Shon

Capitolo 11

●La follia appartiene a pochi, e pochi riescono a capirla. Ma io non sono folle abbastanza per capire la mia follia●

Mi trovai a sopportare la lezione di matematica a malavoglia, ero seduto accanto a una delle cheerleader, si chiamava Mess ed era battezzata con il nome della zoccola dall'intera scuola.

Tutti sapevano che apriva le gambe a ogni giocatore di basket e se la credeva talmente tanto, da sembrare la prima donna.

Si girò nella mia direzione e mi rivolse uno sguardo di disgusto mordendo la sua penna e subito dopo, fece un gesto di vomito.

Abbassai lo sguardo verso il mio libro odiandola e mi concentrai sulla lezione per i prossimi trentacinque minuti scordandomi della sua faccia. 

«Questa è stata la lezione piu noiosa di sempre», disse Mess alzandosi dalla sedia con una smorfia. Prese tutti i suoi appunti e sfrecciò verso l'uscita.

Con molta calma presi tutti i miei libri e lo zaino e andai verso gli armadietti. Avevo arte, l'unica lezione che seguivo insieme a Lilla con piacere, quindi non volevo fare tardi.

Voltai l'angolo ma quando allungai il collo verso gli armadietti per trovare Lilla, non la vidi da nessuna parte. La Dalia Nera si trovava in bella mostra disegnata sull'intera anta del suo armadietto e nessuno si era preso la briga di ripulirla.

Sospirai in apprensione per la mia amica.
Questa storia mi puzzava, più di quanto potesse puzzare un pastore tedesco immerso in una pozzanghera.

Mi voltai a destra e a sinistra per capire che cosa stava succedendo quando vidi l'inserviente che stava passando con il carrello in mano. I secchi blu erano pieni di acqua putrida e rossa, e lui borbottava qualcosa sotto voce.

Agrottai la fronte confuso. Ma che diamine stava succedendo.

Mi passò accanto un gruppo di ragazze della seconda D che stavano parlando e sghignazzando ad alta voce. Restai in ascolto per capire la loro ilarità.

«Quella poveretta se l'è cercata.» disse una con i capelli blu sulle punte.
«Sì se l'è meritata. Le sta bene fare la difficile con uno come il lupo nero.» aggiunse una mora con i capelli a caschetto.

Sgranai gli occhi e mi voltai verso loro due dicendo: «State parlando di Lilla?»

Entrambe si fermarono e mi diedero un'occhiataccia.

«Sì, proprio lei. La conosci?» quella con i capelli blu aggrottò la fronte.

Accidenti. Che cosa le avevano fatto quelli idioti questa volta?

«Sapete dov'è adesso?» chiesi di getto.

Avevo l'ansia, mi tremavano le mani, per questo motivo me li misi in tasca, nascondeldoli.

Entrambe si voltarono e se ne andarono senza rispondermi.

«Ehi? Sapete dov'è adesso?» le urlai dietro.

«È dove vogliamo che sia!» Rispose una voce dietro di me.

Ragelai sul posto. Quello dietro di me era Eliot, uno dei quattro lupi. Cazzo, lui era quello che mi faceva più paura di tutti perché lo chiamavano pazzo per un motivo.

Era senza limiti.

Cercai di mandare giù la pallina che avevo in gola e restai fermo. Quello che fece il giro fu lui, mi venne di fronte con fare spavaldo e a me tremarono le ginocchia. Mi morsi l'interno della guancia per fermare il tremolio delle labbra.

«Ciao...» assotigliò lo sguardo intento di fare finte di ricordarsi il mio nome. «Com'è che ti chiami scusa?»

«Sh-shon», balbettai.

Eliot rise divertito, «Stai tranquillo, non ti farò niente», dise ridendo agganciando i suoi occhi neri ai miei con prepotenza.

Restai fermo immobile. Accidenti se avevo paura.

«Vieni con me», mi ordinò dandomi la schiena e incaminandosi verso la loro zona privata al secondo piano.

