『Chap.2 Solivagant』
Solivagant [So-li-va-gant]●Latino
Qualcuno che girovaga o viaggia in giro per il mondo da solo; un avventuriero solitario.
{Yokohama, 20xx}
-"Basta! Mi fai male!"-
Piagnucolò la più piccola, lacrimando appena. La ferita aveva aperto il braccio di quella come un peluche scucito.
-"Se non vuoi che faccia infezione o morire dissanguata, stai zitta e sopporta. Tutto passa."-
Disse Dazai, ricucendo alla meno peggio il taglio.
-"Per favore, tanto se muoio ti faccio un piacere no?"-
Giocò lei, tra le lacrime causate dal dolore. Il più grande la guardò, sempre con quello sguardo freddo che le faceva pensare "ecco, ho parlato troppo, l'ho fatto arrabbiare". E lì la giovane si zittiva aspettando una reazione del maggiore. L'unico rumore udibile diventarono quindi i gemiti di dolore della ragazza, la quale però piano piano si perdeva nelle sue paranoie, quasi smettendo di sentire l'ago che entrava e usciva dalla sua pelle. E intanto anche la testa di Dazai diventava più rumorosa di qualsiasi altro luogo al mondo. Nella sua mente sfrecciavano pensieri come "se solo fossi arrivato qualche secondo prima" o "perché dovevano assegnare proprio a lei questa missione". Ma uno lo fece fermare per un istante dai suoi movimenti da sarto. "Perché preoccuparmi per questa ragazza?"
Già, perché provare affetto per qualcuno che ti ha scoperto? Dazai non lo sapeva. Avrebbe dovuto temerla, allontanarla. Avrebbe dovuto ucciderla, quasi.
Perché ammettiamolo, tutti abbiamo paura di quelli che ci capiscono di più.
Tutti abbiamo paura di quelli che riescono a vedere ciò che sta sotto la maschera.
Perché siamo vulnerabili ai loro occhi.
Perché siamo nudi, in quel momento.
Perché-
-"Onii-San? Tutto ok?"-
Lo guardò lei, mentre vedeva la mano del più grande fermarsi. Dopo aver sentito la sua voce, ricominciò a cucire. Appena finita la sua opera d'arte, fece un nodino e tagliò il filo. Non disse altro ed uscì dall'appartamento della più giovane. Aveva sete. Aveva sete di alcol. Non sapeva perché di quel desiderio improvviso, ma ne aveva bisogno. Arrivato al "Lupin" si sedette al bancone, sperando di incontrare Oda. Ultimamente erano entrambi molto impegnati e non si vedevano spesso, ma aveva un brutto presentimento, lui. Aveva il presentimento che prima o poi quei due non avrebbero potuto più passare le serate a bere, chiacchierando del più o del meno. Dazai ordinò il solito liquore mentre aspettava il rosso, impaziente, ma lui non arrivò. Avrebbe voluto chiamarlo, ma decise di uscire dal bar senza neanche finire la propria consumazione. "Sigarette, ecco di cosa necessito" pensò mentre si dirigeva verso la spiaggia. Si fermò a comprarne un pacchetto, poi riprese a camminare. Arrivato sulla spiaggia salì sulla scogliera che proteggeva quel piccolo angolo di sabbia sottile. Era notte fonda e solo le luci dei lampioni illuminavano la scena. Iniziò a fumare una sigaretta, guardando l'orizzonte. Una nave nera sembrava stonare tra le vele bianche che si riflettevano sullo specchio bluastro, creando un pascolo in mare. Poi sentì qualcuno sedersi accanto a lui. Aveva un libro tra le mani assai colorato. Lo aprì e, con la poca luce, iniziò a leggere. Senza dire nulla, Dazai coprì la giovane col cappotto e le fece appoggiare la testa sulla propria spalla, stringendola leggermente a sé con un braccio. Nessuno dei due esattamente sapeva che provare. Non si sentivano felici in quel momento. Ma si sentivano protetti, in quel silenzio dolce e amaro che solo loro sapevano regalarsi. "Siamo come quella vela nera" pensò Dazai. Non perché il loro lavoro era spesso associato al nero, ma perché erano stati abbandonati da quegli angeli bianchi che componevano la parte del "bene". Perché erano delle pecore nere che saltavano agli occhi dei puri, che stonavano nel bianco del giorno.
Strinse, senza accorgersene, la ragazza a sé.
-Tutto ok?-
Chiese lei.
-No-
-Che succede?-
-Lo sai-
-Lo so-
Non lo sapeva.
-Tutto passa. E se tutto passa, anche il conforto che provo in questo momento stando accanto a te passerà.-
Era onesto, non aveva paura di lei. O almeno cercava di convincersi così.
-Beh, allora goditelo. Goditi questo momento. Come sto facendo io.-
E si strinse di più a lui, mettendo via il libro che teneva tra le mani.
Lui era sorpreso. Godersi questa sensazione. E come farlo? Come poteva farlo. Non lo sapeva. Sospirò, tenendola stretta. Sarebbe finito tutto presto. Si sarebbero divisi, lo sapeva. Ma non sapeva quando. Ma non sapeva come. Ma non sapeva perché.
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