Lilla

Capitolo 37

L'ignoto è come una bomba a orologeria. Ti può esplodere in faccia oppure ti può esplodere fra le mani, quello che è certo, resta il fatto che esplodere in egual modo

Kappa_07

"Ciao bambina", avevo sentito una carezza delicata sulla guancia che mi aveva generato la pelle d'oca, senza svegliarmi, mi ero messo a pancia in su. "Mi dispiace", avevo sentito ancora una voce flebile e avevo aperto gli occhi appena per poi riaddormentarmi di nuovo.

"Ti lascio andare".

Ogni muscolo mi doleva, ogni terminazione nervosa era concentrato sul dolore acuto che sentivo alla caviglia e alla schiena. Avevo grossi ematomi su tutte le costole e sui reni, due sulla gamba destra, e uno sulla gamba sinistra, mi guardai allo specchio, il sopracciglio spaccato si stava rimarginando, toccai la pelle ferita e sentii la crosta ruvida al tatto.

Tirai un sospiro di sollievo, voltai il collo leggermente a destra e notai l'ematoma sulle labbra, anche lì la ferita si stava rimarginando, ma meno velocemente essendo che ogni volta che aprivo bocca per mangiare questo prontamente si apriva e sanguinava. Mi bruciava, ma la parte che mi doleva di più era la costola destra quando mi presero a calci. Una lacrima lasciò le mie ciglia, il cuore mi rimbombava in gola.

Erano passati giorni, eppure il dolore più grande rimaneva sempre quello dentro. Avevo il cuore spezzato, mi facevo schifo, mi sentivo un rifiuto umano. Gli incubi ce li avevo pure da sveglia, continuavo con la mente a tornare a quel giorno, a quelle ore di agonia. Rimuginavo su ciò che poteva andare diversamente.

Ottobre stava per finire, erano gli ultimi giorni, e novembre sarebbe stato uno di quei mesi di pioggia e neve frequenti. Ma l'unica cosa che volevo era restare a casa rinchiusa nella mia stanza a piangere. Soffrivo, moltissimo. Non tanto per le ferite sul corpo, quanto per il ripudio che sentivo per me stessa. Come avrei fatto ad andare di nuovo a scuola? Come avrei avuto il coraggio di passare per quei corridoi e vedere quelle facce che dovevano essere mie amiche?

Per fortuna il medico mi diede due settimane di riposo, ma avevo già in mente di dire alla zia di cambiare scuola. Randall era lontano cinquanta miglia, ma avrei preferito fare la pendolare per altri due anni che restare lì sapendo che tutti mi odiavano. Sapendo che ero stata un loro bersaglio. Sapendo che era così facile annientarmi.

Osservai la mia stanza sottosopra attraverso lo specchio, avevo dipinto moltissimo in quella settimana. Era l'unico sfogo che avevo dopo gli incubi e nonostante i miei pianti sui fogli, avevo lasciato affluire il mio dolore sulla carta. Mi accucciai e ne presi uno, era un demone minaccioso, una macchia indistinta con la testa senza braccia e gli occhi rossi. Lo accartocciai e lo gettai nella pattumiera. Mi misi a mettere a posto i libri che avevo gettato nella stanza, la camicia sporca di pennarello e in fine il cavalletto con la tela ancora bianca. Decisi di metterlo fuori sul balcone.

La brezza mi lambii la pelle, e mi generò una leggera pelle d'oca, chiusi gli occhi inalando il profumo di pioggia. L'albero di ciliegio coi rami diramati era spoglio, le siepi verdi, l'erba di sotto lasciava trapelare un profumo di terra bagnata che mi riempii i polmoni. Rimasi lì, appoggiata alle ringhiere fredde a bearmi di un attimo di pace, mentre mia zia era fuori a fare la spesa. Quando rientrai in camera aggrottai la fronte, c'era un involucro di carta grigio scuro ai piedi del mio letto, per metà coperto dal copriletto che non avevo visto.

Non era una cosa che avevo messo io. Forse mia zia, ma me l'avrebbe detto. Era lungo e sottile, mi accucciai a prenderlo, ma poi mi ricordai quello strano sogno ed estrasse la mano in fretta. Chiusi gli occhi feci un sospiro e dandomi della scema da sola, per il fatto di aver avuto paura, decisi di afferrarlo.

