Shannon
TW
🔴🔴
Questo capitolo contiene scene esplicite. Linguaggio volgare che potrebbero turbare alcuni lettori.
Pertanto è consigliato ad un pubblico responsabile.
Capitolo 9
Cinque anni prima
Continuai a fare di nuovo da capo i conti. Per tre volte ero in rosso di cinque milla dollari. Denaro, che se non fossi stata in grado di trovare velocemente mi avrebbero portato alla chiusura del bar.
Presi una sigaretta dal cassetto nascosto alla destra e lo portai alla bocca. Lo accessi frettolosamente con il clipper che avevo tra le mani e aspirai con prepotenza mentre il piede destro mi tremava convulso per l'agitazione.
Dovevo trovare una soluzione al più presto altrimenti non avrei potuto fare niente per Lilla.
E lei era la cosa più importante al mondo.
La mia bambina che non esigeva mai nulla.
La mia bambina che usciva ogni venerdì sera a portare da mangiare ai gatti randagi nei parchi.
Dio quanto era stato difficile crescere un figlio. Dodici anni fa mi ero trovata nella situazione di fare da madre e da padre a una bambina con le treccine rosse e gli occhi più belli e più magnetici al mondo.
Ci provai a essere giusta, nonostante sapessi che a volte ero troppo dura con lei. Forse più di quello che avrei voluto però adesso sono fiera della giovane adolescente che è diventata.
Riuscire a trovare quei soldi era una questione di vita o di morte, senza il sostegno adeguato, l'avvocato avrebbe riletto di nuovo il testamento rilasciato da mia sorella e suo marito e io non potevo permetterlo. In un modo o nell'altro la soluzione si trovava sempre.
Mi passai le mani sul volto esausta e soffiai fuori il fumo che si diramò in una nube scura oltre la mia testa.
I pensieri, si susseguivano uno dietro l'altro in loop, c'era poco che io potessi fare per uscire da questa situazione.
O meglio, c'era solo una cosa che potevo fare, ma che mi sarebbe costata molto cara.
Spensi la sigaretta e mi alzai dalla poltrona della scrivania. Misi tutti i fogli dentro il cassetto di mogano e lo chiusi a chiave.
Avrei dovuto staccare la mente ma sarebbe stato più facile a dirsi che a farsi.
Diedi un'occhiata al bar una volta che mi trovai sulla soglia, il pavimento in marmo nero e grigio riluceva dalle luci dei faretti al neon che erano incastonati sulle pareti, le sedie erano capovolte sopra i tavoli in acciaio inox, il bancone del bar era ghermito di superalcolici che catturarono la luce, tutte le porte erano chiuse, la cucina era al buio e l'unica luce che filtrava dalla finestra era quello della luna.
Deglutii la sensazione di soffocamento che avevo da ben tre mesi e uscii sospirando rumorosamente.
Presi la macchina parcheggiata fuori e mi avviai alla destra dall'altra parte di casa. Giunsi a un bivio e presi la strada che accostava il fiume ormai colmo d'acqua grazie alle abbondanti piogge nell'ultimo periodo.
Giunsi alla mia destinazione e spensi la macchina. Restai ferma per un paio di minuti, cercavo di assopire i dubbi che mi avevano affollato la testa. Mi diedi un'occhiata sullo specchietto retrovisore, sospirando per l'ennesima volta e presi il lucidalabbra dalla borsa che avevo di fianco, sul sedile del passeggero. Me lo spalmai bene sulle labbra e subito dopo mi pettinai i capelli con le dita.
Aprii la portiera e mi diressi spedita verso la mia meta.
Prima di bussare alla porta della capanna, restai ferma, nel domandarmi se era giusto ciò che avevo intenzione di fare.
Non c'è altra alternativa Shanne, lo devi fare.
Bussai, uno, due, tre volte. Quando pensai che non ci fosse nessuno decisi di andarmene, ma la porta si aprii con un forte cigolio che mi fece voltare di scatto.
