Lilla

Capitolo 18

Disse: A volte, ci sono situazioni dettate dall'istinto che sfuggono al controllo dell'essere umano.

Rispose: A volte nemmeno il più forte sa comprendere e tanto meno fuggire da certe situazioni dettate dal tuo 'IO' più profondo.

Kappa_07

Avevo chiamato mia zia per rassicurarla che stavo bene, avevo provato a dirle la bugia dell'amica, ma mi fece intendere che aveva capito perfettamente con chi fossi. Infatti, la mia nemesi stava guidando con prudenza, la pioggia cadeva inesorabile e non so come faceva, ma io non riuscivo a vedere proprio nulla oltre il parabrezza.

Era a petto nudo, nonostante mi fossi promessa di non guardare il suo corpo illegale, i miei occhi traditori, scivolarono di tanto in tanto sui suoi tatuaggi. Erano tanti, e quei muscoli modellati dalla mano di dio rendevano il tutto una specie di film porno. Era bellissimo, e per assurdo, la parola bellissimo mi sembrò riduttivo.

Aveva i capelli in disordine e il viso era indecifrabile, lo sguardo attento e profondo rivolto alla strada.

Che cosa mi prendeva? Perché pensavo che fosse bello? Io lo odiavo. Nulla di lui doveva attrarmi.

Eppure, era assurdo, tempo fa, quando ancora non avevo scoperto chi fosse, mi ero un po' invaghita di lui, lo avevo spiato sotto gli spalti mentre faceva allenamento, e i suoi muscoli erano tutti sudati, al sole la sua pelle brillava bronzea, come se gli avessero gettato dell'olio addosso per accentuare la sua perfezione. I tatuaggi sembravano prendere vita a ogni movimento che faceva, soprattutto il polipo scuro che aveva in mezzo al petto. 

 Avevo fantasticato su di lui sotto le lenzuola immaginando quelle mani e quel corpo che mi toccava e mi accarezzava fino a non comprendere più ciò che era la realtà dall'immaginazione e poi quando raggiungevo il picco del piacere e aprivo gli occhi, mi dicevo che non ci sarebbe mai stato niente tra di noi. Lui non mi avrebbe mai notata, io ero talmente insignificante con le mie troppe curve o il mio troppo diversa dalle sue solite lupette. 

Ma quando scoprii il suo vero carattere, quando lo vidi fare del male a quel ragazzo l'anno scorso e denigrare e maltrattare altri in seguito tutto rovinò a terra e di lui e delle mie immaginazioni non rimase altro che cenere. Poi lui decise di prendersela con me e se tempo a dietro volevo avere la sua attenzione, ora, volevo solo che lui sparisse e mi lasciasse vivere la mia vita in pace.

Oltre all'odio, nutrivo anche una sensazione di patimento dopo averlo visto ridotto in quel modo, scoprire che nell'armatura che vestiva tutti i giorni c'erano delle crepe, mi fece capire che era umano e pieno di terrori nascosti nel profondo come tutti noi.

Era vero quando si diceva che il potere di un uomo si misura dall'influenza che ha sugli altri individui, ma se la massa decidesse per una volta di voltargli le spalle e non avere paura, quell'uomo alla fine, sarebbe solo un altro, svestito e con la propria pelle addosso. Perché non cera nulla di più terrificante di un essere umano seguito e temuto dalla massa. E lui ne era accerchiato, era come l'Alfa di un branco, tutti cercavano la sua approvazione, e allo stesso modo, tutti lo temevano.

Ma io avevo scorto chi era realmente; Un bambino ferito. Una persona pieno di paure. Un essere umano colmo di sofferenze.

Mi domandai che cosa li fosse successo, ma non osai a chiederglielo, poiché il ricordo di me che lo abbracciavo, fino ad annullarmi nel suo corpo era ancora troppo fresco. Lo avevo stretto a me, avevo cercato di fare la stessa identica cosa che lui aveva fatto con me la prima sera del nostro incontro.