I quattro lupi avevano un'aria tutta loro con la biblioteca, le loro cazzo di scrivanie dove prendevano le lezioni extra dai professori e anche una cazzo di sala giorno dove ci potevano stare solo i giocatori di basket e le cheerleader, ovviamente.

Restai fermo come calamitato al suolo. Non potevo muovere un muscolo, avevo troppa paura.

«Non te lo ordinerò un'altra volta», mi spronò.

Deglutii con difficoltà sentendo la gola arsa e mossi le gambe traballanti seguendolo.

Una volta sulla soglia delle scale, mi voltai a destra. Non ci ero mai entrato lì dentro e cercai di immagazzinare tutto ciò che potei.

Era una zona open space con una grossa biblioteca a muro che comprendeva la parte anteriore e quella a sinistra, intorno c'erano diverse poltrone nere, rigorosamente in pelle e diverse scrivanie posizionate agli angolo della stanza, c'erano due gradini di fronte a me, e dalla parte destra ovviamente il loro palco. In realtà c'erano sono le ringhiere in ottone, ma era il punto più strategico di tutto l'edificio. Da lì si poteva avere una visuale di trecentosessanta gradi sia a destra che a sinistra, e anche nell'entrata e il corridoio con gli armadietti. Loro potevano vedere tutti, ma nessuno poteva vedere loro per via del soffitto più alto nella loro direzione.

«Ciao Shon», chiamò la mia attenzione il  lupo nero, noto anche come Caleb War, noto anche come il nemesi di Lilla. Noto anche, come colui che vuole scoparsi Lilla.

Si trovava seduto su una poltrona, a destra in piedi c'era il lupo bianco Dean, che mi fissava da sotto il suo ciuffo biondo. A sinistra c'era Eliot con un sorriso di scherno nel volto, e appoggiato al tavolo all'angolo più a sinistra c'era Lenny, il lupo grigio che mangiava un dunats.

«Dov'è Lilla? Che cosa le hai fatto?» domandai appena mi ripresi dalla mia sensazione di sconforto.

Il lupo nero mi guardò da sotto le ciglia, sembrava rilassato e a suo agio, come se fosse sul suo trono e io fossi un semplice suddito che governava.

Fece un sorriso sbilenco e accavallò le gambe tamburellando con le dita sui bracioli.

«Dimmi Shon, quanto tieni alla tua amica rossa?», mi domandò piegando la testa a destra.

Cazzo, ma cosa aveva in mente questo coglione?

Deglutii prima di dire: «Molto più di te  questo è ovvio!»

Lui rise di petto divertito. «Mhh. Allora faremo un gioco se per te va bene?»

Strabuzzai gli occhi. Qualsiasi cosa avesse in mente, sapevo di non essere in grado di vincere. Mi avrebbe umiliato, ne ero più che certo.

«Conosci il gioco dell'enigmista?»

Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non mi uscii nulla. Avevo la mente che correva a tutta velocità.

Sapevo giocarci? No, certo che no.

Ma approcciai questo gioco al film di Saw, che era inquitante, così come anche gli occhi del lupo nero.

Che cosa aveva in mente?

«No, non lo conosco», risposi portando il peso sulla gamba destra. Mi posizionai meglio lo zaino in spalla.

Ero in ansia.

«Ti spiegherò le regole velocemente, ma non temere, non sarà il livello difficile, faremo il livello base e mi basterà la risposta giusta. Non risponderemo a turno, l'unico e il solo che gioca sei tu, Shon. Ti darò tre giorni per decifrare la risposta, oltre ai tre giorni ti daro tre parole. Dalle parole dovrai studiarci e con un po' di impegno, sono sicuro che riuscirai a darmi la risposta corretta. Se così non fosse, la punizione ricadrà sulla tua amica ovviamente. Quindi ti consiglio di aprire bene le orecchie.»

Restai con la bocca spalancata, il mio cervello non riuscii a immagazzinare tutte le sue parole. Parlò con lentezza, ma il timbro era roco e mi mise in guardia come sempre, d'altronde lui era il re dei malvagi. Il terrore della Little Falls High School.

Alzai la mano per chiedere il permesso di parlare.