Il cuore perse un battito, incontrai un paio di occhi azzurro ghiaccio, le sopracciglia erano incurvate in profondità e le labbra carnose erano distese in una linea dura, conferendo ai suoi tratti da vichingo un aspetto temibile.
Abbassai lo sguardo più giù, era senza maglietta, gli infiniti tatuaggi si trovarono in bella mostra di fronte al mio viso, i pettorali erano ben modellati, i muscoli serrati, sembravano talmente invitanti da toccare, che sentii la saliva imbrattarmi la bocca. Indossava un paio di jeans scuri che scendevano morbidi mostrando la sua V perfetta e fasciavano quelle gambe da gladiatore.
Il cuore prese a battermi forte nel petto, l'esofago mi si seccò.
«Bene, bene, bene. Guarda un po' chi abbiamo qui.» parlò in tono sorpreso.
Deglutii e sostenni il suo sguardo di ghiaccio. Aveva stretto gli occhi a due fessure, mi stava mettendo a fuoco. Il suo sguardo si sposto dai miei stivali scamosciati a mezza gamba, fino ai miei capelli rossi che avevo raccolto con una molletta in uno chignon mal riuscito. Mi guardò con lentezza, come se volesse vedere oltre i miei vestiti, e questo mi generò un brivido languido su tutto il corpo.
«Cosa posso fare per te?»
Spostai lo sguardo oltre la porta, forse non era stata una buona idea dopotutto.
«Posso entrare?» domandai.
Lui restò interdetto per un paio di secondi, dopo annui e mi aprii il passaggio.
Entrai dentro e notai le luci soffuse al neon sulle pareti brillare, erano tenue, viravano dal viola al blu elettrico, sui muri c'erano diversi disegni creati da lui stesso, e uno di quelli, mi strappò un battito troppo forte dal petto. Aveva incorniciato il giglio viola, il mio fiore preferito. Quello che avevo disegnato per lui diciotto anni fa.
Mi voltai alla sinistra dove vi erano diverse poltrone e più avanti si trovava la porta della sua camera rossa.
Così amava chiamarla allora...
Mi voltai sospirando verso di lui che era appoggiato con il gomito sul marmo del bancone grezzo e lo trovai ad osservarmi da capo a piedi con gli occhi languidi.
«Vuoi bere qualcosa?» mi domandò voltandosi verso la parete degli alcolici che aveva allestito alla destra.
«Non vuoi chiedermi perché sono qui?»
Restò fermo e mi guardò con il capo chino da sottinsù, poi prese una bottiglia di bourbon e due bicchieri.
«No» rispose determinato riempendo i bicchieri.
Averlo davanti agli occhi con i pettorali in mostra i capelli biondi arruffati e con i suoi tatuaggi che presero vita ad ogni movimento che fece, mi sconquassò. I ricordi di susseguirono uno dietro l'altro e mi investirono in pieno.
Lava liquida si depositò sul mio ventre. Il respiro mi si addensò.
«Devo parlarti...» sussurrai.
Prese il bicchiere e me lo offri dicendo perentorio: «Certo che parleremo. Ma prima, bevi.»
Sussultai e mi tremarono le ginocchia. Mi allungai e afferrai il bicchiere con entrambe le mani, per la paura che mi cadesse.
Accidente Shannon, datti un contegno! Non sei più una ragazzina.
«Rilassati colibrì, non ho intenzione di mangiarti», fece una piccola pausa mettendomi a fuoco a lungo. «Per il momento»
Il timbro della sua voce era cavernosa ed estremamente erotico, era sempre stato in grado di ammaliarmi, era sempre stato in grado di mettermi un soggezione. Però non potevo lasciarmi distrarre dal mio obbiettivo, pur sapendo che forse avevo fatto un enorme errore a venire qui.
«Assaporalo», mi ordinò.