Appena lo tirai fuori, sbattei le palpebre, il cuore iniziò a rimbombare nelle orecchie. Ero incredula, perché avvolta nella carta grigia c'era una dalia Nera. Le mani iniziarono a sudare e io lo gettai a terra terrorizzata come se fosse piena di vermi, quando in realtà era talmente bella e brillante che ebbi l'istinto di tirarlo su immediatamente. Raccolsi le mani al petto congiunte tra loro e inizia a camminare per la stanza a debita distanza dal fiore che giaceva sul pavimento.

Il sogno. Non era stato un sogno, lui si era intrufolato di nuovo a casa mia per lasciarmi un fiore che significava semplicemente scappa.

Che cosa voleva da me? Non si sentiva soddisfatto per ciò che mi aveva fatto?

Un'altra lacrima mi si racimolò agli angoli degli occhi e li chiusi facendo un respiro profondo. Se non fossi terrorizzata da lui ora sarei andata a casa sua a sbattergli questo maledetto fiore in faccia. Ma la verità era che lui mi faceva tremare le ginocchia. Ora lo temevo davvero. Era un nemico troppo potente. E quel fiore di certo non poteva significare altrimenti.

🌺

«Per me dovresti inviare quella candidatura Lilla. È arrivato il momento», mi disse Shon seduto su una sedia in cucina. Mia zia stava cucinando le verdure al vapore e stava preparando l'impasto per una torta alle arance. Adoravo la torta alle arance e lei lo sapeva. Alzò lo sguardo su di me con le mani nell'impasto molliccio.

«Anche secondo me. Shon ha ragione. Se ti prendessero sarebbero fortunati.» disse osservando fin troppo il mio volto, so che si soffermava sui miei lividi. Anche Shon lo faceva spesso, ma non volevo dirgli nulla, altrimenti avrebbero capito di quanto stessi soffrendo dentro.

«Sì, uno di questi giorni lo mando», gli dissi distrattamente infilando il cucchiaio nella tazza di gelato che avevo di fronte. Shon si ficcò in bocca il cucchiaio pieno di gelato al cioccolato annuendo.

«Oggi a scuola sono stati espulsi otto studenti», disse di getto. Sia io che mia zia lo osservammo di stucco. Sapevo che mia zia aveva usato il pugno di ferro col preside, e sapevo che aveva minacciato la scuola per ciò che gli studenti mi avevano fatto. Era stata molto dura con tutti loro, da quel che avevo capito, aveva subito una crisi isterica dopo aver scoperto che ero stata rimasta ferita.

Il preside le aveva dato ragione, ma non pensavo espellessero Cosi tanti studenti. Quella scuola si basava sulla beneficenza dei genitori di quegli studenti, quindi sarebbe stata una perdita enorme per il preside perdere dei genitori ricchi che gli fruttavano migliaia di dollari al mese. Non avevo mai capito perché mia zia avesse deciso di mandarmi in una scuola privata.

Col senno del poi avrei di gran lunga preferito la statale Blackwave, almeno lì i lupi non ci sarebbero stati. E poi non vivevamo nella ricchezza a volta mi sembrava una supereroina che faceva di tutto per darmi il meglio.

«Bene! Sono contenta. Finalmente ha avuto le palle ad agire nel modo giusto!» esclamò mia zia.

Shon strinse le labbra abbassando appena le spalle. «In realtà, è stato il proprietario a forzargli la mano.» disse quasi come se si sentisse in colpa.

Ebbi un rallentamento del cuore, poi sentii un battito più potente degli altri. Osservai Shon senza riuscire a pronunciare una parola. Fu mia zia a parlare. «Trevor War è tornato in città?» aveva le sopracciglia aggrottate, il volto freddo. Shon sospirò negando col capo.

«No, è stato suo figlio. L'ho sentito urlare al preside Gordes che se non gli avesse espulso tutti avrebbe fatto in modo di bruciare la scuola con loro dentro»

Sgranai gli occhi incredula dell'affermazione del mio migliore amico, ma lui si volse verso di me e nelle pupille scure ci vidi passare tanta tenerezza rivolto a me. «Caleb lascia la città». Concluse.

Un sentimento di inquietudine mi acchiappò il petto, senti lo stomaco serrarsi a tenaglia, gli occhi allargarsi. Ero incredula, e arrabbiata. Lui non poteva abbandonare questa città, per di più nel bel mezzo del semestre dell'ultimo anno.

"È stato lui a portarmi la dalia, in segno di pace? Che fosse stato lui era ovvio ma... Voleva chiedermi scusa? Ero così confusa"

Un pensiero dolceamaro si intrufolò nel cervello. E deglutii per scacciare via il senso di inadeguatezza.

