Caleb
Capitolo 12
●Nessuno entra in vano nella tua vita: o è una prova, oppure un dono●
Avevo teso una trappola al migliore amico della rossa. Sì sapevo che era meschino da parte mia, sarebbe stato impossibile indovinare l'enigma nascosto nelle tre parole che gli avevo concesso, che però se visti dal angolazione di tutti giorni, associati al mio gioco sarebbe stato facile trovare la risposta.
Era un detto giapponese antico, veniva usato prima di una battaglia e in seguito della vittoria conquistata. L'essere che mi aveva messo al mondo me lo recitava spesso prima di maltrattarmi. Eppure proprio per questo motivo gliel'ho proposi. L'unico motivo era quello più ovvio, venire puniti, o nel mio caso, umiliarli entrambi.
Avevo pensato a tutti i dettagli. Ma per questo ci sarebbe stato tempo per spiegarli. Si trattava di una umiliazione a lungo termine che avrebbe avuto inizio da lunedì, a meno che lui non risolvesse l'enigma, ma sapevo che senza l'aiuto della sua amica non avrebbe fatto un cazzo. Anche se ero consapevole che sarebbe stato difficile trovare il detto, sarebbe bastata una semplice parola per richiudere tutto il contesto.
Era un'ora che Lenny stava parlando a vanvera rigettando idee spropositate sulla prossima umiliazione, avevo smesso di ascoltarlo da più di mezz'ora ormai. Dean al mio fianco sembrava annoiato, era da un po' che stava lavorando al suo taccuino disegnando chissà cosa. Gettai un occhio, ma lo chiuse subito rivolgendomi uno sguardo affilato. Aveva un ciuffo biondo che li copriva gli occhi.
«Potresti smetterla per una buona volta?» rimproverò Lenny che stava a rimuginare sulle cose più assurde.
«Perché, che ho fatto?» Rispose perplesso.
Dean fece un lungo respiro prima di rivolgersi di nuovo. «Direi che ne ha avuto abbastanza. Non ha fatto nulla di male. In genere i nostri scherzi sono destinati a coloro che fanno delle gesta ignobili, lei ha semplicemente rifiutato Caleb. Quindi non vedo il motivo per continuare a torturarla in eterno. Lasciamola in pace e basta.»
Strinsi forte la mandibola, se c'era qualcuno che poteva rompermi le palle senza fare mai nulla, era proprio Dean, insieme alla sua armatura da principino azzurro.
«Oh, ma noi ci stiamo divertendo. Mica è un crimine divertirsi», gli rispose Eliot.
Dean si alzò dalla poltrona e strinse il suo blocchetto del cazzo. «Il divertimento ha sempre un costo Eliot. Prima o poi se continuiamo a stringere il guinzaglio e a fare gli stronzi, finiremo per diventare a nostra volta delle prede.»
Schioccai la lingua muovendo il capo con un ghigno impercettibile subito dopo.
«Se hai finito di dire le tue stronzate da cavaliere bianco, puoi anche andartene. Nessuno ha chiesto la tua opinione in merito.» risposi freddo.
Dean, mi fissò con i suoi occhi grigio fuso annoiati, restò fermo a sostenere il mio sguardo a lungo, poi mi indicò il telefono che tenevo saldamente in mano.
«Devi dargli il telefono, non è tuo. Ti stai comportando come un idiota. Se ti piace quella ragazza, il tuo atteggiamento è sbagliato, così facendo non potrai mai conquistarla.»
Mi alzai con un balzo dalla poltrona e gli torreggiai di fronte con le narici frementi.
«Mi sembra Dean, che non hai capito la situazione», li puntai un dito contro. «Lei è designata per la dalia nera quest'anno. Non sto cercando di ingraziarmela, non mi frega un cazzo di conquistarla perché di certo non ho intenzione di fargliela passare liscia. Mi ha rifiutato. Chi lo fa mai? Chi cazzo è quella mocciosa dai capelli rossi del cazzo per dire di no a Caleb War? Eh? Rispondi Dean! Quante persone dicono di no a me?» urlai.
