Lilla
Capitolo 33
"Ho sognato nella mia vita, sogni che mi hanno portato a galleggiare nel tempo e osservare gli errori mentre attraversavo la scia del desiderio restando a guardare senza la possibilità di poter cambiare rotta.
Oppure ero proprio io che non volevo farlo. Perché in onor del vero. Commetterli mi faceva sentire... viva"
Tratto dal Diario Delirante di: Kappa_07
Lo stesso giorno del rilascio di Caleb
Mia zia restava sulla difensiva, mentre mi scortata finio a scuola. Io dal canto mio ero terribilmente instabile. Un po' perché Caleb mi aveva trattata in quel modo sempre da stronzo egocentrico che non farebbe mai sbriciolare la sua maschera da demente nemmeno se fosse sul punto di morte, e un po' perché ero l'ultima a venire a sapere le cose al mondo.
Mia zia non mi aveva mai parlato di una presunta relazione con Rob, ma quest'ultimo se ne usciva che la amava senza peli sulla lingua. Che bel tempismo che avevano. Strinsi forte le braccia con lo sguardo rivolto verso il finestrino. Ero arrabbiata, e ferita, e umiliata.
«Lili, amore...», mi chiamò mia zia ma non le risposi. «Lili ti prego, dobbiamo parlare.» mi disse flebile.
«Comincia a parlare allora. Ti ascolto!» Risposi a denti stretti facendo trasparire tutta la rabbia che avevo dentro.
Mia zia sbuffò: «Non ti avevo detto nulla perché non sapevo nemmeno io cosa fare. Ti prego guardami». La sua voce era dolce anche se stringeva fin troppo forte il volante.
Chiusi gli occhi. Mi dispiaceva litigare con lei. «Da quanto tempo vi frequentate?» le chiesi.
Shannon strinse le labbra osservando dritto davanti a sé la strada. «Intendi da quanto ci conosciamo, oppure da quanto tempo ci stiamo frequentando?»
La osservai con la collera negli occhi. «Zia, so che lo conosci da anni! Voglio sapere da quanto è che sei innamorata di lui».
Shannon deglutì. I suoi occhi mi inchiodarono al mio posto e quando vidi le pupille leggermente dilatate, le guance arrossate mi sentii mortificata a morte. Non dovevo trattarla in quel modo. Non stava facendo nulla di male alla fine dei conti. Sapevo di essere egoista per un semplice motivo che alla fine non mi apparteneva. Ero gelosa di Rob.
«Lilla... Io...»
Chiusi gli occhi, non volevo farla stare in colpa. «Mi dispiace. Non volevo aggredire né te né lui.» mi strinsi nelle spalle abbassando la testa per la vergogna. «È che sono un po' gelosa. Non voglio condividerti con nessuno» le sussurrai.
«Oh, amore mio. Ma tu non mi devi condividere con nessuno. Non esiste nessuno al mondo che io amo più di te», disse amorbidendo la voce. «Sei la mia vita Ludmilla Baker. Ti potrà aver pure partorita mia sorella, ma io ti ho cresciuta.» disse sorridendo. «Chi credi ti abbia cambiato i pannolini quando tua madre era al lavoro?» scherzò ridendo. Il suo petto fu scosso da una risata leggera. Chissà cosa stava ricordando. «Tu sei mia figlia tanto quanto la sua. E non esiste nessun Rob o altra persona al mondo che viene prima di te. Mi hai capita?»
Sorrisi mordendomi l'interno della guancia. Diedi uno sguardo al cielo. Era coperto dalle nuvole all'orizzonte si preannunciava un rovescio di pioggia. «Mi fa male ammetterlo...», sentivo le lacrime pizzicare gli occhi, ma deglutii, avevo così tanto da dire e allo stesso tempo, mi sembrava di tradire la persona che mi aveva messa al mondo. Anche se non c'era più.
«Ma non mi ricordo affatto com'era fatto la mamma. A volte la sogno, e anche nei miei sogni, non riesco a scorgere il suo volto. Tutto quello che vedo, sei tu. Mi domando molto spesso guardandomi dentro. E non riesco a sentire nessuna emozione quando penso a lei. Le avrei voluto bene...», mi ripulii una lacrima scesa lungo la guancia perché ammettere questo fatto a voce altra mi faceva male, ma era vero. «Ma per te, io sarei in grado di radere al suolo tutto il mondo. Io ti amo zia, e per me sei più di questo. Per me sei il mio pilastro. Il mio unico e vero genitore».
