『Chap.3 Human Resources』

Human Resources
[hyu-men / Ri-sor-sis]●English
(N.) the unofficial lawyer, psychologist, event planner, teacher, peace maker, doctor, career planner, detective.

{Yokohama, 20xx}
I bracci le dolevano. Dazai intanto, preoccupato, le premeva l'impacco ghiacciato su alcuni lividi. Aveva appena fatto a botte con si sa chi. Dazai, ovviamente, non si era mostrato chissà tanto preoccupato inizialmente, ma quando noto i segni violacei sul corpo della più piccola, si intenerì al tal punto d'aiutarla.
-Odio quando mi prendono in giro-
-Quindi hai iniziato tu. E a quanto pare non li hai neanche battuti.-
-Non è colpa mia se non sono brava a picchiare gli altri.-
-Ancora mi chiedo cosa ci faccia tu nel buio.-
-Ed io mi chiedo perché tu non sia ancora nella luce.-
-Non sono una brava persona e lo sai.-
Lei annui, allontanandolo. La sera prima, lo ricorda bene, non era così amaro. Sarà stato perché prima aveva bevuto. Quando beve finisce sempre per ubriacarsi. Ma sarà il Dazai ubriaco il vero Dazai?
Il giovane si era seduto a gambe incrociate su un cuscino accanto a lei, poggiando i gomiti su un tavolino di quella che adesso era la sua nuova sistemazione. Era una casa non molto grande ma nemmeno troppo piccola. Sarebbe stata una casa perfetta per due sposini, ma nessuno dei due vedeva l'altro in quel modo. Erano finiti nella stessa casa perché oramai passavano le serate insieme e quella era l'opzione migliore. Entrambi non soffrivano più la solitudine, entrambi erano più al sicuro, entrambi sapevano di poter contare su qualcuno. Ed entrambi non osavano dire nulla su questi tre pensieri.
Fino ad allora, più o meno.
-Mi piaci, ((y/n))-
Disse con la più totale calma.
-Non è amore, che sia ben chiaro. Ma mi piaci.-
Continuò.
La ((h/c)) nel suo cuore sperava in una dichiarazione. Lo sperava sempre, in ogni secondo della sua vita. Ed ogni volta che ci pensava la sua testa sfrecciava tra milioni di scenari romantici. Scenari che aveva visto in film d'amore, letto in libri rosa o sentito in canzoni romantiche. Scenari così belli da far commuovere, con tramonti, stelle cadenti o prati verdi. Mai si sarebbe aspettata una dichiarazione fatta così, alla veloce, come se non fosse nulla di serio. Forse però era la cosa migliore.
-Beh, se non mi ami, non posso farci nulla.-
Disse allora lei.
-Però dato che non mi ami, non ti appartengo.-
Continuò. Lui si girò a guardarla. Era sorpreso dalla reazione di lei. Certo, non era mai stato veramente fidanzato, ma raramente una ragazza gli resisteva (certo, quando parlava di doppio suicidio scappavano, ma quella è un'altra storia).
-Ma se riuscissi ad innamorarmi di te, mi apparterresti?-
Annuì, guardandolo negli occhi. Dazai colse quel piccolo barlume di gioia in quegli occhi spenti.
-Ti fidi troppo di me.-
Annuì di nuovo.
-Potrebbe non accadere, lo sai?-
-Non mi importa, in verità. Lo sai.-
-Lo so.-
Ed adesso si riferivano ad una cosa che solo loro sapevano. Una cosa di lei che solo lui sapeva. Un frammento, un ricordo. Piccolo piccolo. Ma doloroso.
E non so, se lei mi perdonerà mai di aver portato in vita nuovamente quei ricordi. Oh quei ricordi, la uccidono. Dazai lo sa, ma non poteva farci nulla. Era impotente di fronte ad una cosa 'umana'.
-Vuoi un abbraccio?-
Disse d'un tratto il moro, cercando di rimediare al suo precedente 'errore', allargando le braccia e girandosi completamente verso di lei. La ((h/c)) annuì e strisciò tra le braccia del più grande, affondando la testa nel suo petto, cercando di dimenticare quei mostri.
"L'antonimo di muro è plastilina" Pensò Dazai, vedendo quell'ammasso di raggi di sole, nuvole e miele ora piangere tra le sue braccia, non riuscendo a non ricordare. Sarà perché a prima vista, lei sembra un muro di mille colori. Ma poi quando ti avvicini, curioso, noti che il muro è interamente formato da pasta modellabile distrutta, bucata e straziata in alcuni punti. Non puoi creare un muro di pasta modellabile. Lo sanno tutti.
Ma quel muro esisteva. E continuava a reggersi in piedi, chissà come, pensava il moro. Ma la ragione per tanate resistenza era semplice, almeno per la giovane. Era Dazai che teneva in piedi quel muro. Lei gli apparteneva, anche se gli diceva il contrario. Lei, ormai, dipendeva da quella mummia umana. Ma lui non lo sapeva.

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