Caleb
Capitolo 32
Tutti gli uomini muoiono un po' al giorno;
Chi a piccoli pezzi, chi tutto intero.
TRATTO DALLE IDEE MALSANE DI KAPPA_07
Dean mi aveva denunciato. Il mio migliore amico barra fratello per scelta, aveva deciso di mandarmi in prigione perché non sopportava l’idea che avrei continuato a torturare Lilla.
Dean aveva scelto. E la sua scelta era stata sbagliata. Come quando gli promisi che sarebbe andata di merda con lui e la ragazza dell’estate scorsa ma non mi ascoltò.
Ecco, in effetti, più ci pensavo, e più mi accorgevo che il mio amico, voleva giocare con il fuoco. E in quel momento il fuoco era tanto.
Feci finta di ascoltare l’avvocato Allen mentre era lui a mettere sotto torchio i poliziotti quando solo un’ora fa erano stati loro a cercare di darmi delle colpe che non avevo.
Perché cazzo: quella ragazza, amava tutto ciò che le avevo fatto e di questo non ci voleva un genio per capire.
Ci misi altre due ore, a mettere le cose apposto con la polizia, il mio avocato fece un buon lavoro facendo scomparire ogni dichiarazione e il mandato d’arresto per me. La mia fedina penale divenne di nuovo pulita. D’altronde me lo doveva, era stato suo figlio a mandarmi in prigione dopotutto.
Con la rabbia in circolo, me ne uscii da quelle porte senza voltarmi indietro, diretto a scuola per ammazzare Dean a suon di pugni, e dopo aver salutato l’avvocato che decise di fermarsi per non lasciare nulla al caso, mi avviai deciso all’uscita.
Una volta uscito fuori, mi fermai sul primo gradino quando vidi Amelia e il suo bodyguard attendermi fuori dal Suv totalmente nero di sotto.
Amelia mi stava scrutando con insistenza, nei suoi occhi grigi chiaro ci vidi del dispiacere, le labbra leggermente arricciate, si toccava i capelli biondi in continuazione. Mi venne di fronte.
«Caleb. Stai bene?» domandò appena fu vicina. Senza attendere mi strinse in un abbraccio forte. La strinsi a mia volta. Era l’unica persona che ammiravo e volevo davvero bene dopotutto.
«Se teniamo conto che Dean mi voleva dietro le sbarre, sì direi che sto bene.» Gli risposi con la mascella serrata.
«Vieni, parliamo in macchina, oppure di fronte a una tazza di thè» disse.
La seguì ed entrammo in macchina. Il suo bodyguard si mise al volante dopo averci dato un’occhiata. Strinsi gli occhi. Io quello lì lo conoscevo. Lo avevo già visto da qualche parte.
Chiusi gli occhi poggiando la testa sulla testiera e presi un lungo respiro. Amelia mi prese la mano fra le sue in un gesto di gentilezza.
«Mio papà mi ha detto che Dean ha fatto di nuovo una delle sue. Non so che sangue scorre fra voi due in questo momento, ma ricordati che noi ti vogliamo bene» disse dolcemente.
Strinsi forte la mascella. Il petto mi bruciava e in bocca sentivo l’amaro di essere stato tradito.
«Che cosa hai fatto? Ha a che fare con Lilla?»
Il cuore perse un battito a sentire il suo nome lasciare le labbra di Amelia, lei lo aveva visto soltanto una volta e sapevo che già le piaceva. Piaceva a tutti.
Ma per me era soltanto una preda che si fingeva intoccabile quando l’avevo sporcata talmente tante volte da sembrare macchiata ora.
«Non voglio parlare di lei.» tagliai corto.
Amelia arricciò le labbra e annuì.
«Allora mi dici che cosa è successo? Sei stanco. Ti vedo. Da quant’è che non dormi?»
«Più o meno da trentadue ore.» risposi ridendo.
«Oh, Caleb.» rispose amareggiata. «Ti prometto che farò una ramanzina a Dean. Fra poco dovrò partire per il tour, ma ho intenzione di spianare questa specie di litigio fra te e lui, altrimenti annullo tutto.»