Con gli occhi nei suoi, mi portai alle labbra il bicchiere prendendo un generoso sorso di bourbon. Le note legnose, la consistenza amara e alcoolica con una parvenza di mirtillo sul finale mi svegliò le papille gustativa.
Feci un gesto di apprezzamento chiudendo gli occhi appena, ma quando li aprii, mi trovai a guardare due tempeste di neve che mi stavano fissando in quel modo sorpreso e sognante che mi fece mancare un battito.
«Piano colibrì, piano. Le cose buone, più restano assaporate sul palato, piu emozioni ti danno», parlò deglutendo.
Dio. Il modo in cui mi stava guardando, il modo in cui mi stava parlando, la postura sicura che lo contraddistingueva da sempre mi mandarono una scarica di eccitazione dritto in mezzo alle cosce.
Sì, avevo sbagliato, dovevo andarmene da lì e in fretta.
Lui percepì i miei pensieri come se fossero suoi, perché ingurgitò tutto dal suo bicchiere e lo poso sul bancone. Fece il giro lentamente e si mise di fronte a me.
«Lo so perché se qui», parlò sicuro di sé. «E la mia risposta è sì.»
Sgranai gli occhi, non poteva essere possibile.
Era stato così facile ricevere l'aiuto da lui? E perché mi voleva aiutare dopo tutto ciò che era successo?
C'era un ma, c'era sicuramente un ma.
«Ma?» domandai portando in alto il mento per poter sostenere il suo sguardo.
Rise appena, formando una mezza luna e le fossette comparvero di rimando conferendogli un aspetto meraviglioso.
«Sei sveglia», rispose.
Continuai a sostenere il suo sguardo analizzando ciò che non diceva a parole.
«Ti ricordi piccola colibrì? Quanto ti piaceva fare un giro con me», rise in un verso roco, eppure i suoi occhi rimasero fermi su di me. «O, sopra di me.»
Deglutii, il cuore si impennò.
«Sono passati molti anni da allora, e non mi piaceva realmente. Eri tu, che avevi imparato a giocare bene con la mia mente, mi avevi-»,
«Soggiogata?», rispose lui per me. «Davvero?» abbassò il timbro.
Feci un passo indietro, era molto bravo a fottermi il cervello, dovevo mettergli un freno.
«Davvero colibrì? Io ti ho fatto dire e fare quelle cose? Io ti convincevo a marinare la scuola? Io ti ho...» strinse forte le labbra, i suoi occhi si stavano adombrando, assunsero una sfumatura grigio scuro.
«Basta!» esclamai, mi sentivo male. «Ti hanno preso. Tu non dovevi...» mi passai le mani fra i capelli.
Avevo sbagliato a venire.
Il respiro mi si addensò, la fronte mi si era perlata di sudore, le ginocchia mi tremavano.
«Spogliati. Voglio vederti nuda. Ora» mi ordinò perentorio.
Mi volsi verso di lui sorpresa e incredula.
«Cosa?» domandai aggrottando la fronte.
Lui fece due passi verso di me, fino a trovarmi ad alzare il collo per vederlo negli occhi.
«È questo che voglio. Te, nuda, ora», sospirò. «In cambio a ciò che vuoi.»
Per un momento mi sentii indignata dalla sua richiesta. Poi pensai al testamento, e di nuovo a Lilla, e poi, compresi che non avevo altra scelta.
Perché qualsiasi cosa io abbia tentato in passato, e qualsiasi cosa io tenti ancora, nulla mi avrebbe salvato, la verità sarebbe saltata fuori.
Perciò feci ciò che ritenevo giusto in quel momento.
Deglutii e senza emettere fiato, iniziai a sbottonare la camicia azzurra con le mani tremanti. Il pizzo nero del mio reggiseno fece capolino quando lasciai l'indumento scivolare dalle braccia per poi depositarsi a terra.