Dean fece un lungo respiro, il suo petto ampio si alzò e si abbassò come se questa conversazione l'avesse stufato.
«Fai quello che vuoi Caleb», mi rispose andandosene.
«Dove cazzo vai?» gli urlai dietro, ma alzò la mano salutandoci senza dire nulla e poi imboccò le scale.
Sospirai e mi sedetti con un tonfo sulla poltrona.
E che palle. A me piaceva giocare con quella ragazza. Perché Dean doveva rovinare tutto come sempre?
Maledetto bastardo.
«Lascialo stare. Ultimamente non è in forma», mi disse Eliot, mentre Lenny era perso nei suoi pensieri.
Aggrottai la fronte perplesso. Mi ero accorto anch'io che ultimamente non c'era con la testa.
«Che problemi ha?» chiesi.
«Non lo so per certo, ma scommetto che centra una tipetta punk», disse prima di ridere come uno psicopatico mostrando i suoi denti bianco perla.
«Ci sono!» esclamò Lenny attirando la nostra attenzione.
Rimanemmo ad ascoltarlo, e per la prima volta Lenny aveva partorito un'idea geniale. Non era la solita cazzata, ma intendevo proprio una genialità. Io e Eliot ci siamo guardati negli occhi a lungo, eravamo entrambi sorpresi.
Uno perché Lenny era una bella testa di cazzo che sparava idiozie a destra e a sinistra tutti i giorni. Due perché, era Lenny, qualsiasi cosa dicesse era già a prescindere una grozza cazzata.
«Cazzo Gray sei un genio!» fischio Eliot.
«Sì amico. Questa è l'idea più figa che tu abbia mai avuto.» mi complimentai.
«Aspettate ragazzi, aspettate» ci disse alzandosi in piedi e camminando in lungo e in largo in sovrappensiero. Si fermò e aggrottò la fronte passando lo sguardo dall'uno, all'altro per diverse volte. I suoi boccoli castani brillavano alla luce del sole che filtrava dalla finestra a destra.
«Siete sicuri? Non è pericoloso?»
Pensavo che la sua idea fosse pericolosa?
Sì.
Lo era eccome, forse con questo avremmo superato ogni limite raggiunto fin'ora e sarebbe stata la volta buona che i professori e il preside avrebbero mosso guerra contro di noi, ma amen. Saremmo stati in grado di tenerli a bada.
L'unico problema sarebbe stato il coach, il quale ci aveva espressamente vietato di fare gli scemi quest'anno. Ma non credevo che per uno scherzo del cazzo sarebbe andato in fumo la mia carriera sportiva. O quella dei ragazzi.
«Sì sarà molto pericoloso e si creerà un bel casino.»
«E chi se ne frega!» esclamò Eliot.
«Viola si arrabbierà di brutto Caleb», disse Lenny guardandomi sotto le ciglia.
Sorrisi divertito immaginando la sua faccia con la fronte aggrottata, le sopracciglia inarcate e gli occhi viola stretti a due fessure.
«Sarà divertente» Conclusi.
Lenny alzò le spalle dicendo: «Se lo dici tu.»
«È deciso allora. Si fa!» Eliot si alzò con uno scatto dalla sua poltrona e diede la mano a Lenny per issarsi.
«So già dove trovare l'occorrente. Conosco un tizio», disse poi.
«Io scrivo le avvertenze», alzandomi a mia volta per scendere le scale e andarmene. Avevo finito le lezioni, e il fine settimana era un ottimo svago da tutto.
«Festa a casa mia sta sera», gli comunicai prima di andarmene.
🐺
Durante il pomeriggio, non avevo fatto nulla, mi ero messo a guardare un paio di video sui social e mi ero cucinato qualcosa per mettere sotto i denti. Abitavo in una delle ville più imponenti nella zona ricca di Little Falls, ma non gradivo avere nessuno intorno. L'unica donna che tolleravo era la donna delle pulizie che facevo venire quattro volte alla settimana quando io non ero in casa.
Avevo un profondo problema con le persone, non li sopportavo e loro non sopportavano me, era una bilancia equa.