Mi passai le mani sul volto, era troppo buona. «Quando Dean mi chiederà scusa in ginocchio e dopo una buona dose di pugni, mi riterrò soddisfatto».
«Caleb!» mi redarguì Amelia.
Feci una risata amara. «Ho bisogno di un caffè» le dissi troncando lì il discorso. Anche perché non ci avrebbe portato da nessuna parte ed entrambi lo sapevamo.
Amelia annuì e dopo poco ci trovammo in un piccolo bar vicino alla città di Randall al confine con Little Falls. Dopo una buona dose di caffè e dopo aver sentito Amelia raccontarmi dei suoi tour per tutta l’America, sentivo il bisogno di tornare da Dean e rompergli quel cazzo di naso.
«Me lo vuoi dire il motivo dell’astio fra te e Dean? Che cosa vi succede ad entrambi? Lui entra sempre tardissimo a casa ed è sempre di mal umore. E tu… beh, guarda dove ti abbiamo pescato oggi.» disse sospirando mentre si protese verso di me.
Strinsi forte la mascella. Ero arrabbiato. E cazzo se volevo spaccare qualche naso.
«Ha deciso di essermi nemico.» risposi deciso guardandola negli occhi.
Amelia alzò gli occhi al cielo. «Oh Caleb, per carità di dio. Dimmi le cose come stanno!»
Deglutii gonfiando il petto subito dopo. «Dean vuole ciò che è mio. Ma sa che non glielo permetterò mai. Quindi ecco da dove arriva la divergenza. Lui crede che voglio farle del male, ma non è così. Voglio soltanto giocarci.»
Amelia aggrottò la fronte. «Dannazione Caleb. Non si gioca con la vita delle persone. Vuoi quella ragazza? Allora valla a prendere! Ma non usare i tuoi stupidi giochetti.»
«Ma io non la voglio!» esclamai furioso. Sentivo il petto bruciare di rabbia e di frustrazione e di qualcosa di incomprensibile pari alla delusione.
«A chi stai raccontando le bugie? A me, oppure a te stesso Caleb?» mi domandò Amelia con lo sguardo assottigliato.
«Anche Dean è innamorato di lei?» chiese subito dopo.
«Non lo so.» risposi a denti stretti con le mani a pugno.
Amelia distolse lo sguardo e gonfio le guance rosee prima di sbuffare.
«Secondo me ci state giocando entrambi. E lei si è invischiata in qualcosa che è più grande di lei. Voi due state giocando ognuno al vostro gioco. Lui fa andare fuori di testa te. Tu fai uscire fuori di testa lei. È un circolo vizioso il vostro, ma io vi conosco bene entrambi. Se non la smettete rimarrete scottati. Mi hai capito?» esclamò decisa con gli occhi che sprigionavano fulmini.
Ghignai. «Conosco Dean. Lei gli piace. Altrimenti non mi avrebbe mai denunciato. Mai.»
“facendo ciò che ha fatto, ha messo a rischio ogni mio progresso per inchiodare mio padre. E lui sa quanto è importante”.
«Forse era l’unico modo per farti ragionare, non ci pensi?»
Alzai lo sguardo sul su con la fronte aggrottata. «Ragionare per cosa?»
«Per i tuoi sentimenti Caleb! Dei, ancora non capisci che sei rinchiuso in te stesso come una cozza e che forse il tuo migliore amico ci soffre nel vederti ricadere all’oblio ogni dannata volta? Davvero pensi che l’unico a soffrire per ciò che ti hanno fatto sia solo tu?»
Il petto mi bruciò, e sentii la rabbia crescere dentro di me. Strinsi forte le mani a pugno. «Questo non gli dà alcun diritto di fare una cosa del genere.»
«Certo, ma non è così semplice come credi vedere il proprio amico andare verso la rovina e cercare di restare a guardare…» le si incrinò appena la voce.
E mi ricordai di quante volte lei mi aveva soccorso nel loro bagno mentre mi facevo di qualsiasi cosa trovassi in giro per placare la sensazione di suicidio.