«Questo, non cambia nulla!» dissi a denti stretti.
Lui fece una risatina, come se la sapesse lunga.
Il mio petto fece su e giù velocemente mentre i suoi occhi catturarono ogni mio piccolo movimento.
«Tranquilla colibrì, resterà un nostro segreto.»
Sotto gli occhi vigili dal colore di ghiaccio, portai le dita sulla cerniera dei pantaloni e li feci scivolare lungo le gambe. Restai mezza nuda davanti al suo sguardo imperioso.
Lui ingurgitò l'alcool che aveva depositato nel bicchieri in un solo sorso e fece un verso di apprezzamento venendo verso di me con fare minaccioso.
Catturai i suoi occhi e non li lasciai.
Avevo paura, ma allo stesso tempo, avevo bisogno del suo aiuto. E di punto in bianco, anche delle sue mani addosso.
Avevo bisogno di sentirmi compresa. Ma sapevo che oltre al mero piacere carnale, non avrebbe mai potuto scorgere ciò che mi incasinava l'esistenza. Ciò che portavo in silenzio dentro di me. Ciò a cui stavo disperatamente cercando di non tradire.
Mi agguantò i capelli corti che mi arrivavano fino alle spalle e mi reclinò il collo per poi affondare i suoi denti aguzzi sulla clavicola. Mi morse e subito dopo mi leccò per dare sollievo alla pelle.
«Ah! Rob!» esclami in preda alla sensazioni viscerali.
Portai le mani sul suo addome e lo tasti incastrando le dita nei pettorali sporgenti.
Dio Shannon, hai trentaquattro anni, smettila di sembrare una scolaretta.
«In ginocchio» mi ordinò allontanandosi appena.
Iniziai a scivolare in ginocchio senza lasciare i suoi occhi.
Deglutii quando mi passò la mano sulle labbra sfregandole con prepotenza.
«Sbottonami i jeans», mi ordinò.
Portai le mani sulla cerniera e li feci scivolare giù. Il gonfiore della suo sesso mi si mostrò di fronte e mi leccai le labbra avida.
Io e Rob avevamo un passato. Un passato torrido, pieno di errori e di sbagli commessi. Eravamo come il fuoco e l'acqua eravamo come terra e aria.
Lui era stato...
«Leccami!» disse agguantando con forza la mia chioma rossa.
Ebbi un sussulto quando agguantai la sua mascolinità. Si ergeva fiero e grosso. Le mie dita si chiusero come se fossero stati di magnete. Non riuscii a far toccare le dita con il palmo talmente era prepotente.
Avanzai con il capo e leccai il seme uscito dalla punta rosea.
Lo vidi chiudere gli occhi e rovesciare la testa all'indietro.
Iniziai a leccare la sua asta mugolando per poi prenderlo in bocca piano. Le mie labbra si chiusero intorno all'acciaio rivestito di pelle e un verso roco lasciò la sua gola.
Mi spinse la testa con prepotenza ed io aprii ancora di più la bocca per poterlo prendere in bocca più che potei.
Chiusi gli occhi e mi gustati il suo sapore di mascolinità.
«Sì piccola. Così» mi incitò.
Continuai a succhiare e a mordere il suo cazzo mugolando e producendo dei versi che sapevano di eccitazione.
Sentii le mutandine umide dai miei umori e quando lo sentii fremere sotto il mio tocco si scostò velocemente.
Ebbi il respiro denso, l'intimo mi pulsava le labbra mi dolevano.
Deglutii sentendo in fondo alla gola il suo sapore e lo guardai.
«Sdraiati» mi ordinò indicando la poltrona nera.
Mi venne di fronte in tutta la sua bellezza e mi divaricò le cosce. Mi diede una manata sul fulcro del mio piacere attraverso il pizzo ed ebbi un fremito ansimando.
«Zitta!» mi ammonì abbassandosi e annusandomi la mia intimità.