Reprimere tutto ciò che mi scaturiva dal profondo del mio essere era già difficile di per sé, sapevo di essere deviato, fin dalla nascita non sono stato desiderato e questo mi portava ad avere un problema gravoso con chi mi circondava e che riflettevo proprio in quelle persone.
Ero il male, ma anche l'antidoto. È sempre stato così per me, non c'era stato nessuno lì quando ne avevo avuto bisogno, quindi avevo imparato a creare la medicina per le mie ferite da sola.
La solitudine era un'arma a doppio taglio, da un lato era l'unica cosa che potevo mai chiedere, mi beavo del silenzio attorno a me, ma dall'altra parte era una condanna, perché se l'esterno era vuoto, silenzioso e tutto taceva, la mia testa faceva un gran baccano, avevo riempito quel vuoto che per quasi diciannove anni faceva male con ombre e spettri. Con rumori a suon di frustate, cinture di pelle, mazze da baseball. Era tutto lì, nella mia testa che urlavano e facevano a cazzotti tra di loro per essere liberati.
La solitudine mi ricordava che c'era sempre una scelta macabra dietro ogni aspetto della vita. Quindi ecco perché associavo le scelte che facevo a una bilancia equa.
Fin ora il chiasso nella mia testa strabordava, mi urlava, mi deteriorava a piccoli morsi e l'unico modo che avevo per far tacere tutto era seguire l'onda. Diventare un tutt'uno con il caos.
A volte ci pensavo, se non avessi mai avuto a che fare con tutto ciò che era successo in passato, forse avrei saputo cogliere il silenzio nella sua forma più alta. Se nulla di tutto ciò che aveva dato inizio alla mia deviazione non fosse esistiti chi sarei stato? Come sarei stato? Ci sarebbe stato un posto felice da qualche parte della terra per me?
🐺
La musica e il chiasso della festa mi si riverberarono nella cassa cranica. Casa mia era diventata affollatissima di gente in pochissimo tempo. In piscina la musica suonava a tutto volume c'era gente che beveva e faceva casino ad ogni angolo della casa.
La voce di Penelope mi arrivò come il fischietto di un arbitro nei timpani e mi fece uscire dai mie complessi interiori.
Rivolsi lo sguardo verso di lei aveva gli occhi più dolci che qualcuno potesse mai avere, erano di un blu cobalto intenso, sempre genuini. I suoi capelli erano raccolti in una coda alta e indossava un abito corto senza le spalline.
«Caleb tutto bene? Vieni, Lenny vuole fare lo stupido ha preso lo skateboard e vuole saltare dal tetto del garage. Così si romperà la testa. Devi fermarlo», mi parlo concitata.
Deglutii ricacciando in fondo alla testa tutti i miei bagagli emotivi e la guardai perplesso.
«Lenny che?» domandai incredulo.
Ma era stupido? Avevamo un campionato da vincere cazzo!
«Vieni Caleb! Dean sembra annoiato, si è seduto in un angolo e sta assistendo alla scena senza muovere un dito. Dice che è lui che deve rendersi conto da solo dell'enorme stronzata che sta facendo, e Eliot, beh, non accenna a fargli cambiare idea. Si sono scommessi qualcosa. Quei due sono pazzi!» parlò velocemente con l'ansia che si rispecchiava nei suoi occhi chiari.
Feci un lungo respiro sbuffando dal naso e imprecai a bassa voce.
«Ma che cazzo!» esclami dirigendomi a grosse falcate all'esterno seguito da Pen.
In cortile si erano riuniti un gruppo di persone che lo incitavano a fare il salto, c'era invece chi sembrava perplesso e non voleva che lo facesse. Dean si trovava seduto a destra annoiato come sempre. Mi diressi spedito verso di lui con accanto Eliot che fumava e rideva come uno squalo.
«Ma che cazzo Dean!» esclamai di fronte a lui. Alzo lo sguardo nel mio con la sua aria pacata. «Perché non hai fatto niente per fermare questi pazzi?»