Un groppo mi risalii in gola: «So che avete passato le pene dell’inferno con me. Tu per prima. Non lo dimenticherò mai ciò che hai fatto, ma questo non gli dà nessun diritto comunque.»
«Lo so.» sussurrò Meli. «Infatti ho intenzione di prenderlo a pugni una volta che torna a casa. Ma vi prego. Caleb guardami…», e la guardai. «Non posso vedervi divisi. Per me siete come la faccia della stessa medaglia. Uno bianco e l’altro nero. Siete quattro, e quattro rimarrete per sempre. Non dividetevi per delle cose futili. E non continuare a tortura quella ragazza. Lo so che non ti piace quando ti si dice cosa fare, e lo so che Dalia Nera è stato la tua salvezza lo si può dire. Ma tu avevi uno scopo prima. Ed è la prima volta che io ti vedo prendertela con un innocente.»
Deglutii per generare un po’ di saliva. Aveva ragione, ogni anno sceglievo un pezzo di merda da torturare in base a uno schema preciso, uno che avevo visto infilare le mani nei pantaloncini di una ragazza che non gradiva le sue attenzioni.
Uno che sapevo per certo torturare sua sorella a casa. Un altro perché aveva cercato di stuprare un ragazzo ad una festa. Ogni persona che aveva ricevuto la dalia Nera in questi quattro anni, era una persona di merda. E lei?
Beh lei mi aveva rifiutato, e aveva paura di me. Era scappata, e questo mi aveva fatto sentire potente.
«
È strana. E mi odia. Quindi siamo pari per un certo senso.» mi giustificai con un’alzata di spalle. Amelia mi guardò con un sopracciglio alzato. Le labbra ben serrate.
«Ti dirò una cosa che so per certo sto evitando per prima io» i suoi occhi corsero al bodyguard che era in piedi poco più distante da noi. Sembrava rilassato, e non ci faceva caso, ma sapevo che ci ascoltava in realtà. Assottigliai di nuovo lo sguardo. Io lo conoscevo quello. Lo avevo già visto da qualche parte. Ma dove?
«L’odio e l’amore sono così tanto simili che non riesci a distinguerne le sfaccettature, perché bruciano allo stesso modo, e il fuoco che arde nel petto, ti scioglie ogni briciolo di buonsenso. L’odio e l’amore ti consumano lentamente. Ma quando una ti elettrizza l’altra, quella più pura, senza la giusta dose, ti annienta.»
Strinsi la mascella mentre il petto mi bruciava come a sottolineare quanto questa bellissima ragazza avesse ragione. Quando ero tra le cosce della bimba dagli occhi viola, non volevo ritrovarmi da nessun’altra parte.
E poi quell’idea del cazzo di farla mia ai suoi diciott’anni, e che non doveva avere nessun’altro prima di me, era un gran bastardata. Uno, sapevo che mi stava fottendo, solo che avrei preferito mangiarmi la polvere piuttosto di confessarglielo ancora. E due, ero sicuro che mi detestava e l’unico che voleva era Dean.
«Se non gioco perdo il controllo», le confessai. Amelia trattenne il fiato sbattendo le ciglia lunghe. «Se non gioco, temo di perdere me stesso. A volta mi faccio ancora. Due giorni fa mi sono pipato l’impossibile, la settimana scorsa mi sono preso dell’ossicodone e quella prima ancora mi sono ubbriacato a merda assumendo dell'exstasy. Mi sto facendo del male. A volta vado da Rob e mi faccio annientare da lui, con delle parole subdole per non farmi. E lui lo sa. Sa quando sono al limite e l’unico modo che ha per tirarmi fuori è farmi del male mentalmente».
Una lacrima silenziosa lasciò le ciglia di Amelia.
«Quindi, se mi devi chiedere di smettere di fare ciò che faccio, la risposta è sì, potrei, ma non so se sarei in gradi di sopportare la mia mente dopo». Conclusi abbassando la testa.