Vidi mia zia fissarmi in silenzio, i suoi occhi mi stavano leggendo dentro e un calore simile al fuoco ardente mi risalì per le guance.

«Speriamo che non torni mai più» aggiunse tornando ad impastare la torta.

«Non so come interpretarlo, ma l'ho visto più minaccioso di prima, sembrava stanco, e ce l'aveva col mondo, ma quando ci siamo incrociati in mensa, ha fatto finta di non avermi per niente visto.» mi sussurrò quando mia zia ci diede le spalle per infornare la teglia.

Spostai i capelli dietro le orecchie. «Vieni su», gli dissi alzandomi dalla sedia. Salutammo la zia e salimmo in camera. Appena chiusi la porta alle mie spalle, aprii l'armadio, ed estrasse la dalia dal cassetto dove l'avevo nascosta.

«E questa?» mi chiese con la fronte aggrottata

Mi strinsi in spalle. «Qualcuno ieri sera si è intrufolato in camera mia e me lo ha lasciato sui piedi del letto.»

Shon sbatteva le palpebre diverse volte incredulo. «Pensi sia stato Caleb?»

Mi passai le mani sul volto camminando in circolo «Sì pensi che sia stato lui, solo che non sapevo come interpretarlo, e poi vengo a sapere che ha minacciato la scuola di farla bruciare», feci una pausa osservandolo. Shon sembrava pensieroso. «Tu cosa ne pensi? È una minaccia velata?»

Shon sospirò e la osservò minuziosamente, toccò I petali scuri e vellutati al tatto, lo arrotolò per il gambo, e in fine si sedette sul letto con un tonfo.

«Io non penso che sia una promessa di minaccia. Non so cosa ti ricordi tu, ma lui, ti ha tratta in salvo. Se non fosse stato per lui...» lasciò la frase in sospeso. Tutte e due sapevamo cosa sarebbe successo. Mi avrebbero massacrata.

Sentii un groppo in gola. Forse era un gesto gentile quello che aveva fatto?

«non so cosa pensare.» mi sedetti al suo fianco sul letto con un tonfo sbuffando.

«Non andare in un'altra scuola Lilla. Ti prego. Torna alla Little Falls. Mi manchi», sussurrò osservandomi col capo chino. Appoggiai la testa sulla sua spalla.

gli confessai.

«Ma non penso che ti succederà mai più nulla ora che i lupi sono tutti dalla tua parte. Dean è perennemente arrabbiato con tutti e Eliot e Lenny, hanno preso a calci chiunque abbia tentato di scandire il tuo nome. Penso che stiano cercando di fare ammenda»

Strinsi le labbra ero arrabbiata da morire con Lenny e Eliot. Erano stati loro a fare tutto ciò.

«Pensaci almeno, non voglio vivere due anni senza di te. Ti supplico.» annuii in silenzio, ma sentivo che non ce l'avrei fatta a mettere piede di nuovo lì dentro. I miei dubbi e le mie paure mi fucilavano sul posto, e il ricordo del dolore e delle agonie che mi avevano inflitto erano più forti di qualsiasi mia decisione.

Salutai Shon, prima che se ne andasse via, e mi coricai nel letto. Ultimamente non facevo altro che restare sdraiata a fissare il soffitto come se questo fosse stato la soluzione ai miei infiniti problemi.

Voltai lo sguardo a sinistra verso il comodino dove c'era il fiore, e sentii lo stomaco fare una capriola quando mi allungai per afferrarlo, lo fissavo minuziosamente, contai i petali scuri e morbidi arrotolandolo fra le mani.

Caleb si era di nuovo intrufolato in camera mia, forse durante la notte, ma non mi ricordai di aver lasciato aperta la porta finestra. Presi nota mentalmente di chiuderlo a chiave ogni sera. La mia privacy era stata violata più di una volta e la sensazione di non sentirmi al sicuro nemmeno nel mio nido, mi generò un sapore amaro sulla lingua.

Se pensava che lo avrei perdonato, si sbagliava di grosso, tutto ciò che avevo subito, era stata colpa sua, lui mi aveva messo nel mirino dell'intera scuola ed io ero stata brancata come un animale, anzi, come un insetto che doveva essere schiacciato.

Odiai i lupi, la scuola e quelli che ci andavano. Quella esperienza, mi aveva resa fragile e dura allo stesso tempo. Desideravo poter esprimere il desiderio di far sparire ogni studente che mi aveva fatto del male dall'intera città. Ma a quanto pareva, Caleb aveva fatto in modo di farli scomparire almeno dalla scuola.