Che scemo, perché dovevo chiedergli il permesso poi?

Caleb annuì con la testa.

«Mi sono perso dopo, "livello base". Posso registrarti?»

Caleb Wor mi guardò torvo, i suoi occhi mi si incollarono addosso e mi fecero venire un brivido freddo sul collo. Era meglio non farlo arrabbiare questo violento del cazzo.

«Tre parole. Tre giorni. Punisco la tua amica nel caso tu non dia la risposta giusta.» sentenziò.

«Mi serve una basa. Le tre parole non sono sufficienti. Che ne so, se magari blu, non significhi "oceano", "cielo", o che ne so, una poltrona blu?» risposi di getto, molto agitato.

Accidenti, le cose si mettevano male.

Per quale motivo aveva cercato me? Che cosa aveva in mente?

«Uno. Paura», mi zittì alzando la mano a pugno e alzando subito dopo l'indice.

Ebbi un sussulto. Questo era un inidizio.
«Cosa?» domandai confuso?

«Due. Antico», alzo il secondo dito, quello medio.

Degltuii la pallina che mi si era fermato in gola.

«Aspetta!» esclamai. Non ci stavo più capendo nulla.

«Tre. Ricorrente tutti i giorni», concluse alzando il terzo dito.

«In realtà, se leggi bene tra le righe dovresti trovare la soluzione molto facilmente.» Si intromise Dean.

Voltai il capo da lui. Sembrava abbastanza annoiato, adesso che lo osservavo meglio, ma non osai a dire un'altra parola.

«E se non lo trovo che cosa succede?»

Caleb insieme a Eliot ghignarono di gusto, come a pregustare la vittoria.

Agh! Che rabbia!

«Lasceremo decidere a te Shon» concluse il lupo nero.

Mi parlò ancora per enigmi questo qui.

Nessuno mi degna più di uno sguardo e capii che era il segnale che dovevo sloggiare.

Il primo pensiero che mi venne in mente fu quello di andare e strozzarli tutti uno ad uno. Il secondo corse alla mia amica.

Se non avessi trovato la soluzione, le sarebbe successo qualcosa di brutto e non ero disposto a farlo accadere.

Avrei chiesto aiuto a lei, Lilla sicuramente ci sarebbe arrivata, ne ero più che sicuro.

Paura.
Antico.
Ricorrente.
Me li stampai nella testa.

Che cosa sarebbe stato?
Una frase magari?
Uno strumento?
Qualcosa che fosse legato con i lupi e con quello che facevano?

Sicuramente Lilla avrebbe avuto la risposta. O almeno ci speravo.

Mi mancava l'ultimo gradino quando sentì la voce di Caleb dall'alto chiamarmi. Mi voltai di scatto, trovandolo sulla soglia che mi fissava. Strinsi gli occhi quando vidi scintillare una cosa argento sulla sua mano destra.

Strabuzzai gli occhi una volta riconosciuto lo stick del gattino nero. Era il telefono di Lilla.

Che cosa ci faceva lui con il telefono della mia amica?

«Mi raccomando Shon. Devi fare tutto da solo. Se scopro che hai chiesto aiuto a qualcuno. Soprattutto alla tua amica, ti umilierò insieme a lei!» mi minacciò.

Deglutii annichilito.

E che cazzo.
Se c'era una speranza di riuscire a vincere, era quello di dirglielo a Lilla e di fare ricerche insieme. Ma a detta sua non potevo chiedere aiuto a nessuno.

Presi un lungo respiro di petto e risalii tre gradini.

«Perché hai il telefono della mia amica? Dammelo!» protesi la mano per prenderglielo, ma lui mi agguantò il braccio e me lo contorse con una mossa dietro la schiena. Sentii bruciare la spalla dalla tensione e urlai di dolore.

«Ahia! Lasciami andare, va bene, va bene!» Strinsi forte i denti. Il dolore era acuto.

Il lupo nero mi si avvicinò e mi parlò dopo avermi liberato dalla sua stretta e spinto in avanti di due gradini più sotto. Dovetti aggrapparmi al corrimano con entrambe le mani per non cadere, essendo che mi scivolò un piede.