Dean scrollo le spalle e si alzò con una lentezza fastidiosa. «Perché avrei dovuto farlo? Sono adulti, possono capire da soli le cazzate che decidono di fare»
Sospirai in collera e mi rivolsi a Eliot che mi stava guardando con gli occhi a due fessure.
«Abbiamo un cazzo di campionato da vincere tra poco!» gli dissi fra i denti.
«E quindi?» Rispose alzando le sopracciglia.
Mi passai le mani sul volto esasperato.
«Se si rompe gli arti saremo scoperti Eliot. Non possiamo permetterlo. Vuoi fargli rovinare la carriera?»
«Amico, guarda che non si romperà nulla da quella altezza.»
Restai calmo, non dovevo perdere le staffe.
«tre metri e mezzo ti sembrano pochi Eliot?» domandai avvicinandomi alla sua faccia.
Il suo volto restò imperturbabile. Chiusi gli occhi e mi voltai verso Lenny.
«Scendi Lenny. Rompiti il collo. Rovinati la carriera.» urlai aprendo le braccia esausto.
«Caleb!» cercò di rimproverarmi Pen.
Mi voltai verso di lei e la guardai dicendo: «Ha ragione Dean. Se non lo capiscono da soli io posso fare poco.»
Nel frattempo che stavo parlando Lenny fece un ululato e si mise in posizione. Sentii l'attrito delle rotelle contro la ripida discesa del tetto e mi voltai per vedere il salto che avvenne in pochi attimi.
Trattenni il fiato quando vidi il salto nel vuoto, cadde nell'aiuola e si mise a lamentarsi con un verso acuto.
Tutti pensammo che si fosse fatto male, ma si alzò subito dopo ululando come un pazzo.
«Sono una cazzo di aquila!» urlò eccitato.
Alzai gli occhi al cielo quando tutti si misero a ululare e a urlare come pazzi per la buona sorte che aveva avuto. Mi accorsi del sangue che gli sgorgava dalla fronte un secondo dopo.
«Merda!» sibilai.
Lui si toccò la fronte sporcando le dita di sangue e subito dopo si mise a ridere ancora.
«Sto bene!» esclamò. «Sono un cazzo di uccello!» disse subito dopo.
Abbracciò un paio di persone come se avesse vinto il guinness dei primati e si avvicinò verso me e i ragazzi.
«Che salto! Sono senza limiti! Io sono invincibile!» urlò.
«Lenny stai sanguinando» gli fece notare Dean.
«Dovresti andare in ospedale amico. Il sangue non si sta fermando», aggiunse Eliot.
«Ah, sto bene, è solo un graffio», disse facendo lo scemo e abbracciando le persone.
«A me non mi pare un graffio. Vieni entriamo in casa così capiamo come fare.» lo presi per un braccio trascinandolo dentro.
«Ragazzi, sto bene!» protestò.
«Stai zitto e vai dentro!» esclamò Pen che sembrava su tutte le furie.
«Oh smettila di comportarti come se fossi mia madre!» lo rimproverò Lenny.
«La smetterò quando diventerai una persona matura!»
Eliot e Dean si misero a ridere, e in effetti la cosa faceva ridere anche me. Loro due erano fratelli, di madre diverse, e a parte i riccioli del padre, non avevano nulla in comune.
«Pen ti prego! Stai zitta!» disse lui.
«Sei uno stupido Liopold! Un bambino capriccioso!» esclamò la sorella.
«Basta ragazzi.» dissi ad entrambi. «Ora andiamo a vedere com'è messa questa ferita. E guai a te Len se non potrai giocare martedì alla partita. Sappi che questa ferita sarà una bazzecola in confronto a ciò che ti farò io!» lo minacciai.
Alla fine abbiamo dovuto portarlo in ospedale, nella caduta aveva picchiato con la fronte su una pietrina che era rimasta incastrata nella cute, hanno dovuto darli cinque punti, il medico disse che doveva stare in convalescenza per almeno una settimana anche se dalle lastre non aveva rischiato nessuna commozione.
Mi incazzai sia con lui che con gli altri perché questo avrebbe fatto sì che lui non potesse giocare martedì, ma a detta sua, avrebbe giocato eccome.
