senza nemmeno ricordare di averlo preso. Scorse i messaggi più recenti. L’ultimo era suo, un semplice "Tutto bene?" che Blitz aveva ignorato. Stolas sospirò e lasciò il telefono sul davanzale.
“Devo smetterla. Lui non mi vuole davvero. Non come lo voglio io.”
Stava per riporre il suo telefono sulla scrivania, per coricarsi nuovamente sul letto, quando il cellulare vibrò. Istintivamente lo prese, sperando che fosse un messaggio di Blitz. Andò nelle chat, ma la sua speranza fu subito spenta quando lesse il messaggio, venne sostituita però da preoccupazione. Infatti a scrivergli non era il suo amato imp, ma bensì suo padre in persona, Paimon.
Stolas prima di leggere il messaggio deglutì a vuoto, cominciando a covare dell’ansia dentro di lui. Una volta aver finito di leggere il piccolo testo, il panico aveva preso il controllo di lui. Infatti, suo padre voleva riceverlo il giorno seguente, per parlare di cose importanti della sua condotta da principe.
Il messaggio di Paimon brillava sullo schermo come un ammonimento, freddo e tagliente. Stolas lo fissava, le mani strette intorno al telefono mentre un nodo gli si formava in gola. Non c’era alcun dettaglio, solo l’ordine di presentarsi il giorno seguente. Ma non servivano spiegazioni: quando suo padre chiedeva un incontro, il significato era implicito. Raramente arrivavano parole di incoraggiamento o conforto; era sempre un richiamo, un’aspettativa insoddisfatta, una delusione da correggere.
Con un respiro tremante, Stolas posò il telefono e si lasciò ricadere sul letto. La stanza, vasta e ornata, sembrava improvvisamente più fredda. Ogni angolo era una cornice della sua solitudine: tende pesanti, mobili antichi, e una quiete soffocante che amplificava ogni pensiero. Blitz gli tornò alla mente come un sussurro. Il suo sorriso beffardo, il tono ruvido della sua voce... e il calore che, per qualche miracolo, riusciva a portare in quella vita vuota.
Si sollevò dal letto, incapace di stare fermo. Camminò verso la finestra, dove la luce rossastra delle fiamme infernali lambiva i vetri. Là fuori c’era l’Inferno, caotico e infinito, e da qualche parte in quell’inferno c’era lui. Stolas si passò una mano tra le piume spettinate, lasciando che il pensiero di Blitz occupasse ogni angolo della sua mente.
“È sciocco aspettarmi qualcosa da lui,” mormorò, la voce appena un sussurro.
Eppure, quella piccola scintilla di speranza non si spegneva. Forse Blitz era sveglio, forse pensava a lui, o forse combatteva i suoi demoni personali come faceva Stolas ora.
Tornò verso il comodino, lo sguardo cadde sul telefono. Era lì, un ponte verso l’imp che desiderava disperatamente raggiungere. Un messaggio, una parola... ma il coraggio lo abbandonava ogni volta che provava a muovere le dita.
Sospirò, appoggiandosi al letto. Il tempo scorreva, ma la solitudine rimaneva. Poco dopo però, si abbandonò al sonno, addormentandosi stringendo il suo cuscino rosso fra le braccia.
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