Il chiacchiericcio era più intenso ora che l’unica cosa tra me ed Amelia rimaneva il silenzio. Sentivo il tintinnio della porta aprirsi, gente che saluta altra gente, i piatti che sbattevano perché le per via a colazione e in ultima. Sentivo ancora la flebile rabbia che nutrivo per Dean.
«Ora ti dirò un’ultima cosa Caleb. Una cosa che disse il maestro Aemond a John Snow nel trono di spade e che in questo momento calza a pennello.»
Risi leggero. Amelia aveva amato quella serie. Ma sapevo che voleva anche alleggerire la tensione, prima della grande mazzata finale. Lei era fatta così. Odiava ferire le persone e sapevo che stava per dire qualcosa che mi avrebbe fatto sanguinare.
«Tuo padre ti ha fatto del male, un male che non glielo auguro a nessun’altra persona al mondo. Ma tu non puoi vivere per sempre nel passato. Il passato c’è stato, e ti ha plasmato, ma non ti può definire. Sono le tue azione a renderti ciò che sei destinato ad essere. Quindi: Uccidi il ragazzo impotente dentro di te, e permetti all’uomo che sei di rinascere.» mi inumidii le labbra.
Mentre Amelia mi guardò con lo sguardo addolcito. Le regalai un sorriso flebile e ci misi tutto il mio impegno.
«Forse hai ragione, ma devo ancora trovare le forze per farlo». Conclusi deciso.
Amelia mi guardò in silenzio, i suoi occhi esprimevano tutta la preoccupazione che nutriva nei miei confronti e non la biasimai ma allo stesso tempo, non volevo essere compatito anche se alla fine lei lo aveva sempre fatto.
Mi vedeva come un cucciolo ferito, e in verità anch’io mi sentivo così a volte. Ma non l’avrei mai e poi mai fatto vedere a nessun’anima viva.
🐺
Più tardi, era quasi mezzogiorno quando Amelia mi lasciò a casa, non avevo fame, ma mi premurai a dare da mangiare ai miei piccoli amici che si fiondarono sulle proprie ciotole, me ne uscii in giardino.
Il verde si espandeva per ettari oltre l’orizzonte e la mega piscina a forma di C sembrava un lago in mezzo all’erba ben curata. Mi rilassai un paio di minuti sulla chaise-longue col telefono in mano e senza nemmeno farlo apposta aprii la sezione dei messaggi.
Il nome “Prugnola” mi apparse subito, poiché era l’unica con cui parlavo in quel profilo fake. Mi risucchiai l’interno delle guance e fissando lo schermo decisi di scriverle. Sapevo che era a scuola, probabilmente alla lezione di chimica. Ma nell’attesa di andare all’incontro con i progettisti del ritrovo per gli animali, le scrissi.
Cannellachebontà:
Buongiorno Prugnola. Sai, ho pensato che le persone tendono ad essere più volubili quando lo si fa a loro un torto. Tu che ne pensi?
Ti spiego. Oggi sarei dovuto andare a fare un incontro importante, ma mi è stato fatto un torto che non sono incline a perdonare con tanta facilità. Quindi ho pensato. Cosa posso fare io per rendergli il favore? Ti confesso che le idee che ho in testa sono tante, ma nessuna di esse mi appaga. Consigli?
Invio.
Feci un lungo respiro e mi alzai con un balzo. Mi tolsi la maglietta entrando in casa, i miei muscoli si fletterò al movimento e la schiena si tese.
Le parole di Amelia mi turbinavano in testa. Entrai in doccia e aprii il getto freddo dell’acqua. Dovevo riflettere e l’acqua gelata mi aveva sempre aiutato a trovare un modo per farlo. Strinsi i denti dal freddo.
“Cosa devo fare con te bambina dagli occhi viola?”
I ricordi di ieri sera mi si palesarono di fronte e il cazzo mi si tese sotto il getto.
«Oh…» gemetti chiudendo gli occhi. Ogni muscolo era in tensione. Il modo in qui quella rossa gemeva, flebile mentre la leccavo, quando si contorceva per darmi il punto più sensibile di lei e io che le tenevo le cosce ben aperte.
