『Chap.7 Programmer』
Programmer [Proh-gram-er]●Inglese
(N) Un essere umano che ha una relazione migliore e più stretta con un computer che con gli esseri umani.
{Yokohama, 20xx}
Era notte fonda e lei sedeva accanto a Dazai, che steso cercava di prendere sonno. Ad un certo punto lei si stese a sua volta, incrociando le braccia dietro la testa e guardando il soffitto nero di buio.
-Dazai?-
-Mhmh?-
-Da piccolo, cosa desideravi fare, da grande?-
-Parli come se fossi già vecchio-
Ride, lui.
-Non sviare la domanda-
Alla serietà di lei, il tono di Dazai diventò simile al ghiaccio.
-Io non ho sogni.-
Seguì un interminabile minuto di silenzio.
-I quadri, i tuoi fantasmi, Dazai, esistono davvero?-
In quel momento il moro si girò verso di lei, guardandola con occhi prima curiosi. Come faceva a saperlo? Sì mise sopra di lei e le le inchiodò le spalle a terra, stringendo fin troppo fortemente la presa. Lei sussultò quasi svegliata da un brutto sogno.
-Come. Fai. A. Saperlo?-
Quasi tremava dalla paura, Dazai. Lei era ora calma, si limitò solo a spostare le mani e il corpo di quello, prima che potesse ferirla.
-Lo so e basta.-
Dazai la guardò negli occhi, terrorizzato. Era normale vederlo in quello stato? Credo proprio di no.
Prese un respiro, il moro, e cercò di tranquillizzarsi. Si alzò in piedi e camminò verso l'armadio, spostandolo di qualche centimetro verso di se e prendendo qualcosa da dietro a quello.
Era la fodera di un cuscino di tela, simile a quella che viene utilizzata sulle barchette dei pescatori. Dazai, quindi, si ravvicinò alla ((h/c)) e si sedette nuovamente accanto a lei.
-Li tengo conservati da molto.-
Aprì la zip della fodera e ci cacciò fuori delle pitture.
((Y/n)) li guardò tutti, uno ad uno; erano ben fatti e difficilmente si arriverebbe a pensare che la mano dietro a tutto ciò fosse quella di un ragazzino inesperto.
Lei si arrabbiò improvvisamente e posò le tele sul tavolo, sospirando rabbiosa.
-Perché Dazai...-
Stringeva i pugni.
-Perché ti sei dato alla mafia invece di studiare le arti?-
Lo guardò negli occhi, nervosa e dispiaciuta. Che diritto aveva lei di arrabbiarsi per questo?
-Intendo...Mori-San te l'avrebbe permesso!Te l'avrebbe permesso se solo tu avessi giocato bene le tue carte!-
Le lacrime le offuscavano la vista, no, non andava bene. Che diritto aveva lei di piangere per questo?
Dazai le accarezzò il volto con la mano, scacciando col pollice una o due lacrime. Cercava di calmarla nel più totale sconforto. La strinse leggermente e sospirò, a disagio. Non che lei, la sua presenza, lo facesse sentire a disagio. Ma quelle azioni che le dava. Quell'affetto ipocrita di chi sembra voler dire "voglio rimanere, non ti lascerò sola" mentre si stringe il cappio alla gola. Perché Dazai, sì che amava quella donna ancora troppo giovane per esser definita tale, non aveva mai smesso di pensare al suo suicidio. E lei aveva ragione. Avrebbe potuto giocare bene le sue carte. Avrebbe potuto dettare le condizioni. "Mori-san, sono disposto a non dire parola sull'omicidio se tu provvederai al pagarmi gli studi un'accademia d'arte".
Sarebbe stato facile. Facile pure per un bambino con un intelletto molto più inferiore al suo. Ma per Dazai non lo era, non lo era per quell'uomo ancora fin troppo giovane per esser considerato tale.
Forse Dazai invidiava Ango, sapete? Quell'uomo sarebbe in grado di vendere le persone a lui più care pur di sopravvivere. Perché, in verità, lui sapeva amare soltanto le macchine. Non aveva vere e proprie relazioni umane e non ne aveva bisogno. Non aveva paura dell'idea del prossimo dato che avrebbe sempre saputo uscirsene con una delle sua idee geniali. Non perché non sia stato umano, quell'uomo. No no, il discorso è diverso dalle condizioni di Dazai. Ango semplicemente non necessitava altri esseri umani. La presenza di Dazai e Oda era piacevole, certo, ma, che i due ci fossero o meno, al corvino non importava. Perché lui amava solo il suo computer, oramai.
Ed improvvisamente si ricordò di una conversazione con Ango. I due non parlavano spesso da soli, ma quella volta si ritrovarono a conversare come se si conoscessero da una vita intera. Ango, ad una certa, gli disse "Sei innamorato della piccola esecutrice sotto il comando di Mori-san?" E lui rispose, nella calma più totale, dicendo "Più che amarla, la posseggo". Il corvino lo guardò confuso, poi prese un sorso di cui che stava bevendo. "Finché non l'amerai, lei non t'apparterrà, lo sai?"
Le stesse parole che disse ((y/n)) quando lui ammise i suoi vaghi sentimenti a quella.
Dazai fu scosso da un tremore improvviso e staccò la giovane dall'abbraccio. Ango si sbagliava. Lei si sbagliava. Tutti si sbagliavano. Non l'avrebbe data vinta a quelli. Lei era sua.
-((Y/n)), ((y/n)) ti prego ascoltami!-
Aveva un tono quasi disperato, lui.
Lei lo guardò, confusa, le lacrime avevano cessato di scendere.
-Ti amo.-
E lei si bloccò.
No, non se l'aspettava.
Ma era felice.
Finalmente l'amava.
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