Era difficile, dirlo, ma era la verità. E so che a lei avrebbe fatto male sentirmi dire che non ricordavo sua sorella, che non nutrivo nulla per lei se non la sensazione di avere avuto una madre. Non avevo conosciuto in realtà l'amore unico di una madre. Lei era morta. Io ero stata troppo piccola e tutto ciò che ricordavo, erano state le canzoncine di Shannon, le sue braccia mi avevano cullato, il suo profumo, il suo petto.
Alzai lo sguardo verso mia zia, non mi ero accorta che aveva accostato la macchina sul ciglio della strada e mi stava fissando. Aveva delle lacrime negli occhi, il suo petto fu scosso da un singhiozzo silenzioso e sapevo che le faceva male parlare di mia madre. L'aveva perso in circostanze gravissime e ogni volta si ripeteva che tutto quello che avevano fatto da giovani era stato tutto inutile. Mia zia non mi aveva mai portata in chiesa, non pregava nessun dio, non credeva in niente. Ma sapevo che credeva in me. E a me lei bastava.
«Mi dispiace», disse ripulendo le lacrime. «Non mi rende felice sapere che non ti ricordi nulla di lei, ma so che ora è felice mentre ci guarda da lassù. Ti assicuro che per te avrebbe fatto di tutto. Più di quello che sto facendo io. Tu per lei eri la luce, il bene, la cosa più preziosa che aveva. E lo sei anche per me, nonostante io mi comporti male con te a volte e cerco di impedirti di fare degli errori come per esempio andare in caserma e non testimoniare con Caleb War. Ma Lilla...», chiuse gli occhi sfregandosi il volto con i palmi.
«Ti starò sempre accanto, anche quando non sarò d'accordo con le tue scelte. E tu, però, devi fidarti di me. E devi sempre ricordarti che ti amo, se mia figlia e sei il mio intero mondo. Anche se, ne sto ritagliando un pezzettino piccolissimo anche per Rob.» rise scuotendo il petto.
Risi anch'io in baglia a delle emozioni scoppiettante nel petto. Ci abbracciammo.
«Adesso però voglio che tu sia sincera con me. Per favore. Altrimenti non riuscirò a stare tranquilla.» i suoi occhi verdi mi perforarono e sentii il cuore finire nello stomaco.
Caleb.
«Cosa c'è tra te e Caleb?» mi chiese mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Non mi faceva pressione. Ma mi sembrò lo stesso come se mi stava chiedendo di aprire il petto a metà per guardarci dentro anche se non volevo.
«Non lo so che c'è tra noi. Ma devi sapere che non scorre del buon sangue.» abbassai di nuovo lo sguardo. Mi sentii accordata al ricordo delle sue mani sul mio corpo. O magari era la confessione di ieri sera che mi turbinava in testa a farmi battere il cuore a mille.
«Eppure, hai fatto di tutto pur di scarcerarlo.» disse stringendo I suoi occhioni appena.
Deglutii per generare un po' di saliva. «È complicato...» alitai. «Ma non lo so, lui mi confonde e mi fa arrabbiare, e... io non lo so.» le confessai.
Mia zia fece un lungo respiro liberatorio. «Ci sono delle storie che si narrano a proposito degli War.» mi dise stringendo il volante. «ci sono tre che mi sono rimasti in testa fin da quando ero una bambina e sentivo tua madre parlarne. Uno di questi parla del loro modo di vivere e di come trattassero i propri eredi.» mi si seccò all'istante la gola.
Caleb mi aveva detto che aveva passato una brutta infanzia.
«Probabilmente che quel ragazzo, sia stato picchiato, se non peggio da suo padre. Che a sua volta è stato picchiato dal suo e così via. E questo già pone in un problema fondamentale. Poiché quando si subiscono angherie da bambini, è quasi impossibile uscirne anche da adulti.»
Sentii il mio cuore andare in frantumi in un unico secondo. Le lacrime salirono violente agli occhi, ma deglutii e strinsi forte le mani a pugno per contenere.
«La seconda diceria riguardo a loro, è quello che non mostrano nessun tipo di sentimento gradevole per il prossimo, a causa di questa prima affermazione. Nemmeno per il genere femminile. Ed è vero Lilla. Io lo so. È vero». Calcò sulla parola tenendomi sott'occhio.