Strizzai gli occhi mentre il cazzo si ergeva sempre più fiero. Erano giorni che non mi davo piacere e l’idea che fosse lei, e la sua fica calda a farmi venire a fiotti mi diede alla testa.
Ricordai i suoi piccoli capezzoli rosa che sporgevano oltre la camicetta da notte e la sensazione di morbidezza che mi lasciavano al tatto. Ricordai il modo in cui venne sulla mia lingua imbrattando la mia faccia dei suoi umori. Era venuta talmente tanto forte che mi ci è voluto un bel po’ per pulirla ingoiando ogni dannata cosa.
Ebbi uno spasmo, il dolore insopportabile che sentivo, ogni osso del mio corpo voleva rilassarsi, ma chiedeva un pegno. Appoggiai una mano sulle piastrelle e con l’altra presi a massaggiare l’asta gemendo.
Volevo averla contro il muro, rompere la sua fica stretta con dei colpi potenti finché non le venivo dentro ancora e ancora.
Ma poi sentii un rumore.
Smisi di toccarmi, i riflessi in ascolto. Aprii gli occhi lentamente.
«Caleb sei a casa? Sono Rob!»
Sbuffai: Mi guardai il cazzo mezzo moscio e strinsi la mascella, spensi il getto dell’acqua e presi l’asciugamano che era appeso fuori dal box doccia, me lo legai alla vita e uscii.
Sentivo i passi pesanti di Rob fare le scale con Fifo al seguito. Il suo collare tintinnava mentre zampettava per salire le scale. Aggiuntai un paio di jeans me li misi su dicendogli: «Sì, sono in camera. Arrivo.»
Una volta uscito dalla stanza, a torso nudo mi trovai Rob di fronte con la mascella serrata, teneva le mani strette a pugno lungo i fianchi. Gli occhi azzurro ghiaccio erano adombrati e deformati dalla rabbia.
«Che succede?» gli domandai aggrottando la fronte. Ero confuso.
Lui si avvicinò col volto torvo. «Cosa hai fatto tu alla nipote di Shannon?», la sua non era una domanda, bensì voleva una conferma.
Alzai un sopracciglio. Sapevo che si scopava la proprietaria del Wolves ma non sapevo che l’avesse tanto a cuore.
Alzai il mento e gonfia il petto.
«Perché tanto interesse?» chiesi stringendo lo sguardo e mettendolo a fuoco.
«Ti ho fatto una domanda!» esclamò calmo. Anche se mi accorsi benissimo del timbro teso che tratteneva dentro.
Mi leccai le labbra e ghignai spostando lo sguardo verso la vetrata enorme che fungeva da finestra per vedere il panorama fuori.
«Me la sono scopata due tre volte senza il suo consesso» risposi deciso.
Le pupille di Rob si allargarono talmente tanto che non si vedeva più il blu. «Con la bocca intendo. Lungi da me farle usare il mio cazzo. Sai come sono messo no?» lo provocai.
Strinse la mascella talmente forte che pensai si stesse rompendo i denti.
«Perché?» domandò. «Perché lo hai fatto se lei non ti voleva?» era curioso oppure semplicemente gli piaceva entrare nelle mutandine di sua zia e voleva fare bella figura con lei?
«Perché mi piace la sua piccola fica inesperta. Perché mi va di farlo…» mi avvicinai di due passi, ora eravamo occhi negli occhi. Eravamo alti uguali. Stessa massa muscolare, troppi tatuaggi da contare entrambi. Eravamo diversi solo dai capelli. «Hai qualcosa al contrario amico?» gli chiesi a denti stretti.
Rob fece un respiro profondo. Il suo petto andò su e giù sempre più veloce.
«Caleb…» mi avvertì. Anche lui dopotutto aveva i propri demoni.
«Perché siete tutti fissati con quella lì? Non sa diffondersi da sola?» scattai irruente. Ero stufo. Stanco che ogni persona che conoscevo scegliesse lei è non me.
