『Chap.9 Eunoia』

Eunoia [Yoo-noy-uh•Greco]
Una mente pura e ben composta, un'anima buona. La cosa più preziosa.

Siete mai stati innamorati? ((y/n)), in quel momento, lo era. Ma ogni volta che pensava a lui sentiva le lacrime agli occhi e le mancava l'aria, ma in senso positivo. Ogni volta che parlava di lui la voce le si rompeva appena, ma in senso positivo. Siete mai state così felici da avere paura per tutto quello che ne verrà? Può sembrare un pensiero stupido, fatto da chi è vittimista e vittima di sé, da chi crede di avere tutti i mai del mondo, ma forse, forse, ha un fondo di verità in sé. Perché la ragazza, la nostra cara protagonista, si sentiva così. Inoltre, stare con Dazai non la rassicurava nemmeno più di tanto. Abbiamo parlato del suo primo ti amo, ma mai quello della giovane. Ecco, lei non glielo disse mai, se non una sera di agosto.
«Credo di poterti amare, Osamu.»
Lo colse un po' alla sprovvista: erano seduti sul solito ponte e lui era leggermente distratto nell'aprire una bottiglietta di farmaci. Stavano insieme, perché dire una cosa del genere? Non appena lei notò di aver catturato a pieno l'attenzione del ragazzo, prese dallo zaino un pacchetto di pastelli a cera e gli sorride.
«Non sapevo se ti amavo o se desideravo sentirmi amata. Ma noi litighiamo quasi ogni giorno, piangiamo l'uno nelle braccia dell'altra e non siamo mai veramente felici se non quando siamo noi contro tutti.»
Riprese fiato, scese dal ponte e si sedette in mezzo: dovete contare che questo era completamente attraversato dall'asfalto della strada.
«Quindi credo di poterti amare, perché non mi dai quello che voglio ma quello di cui necessito.»
Rovesciò senza grazia tutti i pastelli sull'asfalto e prese a disegnare tanti fiori. Dazai la guardava senza rispondere da dove era, non provava nemmeno a muoversi. I disegni erano certamente infantili, ma non si poteva dire di più della bellissima ragazza avanti a sé. Aveva i capelli ((h/c)) che solitamente le accarezzavano dolcemente la pelle tutti buttati in avanti, tant'è che ogni tanto li spostava per vedere meglio, essendo d'intralcio per gli occhi coperti. Era inginocchiata e aveva uno dei palmi che premeva contro l'asfalto; tutta la pelle a contatto contro questo sarebbe arrossata e, ad ogni movimento, rischiava di lacerarsi leggermente, come strusciare un dito violentemente contro una grattugia. Lui si alzò, confuso, e si limitò ad inginocchiandosi accanto a lei legandole i capelli con della cordicella sottile ma non troppo che aveva in tasca -aveva provato ad impiccarsi, ma la corda si era spezzata e ne era rimasta solo questa- sospirando profondamente. Forse non era veramente innamorata di lui, forse non era innamorato di lei, forse si odiavano, forse era solo una scusa per non scolarsi seduta stante l'intero barattolo di morfina che aveva riposto in tasca e portarsi lei nell'oblio. E forse proprio per questo le cose tra i due peggioravano, cose, perché dire "relazione" sarebbe volgare. All'inizio, questa era la cosa più bella che questo mondo avesse mai visto, ma pillola dopo pillola, gin dopo birra, latte e caffè, sigarette e fumo...
Quella sera si coricò del letto mentre lui era su di giri in salone. Parlava da solo, rideva, sentì persino che cercava di stapparsi una birra senza risultati -immaginò che, frustrato, la lanciò contro il muro, avendo lei sentito il rumore di vetri infrangersi per terra- ma, dopotutto, decise comunque di rimanere sotto le coperte, al caldo, in pieno agosto. Molti vicini sospettavano che subisse abusi dal più alto, ma non era così. Le urla, i litigi, le missioni e la mafia, non erano nulla in confronto all'amore che lui provava nei confronti della giovane. Quella sera, come tutte le altre, si infilò nel letto, cinse le braccia attorno al corpo della ((h/c-ette)) e le sorrise nell'incavo del collo, stringendola a lui e sussurrando:
«Inizia a fare freddo, sta arrivando l'autunno, sta arrivando l'autunno non credi?»
Ma era agosto, e faceva caldo, e le sue braccia erano calde, e il suo respiro era caldo, e il suo cuore batteva veloce e lei provava caldo. Forse è perché era innamorata, o forse voleva solo un ghiacciolo.
«Dazai, Dazai...Dazai voglio un ghiacciolo»
Ora provate a pensare il pensiero del bruno in quel momento, fatto e stanco -oh, voglio puntualizzare che erano le 4 di notte- ma, in caso, posso riportarvelo io, riassunto in un'unica parola: "amore". Si mise quindi seduto e decise di prenderla per mano, alzandosi poi e trascinandola con sé.
Uscirono quasi immediatamente, lei ancora in camicia da notte. Ed era bella, dio, lei era bellissima anche così. E Osamu la guardava e, più la guardava, più se ne innamorava. Ogni volta che sbatteva le palpebre era come vedere quel corpo delicato per la prima volta, quel sorriso etereo.
«(Y/n), (y/n) ti prego ascoltami.»
Chiamò poi lui prendendole entrambe le mani adesso; continuavano a camminare verso la drogheria.
«Sposami.»
Pianse. Pianse disperata coi palmi avanti agli occhi. Non rispose. Dazai lo prese per un no. Ma infondo, come biasimarla: il mare dei caraibi in confronto ai suoi occhi ((e/c)) era torbido, questi infatti erano belli e riflettevano il sole come le più limpide acque; la sua risata aveva un accento strano, probabilmente lei non era di qui, aveva dei lineamenti pressoché europei e la sua voce sembrava in qualche modo combaciare ad essi; il suo profumo era dolce come quello di un dolce appena sformato, ma non odorava di pane, quanto di buono, di allegro; le labbra, senza rossetto, erano rosse e soffici di loro, donando ulteriore vita a quell'anima fioca; infine, le mani gelide, la rendevano parte di quell'universo etereo che sembra irraggiungibile, inumano. E se le voci della bellezza interiore sempre maggiore di quella esteriore sono vere, allora lei conteneva in sé la più pura delle anime. Dolce fiore di pruno.
«Scusami, non dovevo, andiamo a pre-»
«Sì, il mio è un sì»
Lo fermò lei mentre la voce le tremolava ancora e tirava su col naso in modo non aggraziato ma che, fatto da lei, sembrava un gesto descritto dai migliori libri d'etichetta. Dazai ricordava un'unica donna che aveva questa capacità, quella di poter fare le gesta più volgari ma al contempo dare una percezione di sé afrodisiaca. E adesso ne aveva conosciuta un'altra. Mangiarono il gelato, Dazai era tornato sobrio. Si sedettero sul divano nel salottino dell'appartamento; l mal di testa la distruggeva, non riusciva neanche più a muoversi. La musica della radio che passava le notizie della mattina seguite attentamente dal bruno diventava insopportabile ma era terrorizzata dall'altrimenti silenzio dell'appartamento. Si strinse con la testa su suo petto e si addormentò. Poco sapeva che sarebbe stata l'ultima volta.
«La mia bellissima futura moglie.»

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