Mi agitai sul posto, sentivo il sedile stretto e l'unica cosa che volevo era tapparmi le orecchie perché io non volevo crederci. Sarebbe troppo ingiusto.
«E l'ultima, ma in realtà ce ne sono tante altre a cui io non credo: è quello di sapere per certa che hanno un motto. Tu lo sapevi questo?»
Aggrottai la fronte e negai torturandomi le unghie. Il cuore mi scoppiava nel petto. «Ho sentito dire. Niente paura. Niente rimorso e, niente dolore. È il loro motto per eccellenza. Loro sono stati cresciuti per un obbiettivo preciso. Forgiati per essere dei padroni.»
Sentii un altro tonfo al cuore. Avevo già sentito quello parole. Me li disse due sere fa nel suo ufficio. Mi mancò il fiato.
«Perché?» chiesi rifiutando di credere alle sue parole. Mia zia mi osservò e giurai che i suoi occhi traspariva della pena. Si sentiva in pena per me. E lo odiai.
«Non lo so perché. Probabilmente lo fanno per una reazione a catena. Forse c'è dell'altro che noi non sappiamo. Non lo so in realtà. Oppure lo fanno semplicemente per il semplice gusto di farlo.»
Non avevo più alcuna domanda per lei. Ciò che mi aveva confessato superava di gran lunga la mia immaginazione. E per quanto fossi ferita e arrabbiata con Caleb, mi dispiacque. Per ciò che aveva passato per aver un padre di merda. E per essere diventato a sua volta una persona di merda. Per quanto ce l'avessi con lui, ero comunque dispiaciuta. Non lo avrei mai perdonato per avermi sculacciata, per aver tentato di stuprarmi nell'ufficio e per esserci riuscito ieri sera in camera mia. E sapevo di essere una stupida, ma se solo mi avesse raccontato come stavano le cose, io lo avrei compreso.
Ma stavo imparando a conoscerlo. Odiava essere compatito.
«Quindi mi raccomando Lilla. Ricordati queste storie e non commettere l'errore di innamorarti di lui. Perché, come ti ho sempre detto. Lui ti spezzerà il cuore.»
Il petto mi si incrinò e senti qualcosa simile alle schegge conficcate in gola. Come se stessi masticando dei chiodi che mi laceravano il cuore. Dean mi aveva avvertito, ma non avevo mai preso in considerazione una cosa tanto ignobile.
«Li hanno fatto del male...» sussurro con la voce rocca mentre cercavo di trattenere il tremolio per via delle lacrime. «Era soltanto un bambino. Gli hanno fatto del male.»
Non riuscivo a capacitarmi, e con lo stomaco sottosopra sentii il motore della Ford produrre il solito rumore. Mia zia non disse più nulla, ma sapevo bene che ora era ancora più preoccupata. Mi aveva confessato qualcosa di terribile per farmi avere paura. Eppure tutto ciò che sentivo, era l'impellente voglia di abbracciarlo come avevo fatto in quello sgabuzzino. Solo che stavolta lo avrei protetto dai suoi demoni con le unghie con i denti.
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Una volta a scuola, non potei fare altro se non rimuginare sulla confessione che mi aveva fatto mia zia. Stavo camminando verso l'ingresso, nei prati erano sparsi dei studenti che parlavano in gruppi animatamente tra loro. Sentii di sfuggita il nome di Caleb un paio di volte, ma non prestai attenzione alle voci che circondavano la scuola. Per la prima volta mi soffermati sui gradini dell'enorme edificio imponente a forma di L totalmente in colore grigio chiaro con le strisce in verticale viola che separavano le finestre delle aule. Quel colore orribile mi faceva venire voglia di tornarmene indietro, ma sapevo che dovevo andare a lezione. La chimica era una di quelle materie che se non mi presentavo sarebbe stato un disastro. Non c'era nulla da fare. Non ero fatta né per la matematica né per le altre materie che riguardavano numeri formule e quant'altro.
«Lilla!» Shon mi venne di fronte con passo veloce. Aveva la fronte corrugata e stringeva con forza lo zaino in spalla. «Ehi!», risposi abbracciando.
«Che cosa è successo? Stai bene?» Mi chiese preoccupato. Annuii vigorosamente.
«E tu?» gli chiesi passandolo in rassegna. Grazie a dio si era ripreso.