Avevo infilato le dita sulla base del suo collo, toccato la radice dei suoi capelli neri che al tatto erano così morbidi. Mi ero seduta sul suo grembo, avevo sfiorato il suo petto con il mio e lo avevo guardato negli occhi da troppo vicino.

Scorgere la sfumatura del terrore nei suoi occhi mi destabilizzò, eppure nulla di tutto ciò che era successo poco tempo fa attutì il suo carattere. Pensavo ancora che fosse crudele.

«Se continui a guardarmi in questo modo non potrò restare concentrato sulla guida a lungo.» disse mostrando un sorrisetto che la sapeva lunga.

Tornai dritta e mi irrigidii.

Cazzo, mi aveva colto in fallo, e mo' come ne uscivo?

«Mi sto solo assicurando che ci porti da qualche parte sani e salvi, dato che non si vede nulla.» gli risposi.

Lui rise producendo un verso di petto che mi generò le farfalle allo stomaco, si protese appena sussurrando in modo inquietante: «Bugiarda.»

Sospirai, chiudendo gli occhi: «Senti coso, non ho voglia di drammi ora. Faresti meglio a concentrarti sulla guida. E non provare a farmi paura!»

Lui si voltò di scatto verso di me, le guance mi andarono a fuoco. Nonostante non sostenni il suo sguardo, ebbi l'impressione che mi stava trapassando anche le ossa con i suoi occhi azzurro grigio.

«Coso? Veramente stai chiamando "coso", il tuo salvatore? Che faccia tosta!» disse in tono giocoso.

Mi morsi il labbro inferiore con forza per non ridere. In effetti ero stata abbastanza divertente.

Decisi di non disquisire sulla parola "Salvatore" poiché sapevo che sarebbe stata guerra.

«Senti, Caleb...» enfatizzai, «Puoi guardare avanti? Non voglio morire oggi.»

Lui rise di nuovo in quel modo languido che mi generò un brivido caldo.

«Nessuno morirà, almeno non prima di aver pagato il proprio debito.» sussurrò di nuovo in quel modo inquietante.

Mi voltai verso di lui con la fronte aggrottata. «Di che cazzo di debito stai parlando? Cioè, mi stai dicendo che potrei anche morire e non te ne fregherebbe nulla?»

«Non ho detto questo.»

Deglutii in collera. Stavo per arrabbiarmi e io mi conoscevo, non avrei più chiuso la bocca.

«Ah no? Allora spiegati. Di che debito stai parlando?» lo canzonai.

«Del tuo debito Viola. Il debito che hai verso di me. Non te lo ricordi?» domandò guardandomi ancora per un attimo.

Alzai gli occhi al cielo sbuffando. «Io non ho nessun debito con te! Sei tu a dovermi chiedere scusa per tutto quello che mi hai fatto in queste tre settimane. Sei tu quello stronzo, sei tu che mi hai resa un bersaglio, è per colpa tua se sono finita in questa situazione del cazzo.» urlai.

«Io? E che c'entro io? Se non ti fossi accorta, avrebbero chiuso anche me lì dentro, con te!» esclamò frenando di colpo.

Sgranai gli occhi perplessa, finché non mi accorsi di un cancello in ferro battuto di fronte a me. Eravamo arrivati veramente a casa sua.

«Esatto! Forse sono stati i tuoi amici del cazzo! Se tu non ti fossi fissato con me ora sarei a casa mia!» esclamai. «E se volevano fare uno scherzo a te, ci sono finita anch'io in mezzo perché sicuramente la voce si sarà sparsa e qualcuno ha preso due piccioni con una fava!»

«Ma ti senti Viola? Io non ho fatto nulla. Non incolparmi per le azioni degli altri. Se non ricordo male sono stato io a subire il peggio! Perciò abbi almeno la decenza di stare zitta!» mi urlò a sua volta colpendo a pugni chiusi con violenza il volante.