«Perché è una bambina dannazione. Una bambina!» tuonò lui. Deglutii, avevo la gola secca, avevo sentito raramente Rob urlarmi in quel modo. E lo conoscevo da quando avevo undici anni. Lui mi aveva salvato, molte, moltissime volte dalle grinfie di mio padre, ma questo non gli dava alcun diritto di comportarsi come se avesse qualche diritto di dirmi cosa dovevo o non dovevo fare nella mia vita.
«Non voglio che tu ti avvicini a lei mai più. Mi hai capito Caleb? Mai più oppure potrai dire addio al tuo lavoro nel mio studio. Non se lo merita, non merita la tua cattiveria». Sputo acido.
Strinsi forte la mascella, la schiena mi bruciò come se fosse stato Rob a darmi la frustata, anche se era solo immaginaria.
«Mi stai chiedendo di smettere di scopare la sua fica? Oppure mi stai chiedendo di fare finta di non conoscerla solo perché così tu e Shannon Baker potreste scopare in pace quando e come vi pare?»
Rob si avvicinò pronto a caricare il pugno, ma sorrisi quando non fece nulla. No, lui non mi avrebbe mai e pioi mai toccato con un dito. Sapeva quanto ero irascibile. L’avrei massacrato se solo si fosse azzardato.
«No!», esclamò tenendomi sott’occhio. «Ti sto dicendo: o la rendi felice oppure sparisci dalla sua vista. È una ragazza in gamba, e sì, non mi dispiacerebbe scopare sua zia in santa pace, ma non si riduce tutto a me e a lei. Ci sono cose che non sai, cose che devono restare sepolte, ma stanne certo che se osi a farle del male…» fece un ghigno come se stesse immaginando nella sua testa la scena. «Non dovrai temere di me. Dovrai trovare un buco dove nasconderti da sua zia. Perché credimi, lei ti farà pagare ogni singola lacrima che la sua bambina ha versato. E credimi, non vorrei essere al tuo posto se ciò accadrà».
Assottigliai di nuovo lo sguardo, ma poi alzai un sopracciglio. Rob era innamorato di lei, ma più che altro, lui la ammirava. Sembrava venerare quella donna da come si espresse. Era determinato e credeva in ogni singola parola uscita dalla sua bocca
«Che si accomodi allora» conclusi per nulla impaurito dalla sua affermazione.
Impreco: «Se mi vuoi bene, la lasci perdere. Ma so che sei testardo e piuttosto ti faresti uccidere che ascoltare qualcuno, quindi te lo dico. Amala senza pensarci due volte, ma non addossarle i tuoi demoni. Ne ha già parecchi dei suoi.»
Deglutii ancora distogliendo lo sguardo. Rob mi diede le spalle iniziò a scendere i gradini. Strinsi forte le mani a pugno.
«Le ho promesso che non l’avrei più toccata fino ai suoi diciott’anni» gli confessai. Alla fine era l’unico che mi capiva veramente.
Sì fermò sull’ultimo gradino e si volse. Iniziai a scendere le scale lentamente. «Mi piace. È testarda e mi manda sempre a fanculo…», sorrisi.
Rob mi guardò impassibile, ma lo conoscevo, stava ascoltando attentamente ogni mia parola, era sempre stato più di un amico per me. A volte mi faceva da psicologo, altre volte il mentore. Spesso da testa di cazzo, ma gli volevo bene.
«La prima volta che l’ho vista me lo ha fatto venire duro solo guardandola, la seconda me lo ha fatto esplodere nei pantaloni perché mi temeva, e la terza volta fu quella più fatale, rispose al mio bacio. È lì che ho capito quanto era capace di fottermi in tutto e per tutto».
Ormai ero di fronte a Rob che mi stava guardando sbattendo uno o due volte le ciglia. Le sue spalle erano tese.
«E allora perché te la prendi con lei?» mi chiese confuso.
«Perché lei non vuole me» risposi sincero. «Lei vuole il mio migliore amico». Risi ironico. «Il tuo preferito ricordi? Il fottuto Dean!»