Era l'essere che odiavo di più in assoluto, lui mi aveva segnata in maniera ineluttabile facendo in modo che non riuscissi a toglermelo dalla testa nemmeno per un secondo. Un pezzo del mio cuore era diventato cenere grazie al lupo nero, e disiderai che scomparisse pure lui insieme a loro.

«Lilla, c'è qualcuno alla porta di casa che chiede di te», mi comunicò mia zia attraverso la porta chiusa. Aggrottai la fronte, Shon se n'è era andato da poco, chi era? «Tesoro, è Dean Allen. Vuoi che lo mandi via?», chiese.

Deglutii, ero indubbiamente arrabbiata anche con lui, eppure, sapevo che non aveva nessuna colpa. Mi tirai su dal letto, avevo addosso ancora il pigiama nero, indossai una felpa che trovai sulla sedia a destra e aprii la porta.

«Ci sono», dissi a mia zia che mi osservava con quella luce negli occhi. Esprimevano tanta tenerezza e dolore. Le pupille erano strette e le labbra distese in un sorriso flebile. Aveva raccolto i capelli rossi in una coda bassa e molte ciocche le erano sfuggite dall'elastico per via della loro poco lunghezza.

«So che lui ti piaceva, e non l'ho fatto andare via. Ti sta aspettando giù di sotto.» mi comunicò spostando una ciocca dietro il mio orecchio. Strinsi le labbra e annuii in silenzio, lasciando mia zia indietro mentre scendevo le scale.

Avevo un groppo in gola che mi impediva di respirare. Sì, Dean non aveva nessuna colpa, però era successo tutto per via delle sue decisioni senza nemmeno confrontarsi con me. Ed io mi trovavo dilaniata tra il bene e il male con maggiore forza e non sapevo come muovermi.

Notai Dean in piedi all'ingresso vicino alla poltrona verde petrolio, stava osservando il soffitto, aveva addosso una polo verde scuro e dei jeans a sigaretta che scomparivano dentro i suoi stivali neri. Appena mi vide abbassò il collo e i suoi occhi grigi mi perforarono l'anima. Deglutii per generare un grammo di saliva. Avevo la gola arida.

«Ehi, ciao», sì avvicinò a me una volta sceso le scale. Rimasi in debita distanza. Non sapevo dire il perché, sapevo solo che nessuno mi doveva toccare. Temevo addirittura la mia ombra. Infatti feci un passo sinistra quando entrò nel mio spazio vitale. Dean si accigliò appena, stringendo le labbra e le spalle si afflosciarono appena, ma non disse nulla. I suoi occhi vagabondo sul mio volto, la fronte aggrottata e quei riccioli biondi li coprivano la fronte appena. Fece un respiro profondo.

«Come stai?», chiese infilando le mani nelle tasche dei jeans. «Ho provato a chiamarti ma non mi hai mai risposto.», sospirò alzando appena gli occhi verso il soffitto. Sembrava triste. Strinsi le labbra senza rispondergli

«Mi dispiace così tanto Lilla. Io...», chiuse la bocca e sospirò come se non avesse più parole da fuoriuscire.

«Andiamo Dean sediamoci», lo invitai senza rispondere alle sue domande. Mi sedetti sulla sedia in cucina e lui fece lo stesso di fronte a me. Mi vergognavo, sapevo di avere lividi ancora in volto e il groppo in gola si fece più denso. Mi alzai dalla sedia e mi volsi verso la cucina.

«Vuoi qualcosa da bere? Mia zia ha appena fatto una torta al limone», gli dici dandogli la schiena.

«Lilla...», mi chiamò, e la sua voce mi sembrò struggente. Era la voce di chi si sentiva in colpa

Ma io sapevo che non aveva fatto niente. In cuor mio sapevo che era innocente. "Allora perché lo stavo condannando?"

Deglutii chiusi gli occhi e sospirai. «Mi chiedi come sto, ma la risposta puoi trovarla spontaneamente da te.» gli dissi voltandomi. Mi pizzicavano gli occhi.
«Quelli che dovevano essere dei miei compagni mi hanno... mi hanno...», mi tremavano le mani convulsamente, il cuore batteva forsennata nel mio petto. Dean si alzò con uno scatto dalla sedia. Era così alto. Il volto deformato dal dispiacere. Mi fece male, mi annichilii. Ma fece il giro del tavolo e si piazzò di fronte a me.