Sussultai impaurita e fu come se avessi ricevuto un pugno secco allo stomaco, lui che alzava la voce in quel modo mi faceva una fottuta paura, ma più di tutto mi feriva come persona. Non si doveva azzardare.

Feci un respiro pesante con le narici frementi e strinsi forte la mascella mordendomi la lingua.

«Fottiti!» gli dissi aprendo la portiera e uscendo fuori furiosa.

Casa sua era di fronte a me, una reggia colossale tutta bianca, una tipica casa degli americani fottutamente ricchi, se non fossi furiosa, lo avrei contemplato, ma presi a correre nell'altra direzione con tutte le mie forze. Sarei andata a casa a nuoto sotto l'acquazzone se necessario. Non avrei sopportato la sua presenza un secondo di più se doveva puntarmi il dito come se fossi stata il male in terra.

La pioggia e il vento mi sferzarono il volto e le braccia, il freddo mi entrò sottopelle i capelli mi si inzupparono appiattendoli in un attimo, come anche i pochi indumenti che avevo addosso. Mi strinsi forte nelle braccia prima di iniziare a correre a perdifiato, avevo le lacrime agli occhi.

Chi diavolo era lui per parlarmi in quel modo?

Nessuno ecco!

«Viola! Fermati!» lo sentì gridare dietro di me, ma non fermai il passo, me ne sarei andata, non avevo intenzione di stare insieme a quello stronzo violento anche se stavo morendo di freddo.

«Fermati ti ho detto!» esclamò perentorio. Sapevo che mi stava raggiungendo. Che cosa voleva adesso?

Mi ghermì il braccio e mi fermò subito. Presi a dibattermi finché non riuscii a liberarmi e mi allontani di parecchio girandomi verso di lui.

«Vaffanculo! Chi ti credi di essere per urlarmi in quel modo!» esclamai a mia volta.

La sua stazza mi si presentò di fronte come un essere magico.

Ebbi una vertigine, mille emozioni mi si scatenarono nel petto. Lui era... un dio.

I miei occhi immagazzinarono le informazioni per darglielo al cervello un secondo in ritardo, perché lui era... divino.

La pioggia lambiva i suoi capelli scuri come l'abisso appiattendoli e rendendoli astratti come le piume di un corvo, gli occhi azzurro-grigio erano talmente accesi che mi sembrarono le spiagge dei Caraibi smussate da uno tsunami. Scesi con gli occhi sul suo petto ed ebbi una fitta dolorosa all'inguine, rivoli d'acqua si diramavano incastrandosi nei suoi muscoli rendendolo un dio greco dell'antichità. Era un colosso sbalorditivo. Un essere divino, e per un attimo pensai di avere il diavolo tentatore di fronte. Lucifero era il più bello degli angeli, e Caleb War bagnato e con il respiro pesante, sembrava proprio lui.

Persi l'equilibrio inciampando all'indietro, ma per fortuna non caddi, il cuore mi batteva a tutta forza e le parole acide che erano pronte sulla punta della lingua mi si erano incastrate fra le labbra.

«Che cosa vuoi che ti dica, io non riesco a frenare il caos che ho in testa. Non volevo parlarti in quel modo. Non volevo fare quel gesto, solo che...» Si giustificò stringendo i pugni lungo i fianchi distogliendo appena lo sguardo dalla mia figura.

Pessima idea abbassare lo sguardo, poiché finii per restare abbagliata dalla V perfetta dei suoi fianchi, i pantaloni che aveva addosso erano scesi di poco rivelando quel lembo di pelle che mi fece sudare la base del collo. La salivazione scese sottozero, come d'altronde il mio calore corporeo. Stavo tremando dal freddo, e anche lui aveva la pelle d'oca.

«Pensi che sei l'unico con dei demoni in testa? Eh? Pensi che io non abbia le mie afflizioni che a proposito ultimamente riguardano tutti te.» puntualizzai deglutendo subito dopo.

Fece un respiro profondo guardando le mie labbra prima di scendere con lo sguardo sul seno. Ero consapevole di avere i capezzoli turgidi. Il freddo, la pioggia, la sua vicinanza e il suo essere quasi ancestrale di fronte a me rendevano il tutto ancora più difficile da gestire.