L'avevamo portato a casa sua, e messo a letto come se fosse un bambino di due anni. Infatti aveva fatto delle battute del cazzo che non prendemmo in considerazione.
Quando tornai a casa, la festa era finita non c'era più nessuno, i bicchieri di plastica e le bottiglie erano sparsi per tutta la casa. L'indomani la donna delle pulizie avrebbero avuto un bel da fare.
Mi diressi verso la mia stanza con il magone che mi schiacciava il torace. Glielo avrei fatto pagare a Lenny. Quello stupido si comportava sempre da ragazzino immaturo e non potevamo rischiare tutto il nostro futuro per i suoi capricci.
Una volta a letto presi il telefono e lo sbloccai rileggendo la chat. Un sorriso mi distese le labbra rileggendo l'ultimo nickname in alto a sinistra.
Cannellachebontà: Oggi il mio cane è andato sullo skateboard
Rilessi il messaggio un paio di volte prima di cancellarlo.
Cannellachebontà: Il mio cane va sullo skateboard...
Lo cancellai di nuovo, pensai che fosse stupido dare a Lenny del cane, anche se per certe cose poteva essere realmente definito in quel modo.
Lasciai il telefono sul comodino e mi alzai dal letto dirigendomi veramente verso il mio cane al piano di sotto.
Il mio dobermann era uno dei cani più fifoni sulla faccia della terra. Non abbaiava nemmeno una volta, non incuteva timore, era sempre in cerca di coccole e soprattutto, veniva in continuazione malmenato dai gattini della Missis Stiklin della razza Maine Coon.
Mi piacevano gli animali, fin da quando ero piccolo e avevo trovato un bastardino abbandonato al parco che poi avevo adottato subito dopo, non sono mai rimasto senza. Erano gli unici a capirmi veramente. Loro mi stavano vicino sempre indipendentemente dal fatto che io sia stato una brutta o una bella persona. I miei animali erano gli unici che mi amavano e per questo io amavo loro.
Avevo intenzione di finanziare un angolo di paradiso per loro. Il progetto era in fase di definizione sul lato ovest della città. Avevo preso un grande terreno e c'erano già i lavori in corso per definire i dettagli. Il lavoro che svolgevo da Rob come tatuatore e aver comprato delle azioni in borsa quando compii diciott'anni mi frutavano un bel gruzzoletto alla fine del mese, quindi avevo deciso di fare qualcosa di buono per i miei amici.
Ultimamente nei due parchi principali di Little Falls c'erano tanti animali abbandonati, altrettanto animaletti appena nati. Avevo intenzione di dagli una casa e il mio progetto stava prendendo forma finalmente.
Come sempre trovai il mio cane Fifo abbreviazione di Fifone, ovviamente, alle prese di coprirsi il muso con la zampa perché Little Snow lo stava importunando.
Il gattinno mi rivolse un'occhiata quando entrai per poi procedere nel suo divertimento come nulla fosse.
Fifo invece si alzò e mi venne vicino. Gli accarezzi le orecchie e mi appoggiai con le ginocchia al pavimento per accarezzarlo su tutta la lunghezza e lasciargli un bacio sul muso.
«Ma almeno ti rendi conto del cane che sei? Tu non dovresti essere pericoloso per natura amico?» domandai, e lui volto la testa a sinistra con la lingua di fuori.
«Sarebbe un insulto per la tua razza non abbaiare amico.» gli dissi ridendo e abbaiando per imitare un verso di cane.
Per tutta risposta Fifo si sedette e mi guardò curioso.
Sicuramente si sarà chiesto che cazzo stessi cercando di fare.
Mi alzai e gli misi un po di crocchette alle verdure sulla scodella che portava il suo nome. Andai nella casetta di Missis Stiklin e le accarezzi la testa. Per poi fare la stessa cosa con i suoi tre cucciolotti. Tra cui Neve che non lasciava mai in pace Fifo e come ogni volta che mi avvicinavo per accarezzarla, mi graffiò con le sue unghiette. Black che stava beatamente dormendo e Steewi seduto sulla testa della madre.