Il sudore mi imperlò la fronte, il cuore batteva con prepotenza nel petto.

«Non provare mai più ad avvicinarti a me, o la prossima volta ti stacco il braccio. Intesi!» minacciò a denti stretti.

Annuii in silenzio stringendo con forza l'arto che mi doleva ancora e quando lo vidi sparire, lo insultai mentalmente con tutte le parolacce che conoscevo.

Dietro di me, un paio di studenti si erano fermati a guardare lo spettacolo e quando tra loro vidi la bellissima Penelope il mio cuore si fermò. Sentii il calore pervadermi il volto, mi bruciavano le orecchie.

Avrei tanto voluto che non mi avesse visto. Bensì fossi consapevole che non sapeva nulla della mia esistenza fino a pochi attimi fa.

Abbassai la testa, mi posizionai meglio lo zaino in spalla e mi diressi verso l'aula dell'arte, ma una mano mi agguantò il braccio e sobbalzai temendo il peggio.

Andai incontro al corpo di qualcuno che inciampò e cadde a terra trascinando anche me.

Mi trovai sopra il corpo della ragazza più bella di sempre e il mio cuore perse un battito.

Penelope, Penny, la ragazza con gli occhi più belli del mondo di una tonalità talmente azzurro da penetrarti fino alle ossa. Le sue labbra profumavano di fragola ed io le ero così vicino. Talmente vicino...

«Oh, beh... Direi che sei molto pesante. Cosa sono questi muscoli? Ohhh, sì! Sono proprio muscoli accidenti!» esclamò.

Non avevo fatto caso alle sue dita calde intorno alle mie costole. Tutti i miei sensi erano concentrati sulle sue labbra rosa troppo vicine alle mie. Deglutii.

Cazzo, se era un sogno non dovevano svegliarmi, altrimenti avrei fatto un casino.

«Però adesso dovresti alzarti, perché sei veramente pesante corvino», aggiunse abbozzando un sorriso che mi strappò il cuore dal petto.

«S-sì s-scusa, ora, sì, mi alzo subito», balbettai incredulo.

Mi alzai in piedi dandole la mano insicuro se l'avrebbe presa oppure no.

Mi agguantò la presa e si issò rivolgendomi un sorriso che mi toccò nervi nascosti nel corpo.

Penelope Steelinsky Lewis mi sorriso ed io vaccillai.

«Stai bene?» mi domandò rivolgendo uno sguardo verso le scale.

Degltii e sospirai l'aria che continuavo a trattenere nei polmoni.

«Sì», alitai. Ero ancora incredulo che stesse parlando con me.

«Bene, anch'io sto bene, non ho niente di rotto grazie della preoccupazione», mi prese in giro.

Aggrottai la fronte confuso, ma quando capii la sua battuta, risi di petto rilasciando tutte le insicurezze.

«Scusami per prima», le dissi abbassando lo sguardo sulle mie air max.

«Oh, non ti preoccupare, non è successo niente, Shon»

Alzai la testa di scatto. Un languore mi si diffuse nel petto che mi si verberò nelle vene producendo lava liquida al posto del sangue.

Lei sapeva come mi chiamavo?
Sì, lei mi conosceva!
Com'era possibile?

«Sai come mi chiamo!» bisbigliai incredulo.

Lei rise storcendo il naso affilato e mi mostrò di nuovo i suoi denti bianchi come la neve.

«Ci vediamo Shon» disse voltandosi di spalle e andando nella direzione opposta.

Restai sconvolto e beatamente felice dimenticando L'enigma, il fatto che Caleb stava quasi per rompermi un braccio prima, e tutte quelle stronzate da dittatori del cazzo.

Ero... felice e per assurdo, decisi che quel giorno sarebbe stato il giorno più bello dell'anno per me.

Penelope, mi conosceva. E per aggiungere la ciliegina sulla torta, aveva anche toccato i miei muscoli. O almeno le costole.

Ero felice. Troppo.

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