«Sto bene, ma cosa è successo? Lo hai denunciato tu? È ancora in carcere?»
Mi strinsi nelle spalle. «No non sono stata io. E sì è ancora in carcere.» la campanella fendette l'aria comunicando l'inizio della lezione.
«Ho io il tuo zaino, andiamo prima di imbatterci in Lenny oppure in quel pazzo psicopatico. Ne riparleremo», Shon mi prese per il braccio e guardandosi a destra e a sinistra ci avviamo al secondo piano alla lezione di Chimica.
Inutile dire che non ho ascoltato nulla durante la pozione. Ero sconcertata confusa e enormemente arrabbiata per la situazione con Caleb, e per il suo passato. Non avevo fatto altro che rimuginare per un'ora su tutto ciò che era successo in un mese e mezzo tra noi. Eppure non riuscivo a perdonarlo comunque. Per ciò che mi aveva fatto.
«Hai visto Dean?» chiesi a Shon, lui negò col capo. Volevo parlare con lui. E dirgli di smetterla di fare di tutto per difendermi. Temevo una reazione di Caleb e sapevo che le cose potevano degenerare velocemente. Senza accuse fondate non potevano trattenerlo a lungo in prigione e lui voleva una risposta da me, ma prima ero convinta che sarebbe andato a fare battaglia al suo migliore amico.
Una volta nel corridoio salutai Penelope e le ragazze. Ma stavano fuggendo per andare a fare le prove nel campo. Mi guardai intorno per scorgere I lupi, ma nulla. Sapevo che davano la colpa a me, è un po' avevo paura che mi prendessero di mira, eppure, la calma che regnava era troppa pure per me. Raccontai a Shon ciò che era successo all'incontro col lupo nero mentre mi avviai verso gli armadietti. Un paio di persone si erano radunati tutti intorno e stavano parlando a voce alta tra loro. Un moto di agitazione mi acchiappò il petto. C'era qualcosa che non andava. Scesi le scale titubante, osservando ognuno degli studenti avvicinarsi al mio armadietto.
I polmoni mi si serrarono di scatto. Mi avvicinai piano, guardai Shon e le sue pupille dilatarsi e riempirsi di paura.
«Cazzo!» Imprecò sottovoce. Il chiacchiericcio sommesso era come un preludio di morte e le gambe iniziarono a formicola appena. Deglutii, e mi aggrappai al corrimano in acciaio, il freddo al contatto con i palmi sudati mi generò la pelle d'oca.
«Che cosa sta succedendo?» mi rivolsi al mio migliore amico. Una curva profonda aveva solcato la fronte di Shon, e guardò a sinistra allargando appena le pupille.
«C'è Eliot all'angolo, vicino al corridoio che porta alla mesa appoggiato al muro. Sta sorridendo in quel modo inquietante.» mi sussurrò.
Avevo la gola arsa e deglutii per generare la saliva.
«Non mi piace, non andare all'armadietto.»
Quante possibilità c'erano che mi avessero disegnato di nuovo la dalia nera? Conoscendoli sapevo che non usavano due scherzi uguali. Ma comunque restava il fatto, che la gente mi fissava per poi saettare lo sguardo a intermittenza tra me e il mio armadietto.
Di punto in bianco Lenny fece capolino dalla sinistra, dove c'erano i bagni e si appoggiò alle ringhiere con un bagliore di luce eccitato nello sguardo. Le labbra incurvate all'insù. I capelli spettinati, e non indossava più la giacca. Mi arrestai di colpo. Ma poi strinsi forte le mani a pugno e mi avviai decisa verso di lui.
«Dillo Lilla. Dì che sei stata tu a rovinare tutto. Dì di essere una troia spiona. Dì che in fondo ti piacerebbe da morire il cazzo di Caleb in bocca e nella tua fica fradicia.» sorrise, ghignando ed io strinsi forte la mascella per non scoppiare a piangere per l'umiliazione che sentivo dentro il petto dalle sue parole acide. Vidi con la coda dell'occhio Eliot ridere sommessamente e incrociare le braccia al petto.