«Va bene, va bene vi lascio stare.» dissi uscendo fuori dalla stanza e seguito subito sia da Neve che da Fifo.
Presi il gattino in braccio e mi misi sul letto gli diedi un paio di carezze e come risposta Neve fece le fusa. Lo lasciai accanto al cuscino e presi di nuovo il cellulare in mano, guardai a lungo lo schermo prima di digitare un messaggio.
Cannellachebontà: Il mio cane è un fifone. Si lascia sempre malmenare dai miei gatti. Vorrei tanto fargli capire che deve smetterla di essere così accondiscendente e tranquillo, ma non so come fare. La gattina che lo importuna tra l'altro è una micetta di appena due mesi.
Invia.
Restai a osservare lo schermo per una buona mezz'ora, ma non ricevetti alcuna risposta.
Sospirai ridendo e passandomi le mani sul volto.
Ma che cazzo stavo facendo?
Perchè mi ero messo a creare un account falso per scrivere a lei?
Perchè mi ero messo a fare ricerche su di lei sui social?
Ammetto che quando avevo scoperto che andava pazza per gli animali mi aveva generato un brivido caldo, perché avevo scoperto un punto in comune, ma la domanda restava sempre immutabile.
Perché?
Che cosa stavo cercando di ottenere? Qual'era il mio scopo ammesso che ne avessi davvero uno?
Il mio telefono si illuminò. Il display segnava le quattro meno un quarto del mattino.
L'avevo svegliata? Era già sveglia?
E come mai era sveglia a quest'ora?
Che cosa stava facendo?
Rallenta Caleb!
Sbuffai alzandomi in piedi e iniziai a camminare come uno scemo per la stanza.
Ma che problema avevo? Perché queste domande strane all'improvviso? M'importava di lei?
Oh cazzo, merda, ma che cosa mi stava passando per la testa ultimamente?
Aprii la sezione messaggi e lessi.
Prugnola: Oh poveretto. Ammiro il gattino però. Non è mai facile avere il coraggio per mettere al proprio posto uno più grande e cattivo. Bravo gattino, ha tutta la mia stima.
Lessi e rilessi per diverse volte il suo messaggio. Ho colto la nota dolente di ciò che racchiudeva il messaggio e decisi di chiederle.
Cannellachebontà: Non ho fatto a meno di notare una certa confessione tra queste righe. Che cosa ti affligge Prugnola?
La risposta arrivò dopo dieci dannati minuti. Il giusto tempo di vedere fare a botte Neve contro un paccato e pacifista Fifo
Prugnola: Oh niente, e anche se qualcosa ci fosse, di certo non lo direi a te sconsciuto/a. Forse chi lo sa, potresti proprio essere tu la causa delle mie afflizioni.
Sorrisi di rimando dal suo messaggio.
"Puoi contarci volpe"
Cannellachebontà: Sarebbe impossibile Prugnola. Ma non c'è problema, in realtà non voglio entrare nei dettagli della tua afflizione. Posso però dirti che mi dispiace. Chiunque sia costui o colei presto o tardi si renderà conto dello sbaglio che sta o ha commesso.
Ps: il mio gatto sta ancora facendo a botte con e il mio cane che incassa tutto e non fa niente per ribellarsi.
Prugnola: Sto ridendo.
Ps: Sono le quattro del mattino e il mio amico continua a mangiare e a guardare la TV faccendo un baccano insopportabile quando mastica i popcorn.
Cannellachebontà: E tu togli la ciotola.
Prugnola: Sì se voglio dormire direi proprio che farò così. Buonanotte Cannella.
Cannellachebontà: Buonanotte Prugnola.
Misi il telefono sotto carica e mi spogliai infilandomi sotto le lenzuola. Avevo un sorriso sul volto. Un sorriso che non sapevo spiegare, ma che mi fece dormire per una notte intera fino all'alba.
La magia della Violetta faceva effetti anche attraverso un cazzo di messaggio. E per una volta decisi di lasciarmi intorpidire la testa chiudendo gli occhi senza avere paura di nulla.
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