«Non puoi saperlo.» disse Deciso senza mezzi termini. «Ma se smetti di terrorizzarla forse avresti le idee più chiare. Oggi è venuta da te mi pare no?» strinse gli occhi. «Io due domande me li farei.»
Mi strinsi in spalle e lo sorpassai dirigendomi verso la cucina. «Vedrò il da farsi.» gli risposi.
Non vidi la sua faccia, ma presupposi fosse contento.
«Stasera ti voglio in studio. Ho voglia di farti un po’ del male». Disse uscendo. In realtà sapevo che lo aveva detto solo perché era arrabbiato. Lui amava il suo lavoro, ma a volte mi chiedevo perché era tanto propenso a salvarmi quando ero io il primo a non volere salvare me stesso.
Uscii di casa diretto all’incontro con il notaio e l’architetto. Avevano già iniziato il lavoro da una settimana ormai, ma dovevano definire certi dettagli che riguardavano il lato occidentale del terreno. Era molto incline a diventare fangoso durante i rovesci e non sapevano che cazzo fare se non la decisione di buttarci del cemento sopra, ma volevo uno spazio grande e molto verde intorno. Volevo fare le cose per bene e volevo restare anonimo. Tutti sapevano che c’erano dei lavori in corso e oltre Rob e i ragazzi, nessuno conosceva il benefattore.
Volevo fare qualcosa di buono per delle anime che sapevano solo dare attenzione e amore.
Mi infilai il casco e accesi la ducati nera diretto al terreno. Erano le due, i studenti stavano tutti uscendo dalla scuola, e volevo a tutti i costi evitare quella zona. Almeno per oggi. Avevo un conto in sospeso con Dean.
All’improvviso iniziò a squillare il telefono. Tentai di ignorarlo per due volte, ma esso non faceva altro che suonare e rimbombare nell’orecchio. Avevo il casco collegato al Bluetooth, quindi risposi schiacciando il pulsantino a destra all’esterno.
«Cazzo Caleb perché non rispondi!» mi urlò Lenny, feci il gesto involontario di spostare la testa a destra, ma era intorno al mio capo porca puttana.
«Abbassa la voce che mi stai rendendo sordo.» gli dissi imprecando. Aveva la voce roca e sentivo il suo respiro denso attraverso l’altoparlante. Aggrottai la fronte.
«Caleb! Abbiamo combinato un casino, noi eravamo convinti che fosse stata lei a mandarti in prigione. Cazzo… lei sta…»
I
l mio cuore si gonfiò e iniziò a battere contro la gabbia toracica con forza. Sentii i polmoni serrarsi di scatto e il corpo mi formicolò tutto dalla testa ai piedi.
“Hanno messo in atto il piano”.
«L’avete fatto?» gli domandai a denti stretti. Lenny balbettava. Sembrava risentito.
«Dov’è adesso che cazzo sta succedendo?» Sentivo delle urla attraverso il cellulare e il mio cuore si impennò maggiormente. Strinsi il manubrio e senza pensarci due volte feci una inversione a U. Diretto alla scuola di Little Falls.
«Sono scappati da tutte le parti, lei si è nascosta perché non riusciamo a fermare la folla. I ragazzi si sono divisi in gruppi e vogliono farle del male. Il preside sta cercando di calmarci ma c’è poco da fare. Non si può accedere all’interno della scuola e Eliot la sta cercando perché temiamo le facciano davvero male Caleb. La stanno cercando Caleb. Cazzo sbrigati. Dean non c’è per sistemare la situazione.» la sua voce sembrava un fiume in piena. Aveva il respiro affannato, e il timbro greve e preoccupato mi risuono nel cranio.
“Stanno per farle del male”.
«Chiamate la ditta della disinfestazione arrivo. Tenete lontani da lei la gente o giuro che ammazzo tutti uno ad uno!»
Imprecai e diedi gas alla moto sfrecciando con la massima velocità verso la scuola. Il cuore galoppava più veloce della moto e il sapore amaro mi imperòa la lingua.
“Ti prego Viola, resisti, sto arrivando”.
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