«Penso che sono l'unico ad aver capito che i demoni che portiamo in testa siamo noi stessi Violetta.» abbassò il tono della voce e mi sembrò quasi roca, dolce e suadente. Un mix sublime, ma da cui non mi dovevo far ammaliare.

«Non me ne frega nulla! Tu mi hai umiliata per l'ennesima volta! Ora levati dalle palle.» gli dissi battendo i denti. Il freddo mi fece tremare come una foglia, ma non avevo intenzione di lasciargliela vinta.

«Dove cazzo pensi di andare?» mi domandò incredulo.

«A casa mia!» risposi fredda.

«Non fare la stupida.» mi disse raggiungendomi di nuovo.

Mi passò di fronte, e subito dopo si passò le mani in volto sospirando. I suoi muscoli si tesero e i tatuaggi sembrarono prendere vita.

«Lasciami passare!» gli urlai contro. Avevo le lacrime agli occhi, ma per quale fosse il motivo, ancora non ero riuscita a capire.

«No cazzo! Non ti lascio passare! Non vedi la tempesta? Se non ti porto subito dentro...»

Sospirai con le narici frementi. Lo odiavo perché anche se era il mio nemico non riuscivo a esserli indifferente come avrei voluto.

«Non ho intenzione di passare la notte a casa tua sapendo che non vedi l'ora di torturarmi. Non voglio! Non lo accetto!»

La pioggia continuava a cadere indisturbata battendo e infrangendosi contro il suolo, quando gli unici coglioni per strada eravamo noi che ci stavamo urlando a vicenda.

Che situazione assurda. Sapevo bene che ciò che stavo facendo era sbagliato per diversi motivi. Il primo, se non mi fossi coperta subito avrei preso una polmonite, il secondo, ero cosciente che non sarei mai potuta andare a casa. Era lontanissima.

«Non ho intenzioni di lasciarti correre via Viola», parlò a voce bassa.

Risi isterica, la situazione era così paradossale, perché nella mia testa pensavo solo a due cose. La prima era di avere qualcosa addosso perché stavo letteralmente morendo e la seconda invece era che volevo toccarlo. Io volevo toccare il suo petto, il suo addome i suoi tatuaggi, volevo sentire...

«Viola...» sussurrò con gli occhi lucidi e felini.

Sbattei le palpebre diverse volte destandomi dal mio stato di trance, non mi ero in assoluto accorta che avevo fatto diversi passi verso di lui, avevo proteso la mano pronta per tastare la sua pelle. Boccheggia in cerca d'aria, i miei polmoni erano serrati, mi allontani con uno scatto.

Cosa stracazzo stavo per fare?

Lui mi guardò con un sorriso di sbieco da sotto le lunghe ciglia nera che madre natura le aveva così generosamente concesso e alzò il collo gonfiando quel petto ampio. Deglutii e vidi perfettamente il suo pomo d'Adamo fare su e giù, il suo corpo si riempì di pelle d'oca. Si avvicinò con passo felpato.

«Cosa cazzo stai facendo?» domandai aggrottando la fronte.

Caleb rise ancora divertito, ma la pioggia che scendeva su di lui rendeva tutto ancestrale.

Era troppo bello per essere vero.

«Non so decidermi se prenderti le labbra a morsi o sculacciarti piccola Viola.» parlò piano, il timbro della sua voce scesi di due note mentre lui si muoveva impercettibile verso di me, i suoi occhi azzurro-grigio mi scrutavano da sottinsù alla ricerca di qualcosa. Ma che cosa, ancora non l'avevo capito.

I miei polmoni si addensarono, il cuore prese a battermi feroce nel petto, lo stomaco mi si serrò a tenaglia e sentii una scossa frustrarmi in mezzo alle cosce come se ogni parte di me fosse stata toccata dalla sua affermazione.

CONTINUA...

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