«Dimmi», continuò Lenny assottigliando I suoi occhi verde scuro. «Ci sogni mai tutti e quattro insieme? Lo sai che sapremo come farti gemere. Ne saremo capaci. Ti potremmo fottere a turno per giorni se solo ammetterai che pure in questo fottuto momento, anche dopo aver mandato Caleb in prigione le tue mutandine sono fradici perché l'unica cosa a cui riesci a pensare è l'immagine di noi, che ti scoppiamo senza tregua fino a portarti allo stremo.» concluse avvicinandosi talmente vicino, che la su lingua mi lambii le labbra.
Il ventre si chiuse di scatto, la sua lingua era morbida, e sentii perfettamente il sapore del tabacco, l'alito sapeva di menta. Non mi ero accorta di essere inghiottita fra le sue braccia. Poiché aveva ragione. Il mio pensiero era fisso sull'immagine di loro quattro che mi scopavano. Trattenni l'istinto di chiudere le cosce di scatto perché sentii un colpo simile a una frusta che batteva contro la pelle sul clitoride e non ci voleva un genio a capire quanto dannatamente mi aveva eccitata.
Sogghignò: «Lo senti vero? Il formicolio che ti parte dalle dita dei piedi e si fa spazio fra le tue cosce, la collisione delle sensazioni multiple che si concentrano in un solo ed esatto punto...», mi diede un'altra leccata, non riuscivo a muovermi, non riuscivo a fare nulla. La gente ci guardava anche se non riusciva a sentirci. Respirai a scatti.
«il turbinio delle emozioni che ti rende la testa più leggera, il ventre che si contrae, le cosce che tremano» rise mostrando i suoi denti assolutamente perfetti. Sentivo il suo alito troppo vicino, e mi sarebbe bastato un semplice movimento per baciarlo.
Volevo baciarlo.
Maledetto Lenny Lewis. Giocatore seriale. Manipolatore senza precedenti.
«Vuoi essere scopata vero? Da quando Caleb ti ha fatto scoprire quelle sensazioni con la lingua e con le dita, non ti basta più. Vuoi essere riempita fino in fondo da un cazzo duro e grosso che ti tenga sospesa per aria mentre le tue belle tette sobbalzano al ritmo delle stoccate poderose.»
Mi morsi le labbra per soffocare un gemito mentre il calore si espandeva su tutto il mio corpo. Non ero stupida. Shon era poco più distante a me e aveva sentito tutto. Anche Eliot sembrava curioso mentre guardava ogni mio respiro. Lenny si avvicinò e mi morse il labbro inferiore, mi staccai.
«Se non ti levi subito dai piedi denuncio anche te!»
Non so dove trovai le forse per dirgli ciò, ma sapevo di essere ben accaldata e queste sensazioni me li faceva suscitate solo lui. Solo Caleb mi faceva avere caldo e freddo allo stesso tempo. Mi sarebbe bastato un suo sguardo e il mio cuore avrebbe corso la maratona di New York. Eppure Lenny era riuscito a insinuarsi nella mia mente. E io sentivo il bisogno di dare sfogo alla parte più intima di me. Volevo che quel maledetto lupo mi toccasse. Volevo la lingua di Caleb sulle mie cosce, la lingua di Lenny sulle mie tette e la lingua di Dean dentro la mia bocca.
Respirai a fatica. Dio che cosa c'era che non andava in me?
Spinsi con forza Lenny appoggiando le mani al petto. Era duro e forte. I muscoli erano bene in vista anche se indossava una polo del cazzo. Dio quanto erano duri i suoi pettorali.
Corsi, velocemente mi diressi a sinistra verso il bagno delle donne e mi chiusi la porta alle spalle appoggiandomici contro. Il respiro era sempre più corto le guance mi andavano a fuoco. Tutto il corpo mi andava a fuoco. Aprii il rubinetto e mi sciacquai la faccia diverse volte con l'acqua gelata. La pelle d'oca torno repentina a coprirmi la pelle. Sbattei le mani sul lavandino mentre una lacrima silenziosa mi scese giù fino a mento.
Li desideravo. Li desideravo da morire. E li detestavo altrettanto.
Desideravo lui. Lui riusciva a far impazzire i miei ormoni anche quando si comportava da psicopatico. Lui mi faceva venire anche contro la mia volontà.
Lenny non aveva fatto altro che alimentare la brace che ardeva già dentro di me. E Caleb mi aveva appena detto che non mi avrebbe più toccata per il prossimo anno e mezzo.
Ma io volevo che mi toccasse.