Mi prese il volto fra le mani, sgranai gli occhi con un sentimento sconosciuto nel petto. Lo vidi deglutire, le spalle appena ricurve. Era bellissimo.

«Mi dispiace mia Lilla, mi dispiace profondamente. Se solo ci fossi stato per impedire a loro di farti del male».

Il cuore mi viaggiava alla velocità della luce. Le parole avevano il sentore del balsamo nel mio cuore reciso. Lui era tutto ciò che avevo potuto sognare, ma che non mi sarei mai espressa a voce alta. Dean Allen mi teneva fra le mani come se fossi un qualcosa di fragile. Proprio come il mio cuore spezzato. Proprio come avrei voluto lo facesse quello per cui non smettevo di pensare, quello che mi aveva rovinato la vita.

Chiusi gli occhi, avevo bisogno di sentirlo. Era stato un periodo buio per me, tutto il male che mi avevano causato mi aveva portato a dubitare addirittura della mia ombra . Quindi l'unica cosa che chiesi, era quello di sentirlo.

«Ti perdono», soffiai dalle labbra oltre gli occhi chiusi. Aveva un profumo delizioso, era come quando il mare si infrangeva con le scogliere rilasciando nell'aria la salina che poi si depositata nelle foreste e faceva sprigionare agli alberi il profumo delle loro foglie. Era semplicemente perfetto.

«Lilla...», soffiò Dean dalle labbra, sentivo il suo respiro sul volto, eravamo talmente vicini che i battiti del cuore mi schizzarono in gola, nelle orecchie, nel petto.

Non gli permisi di dire un'altra parola perché mi alzai in punta dei piedi e schiantai le labbra sulle sue. Lo baciai, ne avevo bisogno dovevo far cessare di pensare la mia mente, il mio cuore, i miei pensieri tossici per una persona che era la cosa più sbagliata di questo mondo.

Dovevo di nuovo accettarmi. E Dean mi aveva sempre fatto stare bene. Il mio amico, il mio dolce amico. Fu un bacio gentile, Dean dal canto suo, sembrò passivo, come se non si aspettasse questo mio colpo di testa, ma quando feci per staccarmi, lui mi tenne ferma il volto con le mani ben strette intorno alle mie guance.

Aprii gli occhi, e quando incontrai i suoi, sembravano ferro fuso. Le pupille dilatate, aveva il respiro pesante e il volto imperturbabile. Strinse la mascella, poi con delicatezza e allo stesso tempo un'urgenza che andava oltre alla nostra comprensione, schianto le sue labbra nelle mie.

Gemetti e strinsi forte le mani intorno ai suoi bicipiti muscolosi. Aprii la bocca e sentii la ferita all'angolo aprirsi, il sentore di sangue sulla lingua, ma Dean non si fermò.

Lui mi conficcò la lingua in bocca baciandomi con un urgenza che mi faceva bene all'anima. E anch'io lo baciai sempre più decisa, sempre più convinta di voler sentire le farfalle, i piedi che si staccano da terra. Ma nulla di tutto quello successe. Dean mi fece sentire bene, ma non mi generò nulla di quello che avevo sentito col lupo nero. E mi detestai.

Quando ci staccammo, Dean appoggiò la fronte sulla mia, sembrava distrutto, chiuse gli occhi e sospirò. Le sue spalle si affossarono, e sentii il gelo infilarsi nelle mie ossa con urgenza sembrava stesse soffrendo. Lo strinsi a me. Stava male.

«Dean?», lo chiamami, ma lui restò in silenzio nascondendo il volto alla mia vista.

«Io...», mi disse quasi in un sussurro dolorante. Sembrava gli facesse male parlare.

«Che cosa succede?», gli chiesi allertata. Il bacio era stato spettacolare, ma sapevamo entrambi l'esito. Dean fece un respiro profondo, si staccò da me e quando incontrai di nuovo i suoi occhi, ci lessi un dolore immenso. Ci vidi tristezza e rabbia. «Non sono chi tu creda io sia Lilla, ma... Io...», lasciò la frase a metà. Lo avvicinai di nuovo a me abbracciandolo.

«Tu sei perfetto», risposi decisa stringendolo. «Grazie per avermi baciata. Ne avevo bisogno».

Dean mi osservò in silenzio. C'erano tantissime domande silenziose nell'aria, ma nessuno dei due volle rompere l'atmosfera. «Abbiamo fatto in modo che chi ti aveva fatto del male pagasse.» mi comunicò una volta calmato. Sbattei le palpebre. «E l'ultimo colpevole, sta per lasciare la città».