Lo sentii spostare le mie mutandine e ci infilò un dito dentro.
«Oh!» esclamai dalla introduzione del suo arto. Iniziò a muoverlo sempre più velocemente aggiungendone poi un altro subito dopo.
«La mia piccola rossa è zuppa.» sussurro allungandosi per afferrare con i denti un capezzolo ritto. Ci chiuse i denti intorno ed ebbi un altro sussulto impossibile da contenere.
«Vuoi essere scopata dal uomo nero della città piccola?» mi parlo leccando e mordendo il capezzolo. Le sue dita su muovevano convulsi dentro la mia intimità portandomi allo struggimento.
Mi sentii aperta e pronta per lui che stava tardando il mio piacere.
«Sì ti prego! Ti voglio ora.» sussurrai in preda ai tremori.
Sì dedicò all'altro capezzolo con la stessa intensità. Lo leccò, lo morse, ci giocò a lungo.
Le sue dita mi fecero vorticare la testa, gemiti acuti mi uscirono dalla gola. Portò il pollice in collisione con il clitoride già gonfio e bollente ed io impazzii.
Venni con un urlo che mi sconquassò il petto e mi liberò le viscere. Spasmi convulsi mi attraversarono il corpo fino a scemare piano piano per lungo tempo.
«Round due piccola.» annunciò strappando le mie mutandine e infilando in un colpo secco il cazzo.
«Oh!» esclami a quella protuberanza che mi entrò dentro con un colpo di bacino.
«Dio piccola sei sempre perfetta» lo sospirò a denti stretti mentre continuava a spingersi con forza.
Gli toccai il petto, passai le dita su tutti i suoi tatuaggi mentre le sue spinte vigorose mi si riverberavano fino al mignolo dei piedi.
Mi prese per la vita e mi allargo ancora un po' le cosce per sdraiarsi su di me.
Il mio cuore correva forsennato quando i nostri occhi si schiantarono.
Promesse infrante, sogni mai realizzati alleggiavano nell'aria.
«Rob...» soffia dalle labbra con il cuore che stava scoppiando. Le lacrime mi salirono veloci agli occhi e ne persi una sola.
Lui che mi prendeva con la stessa prepotenza di sempre era tutto ciò che volevo. Lui che guardava me con quella luce di tempesta e maree e nel suo volto mi mostrava tutto ciò che potevamo essere, mi spiazzò.
«Zitta e godi!» mi ordinò prima di tuffarsi sul mio seno e morderlo forte.
«Oh, Rob!» esclami allacciando le caviglie dietro la sua schiena.
«Vuoi venire ancora rossa?» mi domandò agguantandomi i glutei e girandomi a quattro zampe.
Strinsi forte gli angoli della poltrona quando mi riempì con tutta la sua lunghezza.
Restai in silenzio, le sensazioni mi stavano vorticando nella testa, il respiro diventò più concitato il sangue si muoveva irrefrenabile.
«Piccola sei perfetta. Io ti...»
Fu come un fiammifero che prese fuoco per propagarsi con velocità nel mio corpo.
«Rob!» urlai venendo sul suo membro e continuai a godere anche quando le sue spunte si fecero sempre più vigorose e prepotenti.
Mi prese per la gola e mi tirò al suo petto. La rosa nera che prendeva l'indice e si espandeva lungo il polso fino al gomito mi sembrò prendere vita.
«Cazzo!» esclamo al mio orecchio venendo a sua volta.
I nostri ansimi si amalgamarono, mi lasciai andare al suo petto madido di sudore e chiusi gli occhi in cerca di una parvenza di quiete.
Eppure i segreti che nascondevo erano troppo per essere contati. Insopportabili.
«Ti amo Robin», sussurrai con le lacrime agli occhi.
Lo sentii irrigidirsi prima di stringermi tra le sue braccia.
«Anch'io piccola, ma tu sei scappata da me.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top