Stavo impazzendo. Era sicuro come il giorno e la notte. Eppure desideravo che per una volta avesse semplicemente parlato a vanvera. Desideravo che non mantenesse la parola data. Sapendo bene che manteneva sempre le promesse. Lui era il maledetto Caleb War. Non aveva paura, non aveva rimorsi. Ma ave a un codice. Manteneva sempre le proprie promesse.
Ma io volevo che toccasse.
Lenny mi aveva confusa.
Uscii dal bagno dopo cinque minuti, la campanella aveva segnalato l'inizio della lezione da un bel pezzo, ma ero troppo scombussolato per andarci subito. Dovevo calmarmi. Inspiravo dal naso ed espiravo dalla bocca stringendo forte gli angoli del lavandino. Continuai così per un bel po', finché le sensazioni scompariranno e l'unica cosa che sentivo era la vergogna.
Uscii dal bagno. «Stai bene?» chiese Shon appoggiato al muro. Ave a le mani in tasca, la testa abbassata, una gamba piegata contro il muro. Mi guardò sotto le ciocche nere che sfuggiva alla sua capigliatura perfetta. Anche Shon non scherzava. Era bellissimo. Un corpo da urlò, le braccia asciutte ma toniche, i pettorali asciutti, ma tonici e il fisico a triangolo ma fine lo rendeva talmente appetitoso per le ragazze. Mi ero sempre chiesta perché non si era mai fidanzato in vita sua. Addirittura Penelope le stava sbavando dietro. I suoi occhi a mandorla mi fissavano senza malizia.
«Se ti può aiutare. Ha eccitato pure me». Arricciai le labbra stringendoli forte. Mi vergognavo.
«Vieni qui.» disse staccandosi dal muro e avvolgendo subito dopo in un abbraccio caloroso. Adoravo i suoi abbracci. Era più alto di me di qualche centimetro e mi faceva sentire al sicuro.
"Anche Caleb ti ha fatto sentire al sicuro quella sera durante i temporali".
Mandai a fanculo la mia mente precaria e lo strinsi a me. Mi staccai.
«Hanno fissato qualcosa al tuo armadietto». Mi disse. Aggrottai la fronte. Il petto mi sobbalzò. Caleb mi aveva promesso che non ci sarebbero stati più giochetti. Possibile che non aveva avvisato i suoi amici?
«Voglio vedere»
Shon mi trattenne per un braccio «Lascia stare. Sarà un'altra cattiveria. Per oggi ne abbiamo avute troppe.»
Deglutii osservando il vuoto per un momento. Poi guardai gli occhi scuri del mio migliore amico. «Io non ho paura di loro»
Mi avviai spedita verso il mio armadietto. Il corridoio era sgombro. C'era so il custode e un paio di studenti che a quanto pare non avevano lezione.
«Lilla aspetta...» Shon si avvicinò correndo. «Lo capisci che facendo così fai il loro stesso gioco? Ti prego lascia stare. È ciò che vogliono.» tentò di persuadermi ma ormai ero decisa.
Una volta di fronte mi fermai di scatto. Aggrottai la fronte, le mani sudate appena. Dischiusi le labbra leggermento per lo stupore. C'era un foglio scritto in bella calligrafia attaccato sopra. Sicuramente era uno di quelle penne super costose perché era talmente bella la scrittura che mi dimenticai di leggere.
Sbattei le palpebre un paio di volte e poi lessi.
Lessi ancora confusa con un nodo alla gola e un brivido freddo che mi serpeggiò lungo la spina dorsale generandomi nel petto, un batticuore convulso.
Indovina indovinello piccola Violetta.
Se apri lo sportello ai tuoi occhi la risposta si rivelerà.
Ma se lo lasci chiuso alcun pericolo ci sarà.
Il rosso e il nero fanno da padrone eppure sono gli altri a incutere timore.
Un gesto gentile non potrai mai fare
Perché a lui fiducia non si può dare
In alto la guardia vicino a lui devi tenere
Altrimenti la sua difesa, Violetta dovrai temer.
Aprilo piccola rossa, aprilo e dagli una guardata
Ma poi non dire, di non essere stata avvisata.
«Ma che cazzo!»
🌺Spazio Autrice🐺
Provate a indovinare l'indovinello scrivendolo nei commenti.
Le risposte le posterò su instagram
Vi aspetterò proprio su IG per il sondaggio delle due risposte con numero maggiore.
💜Baci, baci💜
💜Kappa_07💜
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