Mi mancò il fiato e sentii un formicolio serpeggia la schiena. Stava parlando di colui che non volevo mai più nominare eppure non smettevo di cercare, di bramare, di volere.

«Bene!» gli risposi decisa. Dean mi osservò in silenzio minuziosamente, ma annuii poi guardando dalla finestra a destra. «Quel giorno, quando ti dissi quelle cose sulle scale a scuola. Io, non volevo ferirti. Mi dispiace», continuò stringendomi forte le mani. Deglutii e distolsi lo sguardo dal suo.

«Fa niente, è passato ormai.» aggiunsi.

«Lilla?» mi chiamò ed io lo guardai. I suoi occhi erano talmente belli che mi fece male il cuore per non aver sentito le farfalle allo stomaco. «Ti va di festeggiare il tuo compleanno con me e con un buona cena a base di gelato domani sera?», mi chiese sorridendo appena.

Sorrisi, e lo feci dopo così tanto tempo che mi fecero male le guance. Annuii. «Va bene».

La visita di Dean, per un certo verso, mi aveva fatta sentire molto meglio. Ero felice di aver fatto pace con lui, ero felice di averli baciato. Sapevo di non aver sentito le stesse sensazioni, ma quello non mi avrebbe fermato nel decidere di dare una possibilità al Lupo bianco. Lui era sempre stato premuroso nei miei confronti, e mi voleva bene. Me lo aveva dimostrato in diverse occasioni.

Guardai il cellulare, e decisi di rispondere a Penelope e alle ragazze dicendole che stavo bene. Mi avevano scritto parecchie volte, ma non me l'ero sentita di risponderle.

Tra i messaggi vidi anche quelli sul blog degli animali e notai quelli del mio amico segreto. C'era uno che non avevo aperto. Aggrottai la fronte.

Cannellachebontà: So che stai male. Ma ti prometto che farò di tutto per renderti giustizia.

Sgranai gli occhi confusa, e un moto di disagio mi acchiappò il petto. Chi era? E come faceva a saperlo? Che non fosse proprio lui? Era Caleb!

Il petto mi scoppiava contro la gabbia toracica e strinsi i denti.

Prugnola: Dimmi che sei! E non fare i tuoi giochetti con me. Voglio sapere chi diavolo sei e come sai queste cose!

Glielo inviai, avevo le mani convulso. Non riuscivo a farli smettere di tremare. Il messaggio non tardò ad arrivare.

Cannellachebontà: Sono quello che ucciderà ogni fottuto essere umano che ti abbia toccato senza il tuo, e il mio consenso piccola Occhi Viola.

Sgranai gli occhi, e il cellulare mi cadde dalle mani depositandosi sul suolo con un tonfo. Il cuore iniziò a battere velocissimo nel mio petto. Guardavo lo smartphone come se fosse un mostro che mi avrebbe attaccato da un momento all'altro. Poi strinsi fortissimo la mascella, sentii il dolore diramare nella guancia e mi accucciai per prendere il telefono.

Prugnola: Spero di non vederti mai più. Ti odio Caleb, sei la persona più oscura e depravata che io abbia mai conosciuto. Spero che tu lasci questa città il prima possibile e spero che ti perdi dovunque tu vada. E quella dalia che mi avevi messo nel letto? L'ho fatta in piccoli pezzettini e l'ho gettata nella pattumiera. I tuoi giochetti non mi fanno più paura. Quindi va a fare in culo Caleb. Fanculo.

Invio.

Gettai il telefono sul letto e mi misi a camminare nella stanza con le ginocchia tremanti. Come avevo fatto a non capire che era lui fin dall'inizio? Che idiota che ero stata.

Dopo un minuto mi arrivò un altro messaggio e con il cuore in gola andai a leggerlo.

Cannellachebontà: La dalia non era una minaccia... Ma farò ciò che desideri bambina. Ci vedremo al tuo diciottesimo mettiti qualcosa di sexy per me.

Sentii il groppo in gola impedirmi di respirare e gli occhi mi pizzicarono, volevo piangere perché ancora una volta mi sentivo come se fosse il mago che muoveva i fili per farmi reagire.

Stavo per rispondergli, ma poi vidi che aveva cancellato il profilo.

Ancora una volta aveva avuto lui l'ultima parola. Ancora una volta, mi aveva preso in giro senza il minimo sforzo. Strinsi le mani fortissimo a pugno e mi sedetti nel letto con un pensiero fisso in testa.
Me l'avrebbe fatta pagare.

«Fanculo Caleb!»

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